VIII
affermare la rilevanza dell’arte anche come attività economica, viene avvertita
da alcuni tra economisti ed operatori del settore la necessità di adottare un
approccio allo studio e alla gestione dei beni culturali orientato ai principi
dell’economia.
In Italia, ad esempio, il dibattito viene spesso sintetizzato nella
contrapposizione tra settore pubblico e privato, visti rispettivamente come i
rappresentanti del benessere collettivo e del profitto individuale, e come tali
operanti nella gestione dei beni culturali seguendo priorità, interessi e valori
divergenti.
In particolare, si possono individuare due concetti alla base delle
rispettive posizioni: tutela e valorizzazione.
Da un lato, quindi, si tende a sottolineare il valore preminente della
conservazione e della ricerca scientifica, anche quando queste vadano a
scapito della fruizione dei beni culturali, quasi a voler privilegiare le
generazioni future rispetto a quelle attuali, considerando implicitamente le
prime come naturali destinatarie del patrimonio custodito.
Dall’altro lato, invece, si vuole sottolineare l’importanza della
promozione dei beni culturali, stimolandone la fruizione sia per un aumento
della domanda sia per assicurare maggiori entrate da reinvestire nel settore.
Ma sono due posizioni assolutamente inconciliabili o la
contrapposizione è solamente apparente?
Esiste veramente una separazione così netta tra settore pubblico e
privato oppure si può pensare ad una loro cooperazione o comunque ad una
revisione dei criteri e degli obiettivi che storicamente li hanno guidati?
In effetti, nuove soluzioni sono state già individuate o si stanno
sperimentando da alcuni anni in molti Paesi ed anche in Italia, dove sono lo
Stato e gli Enti Locali a svolgere un ruolo fondamentale nella gestione del
patrimonio culturale con le inefficienze che spesso caratterizzano il settore
IX
pubblico, i cambiamenti cominciano ad avvicendarsi, anche a livello
normativo
1
.
L’interesse e la necessità di introdurre nuovi modelli di gestione dei
beni culturali è stato confermato anche dal D.L. 112 del 1998, dove vengono
definite, prima di ripartirne le relative funzioni tra Stato, Regioni ed Enti
Locali, le nozioni di tutela, valorizzazione e, per la prima volta, di gestione
2
.
Stimolati dagli avvenimenti e dai nostri interessi personali, anche noi
abbiamo voluto fornire il nostro contributo, focalizzando l’analisi su due
aspetti del mondo della cultura e dell’economia: il museo e il marketing.
Dalla nascita delle prime collezioni “pubbliche” nel XVIII secolo il
museo non ha mai riscontrato l’interesse, il successo, il riconoscimento
sociale di questi ultimi anni. Tutto ciò è testimoniato da un fiorire di nuove
iniziative: istituzione di nuovi musei, riapertura di vecchi, arricchimento dei
servizi offerti. Allo stesso tempo, viene sentita in maniera sempre maggiore la
necessità e l’opportunità di sperimentare nuovi modelli organizzativi e
gestionali delle strutture museali: la partecipazione dei privati al
finanziamento delle iniziative culturali; il riconoscimento di una maggiore
autonomia organizzativa, finanziaria e contabile; l’apertura al mercato per
l’erogazione dei servizi offerti.
Tra i vari strumenti presi in considerazione ovviamente non può
mancare il marketing, “parola magica” in grado ancora di suscitare in molti
entusiasmo o repulsione solo a sentirne il suono.
1
Il primo segnale è venuto dall’articolo 4 della “Legge Ronchey” n.3/93, che consente la concessione a
soggetti privati di servizi cosiddetti aggiuntivi (editoria, ristorazione, guardaroba, riproduzione) in istituzioni
di proprietà pubblica, costituendo la prima forma di collaborazione tra settore pubblico e privato nel settore
dei beni culturali.
2
Tutela viene definita “ogni attività diretta a riconoscere, conservare e proteggere i beni culturali e
ambientali”. Valorizzazione è “ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e conservazione
dei beni culturali e ambientali e ad incrementarne la fruizione”. Gestione viene definita “ogni attività diretta,
mediante l’organizzazione di risorse umane e materiali, ad assicurare la fruizione dei beni culturali e
ambientali, concorrendo al perseguimento delle finalità di tutela e valorizzazione”.
X
In realtà, quello che vogliamo dimostrare nel nostro lavoro è come
l’applicazione di questa disciplina, intesa appunto come filosofia,
sintetizzabile in una maggiore attenzione rivolta alla domanda, possa
contribuire alla gestione di un museo e al raggiungimento dei suoi obiettivi,
sociali ed economici, considerate le particolarità non solo del settore museale
ma di tutto il settore dei servizi in generale.
Escludendo da subito l’intenzione di voler affermare la ricerca del
profitto ad ogni costo come criterio guida nella produzione di opere d’arte o
nell’amministrazione delle strutture museali, in quanto incompatibili con le
finalità di tutela e di educazione di questi istituti, con la loro attività e con la
forma giuridica generalmente adottata dai musei, anche privati (istituti
pubblici o organizzazioni non profit), il nostro obiettivo è quello di indicare i
possibili percorsi e le possibili alternative messi a disposizione dagli strumenti
del marketing per una transazione verso quelli che possiamo definire museo
azienda.
Vogliamo analizzare, insomma, l’evoluzione dal museo tradizionale,
struttura product-oriented, preoccupata principalmente a conservare, studiare,
ricercare, inventariare, catalogare e tutelare oggetti, opere e collezioni, al
museo market-oriented, in cui l’erogazione del servizio museale avviene
basandosi sui bisogni del visitatore, in un’ottica di orientamento al
consumatore propria della disciplina del marketing, finalizzata a favorire
l’incontro tra domanda ed offerta.
La presente tesi risulta così essere composta essenzialmente da due
parti.
Una prima parte teorica sviluppa il discorso avendo come principale
punto di riferimento una ben precisa tipologia di organizzazioni: il museo
d’arte e d’archeologia, di medie o grandi dimensioni, dotato di una propria
collezione permanente e attivo nell’organizzazione di mostre temporanee.
Riguardo la trattazione dei temi di marketing, invece, abbiamo dato
XI
particolare enfasi agli aspetti che influenzano, direttamente o indirettamente,
il rapporto con il pubblico.
Nel fare questo, il nostro metodo di lavoro è stato quello di analizzare i
contributi teorici esistenti in materia di gestione delle strutture museali in un
ottica di mercato e adattare al caso concreto dei musei principi e regole di
marketing validi generalmente, con particolare riferimento al settore dei
servizi e al settore non profit, integrando l’esposizione con numerosi esempi
concreti provenienti dalle strutture museali di tutto il mondo. L’ottica assunta,
infatti, è necessariamente internazionale, considerata anche le particolarità
della situazione italiana, che spesso hanno fatto sorgere dubbi sull’opportunità
di adottare pedissequamente modelli di gestione tipicamente stranieri, primo
tra tutti il “museo americano”, simbolo di dinamismo, spettacolarizzazione e
attenzione alle logiche di mercato.
Nel Capitolo I viene presentato il quadro di riferimento della nostra
ricerca, fornendo sinteticamente un’analisi dell’istituzione museo da un punto
di vista: macroeconomico, occupandoci dei due filoni che più direttamente lo
riguardano, l’Economia della cultura e l’Economia del tempo libero;
microeconomico, con lo studio delle possibili configurazioni organizzative
adottabili dal museo azienda; storico, descrivendo l’evoluzione subita dal
museo nel corso dei secoli anche come metafora sociale. Inoltre abbiamo
ritenuto opportuno descrivere più analiticamente la situazione italiana,
indicando le caratteristiche e l’andamento dell’offerta e della domanda
museale e i principali riferimenti normativi in materia nel nostro Paese.
Il servizio museale viene analizzato nel Capitolo II, dove abbiamo
effettuato la fondamentale distinzione tra servizio centrale, individuabile nella
tutela ed esposizione della collezione permanente e nell’organizzazione di
mostre temporanee, da sempre di competenza dei musei, e servizi periferici,
che comprendono quei servizi erogati non solo per aumentare la componente
educativa (servizi divulgativi), ma anche quella di intrattenimento e di
XII
comfort (servizi di accoglienza e complementari) legata alla visita ad un
museo.
Nel Capitolo III ci siamo concentrati sul visitatore, affermando la
necessità per le istituzioni museali di effettuare analisi e ricerche, finalizzate
ad una maggiore comprensione dei bisogni, desideri e motivazioni del
visitatore e propedeutiche ad una successiva segmentazione della domanda,
essenziale per predisporre un’offerta capace di soddisfarla sotto i diversi punti
di vista.
Il Capitolo IV tratta del posizionamento del servizio museale,
considerati i cambiamenti dello scenario competitivo che obbligano i musei a
considerare come concorrenti indiretti anche le altre forme di impiego del
tempo libero, specialmente quelle legate al settore dell’intrattenimento
(cinema, concerti, spettacoli sportivi, teatro, discoteche). Inoltre sono indicate
anche alcune strategie sia competitive che di crescita perseguibili dalle
strutture museali.
Uno dei concetti alla base del marketing, il marketing-mix, è trattato nel
Capitolo V, dove sono forniti una serie di strumenti utilizzabili nel caso
concreto dei musei, seguendo la tradizionale classificazione tra servizio,
prezzo, distribuzione e comunicazione.
Essendo l’obiettivo prioritario del marketing quello di garantire la
customer satisfaction, nel Capitolo VI abbiamo analizzato il servizio museale
dal punto di vista della qualità, sviluppando un modello in grado di descrivere
i diversi elementi in grado di influenzare la qualità erogata, attesa e percepita
durante la visita ad un museo, da cui dipende il grado di soddisfazione
riconosciuto all’esperienza vissuta.
Nel Capitolo VI ci siamo concentrati sugli aspetti prettamente
economici e finanziari legati all’attività di un museo con la descrizione delle
principali voci di entrate e di uscita di queste strutture, cercando di capire se e
come un maggior riferimento al mercato (inteso non solo come visitatori, ma
XIII
anche come donatori e sponsor) possa contribuire ad una maggiore
economicità della gestione. Inoltre, abbiamo ritenuto opportuno ampliare il
nostro campo di osservazione, considerando gli effetti diretti, indiretti, indotti
e derivati che un museo e i suoi flussi di visitatori hanno sull’economia del
territorio circostante, visto come città, regione o nazione.
Infine, nel caso pratico contenuta nel Capitolo VII, abbiamo voluto
vedere se quanto affermato nella parte teorica della tesi trova concretamente
applicazione nella realtà. Per far questo abbiamo considerato uno dei musei
più conosciuti, apprezzati, innovativi e discussi, la Fondazione Guggenheim,
esempio unico nel suo genere con le sue cinque sedi sparse per il mondo: il
Solomon R. Guggenheim Museum e il Guggenheim Museum SoHo di New
York, la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, il Guggenheim Museum
Bilbao e il Deutsche Guggenheim Berlin.
****
Senza voler stravolgere natura e missione del museo, quindi, vogliamo
dimostrare che una gestione più efficiente di queste strutture può contribuire
ad uno svolgimento più efficace dell’attività museale. In fondo, se, come si
afferma frequentemente, il marketing è l’arte di “vendere meglio” (non
“vendere di più”), forse può risultare ancora più importante per i musei che
per le aziende di biscotti o automobili saper “vendere meglio” l’arte, qualcosa
di “completamente inutile”.
1
CAPITOLO I
ASPETTI ECONOMICI, STORICI E NORMATIVI DEL
MUSEO
1. 1 ECONOMIA DELLA CULTURA ED ECONOMIA DEL
TEMPO LIBERO
Lo studio di temi quali i musei, l’arte, la cultura, richiede una prima, seppur
sintetica, analisi di tipo prettamente economico, necessaria per poter individuare quali
siano problematiche e considerazioni legate a questi settori, e propedeutica ad una
successiva trattazione che si concentri sugli aspetti gestionali ed organizzativi.
L’argomento trattato può essere ricondotto con implicazioni differenti
principalmente a due filoni: l’economia della cultura e dell’arte e l’economia del
tempo libero
1
.
Per “economia della cultura” si intende quella parte delle discipline
economiche che si occupa dell’economia della fruizione e dell’accumulazione della
cultura, curando, tra gli altri, l’aspetto relativo al ruolo dello Stato e del settore
pubblico nell’assicurare un’offerta di beni culturali ed artistici adeguata agli standard
sociali.
Il punto di partenza è il concetto di bene pubblico. Sono tali quei beni che
presentano due particolari caratteristiche: la non escludibilità, ossia una volta che il
bene è stato fornito ad una persona, non si può impedire agli altri di consumarlo
1
Per una completa trattazione di questi temi si possono consultare: Spranzi A., (1995), Economia dell’Arte, ed.
Cescom; Frey B.S., Pommerehne W.W., (1991), Muse e Mercati. Indagine sull’Economia dell’Arte, ed. Il Mulino;
Trimarchi M., (1993), Economia e Cultura. Organizzazione e Finanziamento delle Istituzioni Culturali, ed. F. Angeli;
Pennella G., Trimarchi M., (a cura di), (1991), Stato e Mercato nel Settore Culturale; ed. Il Mulino; Vogel H.L., (1994),
Entertainment Industry Economics. A Guide for Financial Analisys, Cambridge University Press; Becker G.S., (1965),
“A Theory of the Allocation of Time” in “Economic Journal”, n. 299, settembre, 493-517 pp.
2
ovvero “il loro razionamento non è possibile”, e il consumo congiunto, cioè fornire il
bene a più persone non è più costoso che fornirlo ad una sola (il costo marginale è
pari a zero o quasi), dal momento che il godimento del bene da parte di una persona
non interferisce con la possibilità che altri ne godano allo stesso momento ovvero “il
loro razionamento non è desiderabile”
2
. I beni che possiedono l’una o l’altra
proprietà, in gradi diversi, come nel caso in cui l’esclusione sia possibile ma non
desiderabile, vengono definiti beni misti.
A questo punto può sorgere la questione: chi deve occuparsi della produzione e
distribuzione dei beni misti ? Lo Stato o i privati ?
Le giustificazioni teoriche all’intervento pubblico nel settore culturale si
possono ricondurre a tre filoni principali
3
:
1. Le teorie del fallimento del mercato: il settore culturale e artistico non sarebbe in
grado di raggiungere un equilibrio ottimale, in quanto i beni culturali causano
esternalità. Oltre ai benefici diretti, riconducibili all’appagamento di una pluralità
di bisogni da parte del fruitore, si determinano anche dei benefici indiretti,
connessi agli effetti positivi che la presenza di tali beni genera sul livello culturale
e sulla qualità della vita dell’area nella quale gli stessi sono presenti. Tali benefici
indiretti sono difficilmente quantificabili e non escludibili, per cui non si può
associare alla loro fruizione nessun tipo di corrispettivo. Da questo divario tra
benefici privati e benefici sociali si genera il fallimento del mercato, incapace di
allocare efficacemente le risorse.
2. Le teorie del benessere sociale e in particolare quelle che indicano la cultura come
un bene meritorio: sono meritori quei beni ritenuti collettivamente utili, la cui
fruizione debba comunque essere garantita, indipendentemente dalla presenza di
una domanda congrua espressa dal mercato. Tramite il finanziamento dello Stato
l’accesso ai consumi culturali sarebbe esteso a tutta la popolazione, eliminando le
2
Le due definizioni sono tratte da: Stiglitz J. E., (1989), Economia del Settore Pubblico, ed. Hoepli, 135-138 pp. Testo
a cui si rimanda per un maggiore approfondimento sulle problematiche relative ai beni pubblici.
3
Trimarchi M., Economia e Cultura …, op. cit.
3
disparità di reddito e di grado di istruzione
4
, con un effetto redistributivo a favore
delle classi sociali più deboli.
3. La legge della crescita sbilanciata, o “morbo di Baumol”: sostiene che le
istituzioni che producono beni o servizi culturali appartengono al cosiddetto
settore “stagnante”, ovvero quello che ha difficoltà “ad incorporare il progresso
tecnologico nella funzione di produzione” e a conseguire pertanto significativi
incrementi di produttività. Alla stabilità della produzione ed ai conseguenti costi
unitari di produzione crescenti si contrappone l’aumento della remunerazione
degli artisti, o del fattore lavoro più in generale, che segue l’andamento dei salari
degli altri settori dell’economia: viene così a crearsi un deficit, permanente e
crescente nel tempo, tra costi e ricavi nel settore della cultura che deve quindi
essere sovvenzionato, pena la sua scomparsa.
Ciò nonostante, nell’odierno dibattito sulla necessaria valorizzazione della
cultura e dell’arte, sempre maggiore è l’importanza che viene riconosciuta al
“privato”, principalmente su due punti. Il primo riguarda l’impegno finanziario e più
in generale le risorse che queste attività richiedono. In assenza di possibili guadagni
di produttività, comparabili a quelli che l’industria moderna ha consentito nei
principali settori produttivi, molte attività culturali richiedono infatti un crescente
volume di risorse, che prima o poi eccede la capacità di tassare del settore pubblico.
Da qui la necessità di individuare canali di finanziamento alternativi, sostitutivi o
aggiuntivi, ricorrendo all’apporto dei privati tramite varie forme di sponsorizzazioni,
concessioni, licenze e così via.
Il secondo, più controverso, punto, che in generale riguarda tutta la gamma dei
servizi pubblici, è sulla necessità di adottare criteri e principi privatistici nella
gestione dei beni culturali, nell’ipotesi che questa integrazione determini quei
4
Il reddito disponibile e il livello di istruzione ( anch’esso funzione della distribuzione di reddito) sono le variabili che
influenzano direttamente la formazione delle preferenze nei processi di consumo culturale. In presenza dei soli
meccanismi di mercato, la distribuzione dei beni culturali sarebbe quindi a favore delle classi sociali caratterizzate da
una più ampia disponibilità economica, in contrasto con la natura meritoria di tali beni.(cfr. Solima L., (1998), La
Gestione Imprenditoriale dei Musei. Percorsi Strategici e Competitivi nel Settore dei Beni Culturali, ed. Cedam,
pag.15)
4
guadagni di efficienza di cui altrimenti il settore pubblico sarebbe incapace. E’
proprio sotto questo aspetto che si svilupperà l’analisi svolta nella presente tesi.
Passando a “l’economia del tempo libero”, questa si occupa delle scelte di
portafoglio del consumatore riguardo un particolare tipo di bene: il leisure, o tempo
libero.
Ogni essere umano, infatti, nel rispetto di vincoli in termini di tempo e reddito,
dedica parte del proprio tempo allo svago, necessario per la salute fisica e mentale di
ognuno.
Le scelte che il consumatore deve fare a proposito sono essenzialmente di due
tipi:
• in primo luogo, la scelta tra tempo libero e tempo di lavoro, al fine del migliore
impiego delle ore disponibili durante la giornata, vale a dire la quantità di tempo
libero;
• in secondo luogo, la scelta tra forme alternative di impiego, avendo a disposizione
una porzione di tempo per leisure durante la giornata, ossia la qualità del tempo
libero.
Tralasciamo il primo punto che non è di nostra competenza e approfondiamo il
secondo. Molte sono le possibilità per il consumatore: stare a casa, leggere un libro,
vedersi con gli amici o con il partner, andare al cinema, ad un concerto, ad un museo
e così via. Ad ognuno di queste si associa un costo, in termini monetari e non, e un
determinato grado di soddisfazione, legato anche ai gusti particolari del consumatore.
In particolare all’interno delle alternative disponibili è possibile individuare
una categoria particolare di leisure goods: l’entertainment. Con questo termine si
indicano tutte quelle attività che hanno la funzione di “intrattenere” (to entertain,
appunto) il consumatore, il quale, in cambio di una porzione del suo reddito e del suo
tempo, si trova ad assistere come spettatore più o meno partecipe ad uno spettacolo
organizzato per il suo svago.
5
La partecipazione, fisica ed emotiva, dipende sia dal tipo di spettacolo -a teatro
non si può salire sul palco a recitare con gli attori- sia dalle caratteristiche del
fruitore. Nel caso di un’opera pittorica, il consumo visivo non ha durata
predeterminata: sono le emozioni, la profondità di lettura, il prolungamento del
piacere estetico dovuto a addiction
5
(dipendenza) provocata dal consumo di
precedenti unità di beni artistici a definire il tempo che si dedica alla contemplazione
di un dipinto. Quindi, più l’osservatore è persona colta ed esperta, meno la
contemplazione, il godimento e il consumo dell’opera è frettolosa e rapida.
Secondo la classificazione fatta dall’ISTAT in un’indagine sul tempo libero
6
,
all’interno della categoria spettacoli, sostanzialmente assimilabile all’entertainment,
possono essere compresi: teatro; cinema; concerti di musica; mostre e musei;
spettacoli sportivi; discoteche. Nel gestire il proprio tempo libero quindi, il
consumatore, una volta che abbia deciso di “essere intrattenuto”, sceglierà, tra le
diverse alternative di spettacolo sopra elencate, quale “acquistare”.
Concludendo l’economia del tempo libero interessa la nostra analisi
principalmente sotto due aspetti: in primo luogo, mette in competizione i musei con
altre forme di intrattenimento, che possono presentare caratteristiche totalmente
differenti dai primi. In secondo luogo, associa alle diverse forme di consumo di
tempo libero, tra cui vanno compresi i musei e le mostre, costi e benefici che
influenzano il consumatore nella sua scelta. Entrambi i punti saranno sviluppati in
seguito.
5
Stigler G.J. e Becker G.S., (1977), “De Gustibus non est Disputandum” in “American Economic Rewiew”, vol. 67,
76-90 pp.
6
ISTAT, (1997), La vita quotidiana nel 1996. Indagine multiscopo sulle famiglie.
6
1. 2 IL MUSEO AZIENDA.
Museo ed azienda sono due delle realtà esistenti all’interno della cultura e
dell’economia e ad esse quindi direttamente riconducibili; sono quasi due loro “figli
naturali” di cui è possibile analizzare il rapporto come è stato fatto per i loro
“genitori”.
Cosa può fare l’economia aziendale per migliorare la gestione dei
musei, aiutandoli a realizzare in modo migliore la loro ragion d’essere,
cioè la conservazione e la trasmissione della memoria ?
È questo l’interrogativo alla base dell’idea del museo azienda. Significa
chiedersi se è possibile che un’appropriata gestione del patrimonio museale possa
produrre, tra effetti diretti ed indiretti, un ammontare di reddito sufficiente per la
gestione dello stesso; verificare se alcuni strumenti, primo tra tutti il marketing,
applicati con successo ad altre realtà, possano, ed eventualmente con quali
accorgimenti, essere trasferiti ai musei; domandarsi se e come la figura del direttore
del museo, tradizionalmente rappresentata da uno storico d’arte, dovrà arricchirsi di
contenuti manageriali; e quali possano essere i gradi di autonomia di direttori e
conservatori rispetto alla dipendenza pubblica, quali i pericoli e l’opportunità di
forme di intervento private.
Per cominciare, “l’economia aziendale ha come oggetto l’azienda (gli aspetti
economici) di quelle società umane (istituti) nella quale è dominante, o comunque
rilevante, l’attività di produzione e/o di consumo di beni economici”
7
, ossia scarsi e
adatti a soddisfare i bisogni delle persone. I bisogni possono essere di tutti i tipi,
inclusi quelli conoscitivi, estetici e sociali. Il museo è un istituto costituito e retto per
finalità eminentemente culturali che, nel suo svolgersi, manifesta rilevanti strutture e
fenomeni di ordine economico.
7
Bernardi B., (1996), Economicità e Gestione del Museo, in Roncaccioli A. (a cura di), L’Azienda Museo. Problemi
economici, gestionali ed organizzativi, ed. Cedam, pag. 25
7
Se “l’azienda è l’ordine economico dell’istituto”
8
, allora il museo azienda è
l’ordine economico dell’istituto museo.
Teoricamente un museo si può configurare come impresa, istituto pubblico o
istituto non profit, implicando comportamenti differenti secondo i casi
9
. Descrivendo
sinteticamente i tre casi, si può osservare quale è maggiormente compatibile con il
museo azienda
1.2.1 L’impresa museo
L’economicità di un’impresa si misura principalmente in relazione alla sua
capacità di remunerare adeguatamente il capitale di rischio: con espressione
ricorrente, ma troppo spesso semplificata, si afferma che l’obbiettivo dell’impresa è il
profitto.
Il comportamento tipico del museo impresa si caratterizzerà dunque per
l’offerta di quelle attività e servizi che possono suscitare l’interesse e il gradimento
dell’utilizzatore, il quale, con la sua presenza, garantisce la continuità
dell’organizzazione.
Basando le sue entrate sul numero di visitatori, il museo “for profit” effettuerà
attente analisi per comprendere l’elasticità della domanda al prezzo dei diversi
segmenti e variare conseguentemente le tariffe (elevate per segmenti che dimostrano
una bassa elasticità al prezzo).
Considerando anche che l’appagamento del pubblico è fondamentale per
mantenere alto il numero dei visitatori, darà grande importanza ai servizi collaterali
(bar, ristorante, bookshop), che oltretutto sono importanti anche sotto il profilo delle
8
Bernardi B., Economicità e…, op. cit., ivi.
9
La seguente distinzione è tratta da: Bagdali S., (1998), Il Museo come Azienda. Management e organizzazione al
servizio della cultura, ed. Etaslibri
8
entrate; per gli orari di apertura cercherà di facilitare al massimo i potenziali utenti,
facendo attenzione che i ricavi aggiuntivi superino i costi di apertura nelle fasce di
minor affluenza. Cercherà di tenere nelle collezioni i pezzi di maggior pregio o,
comunque, quelli più graditi dai segmenti di pubblico disposti a pagare di più. La
funzione educativa risulterà di solito assai ridotta.
Attualmente i musei “for profit” sono molto pochi, portando a pensare che
anche adottando questi comportamenti non si riescano a raggiungere rendimenti
economici soddisfacenti. In realtà molto dipende dal contesto nel quale il museo si
trova ad operare: la tipologia di beni in oggetto, il loro stato di conservazione o la
localizzazione condizionano fortemente le prestazioni economiche dell’istituto. La
scarsa presenza di questo tipo di musei, però, è anche dovuta al fatto che l’impresa
non gode di alcun trattamento fiscale agevolato; inoltre questa forma alienerebbe ogni
contributo di carattere volontario a cui, in presenza di entrate incerte, è rischioso
rinunciare.
Quindi, in presenza di beni che necessitano di ingenti interventi di
conservazione, di una collezione che – anche con un’adeguata promozione – potrebbe
con difficoltà stimolare l’interesse del pubblico in maniera continuativa, situata in un
centro lontano dalle mete del turismo di massa, è difficile che si riescano a soddisfare
le condizioni di economicità senza beneficiare di contributi non legati alle prestazioni
fornite.
Al contrario, nel caso di una collezione in buono stato di conservazione,
localizzata in una città d’arte, che utilizzi moderne strumentazioni in grado, per
esempio, di ridurre il costo del lavoro (telecamere per sorvegliare la sala invece dei
custodi), ma soprattutto gestita in maniera imprenditoriale, in modo da sfruttare le
proprie potenzialità, è molto probabile che possa mantenere nel lungo termine le
condizioni di economicità, basando le proprie entrate sui visitatori e utilizzatori dei
beni e servizi offerti dal museo.