5
Ora che il processo di unificazione europea è in fase di compimento, la
preservazione della molteplicità di presenze culturali, linguistiche, etniche e
regionali è messa a dura prova.
Credo che sviluppare forme di politica e di vita sociale plurietniche e
pluriculturali non sia una scelta facile e scontata, ma credo altresì (e ne sono
profondamente convinto) che sia la risposta più civile e più umanamente
valorizzante fra quelle che oggi si possono dare come possibile soluzione a queste
problematiche. Il caso dell’Alto Adige mi pare essere un esempio di come sia
possibile, nonostante le effettive difficoltà e fatiche, giungere alla soluzione di
contrasti reali in modo tutto sommato pacifico e ad una convivenza che però
potrebbe evolversi ancora più in positivo.
Ciò che nella mia ottica sarebbe auspicabile è che il concetto di “convivenza
interetnica” non venisse assimilato al concetto di “tolleranza interetnica”
implicando il termine “tolleranza” la superiorità di un gruppo nei confronti di un
altro. Tollerare significa, infatti, accettare la diversità “sopportandola” più che
“parificandola” a se stessi e alla propria visione del mondo in un’ottica di
arricchimento interculturale.
Questo lavoro è diviso in due parti da tre capitoli ciascuna.
La prima parte può definirsi propedeutica alla seconda in quanto offre gli
strumenti e le parole-chiave per capirla facilmente ed interpretarla al meglio.
Non a caso il primo capitolo, di stampo sociologico e politologico, enuclea i
concetti fondamentali di identità, etnia ed etnonazionalismo, concetti che saranno
ripetuti ed analizzati in tutto il testo.
Il secondo capitolo è una cronistoria critica della terra sudtirolese dalla fine della
Prima Guerra Mondiale ai giorni nostri, che serve al lettore per aver chiaro, a
6
grandi linee, il percorso politico che questa terra di confine ha svolto negli ultimi
decenni.
Con il terzo capitolo si comincia ad analizzare l’Alto Adige in un contesto
europeo, trattando però tale tema in maniera generale.
La seconda parte comporta per il lettore maggiori difficoltà per la comprensione
degli argomenti trattati in quanto, non solo si presuppongono come già note le
tematiche affrontate nella prima, ma si richiede una particolare volontà di
approfondimento e analisi delle stesse.
Nel quarto capitolo si illustra la nascita delle euroregioni e della cooperazione
transfrontaliera.
Il quinto capitolo tratta proprio dell’Euroregione trentino-tirolese, cercando di
evidenziare tutti gli aspetti e fornendo le attuali prospettive.
Il sesto capitolo si tratta di una sorta di indagine socio-politica sotto forma di
intervista a nove politici e studiosi locali, dove si tracceranno otto punti
fondamentali che saranno le linee guida di questo ultimo capitolo.
A conclusione di questi sei capitoli troverete delle personali impressioni
sull’attuale scenario altoatesino in prospettiva europea, ma soprattutto capirete se
può considerarsi efficiente una Regione Europea del Tirolo oppure se c’è bisogno
di allargare tale concetto verso una realtà ancora più ampia.
7
PARTE PRIMA
8
CAPITOLO PRIMO
CONCETTI INTRODUTTIVI
1.1 LA LOGICA DELL’IDENTITA’
Il termine identità si trova al punto di intersezione di quasi tutte le scienze umane
e sociali (tra cui la scienza della politica). Gli psicologi sociali preferiscono
chiamarla “identità sociale” intendendo quegli aspetti dell’identità di un individuo
che lo rendono simile agli altri. Tuttavia l’identità di un individuo non si riduce a
questi aspetti. E’ proprio la dialettica fra ciò che è unico e individuale (e quindi
non riducibile ai condizionamenti dell’ambiente sociale e alle aspettative altrui), e
ciò che è sociale (e quindi non riducibile all’estrinsecazione di un perfetto libero
arbitrio) che costituisce da un lato il problema di fondo che il concetto di identità
pone, la “sfida” per così dire che esso lancia sia alle interpretazioni strettamente
deterministiche del comportamento umano sia a quelle idealistiche, e dall’altro la
sua ambiguità e ambivalenza.
I filoni sociologici più importanti a cui si deve l’elaborazione del concetto di
identità sono essenzialmente il funzionalismo, l’interazionismo simbolico e la
fenomenologia sociale.
L’analisi dell’identità viene intesa come predicato di gruppi di individui, e non di
un unico soggetto. Questa analisi è eterogenea in quanto il concetto di identità
viene applicato indifferentemente a gruppi ristretti e omogenei di individui, in
genere minoranze (etniche, razziali, religiose) – ed è questo il caso specifico che
tratteremo – a gruppi più ampi e instabili (movimenti politici e sociali) fino a
9
gruppi organizzati e istituzionali (Stato).
Tale analisi si può anche definire problematica perché il termine identità non ha
una sua autonomia e specificità teorica e viene usato come sinonimo di altre
categorie, come quelle di gruppo, movimento e/o attore sociale.
Alcuni aspetti dell’identità sono attribuibili esclusivamente al soggetto-persona,
mentre altri aspetti come la capacità di stabilire una differenza rispetto agli altri,
di definire i propri confini, di collocarsi all’interno di un campo e di mantenere
nel tempo il senso di tale differenza e delimitazione, possono benissimo applicarsi
al soggetto-gruppo o per meglio dire al soggetto-attore collettivo. Come ha
osservato Melucci: “La riflessione contemporanea sull’identità ci spinge dunque
sempre più a considerarla non già come una “cosa”, come l’unità monolitica di un
soggetto, ma come un sistema di relazioni e di rappresentazioni”
1
.
George Herbert Mead riprendendo un pensiero di Hofstadter (“l’identità
presuppone la capacità dell’individuo umano di divenire oggetto a se stesso,
presuppone cioè un qualche grado di riflessività”) parla dell’esistenza di un Sé
(Self) in quanto distinto dall’organismo biologico, e non di identità. Il Sé si
caratterizza con l’essere oggetto a se stesso, e questa caratterizzazione lo
distingue dagli altri oggetti e dall’organismo fisico
2
.
Potremmo riassumere le linee essenziali del discorso di Mead in tre proposizioni:
a) La capacità di essere oggetto a se stessi non sorge in maniera immediata e
diretta, ma anzi implica una sorta di distacco dall’immediatezza dell’esperienza in
atto;
b) Tale capacità sorge in modo indiretto partecipando alle esperienze di un
proprio simile “assumendo gli atteggiamenti che nei suoi confronti tengono gli
1
Melucci A., Memoria, solidarietà, identità, in “Identità e politica”, Laterza, Bari, 1996.
2
Mead G.H., Mente, sé e società, Giunti e Barbera, Firenze, 1966. p. 154.
10
altri individui che con lui convivono all’interno di uno stesso ambiente sociale, o
nell’ambito di uno stesso contesto di esperienza e comportamento”
3
.
c) L’individuo assume il ruolo degli altri, e diventa quindi capace di essere
oggetto a se stesso, attraverso l’uso del linguaggio, mediante “simboli
significativi”.
L’individuo quindi interagisce con gli altri attraverso la comunicazione di simboli
significativi che implicano un elemento interpretativo: l’individuo deve essere in
grado di interpretare il significato del proprio gesto e deve essere capace di
immedesimarsi nell’altro e di guardare a se stesso da quel punto di vista.
Questa impossibilità di concepire il Sé dell’individuo senza collegarlo
all’esistenza di un “Alter” con cui interagisce e comunica, è un punto centrale
dell'analisi di un alto autore, Alfred Schutz.
Schutz opera una distinzione tra il modo in cui l’individuo fa esperienza e
conosce il proprio Sé e il modo in cui l’individuo fa esperienze e conosce l’Alter .
L’esperienza del Sé è data solo nel tempo passato, in quanto “non possiamo
avvicinarci alla sfera del nostro Sé senza un atto di ritorno riflessivo. L’Alter,
invece, è simultaneo al nostro corso di coscienza, con esso condividiamo lo stesso
vivido presente: in una parola cresciamo insieme. L’alter ego, dunque, è quel
corso di coscienza della cui attività io posso impossessarmi nel loro presente
attraverso le mie stesse attività simultanee”
4
.
La tesi generale dell’alter ego costituisce la base di fondazione delle scienze
sociali. Secondo Schutz: “Ogni nostra conoscenza del mondo sociale, anche nei
suoi fenomeni più anonimi e remoti […] è infatti basata sulla possibilità di fare
3
Mead G.H., op.cit., p. 156
4
Schutz A., Saggi sociologici, UTET, Torino, 1962, p. 173
11
esperienza dell’alter ego nel vivido presente”
5
.
L’identità non è una proprietà intrinseca al soggetto, ma ha un carattere
intersoggettivo e relazionale: ciò significa che l’identità è il risultato di un
processo sociale nel senso che sorge e si sviluppa nell’interazione quotidiana con
gli altri.
Mead introduce un terzo elemento che si frappone tra Se e Alter: l’Altro
generalizzato. Con questo termine lo studioso aveva messo in luce il processo
attraverso cui l’individuo, fin dalla prima infanzia, diventa capace di una graduale
astrazione dai ruoli e dagli atteggiamenti degli altri in particolare ai ruoli e agli
atteggiamenti in generale. L’Altro generalizzato rappresenta cioè le percezioni
sociali più complessive dell’individuo (ossia gli atteggiamenti, le norme di
condotta dell’intera comunità che l’individuo assume come propri, che
contribuiscono alla formazione della sua personalità, del suo Sé e che esercitano
un forte controllo sociale).
Inoltre Mead distingue due comportamenti del Self: l’”Io” e il “Me”, dalla cui
dialettica emerge la personalità dell’individuo. Poiché i ruoli che l’individuo
interpreta e i gruppi a cui l’individuo appartiene sono molti, l’individuo avrà
molti “Me”. E’ il “Me”, dunque, che rappresenta l’aspetto socializzato della
personalità individuale, quella sottoposta al controllo dell’Altro generalizzato.
Ma l’individuo è cosciente dei diversi “Me”, può percepirli nella loro totalità,
ordinarli in una gerarchia di importanza, rispondere alle aspettative e alle richieste
degli altri in modo imprevisto. Questa componente creativa e innovativa è quella
che Mead chiama l’”Io”
6
.
5
Schutz A., op. cit., p. 174
6
Mead G.H., op. cit.
12
Talcott Parsons definisce l’identità in termini della funzione specifica che essa
evolve all’interno della personalità, considerata come un sistema, e in rapporto
agli altri tre sistemi generali: il sistema economico, il sistema sociale e il sistema
culturale. Questa funzione è la “pattern-maintenance” (mantenimento del
modello), o latenza, attraverso la quale la personalità è messa in rapporto con
l’universo culturale dei valori, delle ideologie e dei simboli (Modello AGIL).
In definitiva il sistema della personalità risulta composto da quatto sottoinsiemi,
individuati attraverso le loro specifiche funzioni e che si differenziano
progressivamente nel corso delle varie fasi della socializzazione. Essa è il
sottoinsieme più stabile, occupa il gradino più alto e sovrintende e controlla le
altre parti; l’identità come tale non agisce, ma è il terreno di riferimento per
l’interpretazione del significato delle azioni sia da parte degli altri che dello
stesso soggetto agente. L’identità, dunque, per Parsons è fondamentalmente
“senso”, che discende dal sistema culturale; quindi il suo carattere di fondo è
quello di consentire all’individuo di “collocarsi” nel sistema, essa diventa una
funzione di orientamento soggettivo, un principio regolativo dell’azione che,
guidando l’individuo nella scelta tra alternative di comportamento, preserva la
coerenza interna del sistema psichico attraverso la sua congruenza con il sistema
dei valori. Rifacendosi all’analisi di Mead, Parsons arriva a sostenere che
l’identità rappresenta il punto in cui l’”Io” e il “Me” coincidono.
Rispetto all’analisi di Mead e alle successive formulazioni dell’interazionismo
simbolico, il modello della socializzazione elaborato da Parsons si differenzia per
la priorità e la cogenza attribuite alla struttura sociale rispetto all’insieme delle
relazioni intersoggettive dei rapporti quotidiani. L’Altro generalizzato di Mead
diventa in Parsons sinonimo di Altro organizzato. L’attore sociale si muove
all’interno di un campo di possibilità che non è arbitrario o casuale, ma definito
13
culturalmente e, quindi egli è in grado di ordinare le proprie preferenze
individuali e di scegliere in modo razionale tra diverse alternative di azione in
quanto ha interiorizzato i codici culturali che definiscono la situazione e la
ordinano in una gerarchia di fini sociali condivisa dalla collettività.
Per gli esponenti dell’interazionismo simbolico, a differenza di Parsons, i codici e
i valori condivisi rappresentano la “cornice entro cui ha luogo l’azione sociale e
non la determinante di quell’azione”
7
.
Ma vi è una differenza ancora più forte rispetto al modello parsoniano: i valori
comuni non sono tanto dei modelli di orientamento che prescrivono quale debba
essere la condotta individuale, ma piuttosto delle regole convenzionali che
stabiliscono la soglia minima del processo interattivo, al di là della quale non c’è
comunicazione, ma conflitto aperto.
Nella prospettiva interazionista, l’identità è soprattutto la definizione che
l’individuo dà di sé e in base alla quale agisce, ma che viene verificata,
consolidata o modificata nel corso del processo di interazione sociale, non
struttura stabile della personalità. Mentre per Parsons l’identità ha un carattere
strutturale, per gli interazionisti essa ha un carattere processuale; mentre il primo
ne sottolinea gli aspetti inconsci, i secondi ne mettono in luce gli aspetti consci.
Turner tenta di fare chiarezza concettuale partendo dalla distinzione tra
“concezione di sé” o identità, e l’”immagine di sé”. Mentre la prima fa
riferimento ad un insieme di valori ed aspirazioni dell’individuo, a ciò che egli
percepisce come il suo “io reale”, la seconda rappresenta “la fotografia che
registra la sua appartenza ad un dato istante”. L’identità si sviluppa proprio nel
processo di superamento dell’incongruenza che si verifica nell’interazione sociale
7
Blumer H., Society as Symbolic Interaction in “Human Behavior and Social Processes”,
Routledge & Kegan Paul, Londra,1962.
14
tra la concezione che l’individuo ha di sé e l’immagine di sé che gli altri gli
rimandano. Essa è dunque sia un fattore determinante sia un prodotto
dell’interazione sociale; è ad essa che, sia l’individuo sia gli altri attribuiscono
credito e responsabilità, ed è in base ad essa che si possono fare previsioni sul
comportamento futuro.
La scuola fenomenologica ha un approccio descrittivo piuttosto che analitico-
sistematico riguardo al rapporto tra identità individuale e norme e valori sociali.
Nella prospettiva fenomenologica l’identità è un concetto chiave per la
comprensione teoretica del modo in cui la “realtà oggettiva” diventa “realtà
soggettiva”, entra cioè a far parte della coscienza degli individui
8
.
Attraverso il processo di socializzazione queste “conoscenze oggettive” sono
progressivamente interiorizzate dall’individuo e diventano strutture della
coscienza individuale, diventando cioè elementi costitutivi della sua identità.
Niklas Luhmann sgancia l’identità dal soggetto dalla capacità della coscienza. Il
concetto di identità non è più definito attraverso quello di soggetto, ma piuttosto
attraverso quello di sistema. L’identità è ciò che orienta le selezioni di un sistema
e rende possibile la costituzione di una differenza tra sistema e ambiente.
Diversamente da Parsons questa funzione di orientamento (senso) non si basa su
un sistema di valori condiviso, ma è piuttosto “regolata” da quelli che Luhmann
definisce “mezzi di comunicazione generalizzati” (il potere, la verità, l’amore e il
denaro) che garantiscono la trasferibilità sociale delle prestazioni selettive.
L’identità dunque non si risolve interamente nel senso. Essa è pensata anche
come un meccanismo di stabilizzazione e di mantenimento del sistema.
Ritengo ora opportuno passare all’analisi del concetto di identità etnica.
8
Berger P., Luckmann T., La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna, 1966
15
L’identità etnica e l’etnicità, cioè il sentimento di appartenere ad un gruppo etnico
o etnia, sono definizioni del Sé e/o dell’Altro collettivi che hanno quasi sempre le
proprie radici in rapporti di forza tra gruppi coagulati attorno ad interessi
specifici.
Molte delle etnie e delle culture del passato sono scomparse, ma non perché lo
siano i discendenti di coloro che le rappresentavano, quanto piuttosto in ragione
del fatto che tali etnie e culture non fanno più parte della memoria di coloro che
sono in grado di costruirle e di tramandarle.
Possiamo dunque dire che l’immagine dell’umanità, come costituita da gruppi
con culture ben distinte tra loro, sia un effetto della dominazione dei centri sulle
periferie, delle culture scritte su quelle orali o della grande tradizione sulla
piccola tradizione.
Bisogna inoltre altresì affermare che l’identità etnica (come altre forme di
identità) non è pensabile se non in maniera contrastiva e contestuale. Ciò
significa che per poter pensare me stesso devo mettermi in opposizione a qualcun
altro. Lo stesso quando definisco gli “altri”. Per questo qualunque identità (in
questo caso l’identità etnica) colta in un dato momento è frutto di questa
interazione tra un “interno” ed un “esterno” e il prodotto di una serie di processi
complessi.
Potremmo dire, per concludere, che l’identità è una risorsa a cui ben difficilmente
è consentito rinunciare: è mezzo di cui i gruppi dispongono nella lotta per le
risorse, ma anche obiettivo che i gruppi perseguono costantemente. Bisogna
andare “oltre” l’identità e aprirsi all’alterità. “Tutte le culture, infatti, sono il
prodotto di interazioni, di scambi, di influssi provenienti da altrove […] le culture
non nascono “pure” “
9
.
9
Fabietti U., L’identità etnica. Storia e critica di un concetto equivoco, NIS, Roma, 1995
16
Identità e alterità sono fenomeni in “bilico”, fra i quali è difficile raggiungere un
punto di stabile equilibrio, perché continuamente sottoposti a trasmutazioni
repentine di valori, rovesciamento di situazioni nel loro contrario, ambivalenze,
ambiguità, tanto che ogni posizione assunta in quest’area così problematica, può
tradursi istantaneamente nella posizione opposta.
L’identità dunque è una costruzione “finta”, un’esigenza dell’uomo che dipende
da certe forme culturali. Gli altri, l’alterità, che la costruzione stessa dell’identità
produce, alimentano il dubbio circa l’arbitrarietà e l’inevitabilità di ciò che è
stato costruito e del modo in cui è stato costruito.
E’ essenziale che i principi e i modelli di identità prevedano una qualche forma di
dialogo, di comunicazione e di scambio con l’alterità, riconoscendone il ruolo
formativo e non semplicemente oppositivo.
La “maschera” dell’identità spesso aderisce intimamente e si fa fatica a
strapparla, proprio perché sotto non vi sono né un “Io”, né un “Noi” più autentici
e consistenti, questo è sicuramente riduttivo e mortificante rispetto al mutamento,
alle possibilità alternative e ad un vivere più libero, che è anche il con-vivere con
gli altri.
p.21.
17
1.2 ETNIA: RISORSA NELL’AGIRE POLITICO
La parola “etnia” è di origine greca (ethnos = popolo), è entrata nel lessico
politico solo all’inizio del Novecento e, solo dopo la seconda guerra mondiale,
nell’uso corrente. Per i greci ethnos corrispondeva ad una categoria politica
contrapposta a quella di polis. Polis aveva una connotazione individuante e
positiva; ethnos invece una connotazione fluida e in qualche modo peggiorativa.
Polis infatti connotava una comunità omogenea per leggi e costumi mentre
l’ethnos designava un popolo dalle istituzioni indistinte, cioè non dotato di
istituzioni capaci di integrarne la vita sociopolitica.
Nel senso stretto del termine, etnia può designare un gruppo di individui che
hanno in comune la stessa lingua madre, rappresenta allora l’equivalente di
gruppo linguistico o gruppo etno-linguistico.
In senso lato, l’etnia viene definita come un gruppo di individui legati da un
complesso di caratteri comuni – antropologici, linguistici, politico-storici, ecc. –
la cui associazione costituisce un sistema vero e proprio, una struttura di natura
essenzialmente culturale, una cultura
10
. L’etnia è allora la collettività, o meglio la
comunità, la cui coesione è garantita da una cultura particolare.
Gli studi sulle etnie e sull’etnicità sono stati, a partire dal secondo dopoguerra,
alquanto sporadici e scarsi , a causa del dominio del paradigma modernista,
improntato essenzialmente sul problema dell’integrazione.
Tutte le analisi sociologiche classiche, infatti, hanno considerato l’etnicità una
categoria residuale, destinata a scomparire con l’industrializzazione e la
costruzione degli stati nazione. A partire dagli anni ‘60-’70, però, il fenomeno
etnico è esploso sia in regioni ricche e industrializzate quali l’Europa, gli Stati
10
Breton R., Etnie. Paesaggio umano. Ulisse, Torino, 1988.
18
Uniti e il Canada, che in Paesi del Terzo Mondo in seguito al processo di
deconolizzazione. La questione è pertanto tornata all’ordine del giorno e ha
alimentato molteplici studi secondo diversi approcci. Ne è emersa una babele di
teorie e analisi contrapposte e antagoniste che, se confrontate, possono dare un
notevole contributo alla comprensione di un fenomeno tanto complesso quanto
sfaccettato e camaleontico come il nazionalismo etico.
Il concetto di etnicità può a tal proposito essere considerato un “costrutto
polemico”
11
in quanto il termine è stato, ed è tuttora un oggetto di molteplici
definizioni.
L’aggettivo etnico può assumere il significato di “diverso”, nel senso di non
appartenente alla comunità e quindi straniero; oppure può voler essere un
sostituto della parola “razziale” o assumere dei connotati di “nazione” o
addirittura avere una valenza simbolico-culturale. Quest’ultima accezione è
presente nella definizione di etnia adottata da Lucio Levi nel “Dizionario di
politica”: “L’etnia è un gruppo sociale, la cui identità è definita dalla comunanza
della lingua e della cultura, delle tradizioni e delle memorie storiche e del
territorio. […] Va osservato che non abbiamo impiegato la razza come criterio
in base al quale definire l’etnia. Il concetto di razza, come viene comunemente
usato, non ha fondamento scientifico
12
.
11
Rusconi G.E., Etnia, un costrutto polemico, in “Polis”, 1992.
12
Levi L., Etnia, in “Dizionario di politica”, UTET, Torino,1983: p.359.