II
Il capitolo I, dopo aver inizialmente dato un profilo dell’istituto
della categoria dei lavoratori sia dottrinale che giurisprudenziale,
ripercorre a grandi linee l'evoluzione del fenomeno sociale dei
quadri: è soprattutto dagli anni settanta che, in coincidenza con le
grandi trasformazioni indotte dalla rivoluzione tecnologica, è
esplosa la questione quadri la cui rilevanza è stata ben
simboleggiata dalla famosa "marcia dei quarantamila" della FIAT
nel 1980.
Sempre in questo capitolo viene illustrata la tipologia dei modelli di
organizzazione che i vari segmenti del movimento dei quadri si
sono dati per rafforzare le proprie rivendicazioni; viene inoltre
ripercorsa la storia di queste organizzazioni dalle origini ai giorni
nostri.
Il capitolo I prosegue ricordando l'evoluzione del dibattito in Italia
attraverso l’illustrazione delle posizioni assunte dai partiti politici
per mezzo delle loro proposte di legge; di alcune di queste viene
sinteticamente ricordato il contenuto per il periodo 1980-11965.
Viene inoltre ricordato il parere espresso dal CNEL e le reazioni
che ha suscitato in dottrina senza dimenticare le prese di posizione
di quegli importanti soggetti sociali rappresentati dai sindacati
confederali e dalle associazioni imprenditoriali.
III
Il capitolo II illustra la situazione del movimento dei quadri
all’estero, con particolare riferimento ai principali Paesi europei ed
approfondendo soprattutto il fenomeno quadri in Francia
considerato non solo nella sua attuale connotazione ma anche ri-
cordandone l’evoluzione storica: infatti il Paese d’Oltralpe ha visto
il sorgere di questo gruppo professionale sin dai lontani anni trenta.
Viene inoltre ricordata anche l’esperienza dei quadri in alcuni
importanti Paesi extraeuropei e si sottolinea come essi abbiano
trovato spazio anche in nazioni molto diverse dal nostro modello
occidentale di economia di mercato. Il capitolo III ha per oggetto
principalmente l’analisi fatta in dottrina sulla l. n.190/1985 che ha
offerto diversi spunti di riflessione sia dal punto di vista formale
che da quello sostanziale. In questo capitolo vengono
preliminarmente considerati anche altri aspetti che possono dare
un'idea del clima in cui si arrivò all’emanazione della disciplina per
questa categoria in cerca di riconoscimento giuridico ed in questo
senso viene ripercorsa la tormentata vicenda parlamentare del
disegno di legge. senza dimenticare la posizione che assunse il
Governo in questa situazione. Un altro aspetto che è stato
considerato nel capitolo consiste nell’atteggiamento di alcuni autori
prima del varo della legge: la maggior parte di essi palesò, in linea
di massima, una certa perplessità rispetto all’ipotesi dell’introdu-
IV
zione di una nuova categoria legale. Il capitolo IV, collegandosi a
quello precedente, ripercorre a grandi linee alcune situazioni che
hanno riguardato il movimento dei quadri all’incirca nell’ultimo
ventennio seguendo il doppio binario della contrattazione collettiva
prima e dopo l’approvazione della legge e quello della
giurisprudenza da cui traspare la difficoltà che le organizzazioni di
questi lavoratori hanno dovuto affrontare con alterne vicende.
1
CAPITOLO I
I QUADRI: FORMAZIONE ED EVOLUZIONE DI UN
“DIVERSO” SOGGETTO SOCIO-GIURIDICO
1.1 Una premessa: il concetto di categoria tra legge e
contrattazione collettiva
Nel diritto del lavoro il termina “categoria” indica una serie aperta
di soggetti, lavoratori ma anche datori di lavoro, i cui interessi sono
caratterizzati da un minimo comune denominatore, in dipendenza
od almeno in connessione con la collocazione di quei soggetti nel
mondo del lavoro inteso in senso lato; dal punto di vista del diritto
del lavoro le categorie possono essere considerate come campo di
applicazione di normative particolari che disciplinano posizioni
attive e passive delle singole persone che ad esse appartengono
oppure come aggregati sociali portatori di interessi
superindividuali: sotto il primo profilo si può far riferimento alla
materia previdenziale, del rapporto di lavoro, del mercato del
lavoro, perché in questi settori la disciplina è modellata a misura di
determinate categorie quindi il mercato del lavoro, per esempio,
distinguerà il collocamento di lavoratori agricoli da quello dei
lavoratori dello spettacolo. Sotto il secondo aspetto il riferimento va
2
alle leggi che chiamano soggetti appositamente designati dalle
organizzazioni rappresentative della categoria a partecipare
all’esercizio di pubbliche funzioni come nell’ipotesi della
partecipazione dei sindacati al CNEL, alle commissioni regionali
per l’impiego, etc.
1
.
Il riscontro fondamentale di diritto positivo al concetto di categoria,
è ravvisabile storicamente nel 1°comma dell’art. 2095 del codice
civile del 1942 che ha classificato i prestatori di lavoro subordinato
nelle categorie dei dirigenti (amministrativi e tecnici), degli
impiegati e degli operai: il legislatore ha così sancito una
distinzione già comunque presente nella legislazione speciale
anteriore alla codificazione e segnatamente nella legge sull’impiego
privato del 1919 consacrante la distinzione impiegati-operai
sostituita, con modifiche di non grande rilievo, dalla legge del
1924-26 (R.D.L. n.1825/1924 convertito nella L. n. 562/1926)
nonché nella legislazione sindacale del 1926
2
, sebbene il
1
F. Liso, La categoria, voce categorie e qualifiche del lavoratore in Enc. Giur.
Treccani Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1988, pag.1.
2
A. Garilli, Categorie dei lavoratori (in generale) in Digesto (discipline privatistiche)
sezione comm. Utet, Torino, 1988, pag.10.
L’A. ricorda citando la Relazione del Ministro guardasigilli al c.c. in G.U., 4 aprile
1942, n. 79 bis, come all’epoca della redazione del c.c. vi fosse la convinzione che le
distinzioni (dei lavoratori) erano necessarie “non solo perché si trattava di forme
fondamentali che con ogni verosimiglianza non potranno mai essere superate ma anche
e perché sulle dette distinzioni si basano varietà di trattamento e di criteri normativi,
continuamente ricorrenti nelle leggi speciali e nelle norme corporative”.
3
legislatore del c.c. (libro V) abbia voluto dare una nuova disciplina
unitaria del rapporto di lavoro nell’impresa
3
. Rispetto al testo
sindacale del 1926 è stato rilevato come questo contenesse il
duplice criterio di un’organizzazione separata sia per settori e
categorie merceologiche sia per categorie professionali e di una
corrispondente contrattazione collettiva con efficacia erga omnes ed
abbia avuto conseguenze importanti sul piano della disciplina
categoriale
4
.
Nel quadro dell’ideologia corporativa del periodo fascista si era
affermata una concezione ontologica delle categorie intese sia come
raggruppamento di qualifiche omogenee sia come classi o ceti
socio-professionali separati anche sul piano sindacale e della
contrattazione collettiva
5
.
Il secondo dopoguerra, con l’avvento del regime di libertà
sindacale, vide la dissoluzione del sistema previgente: inoltre la
E’ evidente, come sottolinea M.Sala Chiri, Le categorie dei lavoratori dalla
tripartizione tradizionale al riconoscimento legislativo dei quadri intermedi, Giuffrè,
Milano, 1986, pag.10, quanto la previsione nei successivi decenni sia stata smentita,
anche se non del tutto superata perché permane la distinzione sul piano sociale.
3
M. Sala Chiri, Op. Cit., pag. 7
4
In riferimento al testo sindacale del 1926 è ricordato da F. Carinci, L’evoluzione
storica in Quadd. Dir. Lav. Rel. Ind. Utet, Torino, 1987, pag. 14 come esso abbia
comportato “[…] un’insuperabile rigidità dell’articolazione per categorie professionali.
Articolazione […] arricchitasi con la scorporazione dei dirigenti e limitatamente ai
settori del credito e delle assicurazioni, dei funzionari dall’universo degli impiegati.”
5
L. Mengoni, La revisione della legislazione sul rapporto di lavoro in Riv. It. Dir.Lav.,
1985, I, pagg.418 e ss.
4
nuova situazione favorì l’evoluzione delle relazioni industriali ed in
questo senso si verificarono fenomeni quali l’erosione della
distinzione operai-impiegati, la frantumazione del tipo dirigente
alter-ego, lo sventagliamento delle qualifiche ad opera della
contrattazione collettiva che ridimensionano la portata della norma
(articolo 2095 c.c.) già sul finire degli anni ’50; a questi ricordati
vanno aggiunti altri eventi , perché la spinta egualitaria
dell’autunno caldo sul finire degli anni sessanta, 1969 in
particolare, va ad interessare prima l’aspetto contributivo ma arriva
a coinvolgere l’ambito normativo tramite l’inquadramento unico e
la successiva contrattazione collettiva nazionale ed aziendale
6
.
L’articolo 2095 c.c. sembrava quindi definitivamente superato dai
mutamenti del mercato del lavoro, dalle trasformazioni nei processi
produttivi e dall’evoluzione della contrattazione collettiva e si era
arrivati perfino alla proposta di abolire tramite la via legislativa la
distinzione fra le due categorie basilari, cioè impiegatizia ed
operaia, con conseguente abrogazione della legge sull’impiego
6
M.V. Ballestrero, Voce operaio, in Enc. Dir, XXX, Giuffrè, Milano, 1980, pag..250 e
ss.
Più in dettaglio l’A. lapidariamente afferma a pag. 252: “Muore così, seppellito dalla
legge e dai contratti, il contenuto precettivo dell’art. 2095 c.c.: quando anche il
deperimento della funzione delimitativa di questa norma sarà compiuto, si potrà dire che
[…] la parola “operaio” è priva di significato giuridico”.
5
privato
7
: la soluzione della delegificazione è stata giudicata la più
idonea a risolvere il problema delle nuove professionalità tramite la
rimessione alla contrattazione collettiva della determinazione dei
criteri di classificazione delle mansioni e dei relativi trattamenti
economico-normativi
8
: in questo quadro sorprende il fatto che,
nonostante questa tendenza che sembrava siglare il de profundis per
l’articolo 2095, la classificazione legale non solo sia stata
mantenuta ma sia stata addirittura arricchita con la legge n.190 del
1985 di una nuova figura, i C.C.D.D. “quadri intermedi”, nel
tentativo di dare una risposta sul piano normativo ai “differenziali
professionali” determinati dalle modifiche dell’organizzazione del
lavoro e dall’introduzione di nuove tecnologie
9
; una motivazione a
questa inversione di tendenza verificatasi sul piano legislativo è
individuabile sul piano politico-sociale nell’evento che ha originato
il processo che avrebbe portato al varo della legge appena ricordata
e cioè la “marcia dei quarantamila” del 1980 a Torino destinata ad
7
L. Mengoni, La cornice legale in L’inquadramento dei lavoratori, in Quadd. Dir. Lav.
Rell. Ind., 1987, pag. 49 e ss.
8
A. Garilli, Op. cit., pag. 41.
9
P. Tosi, Commentario alla legge n: 190 del 1985, in Nuove Leg.Civ. comm., n.1, 1986,
pag.79 e ss.
6
assurgere, a posteriori, a immagine emblematica di una svolta nel
sistema italiano di relazioni collettive
10
.
La “rigiuridificazione”
11
della classificazione ha riaperto un
dibattito che ormai sembrava superato nel momento in cui
autorevole dottrina aveva attribuito alla classificazione legale
natura definitoria e non prescrittiva dimostrando la neutralità di
essa nei confronti dell’autonomia contrattuale, libera questa di
determinare i sistemi ed i criteri d’inquadramento nonché la sua
estraneità all’individuazione dei soggetti sindacali rappresentativi
degli interessi dei lavoratori
12
.
10
F. Carinci, Op.cit., pag.13..: la legge anche se non ripercorre a ritroso la marcia del
diritto del lavoro tornando dal contratto (individuale e collettivo) allo status, “certo […]
va verso un accresciuto rilievo dello status”.
11
Termine usato da A. Garilli, Op.cit., pag.41.
12
G.F. Mancini, Le categorie dei prestatori di lavoro nell’ordinamento italiano, in
Riv.Trim.Dir. e Proc. Civ., 1966 pagg.893 e ss.
E’ stato comunque sottolineato da P. Ichino, Il lavoro subordinato definizione ed
inquadramento, Giuffrè, Milano, 1992, pag. 251-2 che gli intendimenti del legislatore i
quali emergono dai lavori preparatori della L. n. 190/1985, inducono ad escludere con
sicurezza che con tale legge si sia voluto rendere inderogabile la separazione tra operai
ed impiegati. L’A., avendo partecipato alla prima fase dell’iter parlamentare testimonia
che la riproposizione della distinzione tra operai ed impiegati in tutti i progetti di legge
dei partiti della maggioranza ( e poi confermata nella legge approvata nel 1985che ha
modificato l’art. 2095 c.c. 1° comma) dipese solo dall’inesistenza nella lingua italiana di
un termine che comprendesse entrambe le figure tradizionali: l’espressione “lavoratori
comuni” successivament. pag. 285 era stata scartata perché si era ravvisata in essa una
sfumatura spregiativa. e proposta anche da G. Pera, La legge per i quadri, Riv.
It.Dir.Lav., 1985, pag. 285 era stata scartata perché si era ravvisata in essa una
sfumatura spregiativa.
7
Da questa interpretazione dell’art. 2095 c.c. si è fatto derivare che
questo articolo non porrebbe alcun vincolo autonomia collettiva
sebbene non siano mancate in dottrina opinioni divergenti
13
.
In riferimento al 2° comma dell’art. 2095 esso rinvia alle leggi
speciali ed alle norme corporative la determinazione dei “requisiti
di appartenenza alle […] categorie” dei prestatori di lavoro
subordinato.
Il riferimento alle norme corporative è stato generalmente visto
come un rinvio alle disposizioni dei contratti collettivi di diritto
comune, in conformità all’opinione diffusa per la quale i rinvii alle
norme corporative contenuti nel codice civile devono essere intesi,
nell’ordinamento postcorporativo, come rinvio alla contrattazione
collettiva
14
. Sulla stessa linea anche la giurisprudenza al suo
massimo grado ha stabilito che siano i contratti collettivi, in assenza
di leggi speciali, a determinare i criteri distintivi delle varie
categorie
15
; a breve distanza di tempo un’altra pronuncia
13
M. De Cristofaro, L’inquadramento dei funzionari nel settore assicurativo, in
Dir.Lav, 1986, I, pag.180. L’A. ritiene che nell’art. 2095 c.c. sarebbe presente un nucleo
prescrittivo irriducibile, consistente nel “divieto di abolizione delle categorie legali”.
14
C. Assanti, Rilevanza e tipicità del contratto collettivo nella vigente legislazione
italiana, Giuffrè, Milano, 1967, pag. 56.
15
Cassazione, 14-05-1983, n. 3353 in Not. Giur. Lav. pag. 356.
Nella massima si precisa: “Compete all’autonomia negoziale delle associazioni
sindacali […] la determinazione dei requisiti necessari per l’appartenenza alle categorie
fondamentali dei prestatori di lavoro […] anche attraverso stipulazione di contratti
collettivi particolari per determinati ambiti territoriali o suddivisioni dei vari settori
produttivi (salva […] la imprescindibile esigenza di coordinamento fra questi contratti
8
strettamente conseguente alla prima ha disposto che, quando
l’appartenenza di una particolare figura di lavoratore ad una
determinata categoria è stata sancita da un contratto collettivo, il
giudice, nell’operare l’inquadramento del lavoratore, è tenuto a
riferirsi alle disposizioni collettive
16
.
Non si è mancato in dottrina di distinguere tra una nozione legale di
categoria, presupposta dall’art. 2095 1° comma, c.c.. ed una
nozione contrattuale di categoria: la prima risulta individuata dal
contenuto delle mansioni effettivamente svolte dal lavoratore ed
opererebbe ai fini dell’applicazione di normative di legge; la
seconda risulterebbe dalle determinazioni dell’autonomia collettiva
e avrebbe rilevanza ai fini dell’applicazione delle norme create da
quest’ultima
17
. La connessione tra le due nozioni è affermata dalla
corrente giurisprudenza per la quale i requisiti di appartenenza alle
[…] con quelli di portata generale delle medesime ASSOCIAZIONI stipulati)”. Viene
quindi prospettata un’esigenza di coordinamento dei contratti stipulati dagli organismi
periferici delle associazioni di categoria con quelli stipulati a livello nazionale.
16
Cass., 08-08-1983, n.5295 in Not.Giur.Lav., pag.351.
La massima dispone che “[…] esse, riflettendo la volontà delle parti stipulanti e la loro
specifica esperienza nel settore del lavoro e nella particolare organizzazione aziendale,
assumono valore vincolante e decisivo.” Viene inoltre stabilito che “non è nulla (per
contrasto con l’art. 2095, 2° comma, c.c. […]) la clausola di un contratto collettivo che,
pur subordinando l’attribuzione al lavoratore della qualifica di dirigente al requisito del
formale riconoscimento da parte del datore di lavoro, rinvia ad un allegato al contratto
stesso, e cioè ad un atto di autonomia collettiva, l’indicazione dei gradi e delle funzioni
cui presso ciascuna azienda è attribuita tale qualifica.”
17
F.Liso, Op. cit., pag. 6 e ss.
9
singole categorie non possono non coincidere con quelli dettati
dalla disciplina collettiva
18
.
Può essere tuttavia possibile che nella pratica questa coincidenza tra
le due nozioni non si verifichi visto che alla contrattazione
collettiva non è precluso di creare altre categorie oltre a quelle
previste dalla legge come è avvenuto nel caso dei funzionari di
banca: si è sostenuto in questa ipotesi che il giudice, per
determinare l’inquadramento, deve utilizzare nozioni di diretta
fonte legale pur in presenza di un’esplicita determinazione
collettiva
19
. Una opzione differente, nel senso dell’attribuzione di
18
In questo senso vedasi Cassazione Civile, 19-11-1986, n. 6812 in Rep. Gen. Giur. It.
Col 2241, 1986, la cui massima stabilisce che “l’accertamento dell’appartenenza del
lavoratore alla categoria operaia oppure a quella impiegatizia dev’essere compiuto […]
alla stregua della contrattazione collettiva applicabile al rapporto […] e non già in base
a criteri distintivi elaborati in astratto, come quelli basati sulla manualità o
sull’intellettualità del lavoro oppure sul tipo di collaborazione (“nell’impresa” o
“all’impresa”) prestata dal dipendente, ai quali […] può solo assegnarsi una secondaria
funzione di riscontro.
Trattasi di tendenza confermata in quanto la S.C. già due anni prima aveva disposto con
la massima datata 30-07-1984, n. 4556 in Mass. 1984 oppure Rep. Gen. Giur. It. Col.
2284 che “ il potere del giudice di individuare le mansioni che danno diritto
all’inquadramento del lavoratore in una determinata categoria sussiste soltanto in
relazione alle categorie c.c.d.d. legali […] previste dall’art. 2095 c.c., sempre che i
requisiti di appartenenza a ciascuna di esse non siano determinati dalla normativa
collettiva, giacchè in tal caso, come in quello di categorie c.c.d.d. contrattuali, create
cioè dall’autonomia collettiva, essi non possono non coincidere con quelli dettati dalla
disciplina collettiva, alla quale il giudice deve primariamente rivolgersi ed attenersi,
senza poterne sindacare la congruità, salvo il caso in cui la determinazione di detti
requisiti non sia compiuta con criteri tali da sconvolgere la natura sostanziale delle varie
categorie considerate.”
19
M. dell’Olio, Categorie dei prestatori di lavoro in Tratt. Rescigno. XV, 1, Utet
Torino, 1986, pag. 252.
10
una preminente rilevanza alla categoria contrattuale rispetto a
quella legale, darebbe luogo a quello che è stato definito come un
“effetto spiazzamento” delle disposizioni di legge da parte
dell’autonomia collettiva per il quale è stato ipotizzato che
l’iniziativa delle parti sarebbe indirettamente legittimata, attraverso
la costituzione di nuove categorie, ad incidere sull’ambito di
applicazione concreto di specifiche normative che il legislatore
abbia emanato a beneficio di particolari categorie di prestatori di
lavoro.
Sulla stessa linea la giurisprudenza della S.C. ha ritenuto di stabilire
che il rinvio alla contrattazione collettiva, contenuto nel secondo
comma dell’art. 2095, “ va ritenuto operante solo quando sulla base
di esso sia possibile operare un giudizio di inclusione nelle
categorie ivi previste e non ritenuto operante, invece, quando esso
porti ad un semplice giudizio di esclusione.”
20
In base a questo principio è stata avanzata la tesi per cui il 2°
comma dell’art. 2095 rimette al contratto collettivo il compito non
tanto di determinare il contenuto delle astratte nozioni legali delle
L’A. ritiene che l’autonomia collettiva dispone ai propri effetti, senza pregiudizio della
disciplina di legge” a condizione che della legge che contiene il rinvio all’autonomia
collettiva”, si riescano a determinare i presupposti, od utilizzando come punti di
riferimento altri aspetti dell’esplicazione di questa o ritenendola, per la posizione di cui
trattasi volta a volta, in pratica “muta” con passaggio perciò alla disciplina suppletiva
della legge sull’impiego privato.”
20
Cass., 03-04-1992 n. 4103 in Mass., 1992.
11
categorie, quanto piuttosto di operare l’inquadramento, al loro
interno, di concrete figure professionali (in senso lato) legate alle
particolari caratteristiche dei differenti settori produttivi e delle
organizzazioni aziendali ed anche il compito di dettare dei criteri
applicativi per operare questo inquadramento
21
.
Un aspetto particolare nell’ambito della problematica sulle
categorie dei lavoratori è costituito dalla disciplina applicabile alla
gente di mare che risulta suddivisa in tre categorie secondo il
disposto dell’art. 115 cod. nav.:
1) personale di stato maggiore e di bassa forza addetto ai servizi di
coperta, di macchina, e in genere ai servizi tecnici di bordo;
2) personale addetto ai servizi complementari di bordo;
3) personale addetto al traffico locale e alla pesca costiera;
alle quali sono equiparabili le tre categorie del personale di volo
menzionate all’art.732 cod.nav. e precisamente:
a) il personale addetto al comando, alla guida e al pilotaggio degli
aeromobili;
b) personale addetto al controllo degli apparati motori e degli altri
impianti di bordo
c) personale addetto ai servizi complementari di bordo.
21
F. Liso, Op. cit., pag. 9.