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Capitolo I
Storia e cultura del mezzogiorno tra il XVII e XVIII secolo.
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1.1 L’Italia ed il Viceregno di Napoli nella temperie seicentesca.
Il quadro storico del Mezzogiorno, lungo l’arco del XVII secolo presenta caratteri
analoghi a quello europeo. Le guerre, le rivolte, le carestie, le epidemie e la
depressione economica, sono tutte componenti presenti nella storia Seicentesca
dell’Italia Meridionale, con il loro naturale contorno di miseria, di vagabondaggio, di
delinquenza e di diffuso malessere sociale. La vita politica e sociale assume in questo
periodo un andamento critico. In seguito al trattato di Cateau Cambresis
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del 1559 e
all’estendersi, su quasi tutta la penisola del dominio Spagnolo, l’Italia conosce un
cinquantennio di pace e di relativa tranquillità. Sottomessi alla Spagna, ma anche
coperti e garantiti dalla sua forza e dal suo prestigio internazionale, gli Stati Italiani
hanno vissuto un lungo periodo in cui hanno potuto esercitare con sufficiente serenità
i loro traffici commerciali e le loro attività bancarie; ma già dai primi anni del’600
essi cominciano a risentire di una situazione europea in rapida trasformazione e ai
primi segni di indebolimento della posizione internazionale della Spagna, il clima
politico generale della penisola comincia a mutare. Negli stati direttamente soggetti al
governo madrileno, tra cui il Viceregno di Napoli, la tensione anti spagnola va
crescendo. Oltre al malessere di fondo delle comunità contadine, sottoposte a rigidi
ed oppressivi vincoli feudali, componente non secondaria di questo atteggiamento è
l’inasprimento della politica attuata da governo ispanico nei primi decenni del secolo:
il forte aumento del carico fiscale, il peggioramento del sistema di esazione dei
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1.Questa pace, conferma la Spagna come massima potenza del continente e ne sancisce la solida
egemonia sull’Italia e sull’America Meridionale. La Francia, invece, ha conseguito l’obbiettivo
strategico di “alleggerire” la pressione Asburgica sui suoi confini ed ottiene un significativo
rafforzamento delle sue frontiere Nord Orientali. Sia la Francia che la Spagna escono dalla guerra in
condizioni finanziarie ed economiche disastrose.
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tributi, affidato a speculatori e a finanzieri senza scrupoli, il forzato inquadramento di
uomini destinati ad ingrossare gli eserciti ( realizzato attraverso vere e proprie razzie )
sono gli aspetti di questa politica che maggiormente pesano sulle popolazioni rurali e
urbane, e che la Spagna vuole imporre ai suoi domini per far fronte agli enormi
impegni finanziari e militari che la guerra dei trent’anni
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(1618-1648) ha richiesto.
Una politica “forte”, ma attuata non attraverso l’esercizio della forza dello Stato, cioè
delle sue strutture amministrative e fiscali, ma ponendo i meccanismi statali nelle
mani di privati (mercanti, finanzieri, baroni, etc.) e allargando quindi la divaricazione
fra le masse popolari e le classi privilegiate.
Tassoni
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già nel 1614, descrive la monarchia spagnola come “un arco che dorme, un
grande corpo flaccido e vulnerabile, un colosso di stoppa”
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.Un profilo preciso,
rispondente alla reale situazione internazionale della Spagna, ma poco aderente alla
concreta realtà dei rapporti di forza tra la Spagna e gli Stati Italiani.
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2. La guerra dei Trent’anni, nata per le dispute fra l’impero e gli stati germanici soggetti ad esso, si
allarga poi a tutta l’Europa, si conclude con la pace di Vestfalia (1648) che sancisce il
ridimensionamento dell’impero Asburgico, della maggior autonomia degli stati tedeschi, della perdita
definitiva della Spagna delle sette Provincie Unite (che divengono indipendenti) mentre la Francia
diviene la potenza egemone d’Europa.
3. Poeta modenese vissuto in Spagna, famoso per la Secchia Rapita, in cui sferza lo spagnolismo vacuo
dei suoi tempi con riferimenti a fatti e personaggi, a lui, contemporanei. Quasi certamente
sue le due Filippiche contro gli spagnoli pubblicate (1614-15) anonime.
4. CFR. C. Salinari C. Ricci, Storia della letteratura italiana, volume II, Laterza, Bari 1990
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1.2 Il Mezzogiorno in “crisi”.
La Napoli barocca di grande fervore intellettuale è colpita nel XVII secolo da eventi
catastrofici: l’eruzione del Vesuvio, di tipo pliniano, del 1631 causa ingenti danni e
numerose vittime nei casali vesuviani. A questo si aggiunge l’atteggiamento sempre
più dispotico del viceré spagnolo (Ramiro Guzman, duca di Medina di Las Torres),
che porta alla introduzione di una nuova gabella sulla frutta e verdura, sfocia nel 1647
nella sommossa popolare capeggiata da Masaniello
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e soffocata pochi giorni dopo nel
sangue. Le rivolte di Napoli (1647-48), di Palermo (1647) e di Messina (1674)
rappresentano i momenti più drammatici dell’esplosione antispagnola che, nel caso
napoletano, coinvolgono anche le campagne, dove la guerriglia antifeudale assume le
tinte di una vera e propria guerra contadina.
Le rivolte sono domate in modo cruento, con la forza degli eserciti che il viceré
spagnolo e i feudatari riescono a mettere in campo: la restaurazione è durissima e
vuole essere esemplare, a dimostrazione della forza di cui ancora dispongono sia il
governo spagnolo sia la feudalità. La sconfitta nella guerra dei Trent’anni segna una
tappa importante del declino ispanico come potenza internazionale, ma non muta la
situazione italiana, anzi, in un certo senso, la peggiora. Sul piano interno, dopo le
esperienze esaltanti e drammatiche delle rivolte, si ristabilisce lo status quo; ma il
Mezzogiorno risente fortemente di questo clima di reazione, ripiombando nella sua
condizione di inattività e di stagnazione economica e sociale che deve caratterizzarlo
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5. Masaniello, pescivendolo di Amalfi; nel Luglio del 1647 è a capo della plebe napoletana insorta
contro gli spagnoli per l’imposizione di una nuova imposta. Impadronitosi dell’amministrazione
cittadina ottiene dal viceré la revoca della gabella stessa, ma nemmeno due settimane dopo, impazzito
per il successo viene ucciso dai suoi stessi compagni.
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ancora per lungo tempo.
In tutta Italia la crisi economica e la progressiva caduta delle attività manifatturiere e
commerciali incoraggia una sorta di processo di “rifeudalizzazione”, cioè la tendenza
all’investimento di capitali nella terra, e trova il suo risvolto sociale nella corsa ai
titoli nobiliari da parte dei borghesi più ricchi; una tendenza che, nel Mezzogiorno,
significa un generale processo di immobilizzazione fondiaria, un aumento del
latifondo e del parassitismo dei grandi proprietari e un rafforzamento delle strutture
feudali della società.
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1.3 La peste del 1656
Nel 1656, un altro evento sconvolge la vita dei Napoletani: la venuta della peste che
determina un calo demografico nel vicereame ed in particolar modo a Napoli, al
quanto notevole. Importato da soldati provenienti da una zona già infetta,
probabilmente la Sardegna, il morbo dopo un naturale periodo di incubazione si
manifesta ai primi giorni di maggio ed assume subito il carattere epidemico. Seppure
un po’ in ritardo, vengono prese disposizioni per arginare e combattere il male e, tra
l’altro, viene costituita la Deputazione della Salute Pubblica composta da
rappresentanti di Seggi e da funzionari della sanità. Ma nonostante le misure prese il
contagio dilaga a macchia d’olio e assume proporzioni spaventose.
“Nel mese di luglio e nella prima metà d’agosto, cioè quando l’epidemia giunge
all’acme, si contano fino a 4000 vittime al giorno”
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. Queste cifre possono sembrare
irreali ai nostri giorni ma bisogna tener conto dell’epoca in cui i fatti sono accaduti.
Quel periodo è caratterizzato dal sovraffollamento della città (oltre 350 mila abitanti)
con la conseguente carenza igienica, dell’assenza della profilassi dell’esiguo numero
di medici e dell’arretratezza, nel suo insieme, nel campo sanitario. Le zone più
colpite, come sempre avviene, sono quelle popolari: il Lavinaio, il Mercato, la
Vicaria, il Pendino e il Porto. Non mancano gli episodi, normali a quei tempi, della
caccia “all’untore”;
questo è nell’ignorante e superstiziosa fantasia popolare il responsabile di quanto
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6. A. Di Ambrosio, L. Palmieri, Storia di Napoli, Ed. Nuova E. V., Napoli 1995, p.141
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accade perché unge le porte delle abitazioni per propagare il male. Con il dilagare
dell’epidemia i luoghi d’interramento
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e i lazzaretti non sono più sufficienti a
contenere i morti e gli ammalati per cui il vicerè
8
fa liberare gli schiavi e i galeotti per
adibirli allo scavo delle fosse in quelle località adibite alla duplice funzione di
lazzaretti e cimiteri come il Largo delle Pigne (Piazza Cavour), Piazza Mercato e il
Largo Mercatello (Piazza Dante).
“A dicembre è stato possibile fare un bilancio dei decessi: su poco più di 350 mila
abitanti la peste ne ha mietuti quasi 250 mila, come a dire 7 persone su 10”
9
.Napoli
non è solo fortemente intaccata nella struttura economica e sociale, ma scompare,
anche il senso morale perché durante il flagello si sono compiuti abusi di ogni genere.
Beni di intere famiglie sono trafugati e addirittura si ricorre all’omicidio, affrettando
la fine dei moribondi, per compiere furti e sciacallaggio di ogni genere. Alla fine del
contagio si è pensato più che altro ad erigere chiese e guglie, immettere sulle porte
della cinta urbana immagini dei Santi, che secondo la popolazione hanno con il loro
patrocinio cooperato alla cessazione del morbo.
A tale proposito si è accesa un’aspra polemica tra Gesuiti e Teatini per stabilire chi ha
avuto più merito, S. Francesco Saverio o S. Gaetano Thiene, infine si sono appellati
al Papa per il giudizio e per far nominare Patrono della città il Santo prescelto.
Salomonica è stata la decisione di Alessandro VII (Fabio Chigi) che ha attribuito
uguale merito ai due Santi e li ha fatti ascrivere entrambi tra i Protettori di Napoli.
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7. I luoghi d’interramento dell’epoca, cioè le fosse comuni, si limitano alla Grotta dello Sportiglione,
l’attuale cimitero di S. Maria del Pianto.
8. Garcia d’Avellaneda y Haro, Conte di Castrillo.
9. A. D’Ambrosio, L. Palmieri, op. cit., p.142
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1.4 Napoli, nel passaggio dal Viceregno al Regno.
Alla fine del 1658 il Conte di Castrillo lascia il posto a Gaspare Bracamente Conte di
Peñaranda che nel Settembre del 1664 è sostituito, a sua volta, dal Cardinale Pasquale
d’Aragona; un anno dopo muore il Re Filippo IV lasciando come erede il figlio di
quattro anni, Carlo II, sotto la reggenza della Regina, vedova, Maria Anna d’Austria.
Durante il regno di Carlo II si sono avvicendati al governo di Napoli altri viceré
spagnoli tra cui: Pietro Antonio d’Aragona, Duca di Segorbe, Francesco Benavides
Conte di Santo Stefano, Luigi de la Cerda, Duca di Medinaceli. Al tempo di questi
viceré numerose crisi economico finanziarie hanno provocato carestie e miserie. La
moneta si svaluta e solo dopo molti anni riacquista, in parte il suo valore mediante il
cambio effettuato dal Conte di Santo Stefano che in tal modo, conclude gli sforzi dei
suoi predecessori. La rivolta di Messina (1674) aggrava la situazione a causa
dell’intervento francese che non perde occasione per cercare di accaparrarsi il Regno
napoletano. Il conflitto franco spagnolo dura quattro anni, dal 1674 al 1678 e l’onere
della spesa bellica grava quasi esclusivamente su Napoli che male sopportava questa
nuova incombenza. Si aggiunge a tanto la “recrudescenza” del banditismo che arriva
perfino ad ostacolare il rifornimento di vettovaglie che dai paesi vicini affluiscono
alla capitale; solo l’energica campagna del Marchese del Carpio
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riesce ad ostruire
quel brigantaggio spesso incoraggiato dai baroni che ne riescono a trarre degli utili.
Nel 1688 un’altra calamità naturale scuote il paese: un forte terremoto che seppur non
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10. Gaspare Mendez y Horo, Marchese del Carpio, predecessore del Benavides.
10
mietendo molte vittime causa seri danni.
Morto Carlo II il primo Novembre del 1700 si scatena una vera guerra di successione
per ottenere il trono di Spagna, rimasto vacante perché Carlo II non ha eredi diretti. Il
viceré di Napoli Duca di Medinaceli, rispettando la volontà del defunto, proclama
sovrano del Regno di Spagna il Duca d’Angiò Filippo V, nipote di Luigi XIV Re di
Francia. Il 17 Aprile 1702 giunge a Napoli il nuovo re Filippo V che viene accolto
con clamore e consenso popolare in quanto dai tempi di Carlo V (1535), nessun
sovrano risiedeva a Napoli. La permanenza di Filippo V dura però solo un mese e
mezzo dopo di che riparte per occuparsi della guerra estesasi, più aspra che mai in
Europa. Il conflitto in Italia è dapprima favorevole ai franco spagnoli ed agli stati
Italiani loro alleati, poi il voltafaccia dei Savoia muta la situazione. Gli Austriaci,
approfittando di tutto ciò trovano la “strada spianata” per insediarsi nel Regno di
Napoli. La loro venuta non trova resistenza alcuna l’ultimo viceré spagnolo
11
è
costretto a salpare per Gaeta, visto che alcuni delegati partenopei avevano già dato le
chiavi della città al generale austriaco Daun
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, chiedendo solamente il rispetto dei
privilegi fino ad allora goduti.
Il 7 Luglio del 1702 termina dopo quasi due secoli la dominazione spagnola.
Carlo d’Asburgo diviene così Re di Napoli, però le speranze dei napoletani di avere
un re “in loco” sono ancora una volta disilluse, a causa del fatto che, Carlo d’Asburgo
è costretto a rientrare in Austria per la guerra che continuava e poi a succedere al
fratello Giuseppe I, morto improvvisamente nel 1711, sul trono imperiale col nome
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11. Fernandez Pacheco de Acuna, Marchese di Villena e Duca d’Escalona.
12. Il Conte di Daun diviene anche viceré di Napoli nel 1708, a causa della guerra lascia la carica dopo
otto mesi per ricoprirla nuovamente cinque anni più tardi e mantenerla per sei anni.
11
di Carlo VI.
A Napoli si ritorna così a far governare dei viceré di cui l’ultimi è stato Giulio
Visconti nel 1734. Nel 1713 si arriva al trattato di Utrecht che riconosce il trono di
Spagna a Filippo V, i possedimenti in Italia e Paesi Bassi all’imperatore Carlo VI e ad
Amedeo II Duca di Savoia la Sicilia ed il titolo di Re. La Spagna nel 1717 viola il
trattato occupando la Sardegna, nel 1718 tenta di fare lo stesso con la Sicilia ma
l’azione combinata delle potenze europee fa svanire il progetto. Fallita l’impresa la
Sicilia del Duca di Savoia viene scambiata con la Sardegna dell’Austria, ripristinando
così il Regno napoletano. Nel 1733 la guerra di successione polacca coinvolge anche
l’Austria e così Carlo di Borbone figlio di Filippo V di Spagna vuole riprendersi il
Regno di Napoli. La nobiltà napoletana mai troppo favorevole agli Asburgo ed il
popolo affamato appoggiano l’impresa di Carlo di Borbone. Carlo sconfigge
definitivamente gli austriaci a Bitonto ed il 3 Luglio 1735 diviene finalmente re di
Napoli incoronato dall’arcivescovo di Palermo.
12
1.5 I quietisti ed il clero.
Dopo la peste un rinnovato fervore intellettuale e religioso sembra animare gli anni
dell’episcopato di Innico Caracciolo (1667-1685), del più illuminato Antonio
Pignatelli (1686-1691) e persino del rigido Giacomo Cantelmo (1691-1702).
L’ambiente partenopeo, percorso ancora da correnti libertine si infiamma di dibattiti
su Gassendi, Cartesio e Malebranche. La chiesa registra, in tutto questo, un
emarginazione in campo politico degna di rilievo dopo la pace di Vestfalia. La chiesa
si ritrova al quanto isolata rispetto al mondo intellettuale, esposto alle vittoriose
seduzioni dello “spirito del secolo”
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.Su questo sfondo si deve considerare il
problema relazionale tra il vicereame di Napoli e lo Stato Pontificio, visto che si
vanno elaborando nuovi sistemi di valori culturali politici e religiosi. Il clero avverte
il pericolo non solo nelle correnti razionaliste, ma ovunque si manifestino
atteggiamenti antiscolastici o soltanto contrari a forme esasperate di
“devozionalismo”, come accade per i così detti quietisti
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accusati a Napoli fin dai
tempi del Caracciolo per i cenacoli giansenisti.
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13. CFR. E. Chiosi, Lo spirito del secolo Giannini Editore, Università degli Studi di Napoli 1992
14. Seguaci del quietismo. Il quietismo è una concezione mistico religiosa che, nel cristianesimo, trova
la sua espressione più significativa nel movimento diffusosi verso la seconda metà del secolo XVII e
promosso soprattutto dalla pubblicazione Guida Spirituale (1675) di M. Molinas. I quietisti aspirano a
raggiungere l’unione, anzi l’identificazione con Dio, abbandonandosi a lui in un perfetto stato di quiete
attraverso un atto di puro ed assoluto amore, senza alcuna preoccupazione per il premio e per la
sanzione. Tale concezione è stata condannata dalla Chiesa.
15. Seguaci del giansenismo. Il giansenismo è quel dibattito teologico morale che, partito dalla
negazione, da parte dei così detti giansenisti, dell’esistenza nello Augustinus di Giansenio (già
condannato nel 1642 da Urbano VIII) di cinque proposizione condannate da Innocenzo X (31 Maggio
1653) affermanti la predestinazione gratuita alla salvezza, da parte di Dio, si estende a esprimere un
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Numerosi sono stati i processi contro i quietisti e gli ateisti, nonché sono frequenti gli
editti sui libri da proibire; tutto ciò rappresenta “l’offensiva” dell’autorità
ecclesiastica verso quei “fermenti” dai quali stava nascendo il secolo dei lumi. Il
Manuzzi denuncia già nel 1671 queste correnti nazionaliste che lo porteranno a citare
in giudizio gli ateisti il 21 Marzo del 1688, che negano l’esistenza dell’Inferno,
Purgatorio e Paradiso, dell’immortalità dell’anima, dei sacramenti, dell’autorità
Papale e soprattutto considerano Cristo non come figlio di Dio ma come seduttore.
Dopo alterne vicende e varie imputazioni tra cui spiccano quelle di: Bartolomeo de
Rossi dell’oratorio di San Filippo, Padre Torres
16
, Antonio San Felice e Gennaro
Crispino, questi ultimi due, collaboratori del Vescovo Pignatelli, si arriverà nove anni
dopo alla conclusione del processo contro gli ateisti che avrà l’effetto di ridurre
ovunque la libertà di pensiero dilagante nell’Europa “illuminata”. Napoli, comunque,
diverrà la capitale dell’oltranzismo nella seconda metà del’600.
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profondo dissenso fra due modi di concepire il cattolicesimo: relazionale e in armonia con le esigenze
dei tempi l’uno (difeso soprattutto dalla Compagnia di Gesù), irrazionale e pienamente fiducioso nella
grazia salvatrice di Dio l’altro (quello dei giansenisti). Il giansenismo attacca in particolar modo la
casistica gesuitica, rea di essere il sostegno del cesaropapismo e dell’assolutismo monarchico.
16. Diego de Villaroel scrittore spagnolo (Salamanca 1693-1770), dopo una giovinezza alquanto
avventurosa e dissipata dove però ha condotto studi di matematica e astrologia, acquistando notorietà
per la pubblicazione annuale di almanacchi. Diviene sacerdote nel 1726 e nel 1743 scrive una
autobiografia.
14
1.6 Intellettualismo e Religiosità nel XVIII secolo.
Il grave morbo del 1656 ha dato l’involontario avvio ad una nuova era. In tutto questo
i Gesuiti sono stati accusati di essere poco caritatevoli nel periodo della peste; anche
se altri membri dell’ordine insieme a: Camilliani, Teatini, Carmelitani Scalzi,
Cappuccini ed Agostiniani si sono distinti per l’aiuto donato ai vari ammalati
17
.
In questo periodo aumenta la polemica contro la manomorta soprattutto perché molti
prelati predicano contro gli incettatori di beni, ma gli stessi si rifiutano, perfino
davanti agli stessi tribunali ecclesiastici, di cedere anche una minima parte dei loro
averi. La rivalità fra i Teatini ed i Gesuiti esplode nella gara ad attribuire al loro
Santo (rispettivamente San Gaetano per i primi e San Francesco Saverio per i
secondi) il merito di aver salvato Napoli.
Il sinodo romano celebrato nel 1725 e l’anno successivo quello diocesano viene
indetto a Napoli dal Pignatelli, ha visto l’opposizione di alcuni rappresentanti
cittadini, i quali riuniti, in San Lorenzo, dichiarano di contestare il sinodo dandone
notizia con pubblici cartelli. Il vicerè
18
non preoccupato da questo conflitto di
interessi fra il clero ed i laici, fa palese che ha comunque il diritto di controllare e
censurare la stampa.
In tutto il Viceregno dilagano il malcontento e l’anticlericalismo raggiungendo tutti i
ceti: dagli aristocratici ai popolari tanto che lo stesso Pignatelli ammetterà che la
situazione stava degenerando, specie nei rapporti tra la Curia e le magistrature
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17. CFR. R. De Maio, Chiesa e religiosità a Napoli tra il Seicento e il Settecento, in Storia di Napoli
Vol. VI. , 1971
18. Cardinale Federico Michele, Conte di Althann.
15
cittadine. Il maggiore imputato di questi “disordini” è secondo il clero ed il viceré,
Gioacchino Portacarrio, Marchese di Almenera, il Giannone
19
che in seguito, sarà
considerato da Eleonora Pimentel Fonseca come il fondatore di una nuova nazione e
che già il Voltaire lo vedrà come colui che civilizza “con le sue idee” il proprio paese.
Nel XVIII secolo, in questo clima di cambiamento, si discute di sopprimere o meno la
cattedra di “historia ecclesiae”. Si interrogano in proposito il Galiani, il Genovesi, il
Doria, il Gravina, il Vico, il Giannone fino al Tanucci: costoro reputano la cattedra di
Storia Ecclesiastica di grande utilità in quanto trasforma in modo critico gli
insegnamenti impartiti in forma dogmatica. Il Cardinale Spinelli invece la fa
sopprimere aiutato da Santistelami e da Brancone, presenta alla Camera di Santa
Chiara la sua decisione in quanto l’historia ecclesiae, insegnata a Napoli, è motivo di
scandalo ed eresie. L’insegnamento impartito, sempre secondo lo Spinelli, da
persone, quali il Ruggeri che il Cardinale stesso non reputa all’altezza del compito.
Infatti nel 1737 lo farà carcerare per i suoi metodi considerati “sovversivi”. Se ne
riparlerà circa trent’anni dopo, con il caso della Cattedra delle Decretali.
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Il Genovesi vede in essa un vero e proprio limite al potere regio, ed una pregnante
corruzione ecclesiastica. Il 3 dicembre 1740 il nuovo Papa Benedetto XIV con
l’enciclica Ubi Primum, suggerisce le linee programmatiche di una pastorale decisa
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19. Pietro Giannone (1676-1745) autore della Storia Civile del Regno di Napoli e del Triregno, ha
partecipato alla polemica sulle ingerenze della Chiesa Romana nel regno napoletano. L’opera gli ha
procurato pericolose inimicizie, che lo porteranno alla cattura da parte dell’esercito piemontese
accordatosi con la Curia Romana, in Savoia. Il Giannone morirà nelle carceri sabaude pochi anni dopo
il suo arresto.
20. Disciplina di diritto canonico che il Genovesi definisce “il codice della monarchia universale della
Chiesa”.
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a promuovere l’istruzione del clero, la catechesi e la riforma della vita religiosa. Il
Pontefice vuole così proteggere “le difese donzelle”
21
contro le teorie di Spinoza, di
Hobbes, etc. e soprattutto di Le Clerc portatore di un cristianesimo aperto alle
suggestioni newtoniane e lockiane.
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21. Le pure e candide verità che si insegnano da parte della Santa Romana Chiesa.