4
L’analisi si estenderà allo sfruttamento indiscriminato delle acque,
alla sempre maggiore necessità di una tutela dallo spreco delle
risorse disponibili al fine di evitare fenomeni distruttivi irreversibili.
In merito il legislatore è intervenuto con diverse norme, e
particolare attenzione viene data alla legge Merli e alle sue
inadempienze fino ad arrivare al “nuovo testo unico sulle acque”,
vale a dire il decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, in
attuazione delle direttive comunitarie 91/271/CEE e 91/676/CEE.
Il nuovo decreto legislativo, incardina un sistema normativo
totalmente rinnovato, e si propone per definire la disciplina generale
per la tutela delle acque, perseguendo l’obiettivo di prevenire e
ridurre l’inquinamento, conseguire il miglioramento dello stato
delle acque sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo.
Uno studio approfondito è stato fatto in merito alla prima riforma
della politica delle acque, vale a dire la legge n. 183/1989
“Disposizioni in materia di difesa del suolo”, che si pone come
obiettivi il risanamento delle acque, la fruizione del patrimonio
idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale e la
tutela degli aspetti ambientali ad essi connessi. Ai fini applicativi
viene introdotta la nozione di bacino idrografico quale ambito
territoriale di riferimento, e i piani di bacino che costituiscono la
base per tutta l’articolazione territoriale, nonché l’istituzione
5
dell’Autorità di bacino al fine di poter raggiungere gli obiettivi
indicati dalla legge.
Una seconda riforma della politica delle acque è intervenuta con la
legge n. 36/94, la quale ha individuato nuovi organismi pubblici
operanti nel settore, coprendo la lagune dei servizi idrici.
Lo studio si è soffermato soprattutto sull’organizzazione territoriale
ai sensi della legge Galli, nonché sulle forme di cooperazione tra gli
Enti Locali e le forme di gestione dei servizi idrici.
La novità rivoluzionarie introdotta dalla legge n. 36/94 consiste
nell’attribuzione del servizio idrico ed un nuovo soggetto in grado
di provvedere a tutte le fasi componenti il ciclo dell’acqua, vale a
dire l’Autorità d’ambito, stabilendo altresì una netta distinzione tra
il soggetto che governa il servizio e il gestore.
Infine è stato dedicato un intero capitolo al sistema idrico Pugliese e
alle varie legislazioni che sono intervenute in merito fino ad
arrivare all’emanazione della legge n. 28 del settembre 1999
attraverso la quale la Regione Puglia recepisce la legge Galli, e
infine si è fatta un’analisi sintetica del più grande gestore dei servizi
idrici esistente in Italia: l’Acquedotto Pugliese S.p.a.
6
CAPITOLO I – DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE DEL
CONCETTO DI ACQUA
1.1 Il processo di definizione delle acque pubbliche
La determinazione del concetto giuridico di acqua pubblica o
demaniale ha dato luogo, nel periodo che va dai primordi della
unificazione legislativa, con la l. 20 marzo 1865 n. 2248, allegato F,
alla pubblicazione del testo unico delle leggi sulle acque e sugli
impianti elettrici, approvato con regio decreto dell’11 dicembre
1933 n. 1775, sino alla legge 05 gennaio 1994 n. 36, a non pochi
contrasti ed incertezze.
La legge n. 2248/1865 contiene le prime disposizioni in materia di
acque pubbliche con lo scopo di perseguire il buon regime delle
acque al fine di tutelare la sicurezza della popolazione e soddisfare i
pubblici interessi in genere; tale scopo, fu raggiunto grazie
all’affidamento al Governo della suprema tutela delle acque
pubbliche e l’ispezione dei relativi lavori, infatti, le acque pubbliche
sono inscritte dal Ministero dei lavori pubblici negli appositi
7
elenchi
1
da approvarsi con regio decreto sentito il Consiglio
superiore dei lavori pubblici. Quindi si accentra il potere della
pubblica amministrazione, il quale ha il compito di regolare caso
per caso gli utilizzi delle acque.
La legge in esame non dava però alcuna nozione precisa di acque
pubbliche, a parte l’art. 102 che estendeva il carattere pubblico ai
“minori corsi naturali” distinguendoli dai fiumi e torrenti.
Le leggi che si sono susseguite successivamente alla l. n.
2248/1865, non hanno dato alcun chiarimento per quanto riguarda il
concetto giuridico delle acque pubbliche, è però solo col
regolamento 24 gennaio 1917 n. 85, che vengono per la prima volta,
dettati criteri di massima per distinguere le acque pubbliche dalle
private. Appare così , per la prima volta, quale criterio descrittivo
della pubblicità delle acque, quello dell’attitudine dell’acqua ad
essere utilizzata o comunque destinata ad usi di “pubblico generale
interesse”. Tutta la materia viene riassunta ed ampliata nel t.u. delle
1
L’art. 1 r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, dispone che le acque pubbliche sono iscritte in
elenchi, compilati a cura dell’Amministrazione dei lavori pubblici. La decisione sulla
inclusione delle acque negli elenchi è adottata dal Ministro dei Lavori pubblici, sul presupposto
del parere del Consiglio Superiore dei lavori pubblici, che d’altra parte è privo di valore
vincolante. La decisione del Ministro è espressa mediante decreto del Presidente della
Repubblica. Gli elenchi (principali) possono essere modificati o integrati da elenchi successivi
(elenchi suppletivi). Gli elenchi sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale. L’inclusione
nell’elenco non importa l’impossibilità di ammettere la pubblicità di acque diverse da quelle
già comprese nell’elenco. Invero la pubblicità discende dalla idoneità dell’acqua a soddisfare
un bisogno collettivo di rilevanza pubblica; dunque la pubblicità deriva da tale idoneità e non
tanto dalla iscrizione negli elenchi, che pertanto sono privi di efficacia preclusiva circa gli
ulteriori apprezzamenti sulla pubblicità dell’acqua. E’ solo con l’iscrizione in elenco che la
disciplina relativa alle acque pubbliche, in tutti i suoi aspetti, e quelli relativi alle utilizzazioni,
e quelli relativi alla cosiddetta polizia, e quelli relativi alle opere pubbliche aventi ad oggetto le
acque, può essere applicata ai singoli beni idrici.
8
leggi sulle acque e sugli impianti elettrici approvato con r.d. 11
dicembre 1933, n. 1775, il quale risulta essere il primo testo
normativo capace di fornire una definizione completa di acque
pubbliche, destinata a durare per sessanta anni, fino alla
emanazione della cosiddetta legge “Galli”, datata 5 gennaio 1994,
la numero 36. Il Testo Unico in questione individuava il concetto
giuridico di acqua pubblica, enunciandolo al primo comma
dell’articolo 1: “Sono pubbliche tutte le acque sorgenti, fluenti e
lacuali, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo, sistemate o
incrementate, le quali, considerate sia isolatamente che per la loro
portata o per l’ampiezza del rispettivo bacino imbrifero, sia in
relazione al sistema idrografico al quale appartengono, abbiamo
acquisito, od acquistino, attitudine ad usi di pubblico generale
interesse”. Questa definizione viene recepita pienamente dal codice
civile del 1942 che, nell’articolo 822, comprende, nella categoria
del demanio idrico, i fiumi, i torrenti, i laghi e, genericamente, le
“altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia”, proprio
quelle individuate dalla norma contenuta nel Testo Unico del 1933.
Il testo unico del 1933 riassunse le ideologie di un processo
evolutivo complesso, tant’è che è servito come modello ad altri
paesi, in quanto fosse il migliore che si conosca. Prova ne è il fatto
che nell’arco di circa sessant’anni ha subito pochissime modifiche.
9
Esso contiene al titolo I le norme sulla derivazione e sulle
utilizzazioni delle acque pubbliche, e più precisamente il capo I
(artt. 1-57) riguarda le concessioni, i riconoscimenti e il catasto
delle utenze; il capo II (artt. 58-72) i consorzi per l’utilizzazione
delle acque; il capo III (artt. 73-91) la costruzione di serbatoi e laghi
artificiali.
Il titolo II riguarda le acque sotterranee. Il titolo III concerne la
trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica.
Il titolo IV concerne il contenzioso ed infine il titolo V contiene
disposizioni finali e transitorie.
Nella materia di cui si tratta è fondamentale l’art. 1,in cui vengono
dettagliatamente descritti i requisiti necessari affinché si possa
parlare di acque pubbliche e si fa riferimento all’uso di pubblico
generale interesse, ma non si dice quali siano gli usi di pubblico
generale interesse e ne si fornisce al riguardo alcun criterio.
Affinché l’interesse possa dirsi pubblico deve attenere non ad una
pluralità di soggetti determinati, ma ad una categoria indefinita,
specialmente nel tempo
2
. In conseguenza le acque solo quando
soddisfano questi interessi dovrebbero ritenersi pubbliche. Ma in
realtà questa tesi fu rigettata dalla dottrina affermando che anche gli
interessi di una collettività minore sono rilevanti ai fini di
2
E. Miccoli “Le acque pubbliche” Torino 1958 pag. 23.
10
imprimere la pubblicità alle acque. Inoltre l’attitudine ad uso di
pubblico generale interesse la si può considerare in relazione
all’ambiente circostante; e così può possedere attitudine ad usi di
pubblico generale interesse un corso d’acqua o una sorgente
naturale che è parte di un fondo o che lo attraversa naturalmente
senza che i soggetti che hanno diritti sul fondo abbiano svolto opera
alcuna.
Queste sono le teorie avanzate dalla dottrina, ma il legislatore non si
è pronunciato su quali siano gli interessi pubblici giuridicamente
rilevanti che l’acqua demaniale deve soddisfare, e in tale silenzio
sta il pregio della legge. Deve essere il giudice, di fronte ad un caso
concreto, a dichiarare pubblica l’acqua: una sorta di giudice
amministratore, che non si limita all’applicazione della norma, ma
pondera interessi pubblici. Infine spetta al giudice l’individuazione
effettiva degli usi di pubblico generale interesse in relazione
all’individuazione di una determinata acqua pubblica. Possiamo
dunque affermare che la nozione di acqua pubblica è una nozione
aperta, la quale consente di immettere nella categoria di fattispecie
tutte le acque, purché risultino di pubblico interesse. Ma non tutte le
acque sono pubbliche, ma solo quelle dotate della menzionata
attitudine, le altre non individuate come tali possono essere
11
utilizzate liberamente nelle forme e secondo la disciplina del diritto
comune (artt. 909 e ss. c.c.) e lasciate ai privati.
Quindi il concetto di uso di pubblico generale interesse è un
concetto in via di espansione e lo si applica qualora sopraggiunga
un fatto che determini la soddisfazione della collettività
3
.
L’art. 1 ha inoltre aggiunto un inciso di notevole importanza, ove
dichiara pubbliche le acque sorgenti, fluenti e lacuali, anche se
artificialmente estratte dal sottosuolo, sistemate o incrementate.
Con tale aggiunta si sono individuate le acque da dichiarare
pubbliche.
E’ con il testo unico che è stato previsto per la prima volta di
comprendere tra le acque pubbliche anche le acque sotterranee al
fine di soddisfare un uso di pubblico generale interesse, la quale
pubblicità veniva affidata al Ministro dei lavori pubblici. Dunque il
T.U. si proponeva di essere una sorta di statuto per la gestione delle
acque, il testo fondamentale del diritto idraulico
4
.
3
Jannotta Raffaele, “Acque pubbliche”, Il digesto, 1987.
4
Nicola Greco, “Le acque”, Il Mulino, 1983.
12
1.2 L’attuale disciplina delle acque pubbliche
Il processo di qualificazione delle acque pubbliche, possiamo dire
che si conclude con la legge 5 gennaio 1994 n. 36, recante
“Disposizioni in materia di risorse idriche”.
All’art. 1 essa dispone: “Tutte le acque superficiali sotterranee,
ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono
una risorsa che è salvaguardata e utilizzata secondo criteri di
solidarietà”. Questo provvedimento, nell’ottica del perseguimento
di finalità di carattere prettamente ambientale
5
, non rappresenta che
il punto di arrivo di un processo che ha trovato il proprio
svolgimento in un lunghissimo arco di anni. Si intende qui parlare
della tendenza, negli ultimi decenni invero sempre più evidente, a
pervenire ad una maggiore riduzione dell’ambito entro il quale i
privati possano esercitare diritti di appropriazione o comunque di
utilizzazione delle acque, senza per questo dover necessariamente
avere come intermediaria la p.a. in funzione di responsabile della
tutela delle risorse idriche.
Tale evoluzione, che ha avuto un suo preciso riscontro sul piano
normativo, ha portato dapprima ad un allargamento della categoria
5
A. Postiglione, “Tutela delle acque: il quadro giurisprudenziale, in Dir. e giur. Agraria”,
1995, pag. 133 ss.
13
delle acque appartenenti al pubblico demanio
6
, in seguito ha posto
limiti sempre più estesi alla normale disponibilità e conservazione
dei beni in oggetto. Ciò per motivi essenzialmente di controllo e di
tutela degli interessi pubblici, ricollegati ad un bene che viene
considerato prioritario per il soddisfacimento dei bisogni elementari
e comunque ineludibili dell’uomo e del contesto sociale nel quale
egli si trovi ad agire.
Questa connotazione, come si è accennato, è stato il frutto del
mutamento di prospettiva del legislatore negli ultimi decenni;
cambiamento che si è sempre accompagnato al differente risalto
dato alle singole configurazioni con le quali veniva identificato
l’interesse pubblico. La realizzazione di quest’ultimo viene pertanto
ad un certo momento inscindibilmente correlata alla sottrazione ai
privati della totale disposizione del demanio idrico, affinché di esso
venisse svolto un utilizzo più conforme a fini di utilità sociale;
obiettivo primario dell’ordinamento in materia era quello del
maggiore e più completo sfruttamento del patrimonio nazionale
delle acque nel perseguimento degli interessi economici e
produttivi. In tale contesto veniva ad assumere un posto di rilievo la
concessione di derivazione di acque pubbliche, in quanto costituiva
lo strumento principale attraverso il quale realizzare gli obiettivi,
6
N. Lugaresi, “Le acque pubbliche, profili dominicali di tutela e di gestione”, Milano, 1995,
pag. 22.
14
legati alla produzione agricola ed industriale, del resto anche
oggigiorno essa rimane “la forma giuridica principale per
l’utilizzazione delle acque pubbliche”
7
.
Il modello di amministrazione come delineato da tali
provvedimenti, improntato sulla valutazione comparativa delle
possibili utilizzazioni da parte degli uffici competenti, si rivela
però, a lungo andare, insufficiente, oltre che inidoneo, a gestire un
settore così ampio, e comunque necessitante di uno sfruttamento
razionale, pianificato nell’ambito di un progetto di gestione globale,
e non puntuale, particolare. A ciò si aggiungono le istanze sempre
più pressanti volte a garantire una tutela del bene acqua non solo dal
punto di vista della quantità, ma anche della qualità.
Per cui, nel quadro di un nuovo mutamento di prospettiva da parte
del legislatore, ritroviamo, oltre a tentativi di sistemazione unitaria
e di razionalizzazione dell’intera materia, anche numerosi
provvedimenti legislativi recanti norme di tutela e salvaguardia
delle risorse idriche, in quanto bene ambientale suscettibile, per il
suo valore, di ottenere la più intensa protezione da parte della
pubblica autorità.
La l. 5 gennaio 1994, n. 36 si pone quindi nel solco di un’attività
normativa volta a pianificare e, pertanto, a gestire nella maniera più
7
V. Cerulli Irelli, “Acque pubbliche”, Roma, 1988, pag. 10 ss.
15
ottimale le risorse idriche nazionali, intraprendendo in tal modo un
“tentativo di riorganizzazione unitaria dei servizi idrici”, che non si
esaurisce solo nel territorio nazionale, ma che si coordina con altre
iniziative del medesimo tenore, sorte e svolgentesi in ambito
comunitario ed internazionale.
Sotto il profilo del suo recepimento, va detto che questo
provvedimento, dopo le iniziali lungaggini, sta trovando una sua
concreta attuazione: soprattutto da parte delle regioni che, dopo un
periodo di quasi totale indifferenza, hanno iniziato ad emanare le
normative di accoglimento
8
. Ciò al fine di attuare quel sistema di
gestione integrata delle acque alla cui realizzazione sono mirate le
disposizioni della legge Galli; da un punto di vista pratico ed
operativo da tale situazione discendono conseguenze sistematiche
ed economiche di enorme importanza, in quanto la legge comporta,
nelle intenzioni del legislatore, la costruzione di un sistema di
gestione basato sulla corretta concorrenza dei diversi enti, pubblici
e privati, in tale ambito.
La legge 36 del 1994 prevede infatti - oltre alle norme di maggior
rilevanza privatistica, che si sono già parzialmente esaminate, e che
verranno approfondite ulteriormente nel proseguo del discorso - al
8
Ciò per quanto concerne, ovviamente, la realizzazione del mercato idrico integrato, in quanto
le disposizioni di principio contenute nella legge 36/94 hanno indubbia applicabilità dal
momento della sua entrata in vigore. B. L. Mazzei, “E la Galli non libera l’acqua”, in Sole 24
ore, del 20 giugno 1997.