3
sotto le modalità di passeurs e decouvreurs. Abbiamo tendenza a credere
che grazie ai ruoli suddetti, si possa comprendere in modo maggiore il peso
e l’importanza che queste due figure hanno giocato nella dinamica della
letteratura anglo-americana contemporanea, che paradossalmente non si è
svolta né in America, né in Inghilterra, bensì in Francia, paese a metà, terra
ibrida. Mi riferisco in particolare all’eccezionalità del caso Joyce, ma non
solo, in quanto le due promossero la letteratura degli espatriati anglo-
americani a Parigi, facendo conoscere la loro opera in un paese che ancora
non la conosceva.
Per riassumere, tutto il nostro lavoro mira a mettere in luce le condizioni e i
meccanismi che hanno reso possibile e concreto un passaggio culturale e
letterario in un determinato periodo storico, nonché la creazione di un luogo
che diventerà mitologico.
Lo studio della circolazione delle idee in Europa dipende da diversi e
multipli fattori, di cui alcuni obbediscono a regole precise, mentre altri
rivelano aspetti aleatori e contingenti. Si tratta di prendere in considerazione
non soltanto i fattori materiali e intellettuali della comunicazione: ricettori,
mediatori e intermediari, bensì ugualmente dei fattori storici e sociologici,
che formano un immaginario collettivo, basato sulle personalità interessate e
le rappresentazioni culturali e letterarie dello stesso periodo. Il caso della
Parigi degli anni Venti è piuttosto particolare, in quanto assiste ad un vivace
proliferare di scrittori e artisti provenienti da ogni parte del mondo. Il
fenomeno letterario maggiormente visibile fu senz’altro quello degli
espatriati anglo-americani.
Gli scrittori americani si sentivano brancolanti ed esitanti, a causa del
sistema del loro paese, ma anche del fallimento della cultura europea,
ereditata dall’appena trascorsa Grande Guerra. William Carlos Williams,
grande figura intellettuale, interrogandosi e riflettendo sul periodo afferma:
“ How shall I be a mirror to this modernity?”.
La capitale francese sarà, in effetti, non soltanto una Moveable Feast, ma
anche e soprattutto una diversa possibilità di riflessione e di ricerca, che
darà luogo ad un nuovo modo di fare letteratura. In tal modo il periodo tra la
prima e la seconda Guerra mondiale deve essere considerato prima di tutto
4
come un periodo di transizione, dal quale nascerà una letteratura americana
veritabilmente autoctona e innovatrice.
Negli anni Venti diversi scrittori, come è gia stato detto, espatrieranno verso
un’Europa vacillante, ma ancora detentrice di una cultura millenaria. Qui
infatti gli impedimenti morali e il conformismo letterario erano molto meno
radicali che nella puritana America, quando quest’ultima offriva una
limitatissima libertà di espressione, la vecchia Europa dava comunque la
possibilità a questi scrittori di esprimersi come più preferivano, facendo
diventare la Francia quasi una seconda casa per loro. E’ una generazione
perduta quella che popola le strade e soprattutto i bars della capitale
francese, riprendendo l’espressione di una delle madrine di questa
generazione, Gertrude Stein, la quale fu una delle prime a provare il piacere
e il tormento dell’espatrio.
L’originalità di Parigi in questo determinato periodo storico consiste nel
rappresentare un vero crocevia letterario e culturale invidiabile in ogni altra
parte del mondo, in quanto la città raggruppava poeti, scrittori e artisti
internazionali.
In questo dinamico contesto, il passaggio della Rue de l’Odéon
rappresenterà il fil rouge che servirà a costruire una rete solida e proficua
per una circolazione e diffusione delle idee moderniste e avanguardiste.
Sylvia Beach e Adrienne Monnier saranno coloro che concretizzeranno
questo passaggio letterario in un momento storico così fervido e contrastato.
Il seguente lavoro parte con una riflessione sulla memoria culturale e i
luoghi della memoria, che mira a dimostrare come queste due donne
abbiano creato e concretizzato un passaggio ed uno spazio mitologico.
Successivamente si passa ad analizzare il caso Joyce: pubblicazione e
traduzione dell’Ulysses in Francia, ponendo l’accento sull’importanza della
pratica della traduzione come mezzo di consacrazione. Infine si è cercato di
mettere in luce, da un punto di vista letterario e sociologico, la figura
dell’intermediario, di colui che sta tra l’autore e il lettore, figura
fondamentale che crea legami, stabilisce relazioni e concretizza una
trasmissione di un pensiero tramite la cosidetta force du lien faible.
5
Fautrici di una sorta di alchimia simbolica, Sylvia Beach e Adrienne
Monnier furono due mediatrici d’eccezione nel vasto panorama letterario
modernista della Parigi degli anni Venti.
Tale riflessione si è costruita partendo da documenti diretti e primari, come i
memoirs della Beach e della Monnier, gli esemplari pervenuti della rivista
Navire d’Argent, testimonianze dirette di scrittori e giornalisti, memoirs di
scrittori sul periodo storico, documentari dell’epoca, emissioni radio,
interviste, foto, lettere, rubriche e registri delle due librerie.
La memoria come consacrazione e posteriorità di un determinato periodo
storico e di un determinato operato. La traduzione come la concretizzazione
di tale operato, e il mediatore, cioè colui che sta “tra due”, tra l’artista e il
lettore, tra l’America e la Francia, tra l’inglese e il francese.
La vita e l’operato della Beach e della Monnier restano vivi nel tempo e
nella memoria di quel “loro” mondo delle idee, che ebbe per perimetro i
limiti del quartiere dell’Odéon, nel cuore di Parigi.
Questo lavoro è il frutto di un anno di ricerche svolte, in parte, direttamente
sul campo, nella città di Parigi, frequentando la Bibliothéque Nationale
François Mitterand, la sede de l’IMEC (Institut pour la Mémoire des
Ecrivain Comtemporains), la Bibliothéque Jacques Doucet, raccogliendo
testimonianze e intervistando la scrittrice Laure Murat, ricercatrice e autrice
dell’opera Passage de l’Odéon, uscito nel settembre 2003.
E’ necessario sottolineare che la critica letteraria su questo particolare
soggetto della letteratura contemporanea non è ampiamente trattata, per
questo motivo le mie riflessioni si sono basate sulle opere primarie
soprattutto, e l’opera sopracitata della Murat. Per quanto riguarda le nozioni
più sociologiche,e la parte sull’analisi dell’intermediario culturale, i
riferimenti principali sono da ricercare nell’opera di Pierre Bourdieu, Les
Régles de l’Art.
6
PRIMO CAPITOLO
IDEE E MEMORIA
1.1 RUE DE L’ODEON, PARIS VI.
“Par un soir de printemps, la Rue de l’Odéon
ne rassemble pas non plus à une rue.
Trop étroite pour une rue normale, elle ressemble
Au large corridor d’une pension de famille.
Et les portes des magasins sont les portes des
Chambres meublées.
Une extremité de la rue va buter dans un salon
L’autre dans –une cuisine.
C’est le calme qui crèe cette illusion.
L’absence totale de taxis et de calèches.
Et surtout, sans doute, les silhouettes de deux femmes… »
S.M.Eiseinstein
Così esordisce Eisentein in un tributo alla Beach e alla Monnier, ma
soprattutto alla Rue de l’Odeon, piccola strada nel cuore di Parigi, che
conobbe un passage internazionale che sarebbe rimasto nella storia delle
teorie letterarie moderniste. Prima che Adrienne Monnier e Sylvia Beach la
scoprissero, la Rue de l’Odéon era una semplice e sconosciuta via del centro
parigino, sono state loro, insieme a tutti coloro che l’hanno vissuta, a
renderla un luogo di passaggio mitologico.
Questa piccola strada, talmente piccola che raramente vedeva passare mezzi
motorizzati, divenne idealmente la terra delle idee, un mondo senza
frontiere destinato allo spirito dell’intelletto: l’Odeonia. Per penetrarvi
conveniva passare dalle “cucine”, dove si preparavano i festini e dove
nascevano i più alti complotti delle due cuoche, nonchè padrone di casa:
7
Adrienne Monnier e Sylvia Beach. Le loro due librerie, luogo di transito e a
metà tra la strada e l’abitazione, in quanto le due abitavano sopra le attività
stesse, rappresentarono una sorta di chambre magique per molte personalità
influenti all’epoca.
Uno dei libri che raccoglie le memorie di Adrienne Monnier porta proprio il
nome di “Rue de l’Odeon”, quasi a voler sottolineare un luogo preciso
spaziale e temporale. In realtà i confini dell’Odeonia spaziavano ben oltre e
facevano di questo posto un luogo mitico e immortale nei ricordi di coloro
che lo vissero nella sua essenza più profonda.
Jacques Prévert ricordando la Monnier e la sua libreria regala parole
poetiche: “Adrienne Monnier ètait comme un jardinier, et dans la serre de la
rue de l’Odéon où s’épanuoissaient, s’échangaient, se dispersaient ou se
fanaient les idées en toute liberté, en toute hostilité, en toute promiscuité, en
toute complexité, souriante, émue et véhémente, elle parlait de ce qu’elle
aimait: la littérature. Et est pour cela que, traversant la rue de l’Odéon,
beaucoup entraient comme chez eux, chez elle, chez les livres. »
1
Personaggi come la Monnier, la quale diede alla sua libreria e ai suoi
frequentatori una grandissima e costante attenzione, come un giardiniere
cura la sua serra, diventano i veri costruttori di una memoria storica e
culturale, come Aleida Assmann spiega nella sua opera Ricordare :
“Oltre alle sintesi totalizzanti della storia oggi esistono memorie diverse, in
parte tra loro contraddittorie, che rivendicano il diritto del riconoscimento
sociale e la messa in luce di personaggi come i mediatori.”
2
La Monnier regnava su questo universo parallelo da vera regina della
letteratura e delle spezie, ella associava il cibo terrestre a quello spirituale, e
confondeva il piacere letterario a quello del palato. Nel suo quaderno
accanto ai libri venduti durante la giornata si trova, talvolta, qualche lista
della spesa ( gruyère, saucisses, beurre…)
3
, a voler dimostrare quanto
fossero necessarie e vitali le due cose nella sua vita. Lei stessa lo afferma
autodescrivendosi nelle sue memorie: “ Mademoiselle Monnier parle
lentement, d’une voix un peu chantante. Est-elle française? Son visage rond
et coloré pourrait etre celui d’une flamande. Elle en a la nature aussi, à la
1
Adrienne Monnier, Rue de l’Odéon, Albin Michel, Paris, 1982, p.12.
2
Aleida Assmann, Ricordare, il Mulino, Bologna 2000, p.34
3
Documenti IMEC (Institut pour la mémoire des ècrivains contemporains), 9 Rue Bleue, 75009 Paris.
8
fois mystique et matérielle : elle aime la viande autant que les livres, les bon
gateaux autant que les beaux poèmes. »
4
La letteratura e la gastronomia come metafore e come chiavi per
comprendere l’animo di questa donna perspicace e organizzata, ma allo
stesso tempo sensoriale ed emotiva.
In una delle sue ultime Gazettes, apparse sul Mercure de France nel 1961,
parlando della poesia ella disserta “ Il pourrait etre suffisant, quand on parle
de poèsie, d’affirmer son gout comme on fait pour le café ou le vin. La
parole d’un vrai poète est avant tout un saveur- saveur qui plait ou qui ne
plait pas. Elle n’est profonde que par ses effets profonds. »
5
Spiritualità e
golosità andavano d’accordo e si fondevano per concretizzarsi nella calda e
rassicurante figura di Adrienne Monnier.
“ J’aimais les graisses” continua la Monnier nelle sue memorie, fiera di
questa confessione, Adrienne va all’essenziale, a ciò che veramente nutre.
Ella vantava, infatti, una cucina borghese, basata sulla scelta di una buona
qualità dei prodotti, ricordiamo i suoi articoli scritti per vari mensili di
cucina dell’epoca, dove precisava sempre che la qualità del cibo doveva
essere prima di tutto alta. Nello steso modo aveva riempito la sua biblioteca:
prima di tutti i vari Valéry, Larbaud, Fargue e Gide, lei amava Paul Claudel
per il suo misticismo e Maeterlink per il suo simbolismo classico. Dunque
grandi classici, che si affiancheranno in seguito ad alcuni dei più fauves
della “nuova letteratura” nascente.
Winfred Ellerman, meglio conosciuta come Bryher, finta sposa di Rober
MacAlmon e vera amante di Hilda Dolittle, ricordando Adrienne e la sua
Maison dice “ In her home it is the delicious smells that I remember, herbs,
a chicken roasting….It was a unique experience, first to eat the dinner
because she cooked better than anyone whom I have ever known, and then
to listen to the conversation of some of the finest minds in France.”
6
L’intellettualità della Monnier andava di pari passo con la straordinaria
capacità di associare gli odori e i sapori, caratteristica che le valse
l’originalità del suo personaggio.
4
Adrienne Monnier, Rue de l’Odéon, Albin Michel, paris, 1982, p.30.
5
Adrienne Monnier, Dernières Gazettes, Mercure de France, 1961.
6
Bryher, The Heart of Artemis. A Writer’s memoir, p.212.
9
In ogni caso la nostra piccola grande “nonne des lettres” non fu mai
veramente quel che si suol dire una rivoluzionaria, sebbene accolse più volte
i surrealisti nella sua libreria non provò mai una sana simpatia per André
Breton e neppure tentò di capire la rivoluzione surrealista: “Quand le
Manifeste du surréalisme parut, en 1924, je fus presque émerveillée par la
reussite de l’ouvrage. Maintenant encore, ce manifeste m’apparait encore
comme un des chefs-d’œuvre de la satire… »
7
. Pungente e ironica nei
confronti dei surrealisti, completamente snob in quelli di Proust e Celine, i
quali non furono proprio considerati dalla Monnier, che, senza essere
titubante, optava per Jules Romains piuttosto che per il grande genio
proustiano.
Non si può comunque tralasciare, che la Monnier era stata l’amica e la
sostenitrice di tanti intellettuali avanguardisti dell’epoca, aiutò Walter
Benjamin a fuggire dai nazisti, accolse in casa sua Gisèle Freund, fu grande
amica di Rilke, Bryher, o ancora di Apollinaire e più tardi di Artaud. E
ancora fu una delle prime a collaborare con scrittori latino-americani, a
promuovere il loro pensiero in Francia, e a tradurre le loro opere nella
rivista letteraria da lei fondata, le Navire d’Argent.
Non in ultima istanza, rese possibile la traduzione di una delle opere più
scandalose e censurate di quegli anni, L’Ulysses di James Joyce, anche
se…la sua decisione fu forse incoraggiata, o almeno consigliata da qualcun
altro.
La pioniera d’America la chiamavano alcuni dei suoi amici, Sylvia Beach,
che con il suo spirito frizzante e fantasioso rallegrò non poco gli abitanti di
questo villaggio mitologico.
La Beach, appena trasferitasi in Rue de l’Odeon con la sua libreria, (quando
aprì infatti si trovava in una laterale, rue Dupuytren), fieramente disse “ So
Shakespeare and Company in 1921 moved to the Rue de l’Odéon and
Americanized it; and very very French though Adrienne was, we did our
best to annex her, too.”
8
Nutrita di fervore religioso, pragmatismo e determinazione, ma anche di un
forte istinto e di sensibilità artistica, Sylvia era partita alla scoperta
dell’Europa già in età adolescienziale, mescolando quindi l’esperienza
7
Adrienne Monnier, Rue de l’Odéon, op, cit, p.65.
8
Sylvia Beach, Shakespeare and Company, University of Nebraska Press, NY, 1991, p.61
10
infantile americana e l’adolescenza europea. La formazione della Beach sarà
dunque marcata da due aspetti alquanto contraddittori, i quali la porteranno
ad essere una donna sia puritana che libertina, una donna ancorata a forti e
limitate certezze di una moralità americana, ma con un senso dell’umorismo
sottile e perspicace, e quasi unico, chiamata già da bambina dal padre con il
nomignolo “jolly joker”. La giovane Sylvia compie studi di musica e di
lingue straniere, soprattutto il francese, e come vedremo, in un certo senso
combinerà tutti i suoi progetti ed tutte le esperienze della sua vita,
esplicitandoli e concretizzandoli in un modo pragmatico: aprendo una
libreria alquanto particolare nella Parigi degli anni Venti.
Ripercorrendo velocemente le tappe della Beach la vediamo nella capitale
francese nella sua prima adolescenza, questo primo viaggio la impressiona
profondamente, anche se non in modo totalmente positivo, in quanto sente
comunque un peso familiare “ I was not interested in what I could see of
paris through the bars of my family cage”, si lamenta in un “brouillon”
inedito delle sue memorie, “I never seemed to get anywhere near the living
Paris. This was not my life but Father’s”
9
In questo periodo iniziano anche le forti emicranie di Sylvia, che la
accompagneranno tutta la vita, accentuate in quel momento dalla volontà del
padre, e più tardi, come meglio vedremo in seguito, dall’altra forte
personalità che marcherà fortemente ma ambiguamente la sua vita: James
Joyce.
Il rapporto contraddittorio con la figura del padre,e successivamente quello
con Joyce, porterà la Beach ad assumere una grande ammirazione per le
forti personalità maschili, ma ad una propensione di vita sentimentale con
quelle femminili.
Ma quello che più importava a Sylvia e anche quello che sapeva fare meglio
era il lavoro pratico e organizzativo, unito ad uno spiccato senso
missionario: caratteristiche basilari per costruire il personaggio che
incarnerà Sylvia donna: l’agente di legami e contatti americana più
conosciuta in Francia, che metterà la sua vita a disposizione della letteratura
e degli scrittori, arrivando a consacrare un’intera epoca e guadagnandosi un
posto nella posterità.
9
Citato da Fitch, in Sylvia Beach and the Lost Generation, W.W. Norton & Company, New York, 1983, p.56
11
L’unica che riuscì a capire veramente e profondamente un’opera così oscura
come l’Ulysses di James Joyce, pubblicato interamente a spese di
quest’ultima. E fu proprio lei, insieme a Valery Larbaud, a convincere
Adrienne a mettere in piedi una squadra affiatata per la traduzione del
manoscritto, anche se poi nella realtà le cose, come vedremo, andranno
diversamente.
Nutrita di Whitman, Shakespeare e di viaggi in tutta Europa, intrapresi
prima con i genitori e poi sola impegnandosi spesso come volontaria, era
arrivata senza genitori a Parigi nel 1917, proprio alla fine della prima guerra
mondiale. All’epoca viveva in un appartamento vicino al Palays Royal con
la sorella Cyprian, che seguiva i suoi sogni di attrice e cantante lirica nella
capitale francese.
Affascinata dalla stimolante ville lumière Sylvia si dedica alla lettura della
letteratura e della poesia francese contemporanea. Ed è proprio in questo
modo che scova Adrienne Monnier e la Rue de l’Odéon: interessandosi alla
raccolta di poesie Vers et Prose di Paul Fort.
10
Ricordiamo che la Beach aveva il dono delle lingue, che padroneggiava
benissimo, e con le quali si divertiva a giocare. Maurice Saillet, in un
articolo su Sylvia Beach, apparso sul Mercure de France dopo la morte di
quest’ultima, racconta i suoi bizzarri e storpiati modi di dire passati alla
storia, fantasiosi adattamenti dell’inglese al francese. Il più famoso era
“Enjoyer”, che esplicitava il perenne stato di entusiasmo della Beach,
oppure “ Nous ne sommes pas à vendre”, frase storica usata da Sylvia
quando la sua libreria rischiava di chiudere le porte. O ancora “ jusqu’à tous
à terre”, storpiamento di “jusqu’au bout”, espressione utilizzata dalla Beach
soprattutto durante la pubblicazione dell’Ulysses.
11
10
“ One day at the Bibliothèque Nationale, I noticed that one of yhe reviews- Paul Fort’s Vers et Prose, I think it was-
could be purchased at A.Monnier bookshop’s, 7 rue de l’Odéon, Paris VI. I had not heard the named before, nor was the
Odeon quarter familiar to me, but suddenly something drew me irresistibly to the spot where such important things in
my life were to happen. I crossed the Seine and was soon in the rue de l’Odéon, with its theatre at the end reminding me
somehow of colonial house in Princetown. Halfway up the street on the left side was a little gray bookshop with
“A.Monnier” above the door. I gazed at the exciting books in the window, then, peering into the shop, saw all around
the walls sheves containing volumes in the glistening “crystal paper” overcoats that French books wear while waiting,
often for a long time , to be taken to the binder’s. There were also some interesting portraits of artists there.”
Shakespeare and Company, New Edition, University of Nebraska Press, Lincoln, 1991, p.15.
11
Maurice Saillet, Mots et locutions de Sylvia Beach, Mercure de France, février 1962, Paris.
12
Con questo spirito ironico ma consapevole, Sylvia conquista subito
l’interesse di Adrienne, la quale non era mai uscita dall’esagono, ma nutriva
una fascinazione per le lingue e gli autori stranieri. Grazie alla Beach la
Monnier conobbe gli scrittori e poeti anglo-americani, i quali non erano
ancora conosciuti in Francia, la stessa Beach lo riporta nelle sue memorie:
“She had not read the contemporary American Writers. They were not
Known at the time in France.”
12
Gli eroi e non di quella che sarà definita da Gertrude Stein la Lost
Generation arriveranno a Parigi allo scoccare degli anni Venti, quando
Sylvia e altre prima, come appunto la Stein, avevano già aperto la strada.
Parigi infatti era una meta ambita dalle varie figure intellettuali maschili e
femminili, la città venne definita con le parole di Gertrude Stein “ Paris was
where the Twentieth Century was.” Culla del modernismo e della letteratura
avanguardista la capitale francese era il centro di passagio e di scambio
internazionale più fertile in quegli anni, carrefour di teorie e idee nuove
grazie ad un passato storico e sociale che si differenziava dagli altri Stati,
soprattutto dall’America, come spiega lo storico Hobsbawm: “
Diversamente dagli Stati Uniti e dagli Stati latino americani, la Repubblica
francese si astenne dunque dal culto dei Padri fondatori…”
13
La Francia dunque, e soprattutto Parigi, era il luogo congeniale e adatto per
la nascita e la crescita di varie pratiche culturali della contro-cultura che
sbocciavano in quegli anni, Hobsbawm, riferendosi a questo processo nei
primi anni del Novecento, continua dicendo “ Ogni studio sulle invenzioni
culturali di questo periodo non può comunque mancare di rilevare lo
sviluppo di sottoculture e pratiche subalterne autoctone che non dovevano
nulla ai modelli offerti dalle classi sociali superiori- quasi certamente effetti
collaterali dell’urbanizzazione e dell’emigrazione di massa…”
14
Emigrazione che per i provenienti d’oltre oceano sarà più che fruttuosa.
12
SB Shakespeare p.42
13
“…preferiva simboli di carattere più generale, evitando persino di sfruttare sui francobolli postali I temi riferiti al
passato nazionale fino molto dopo il 1914. Quei simboli erano pochi: il tricolore, il monogramma (RF) e il motto
(libertà, eguaglianza, fraternità) della Repubblica, la Marsigliese, nonché il simbolo stesso della Repubblica e della
libertà. Possiamo inoltre notare che la Terza Repubblica manifestò scarso interesse ufficiale per le cerimonie
specificatamente inventate che tanto avevano caratterizzato la Prima: gli alberi della libertà, le dee della Ragione e le
relative festività.” Eric Hobsbawm, Tradizioni e genesi dell’identità di massa in Europa, in L’invenzione della
Tradizione, Einaudi, Torino, 1994, p.262.
14
Id.p.295.
13
Shakespeare and Company, che aprirà il 19 novembre 1919 in un primo
momento in rue Dupuytren, oltre che pratica culturale della contro cultura,
aveva un sapore e uno stile tutto particolare chiamato Sylvia Beach, e
definito da Adrienne “le plan américain”.
15
Era arrivata quasi per caso ed
era un po’ come un gioco tutto ciò per la Beach, la quale sembrava nata
apposta per svolgere l’agente di legami internazionale. Il suo foyer sarebbe
stato importante per moltissimi scrittori modernisti dell’epoca, e avrebbe
impersonificato la Itaca tanto cercata da James Joyce, che dopo aver
transitato in vari porti, arrivando a Parigi e in Rue de l’Odéon decise di
gettare l’ancora e fermarsi quasi fino alla fine della sua vita.
Le librerie rispettive della Beach e della Monnier, una di fronte all’altra, a
metà della sopracitata strada, avrebbero dato vita, nel particolare periodo tra
le due guerre, ad un importante e fondamentale incontro e scambio di
letteratura avanguardista anglo-americana e francese, costruendo un “ponte
immaginario” tra due mondi divisi nella realtà da un oceano. Connubio
alquanto originale e perfettamente riuscito, poiché guidato spiritualmente e
materialmente da due madrine d’eccezione, le quali riuscirono ad anticipare,
in un certo senso, la torre di babele, a costituire cioè un posto immaginario
dove tutti parlavano la stessa lingua, un luogo che sarebbe rimasto nella
memoria della posteriorità, l’Odeonia. Uno spazio mitico destinato ai libri e
alla letteratura, che aveva una sua identità, ed anche una sorta di scène per
una costruzione di un’identità.
In questo Mademoiselle Monnier e Miss Beach inventarono una formula
veramente originale nella storia delle librerie, dell’editoria e delle pratiche
culturali europee, e forse mondiali. Libraie, editrici e traduttrici,
intermediarie al servizio della letteratura, e dei grandi uomini letterati in
cerca di gloria, gestirono al meglio la sfida di esercitare lo stesso mestiere
nello stesso luogo, divise soltanto da un po’ d’asfalto, riuscendo
perfettamente ad unire le loro energie.
15
“ My lending library was run of what Adrienne called, though I never Knew why, “le plan américain”. It would have
horrified an American librarian, with her catalogues and card indexes and mechanical appliances. It was quite suitable
for a Library such as mine. There was no catalogue- I prefer to let people find out for themselves how much was
lacking; no card index- so unless you could remember, as Adrienne, with her wonderful memory, was able to do, to
whom all your books were lent, you had to look through all the members’ cards and find out what have become of a
volume.” Id, p.17.