• il Capitolo 1 descrive i campi di applicazione della cromatografia, soffermandosi in
dettaglio sulla cromatografia gas-liquido applicata alla misura dei coefficienti di
attività a diluizione infinita. Si riporta poi il modello matematico usato per calcolare
i coefficienti di attività dalle determinazioni sperimentali dei tempi di ritenzione;
• il Capitolo 2 descrive tre classi di polimeri ramificati ( comb, star e dendrimeri),
soffermandosi in particolare sui metodi di sintesi, sulle proprietà e sulle
applicazioni;
• il Capitolo 3 descrive dettagliatamente l’apparecchiatura sperimentale e le modalità
operative utilizzate negli esperimenti. Nello stesso capitolo si riportano anche le
misure effettuate per testare l’apparecchiatura e il loro confronto con dati di
letteratura;
• il Capitolo 4 è dedicato ai dati sperimentali ottenuti per i polimeri comb. Dopo la
descrizione dei materiali usati, i risultati vengono presentati, discussi e confrontati
per tipo di solvente e tipo di polimero;
• analogamente al Capitolo 4, il Capitolo 5 riporta alcuni dati sperimentali e la loro
discussione per i polimeri dendritici.
Per concludere questa introduzione, desidero ringraziare l’ingegner Cristina Mio per il
suo prezioso aiuto, il professor Ireneo Kikic per i molti suggerimenti e tutti i tecnici
dell’Istituto di Impianti Chimici per il loro supporto pratico. Senza tutte queste persone
sarebbe stato molto più difficile, se non impossibile, portare a compimento questa tesi.
Si ringrazia inoltre la NATO per il supporto fornito con il contratto CRG 971081
“Evaluation of Thermophysical Properties of Solutions Containing Hyperbranched
Polymers”
1.1 La tecnica d’analisi cromatografica
La cromatografia è un metodo analitico di separazione dei componenti di una miscela
per diversa affinità tra due fasi, di cui una è mobile e l’altra fissa; la fase mobile è detta
anche eluente.
È stata scoperta nel 1906 dal botanico russo Tswett che l’ha utilizzata per la separazione
di composti vegetali; poiché tali composti erano per lo più colorati, la tecnica di
separazione prese il nome di cromatografia.
La diversa affinità può essere dovuta a fenomeni di:
• adsorbimento su di un solido;
• ripartizione tra due fluidi, liquidi o gassosi;
• scambio ionico;
• esclusione sterica.
Le tecniche cromatografiche principali che si sono sviluppate sulla base del principio
sopra esposto si possono ricondurre a due grandi famiglie:
• cromatografia su carta e su strato sottile;
• cromatografia su colonna.
1.1.1 Cromatografia su carta e strato sottile
La cromatografia su carta (PC) e su strato sottile (TLC) utilizzano, come fase fissa,
rispettivamente un foglio di carta, oppure uno strato sottile di un solido finemente
suddiviso. Il solido può costituire la fase fissa vera e propria ed in questo caso si ha una
cromatografia di adsorbimento; se il solido invece ha solo la funzione di supporto per
un liquido opportuno si realizza una cromatografia di ripartizione.
2 Capitolo 1
La cromatografia su carta coinvolge contemporaneamente fenomeni di adsorbimento e
di ripartizione. L’adsorbimento è dovuto alla formazione di legami secondari,
principalmente ponti ad idrogeno, con i gruppi ossidrili della cellulosa della carta. La
ripartizione è invece dovuta al liquido di ripartizione, polare o meno, che si va a
depositare sul foglio di carta prima dell’analisi. Se il liquido è polare, si parla di
cromatografia a fasi dirette, se è apolare, si ha la cromatografia a fasi inverse.
La TLC può anche effettuare separazioni per scambio ionico e per esclusione sterica; in
questi due casi la fase fissa è costituita rispettivamente da resine a scambio ionico e da
setacci molecolari.
Le procedure operative sono analoghe per le due cromatografie (PC e TLC), così come i
fenomeni che le contraddistinguono. Perciò descriviamo solamente la cromatografia su
strato sottile.
Lo strato sottile che costituisce la fase fissa è sotto forma di polvere; per poterla
utilizzare, esso va depositato su di una superficie rigida che funge da sostegno. Questa
superficie è normalmente piana e in forma di lastra. I materiali usati per la costruzione
di queste lastre sono vetro (spessore 1-2 mm), alluminio (0,2 mm), poliestere (0,2 mm),
tessuto di microfibra di vetro; il più utilizzato, per questioni economiche e di resistenza
ed inerzia chimica, è il vetro.
Le fasi fisse sono le più svariate, in funzione della separazione da condurre; per la
cromatografia di adsorbimento i materiali più diffusi sono: gel di silice, allumina,
cellulosa in polvere, Kieselguhr (acido silicico amorfo di origine fossile, detto anche
terra di diatomee), poliammidi.
Nella cromatografia di ripartizione, invece, la fase fissa è costituita da un solido inerte,
finemente suddiviso, impregnato del liquido di ripartizione voluto, come ad esempio,
paraffine, oli minerali, squalano, siliconi, glicoli polietilenici e altro.
Come supporto si usano lastrine di Kieselguhr, cellulosa e gel di silice G
opportunamente disattivati.
Affinché la TLC porti a buoni risultati, è importante preparare con attenzione le lastre
per le varie analisi. Per preparare una lastra si deve procedere nel seguente modo:
• si pulisce accuratamente il supporto con acqua ed, eventualmente, con miscela
cromica. Si sciacqua con acetone e, poi, con acqua distillata;
• si prepara la sospensione di adsorbente in acqua;
Tecniche cromatografiche e proprietà termodinamiche 3
• si versa la sospensione nello stratificatore, un’apparecchiatura la cui funzione è di
stendere l’adsorbente sulla lastra sotto forma di uno strato uniforme di spessore
voluto;
• si essiccano le lastre all’aria per un tempo adeguato. Si mettono in stufa, in
posizione verticale, alla temperatura e per il tempo necessari all’attivazione
dell’adsorbente;
• se si vuole effettuare una cromatografia di ripartizione, si scioglie il liquido di
ripartizione in un opportuno solvente volatile. Questa soluzione si deposita sulla
lastra per immersione, a spruzzo o per eluizione. Dopo la deposizione si allontana il
solvente per evaporazione;
• le lastre vanno fatte raffreddare in essiccatore, dove andranno conservate fino al loro
utilizzo.
Ottenuta la lastra, si procede alla semina del campione con capillari o microsiringhe; è
importante che il campione non venga immerso nell’eluente, per cui la semina va
effettuata a 1-1,5 cm dal fondo della lastra.
Lo sviluppo del cromatogramma, cioè l’eluizione del campione con la conseguente
separazione dei suoi componenti, si effettua in camere di sviluppo. Queste sono
costituite da una vasca in vetro, parzialmente riempita con l’eluente, dotata di un
coperchio a chiusura ermetica. La chiusura ermetica serve a mantenere l’ambiente
saturo dei vapori dell’eluente; in questo modo non evaporerà dalla lastra con il rischio
di rovinare il cromatogramma.
Saturata la camera, la lastra viene parzialmente immersa nell’eluente che comincia a
salire lungo la fase fissa per capillarità. I vari composti presenti nel campione iniziano a
ripartirsi in modo specifico tra la fase fissa e quella mobile con conseguente loro
separazione in una serie di macchie. Queste macchie, più o meno risolte, costituiscono il
risultato dell’analisi cromatografica; se si tratta di sostanze colorate l’esame della lastra
può essere diretto, mentre se non sono colorate può rendersi necessario applicare uno
sviluppatore ed effettuare dei trattamenti successivi
L’analisi è prettamente qualitativa; per misure di tipo quantitativo conviene utilizzare le
tecniche di colonna.
4 Capitolo 1
1.1.2 Cromatografia su colonna
La cromatografia su colonna è una tecnica prettamente strumentale in cui la separazione
si può basare su adsorbimento, ripartizione, scambio ionico ed esclusione.
L’apparecchiatura è costituita da una colonna riempita con la fase fissa, un dispositivo
d’erogazione della fase mobile, un iniettore del campione all’ingresso della colonna e
un sistema di rivelazione e registrazione dei picchi in uscita, come si può vedere dalla
Fig. 1.1.
Al sistema di registrazione si abbina in genere un apparecchio integratore che fornisce
le aree dei picchi; il grafico prodotto dal registratore è detto cromatogramma.
Figura 1.1 Schema di un gas-cromatografo
Il cromatogramma è il grafico dell’intensità del segnale del detector (rivelatore) contro
il tempo d’analisi, cioè un profilo di uscita dei vari composti nel tempo. È costituito da
una serie di picchi, di forma più o meno deformata rispetto ad una gaussiana; per ogni
picco, interessano conoscere il tempo d’uscita del massimo e l’area del picco. I valori
dei tempi d’uscita permettono l’analisi qualitativa della miscela, mentre le aree dei
picchi sono utilizzabili per l’analisi quantitativa.
La cromatografia per scambio ionico utilizza come fase fissa resine scambiatrici acide e
basiche; le acide s’impiegano per l’analisi dei cationi, le basiche per quella degli anioni.
Ad esempio, conoscendo le affinità dei vari ioni per la resina, si può determinare la
composizione di un acqua e stabilirne la potabilità o meno.
Tecniche cromatografiche e proprietà termodinamiche 5
La cromatografia di ripartizione e quella di adsorbimento sono le più utilizzate in
assoluto, data la loro grande versatilità; in quella di ripartizione la fase fissa è un liquido
supportato mentre per quella di adsorbimento si usa un solido adsorbente.
La cromatografia di adsorbimento separa i vari composti in base alla loro polarità; i
composti apolari escono prima di quelli polari. Si può applicare, ad esempio, alla
determinazione di tracce di idrocarburi nelle acque; come fase fissa si possono usare
carbone attivo, gel di silice oppure setacci molecolari. L’eluente può essere un gas o un
liquido.
La cromatografia di ripartizione si divide in cromatografia liquido-liquido e
cromatografia gas-liquido a seconda dell’eluente utilizzato.
1.1.2.1 Cromatografia liquido-liquido ad alte prestazioni
La cromatografia liquido-liquido ad alte prestazioni, nota come HPLC, è l’evoluzione
strumentale dell’analisi cromatografica classica in fase liquida su colonna, e delle
tecniche ad essa collegate.
Le elevate prestazioni che se ne possono ottenere giustificano il suo nome: in pochi
minuti si effettuano separazioni di miscele anche molto complesse ed è pure possibile,
in certe condizioni, determinare automaticamente la composizione quantitativa ed
ottenere informazioni decisive sulla natura delle sostanze analizzate.
La separazione avviene per ripartizione tra due liquidi, uno dei quali è depositato su di
un supporto inerte.
Per aumentare la velocità di analisi il supporto ha una granulometria molto fine (~ 10
µm); in questo modo aumenta notevolmente la superficie di contatto tra fase fissa e fase
mobile. Di contro aumentano le perdite di carico per cui si rende necessaria una pompa
ad alta pressione per far fluire la fase mobile. Ad esempio, per una tipica colonna di 25
cm di lunghezza e 4 mm di diametro interno, riempita con una fase stazionaria da 10
µm, sono necessarie 30 atm in ingresso per far fluire dell’esano con una velocità di 1
ml/min.
Una prevalenza così elevata è assicurata da pompe alternative; esse però hanno il difetto
di non fornire un flusso costante nel tempo, ma pulsante. Per ovviare a questo problema
si accoppiano diverse pompe, opportunamente sfasate ed eventualmente controllate da
un microprocessore, per garantire un flusso dell’eluente il più costante possibile.
Poiché l’eluizione è governata da una serie di equilibri liquido-liquido, si può migliorare
la separazione di una miscela lavorando in gradiente di composizione: durante
6 Capitolo 1
l’eluizione si varia la composizione della fase mobile secondo un programma
opportunamente prestabilito.
Ad esempio, supponiamo di avere due composti A e B in una soluzione opportuna; A è
solubile in un eluente E
1
, mentre B no. B è invece solubile in un eluente E
2
così come
A. Se eluiamo inizialmente con E
1
puro, A si separa molto rapidamente da B e viene
trascinato lungo la colonna. B, al contrario, rimane ad inizio colonna o comunque si
sposta molto lentamente; dopo un certo tempo i due composti sono completamente
separati. A questo punto si comincia aggiungere E
2
ad E
1
: A continua ad essere eluita
normalmente mentre B inizia ad essere eluito con un’efficacia sempre superiore al
crescere del tenore di E
2
nella fase mobile.
In questo modo si può ottenere una separazione molto efficace ed in tempi ridotti
rispetto all’ipotesi di lavorare con un eluente di composizione costante, cioè in
condizioni isocratiche.
La necessità di impiegare alte pressioni di ingresso ha portato allo sviluppo di tecniche
costruttive ad hoc per i sistemi di iniezione e per le colonne.
Per quanto riguarda l’iniezione, non si può pensare di iniettare, direttamente con una
microsiringa, il campione in una corrente la cui pressione può arrivare anche a 100
atmosfere. Le scelte operative sono due: iniettare direttamente in colonna, previa
interruzione del flusso, oppure utilizzare una valvola multivie di iniezione per non
interrompere il flusso, come in Fig. 1.2.
Le colonne, innanzitutto, dovendo resistere alla pressione di mandata della pompa si
costruiscono in acciaio inox oppure vetro borosilicato a pareti spesse. Per lungo tempo
si sono usate colonne lunghe da 25 cm a 2-3 m; la tendenza attuale è di usare colonne
corte (3-5 cm) che sono più facili da riempire. Il diametro interno varia tra i 2 e i 5 mm
ed è comunque proporzionale alla lunghezza della colonna.
Tecniche cromatografiche e proprietà termodinamiche 7
Figura 1.2 Valvola a 6 vie per iniezione senza interruzione del flusso.
Lo schema A mostra la fase di riempimento del capillare
tarato (posizione load). Lo schema B mostra il lavaggio
del capillare con la conseguente immissione del campione
in colonna (posizione inject).
Al fine di allungare la vita della colonna il più possibile, essa viene protetta da sostanze
inquinanti, che possono essere adsorbite irreversibilmente, con una precolonna riempita
dello stesso materiale a granulometria più grossa.
Per assicurare la riproducibilità dei dati sperimentali è importante termostatare la
colonna con opportuni bagni ad acqua o a circolazione forzata d’aria che riescono a
mantenere la variazione percentuale della temperatura sotto l’1%.
La gamma dei rivelatori disponibili per HPLC è molto ampia: si usano rifrattometri,
conduttimetri, polarografi, spettrofotometri, fluorimetri e altro. Essi vengono scelti in
funzione dell’analisi da effettuare e del tipo di eluizione applicata (isocratica o a
gradiente). In questo secondo caso si devono utilizzare rivelatori che misurano una
caratteristica tipica del campione e non dell’eluente. Se non si prevede di utilizzare il
gradiente di composizione si possono usare rivelatori differenziali in grado cioè di
misurare le variazioni delle proprietà fisiche della fase mobile in uscita dalla colonna.
Per maggiori dettagli sui rivelatori, si rimanda ai testi generali di analisi chimica
strumentale, quale quello di Cozzi (1987) da cui è tratta tutta questa parte sulla
cromatografia.
Per quanto riguarda la preparazione delle colonne, e in particolare il riempimento, è
necessario procedere come segue.
8 Capitolo 1
Si comincia lavando la colonna con una serie opportuna di solventi che dipendono dal
riempimento poi utilizzato; dopo il lavaggio si essicca in stufa o in corrente di azoto
anidro.
Si setaccia la fase stazionaria in modo da averla alla granulometria desiderata e si inizia
a riempire la colonna. Le tecniche utilizzate a tale scopo sono due e dipendono dalla
granulometria delle particelle e dalla loro capacità di rigonfiamento: il riempimento a
secco e quello per via umida.
Il primo è adatto per particelle sferiche, pesanti, non rigonfiabili e con diametro medio
superiore a 30 µm; è inoltre l’unico utilizzabile se si vuole lavorare con una fase
stazionaria liquida. Esso consiste nell’introdurre lentamente la fase stazionaria nella
colonna mentre questa, mantenuta verticale, viene vibrata per garantire un
impaccamento uniforme. La colonna viene chiusa con un setto poroso.
Si procede invece per via umida quando si hanno granulometrie più fini; in tal caso va
preparata una sospensione del supporto in un opportuno liquido. La sospensione, che
deve essere la più stabile ed omogenea possibile, viene introdotta nella colonna,
preventivamente riempita con lo stesso liquido già utilizzato, mediante una pompa che
deve garantire una pressione superiore a quella normalmente raggiungibile con le
analisi, e un flusso regolare e costante. Bisogna lavorare rapidamente per evitare la
sedimentazione della fase stazionaria; è molto dannosa anche la formazione di bolle
gassose. Il liquido usato per la sospensione si elimina mediante eluizione ad alta
pressione con un solvente apolare a bassa densità (come l’n-eptano). A questo punto si
arresta la pompa e si stacca la colonna che andrà poi chiusa con un setto poroso.
1.1.2.2 Cromatografia gas-liquido
Nella cromatografia di ripartizione gas-liquido (gas-cromatografia GLC) l’eluente è un
gas mentre la fase fissa è un liquido depositato su un supporto inerte (colonne a
riempimento) o sulle pareti della colonna (colonne capillari).
La separazione è ottenuta grazie ad una serie di equilibri liquido-vapore (VLE) lungo la
colonna; il composto più volatile è eluito per primo mentre il più altobollente esce per
ultimo.
Una volta individuata la colonna da utilizzare, l’efficienza della separazione dei vari
composti dipende fortemente dalla temperatura del forno e dalla velocità dell’eluente.
Una temperatura elevata, ma sempre inferiore a quella che provoca decomposizioni
della fase fissa o del campione, aumenta la velocità di scambio di materia tra le fasi e,
quindi, rende più rapido il raggiungimento dell’equilibrio. Contemporaneamente
Tecniche cromatografiche e proprietà termodinamiche 9
aumenta anche la volatilità di tutti i composti, in particolare degli altobollenti, e quindi i
tempi di analisi diminuiscono. D’altra parte la diminuzione delle volatilità relative
condiziona negativamente la separazione.
L’effetto della velocità è pressoché analogo: una velocità elevata diminuisce i tempi di
analisi ma rende meno efficiente la separazione perché i composti possono non avere il
tempo di ripartirsi tra le due fasi.
Per quantificare l’effetto di queste due variabili operative (temperatura e velocità) è
conveniente assimilare una colonna cromatografica ad una serie di piatti teorici,
analogamente a quanto si fa per una colonna di distillazione; è immediato concludere
che una colonna sarà tanto più efficiente quanto più alto sarà il numero di piatti teorici.
Si noti che il numero di piatti non è solo una caratteristica della colonna, ma dipende
molto dalla natura dei composti da separare.
Nel caso della distillazione, si definisce come piatto teorico quello in cui si è stabilito
l’equilibrio termodinamico tra la fase liquida e quella vapore in uscita.
Per le colonne cromatografiche si preferisce utilizzare come unità di misura alternativa
dell’efficienza la lunghezza del tratto di colonna in cui si ottiene una separazione
corrispondente ad un piatto teorico. Questa lunghezza viene indicata con HETP (o
altezza del piatto teorico equivalente). Al fine di rendere massima l’efficienza della
colonna, si deve rendere minimo l’HETP. Così facendo si massimizza il numero di
piatti teorici della colonna, legati all’HETP dalla semplice relazione:
n
L
HETP = (1.1)
con L e n pari, rispettivamente, alla lunghezza della colonna e al numero di piatti.
Nel libro di Cozzi (1987) si riportano le espressioni di dipendenza di HETP dalla
velocità e dalla temperatura, secondo il modello classico di Van Deemter:
HETP A
B
v
Cv=++ (1.2)
HETP a
b
T
cT=+ + , (1.3)
dove A, B, C e a, b, c sono delle costanti opportune, che dipendono dal tipo di colonna e
dalla natura del composto da eluire.
10 Capitolo 1
Si vede subito che le equazioni (1.2) e (1.3) implicano l’esistenza di una velocità e di
una temperatura ottime che minimizzano l’HETP e quindi massimizzano il numero di
piatti teorici. Questi valori ottimi, in corrispondenza dei quali i cromatogrammi sono
caratterizzati dalla massima separazione dei picchi, vanno individuati sperimentalmente
per tentativi. Di solito si fissa la temperatura di lavoro ad un valore pari alla media dei
punti di ebollizione dei componenti la miscela da separare. Se i punti di ebollizione
sono molto diversi è conveniente effettuare un analisi in gradiente programmato di
temperatura: si tratta di sottoporre la colonna ad un profilo di temperatura a scalini in
modo da permettere inizialmente la separazione dei leggeri e quindi, dopo la loro
eluizione, la rilevazione degli altobollenti.
Consideriamo ora in dettaglio le varie parti dello schema di Fig. 1.1, riferendoci in
particolare alle apparecchiature utilizzate nella gas-cromatografia.
1.1.3 La colonna cromatografica
La colonna è costruita normalmente in acciaio inox per le sue caratteristiche di solidità e
inerzia chimica.
Nel caso si analizzino idrocarburi o altri composti poco reattivi, si possono impiegare
colonne in rame che sono più facili da piegare; si usano anche colonne in vetro o in
alluminio.
Le colonne, secondo la loro lunghezza, si piegano a forma di U o a spirale; per evitare
disuniformità nella velocità dell’eluente (carrier gas), il diametro della spirale deve
essere almeno dieci volte quello interno della colonna.
Le colonne a riempimento hanno, in genere, un diametro interno di 5-6 mm e sono
lunghe da 1 a 2 metri; quelle capillari hanno diametro interno di 0,1 mm e, date le basse
perdite di carico, possono raggiungere la lunghezza anche di 30 metri.
La lunghezza della colonna deve essere la massima possibile, compatibilmente con le
perdite di carico, in modo da aumentare il numero di piatti teorici. Si deve tenere
presente che l’aumento di piatti teorici non è proporzionale all’aumento di lunghezza; al
di sopra di una certa lunghezza diventa necessaria una pressione di ingresso troppo
elevata che va ad aumentare il parametro A dell’equazione (1.2) con conseguente
aumento dell’HETP.
Il riempimento della colonna è l’operazione preparatoria più importante, al fine di
ottenere poi i migliori risultati. Indicativamente si procede nel seguente modo:
Tecniche cromatografiche e proprietà termodinamiche 11
• si lava la colonna con acido nitrico diluito, con acqua e, infine, con acetone. La si
asciuga in corrente di aria secca;
• si introduce il riempimento a piccole porzioni, avendo cura di battere la colonna e
percuoterne le pareti;
• si continua a riempire finché non è più possibile introdurre altro materiale;
• si chiude la colonna con lana di vetro per evitare le fuoriuscite del riempimento;
• prima di iniziare le analisi, si condiziona la colonna mantenendola, per circa una
notte, ad una temperatura superiore di circa 20 °C alla massima prevista per
l’analisi. È importante che si faccia fluire attraverso la colonna un flusso di carrier
gas abbastanza sostenuto: indicativamente per una colonna da 1/4” si usano portate
intorno a 80 cc/min.
1.1.4 L’iniettore
La quantità di campione introdotto influenza la geometria dei picchi, il tempo di
ritenzione, il potere separatore della colonna e, naturalmente, l’intensità del segnale al
rivelatore.
È importante che s’introduca la quantità minima di campione, compatibilmente con la
sensibilità del rivelatore; quantità troppo elevate peggiorano il potere separatore,
aumentano l’asimmetria dei picchi, il tempo di ritenzione e il segnale al rivelatore. Al
limite, si può arrivare alla saturazione della colonna o del detector con conseguente
perdita di efficacia nella separazione e nella rivelazione.
È altresì importante che il campione entri in colonna il più rapidamente possibile.
Le caratteristiche costruttive del sistema di iniezione cambiano a seconda che il
campione sia gassoso, liquido o solido.
Se il campione è gassoso, s’introduce tramite una speciale valvola multivie, analoga a
quella per HPLC (Fig. 1.2), con un capillare di dosaggio intercambiabile. In questo
modo si può variare la quantità di campione introdotto tra 0,5 e 25 cc.
I campioni liquidi s’iniettano con microsiringhe di capacità totale variabile tra 0,5 e 200
µl; le quantità maggiori s’impiegano per l’analisi di tracce. Le iniezioni si effettuano
forando, con un ago ipodermico, un tappo di gomma siliconica che chiude l'iniettore
come in Fig. 1.3.
12 Capitolo 1
Figura 1.3 Schema di iniettore per gas cromatografo con colonna
impaccata. 1. Siringa 2. Setto poroso 3. Ingresso del gas di trasporto
4. Inserto di raccordo 5. Corpo termostatato dell’iniettore 6. Testa
della colonna
I campioni solidi, per essere iniettati tali e quali, devono avere un basso punto di fusione
in modo da consentire il riscaldamento della micropipetta per tutto il tempo della
manipolazione. Se così non è, si prepara una soluzione satura con un solvente molto
volatile (ad esempio, per l’analisi dei grassi si prepara una soluzione in etere dietilico).
Per confronto, è conveniente effettuare un’analisi, nelle stesse condizioni sperimentali,
del solvente al fine di controllarne la purezza.
Per l’iniezione di composti liquidi e solidi, è importante stabilire la temperatura della
camera di evaporazione: essa deve essere regolata ad un valore sufficientemente elevato
per consentire l’evaporazione pressoché immediata di tutto il campione al momento
della sua introduzione. Un’evaporazione lenta della miscela introdotta conduce ad una
notevole asimmetria dei picchi.
In ogni caso bisogna prestare attenzione ad eventuali fenomeni di termoscissione.
1.1.5 Il rivelatore (o detector)
I rivelatori hanno la funzione di fornire un segnale, generalmente di tipo elettrico,
quando un qualsiasi composto, che non sia il gas di trasporto, esce dalla colonna.
Esistono moltissimi tipi di rivelatori, che comunque devono presentare le seguenti
caratteristiche:
6
Tecniche cromatografiche e proprietà termodinamiche 13
• minimo volume morto in corrispondenza dell’elemento sensibile di risposta;
• insensibilità alle variazioni di portata e temperatura;
• elevata velocità di risposta;
• aspecificità;
• linearità di risposta.
Attualmente i rivelatori più utilizzati sono quelli a termoconducibilità, a cattura
elettronica e a ionizzazione di fiamma.
I detector a termoconducibilità (TCD) sono sensibili alle variazioni di conducibilità
termica della corrente in uscita dalla colonna e non sono distruttivi. Sono sensibili a
variazione di portata e temperatura a causa del notevole volume morto; hanno una
discreta linearità di risposta e sono aspecifici.
Sono costituiti da due resistenze montate in un blocco metallico e lambite dall’eluente
secondo lo schema in Fig. 1.4. Le resistenze sono riscaldate dal passaggio di corrente
continua; la loro temperatura si stabilizza, a regime, ad un valore dipendente dalla
corrente applicata, dalla natura del carrier gas, dalla sua temperatura e, in parte, anche
dalla portata.
Le resistenze sono collegate secondo lo schema a ponte di Wheatstone, come in Fig.
1.5, mentre il blocco metallico è disposto in modo tale che una resistenza è lambita solo
dal gas di trasporto mentre l’altra è immersa nella corrente in uscita dalla colonna
cromatografica.
Quando attraverso la colonna passa soltanto l’eluente il ponte è bilanciato e non invia
nessun segnale al registratore la cui risposta sarà una linea diritta parallela allo zero.
Quando s’introduce un campione in colonna, l’uscita dei suoi componenti crea una
variazione di temperatura della resistenza lambita, a causa della diversa conducibilità
termica dei componenti rispetto al gas di trasporto. Di conseguenza, il sistema si
sbilancia ed invia un segnale al registratore che viene tradotto in una curva: da questa si
può ricavare la concentrazione dei vari componenti nel gas di trasporto.
La sensibilità del TCD è dell’ordine di 10 ng.