7
ne permette dapprima l’esistenza, quindi la sua permanenza e la sua capacità
di operare per adempiere la mission che si è prefissata. A tale proposito si è
accennato a nuove tecniche e procedure per attingere risorse finanziarie. Si è
quindi affrontato il tema dell’apporto occupazionale (par.4) fornito dal
settore non profit accennando al modo in cui esso possa assorbire nuove
capacità e competenze.
La seconda parte del presente lavoro è stata dedicato alle Fondazioni, al loro
ruolo e peso all’interno del Terzo Settore, iniziando con un excursus storico-
giuridico (cap.4° par.1) dal quale si può dedurre come l’istituto della
fondazione pur attraversando tempi difficili ed avversi abbia dato
dimostrazione di permanenza nel tempo e ultimamente di grande vitalità e di
strumento flessibile da renderla adatta alle molteplici esigenze dei bisogni
sociali, dai più tradizionali a quelli più attuali ed emergenti. Al par.2 si sono
introdotte le Fondazioni americane, in particolare quelle che sono state
modelli per le Fondazioni europee. Su base comparativa si sono descritte le
Fondazioni in Europa con riferimento alle Fondazioni Italiane che sono state
oggetto di analisi nel cap.5. Per ultimo si sono descritti i nuovi soggetti
fondazionali che vanno ad arricchire la famiglia delle fondazioni e che con
le loro potenzialità stanno dimostrando di diventare strumenti di
collaborazione fattiva tra pubblico e privato nel dare una risposta mirata a
problemi di natura sociale trascurati prima d’ora.
Il presente lavoro è volto a dare un ulteriore contributo alla diffusione e alla
conoscenza delle Organizzazioni non profit in generale e delle Fondazioni
in particolare rilevandone l’utilità sociale ed economica nonché culturale,
che costituiscono elementi insostituibili e fondamentali per la crescita della
società civile.
8
PARTE PRIMA
CAPITOLO 1. IL MONDO DEL NON PROFIT
1.1 Problemi definitori
La definizione di non profit, o più scientificamente di not-for-profit, di
derivazione statunitense
1
, non è ritenuta adeguata da diversi studiosi perché
in questo ambito rientrano anche gli enti pubblici. Per questo motivo molti
autori, italiani e non, preferiscono la denominazione di terzo settore
distinguendolo dal primo settore (Stato) e dal secondo settore (Mercato) con
disappunto di Zamagni
2
che sostiene da un lato che lo Stato non è un settore
e dall’altro che la dizione terzo settore è riduttiva in quanto fa intendere una
categoria residuale.
Quando vogliono essere più rigorosi, i ricercatori americani parlano di non-
profit sector in a three sector economy (Weisbrod, 1996) o di non-profit
organizations in a three sector system (Salamon,1992) e queste espressioni
sono senza dubbio più precise anche alla luce del fatto che, negli Stati Uniti,
il non profit rappresenta una specifica categoria giuridica che si identifica
nelle tax-extempt organizations (Clotfelter 1992; Guzzi D.,1995).
In Europa e in Italia il non profit è invece una categoria concettuale che
comprende enti di tipo associativo o cooperativo, fondazioni ed enti
ecclesiastici che non operano in una logica di profitto, è quindi una
categoria fortemente eterogenea per la quale è necessario ricercare e poi
fissare dei tratti comuni fondamentali. A questo proposito la letteratura
economica (Salamon e Anheier,1992)
3
per affermare che un’organizzazione
1
Il termine anglosassone si riferisce alle attività economiche vincolate dal “non distribution
constraint” che le obbliga a non ridistribuire il profitto, salvo alcune eccezioni tassative. Ciò
non significa che non possano produrre profitto , ma che questo profitto non può essere
ridistribuito perché va reinvestito.
2
Zamagni S., Non profit come economia civile, Bologna, Il Mulino, 1998
3
Salamon M., Anheier H.K,,In Search of the Nonprofit Sector: The problem of
Classification , Baltimore, J.Hopkins University Press, 1992
9
ha la natura di non profit, ha individuato le seguenti caratteristiche:
- costituzione formale
- natura giuridica privata
- autogoverno
- assenza di distribuzione di profitti
- presenza di lavoro volontario
Nella realtà italiana, questi criteri , se vengono applicati in modo stringente,
osservano Musella e D’Acunto (1997)
4
, conducono a escludere dal non
profit realtà che svolgono e che hanno svolto un ruolo importante nel
settore, ossia le cooperative sociali e le organizzazioni ecclesiastiche di
solidarietà: le prime perché non rispettano appieno il vincolo di
distribuzione degli utili, le seconde perché mancano del requisito
dell’autogoverno in quanto la loro direzione è nominata dall’autorità
ecclesiastica.
E’ preferibile quindi, sostengono gli autori succitati, fare riferimento alla
classificazione “allargata” di un autorevole giurista, Nicolò Lipari
5
, secondo
la quale appartengono al settore non profit , a pieno titolo:
- Le organizzazioni di volontariato
- Le cooperative sociali
- Le Onlus
- Le ONG (Organizzazioni non governative)
A queste, secondo lo studioso, vanno aggiunte:
- Le Associazioni nazionali e i circoli di cultura cinematografica
- Gli Enti dello spettacolo
- Le Fondazioni liriche
- Le casse previdenziali dei liberi professionisti,
mentre definisce controversa la situazione di:
4
Musella M., D’Acunto , Economia politica del non profit, Giappichelli, Torino, 2000
5
Lipari N., Per una disciplina del terzo settore, Seminario Fivol, Roma, 1996
10
- IPAB
6
- Enti ecclesiastici
- Fondazione Scuola nazionale del Cinema
- Le fondazioni bancarie
Una classificazione diversa ma tenuta in grande considerazione, è quella
internazionale (ICNPO)
7
che riguarda gli ambiti operativi ( Ristuccia,
p.58)
8
. Essa prevede i seguenti 10 gruppi:
- Cultura e ricreazione
- Istruzione e ricerca
- Sanità
- Assistenza sociale
- Ambientalismo
- Promozione dello sviluppo delle comunità locali
- Promozione e tutela dei diritti civili
- Intermediari filantropici e promozione del volontariato
- Attività internazionali
- Organizzazioni imprenditoriali, professionali e sindacali.
Un’ulteriore e interessante classificazione è quella proposta da NETS (New
Employment opportunities in the Third Sector) e sostenuta da Alessandro
Messina in un working paper del 1998. Ai cinque criteri classificatori di
Salamon e Anheier, NETS ha ritenuto opportuno aggiungere tre nuove
caratteristiche per contraddistinguere le organizzazioni non profit.
6
Barbetta ammette le IPAB fra gli enti non profit, nonostante la natura giuridica pubblica
della gran parte di esse, per i seguenti motivi: la possibiltà concessa, per legge, ad alcune di
esse di trasformarsi in enti di diritto privato, per l’elevato grado di autonomia nei confronti
dell’ente pubblico controllante e per il fatto che solo nel 48% dei casi (dati 1996) la
maggioranza dei membri dei consigli di amministrazione è di nomina pubblica ( in Senza
scopo di lucro, p.63-64)
7
Questa classificazione è stata seguita dall’Istat per il 1° Censimento delle Istituzioni
nonprofit relativo all’anno 1999.
8
Ristuccia S., Volontariato e Fondazioni, Maggioli, Rimini, 1996
11
Esse sono:
- indipendenza
- gestione democratica
- produzione di utilità sociale
I tre criteri aggiunti definiscono un insieme di non profit evidentemente più
ristretto rispetto a quello delimitato dai primi cinque ma aiutano a far
emergere una tipologia di organizzazione senza dubbio più aderente alla
realtà italiana. Infatti, l’applicazione di tutti e nove i criteri in questione,
sostiene Messina, “conduce ad una scrematura del settore di tutte quelle
organizzazioni configurabili oramai come para-stato (ad esempio, le IPAB)
o come para-mercato (le cooperative “non sociali”) permettendo di ridurre
l’impatto complessivo degli ambiti di attività in cui è già presente
l’operatore pubblico”. Va anche ricordato che la definizione di NETS ha un
legame con i criteri dettati dal legislatore italiano per l’attribuzione della
qualifica di ONLUS, infatti il decreto 460/97 richiede come elementi
qualificanti proprio la struttura democratica e la produzione di utilità
sociale. Quindi la legge sulle ONLUS avvalora la definizione di NETS che
quindi può essere accolta come un ulteriore e utile strumento di analisi.
Definizioni e classificazioni non si esauriscono qui essendo la fisionomia
del terzo settore ancora in fase di precisazione
9
e quindi soggetta a
modificarsi e a evolversi per rimanere aderente alla realtà. Non si
approfondirà d’altra parte la classificazione giuridica perché non rientra
nell’obiettivo del presente lavoro. Dalla ricognizione empirica e
quantitativa che seguirà si delineeranno con maggiore chiarezza i confini di
questo variegato mondo.
9
All’inizio del 1999 l’Istat ha avviato una riflessione specifica sul problema creando un
focus group sul non profit per sviluppare un sistema classificatorio giungendo a
determinare una griglia che utilizza i concetti di settore di attività economica, nonché le
distinzioni tra market e non market e tra profit e non profit.
12
1.2 Analisi economica delle ragioni di esistenza del non
profit: le teorie prevalenti
1.2.1 La teoria del fallimento di mercato e del fallimento del governo
di Burton Weisbrod
E’ noto che lo Stato o meglio il Welfare State provvede alla fornitura di beni
e servizi che non “riescono” ad avere un mercato in quanto la loro domanda
è indefinita o indefinibile. Si tratta dei c.d. beni e servizi pubblici definiti
non rivali e non escludibili. Si dice al riguardo che c’è fallimento del
mercato. Tra questi beni si annoverano in particolare quelli chiamati beni
meritori. La loro rilevanza è sociale perché sono quelli per cui le condizioni
di accesso da parte dei cittadini sono considerate cruciali per garantire i
diritti di base (sanità, istruzione, previdenza, protezione dell’ambiente). Lo
Stato per essere messo in grado di fornire questi beni o servizi, deve
ricorrere al prelievo coattivo a carico della generalità dei cittadini. La scelta
dei beni collettivi da fornire è determinata dalla consultazione elettorale che
esprime la volontà dell’elettore mediano.
Burton Weisbrod, (1986)
10
sostiene che il suddetto meccanismo di scelta,
decisione e quindi fornitura funziona bene quando e se i cittadini hanno
preferenze sostanzialmente simili o perlomeno sufficientemente omogenee.
Egli osserva però che in una società avanzata e complessa come l’attuale le
scelte dei cittadini tendono ad essere eterogenee per cui ci sono dei gruppi
minoritari che chiedono la fornitura di certi beni collettivi che non viene
realizzata in quanto il decisore pubblico, su indicazione dell’elettore
mediano, soddisfa soltanto i bisogni dei gruppi maggioritari. A questo
proposito, sostiene Weisbrod, la soluzione alla fornitura mancata da parte
dell’ente pubblico di questi beni eterogenei può essere soddisfatta dal
settore non profit il quale in tal modo integra il range di servizi pubblici
10
Weisbrod B., Toward a Theory of the Voluntary Nonprofit Sector in a Three-Sector
Economy, in Economics of Non profit Institutions a cura di Rose-Ackerman S., Oxford UP,
1986 pp.57-84
13
altrimenti incompleto. In questo modo Weisbrod intende avvalorare la tesi
che l’esistenza del non profit è ascrivibile al fallimento del Governo
(government failure).
Per quanto attiene alla produzione e alla fornitura di questi beni o servizi
collettivi “minoritari”, il non profit ha evidentemente il medesimo problema
che ha lo Stato, ossia quello del finanziamento. Orbene, secondo Weisbrod,
le NPO sono in tal senso avvantaggiate (vantaggio comparato) dalla
possibilità di approvvigionarsi di contributi in beni o di lavoro
rispettivamente in forma gratuita e parzialmente volontaria.
In questo modo l’esistenza del non profit come fornitore di beni pubblici, in
particolare meritori, è giustificata da un lato, dall’offerta del settore
pubblico incapace a soddisfare l’intera domanda e dall’altro dal fallimento
del mercato incapace in grado di garantire l’ottimo sociale.
14
1.2.2 La teoria delle asimmetrie informative e il divieto di
distribuzione degli utili di Henry Hansmann
Gli enti non profit non avendo scopo di lucro da un lato soggiacciono al
divieto di distribuzione degli utili e dall’altro dal diritto di avvalersi di
apporto di capitale e di prestazioni volontarie gratuiti. Su questi due aspetti
si articola la teoria di Hansmann per dimostrare il vantaggio comparato del
non profit rispetto al for profit.
Il ragionamento di Hansmann (1986)
11
parte dalla constatazione
dell’esistenza di asimmetria informativa tra i donatori e i gestori dei beni o
servizi. In altre parole “ i consumatori potrebbero desiderare di contribuire
con donazioni o lavoro volontario alla produzione del bene pubblico, ma
potrebbero temere che l’organizzazione produttiva cui essi conferiscono i
loro apporti li utilizzi, non per produrre quantità addizionali del bene, bensì
per lucrare profitti addizionali”
12
. (Musella, D’Acunto, Economia Politica
del non profit, p.14) Questa eventualità, sostiene Hansmann è esclusa perché
“a nonprofit organization is barred from distributing its net earnings, if any,
to individuals who exercise control over it, such as members, officers,
directors, or trustees” (1986), ovvero il divieto giuridico di distribuzione
degli utili è un deterrente sufficiente per l’autore a rassicurare i donatori
sull’efficienza della transazione.
Una seconda asimmetria informativa consiste nella difficoltà da parte dei
consumatori della valutazione qualitativa della produzione di servizi alla
persona (problema di fiducia). In questo caso la preferenza di Hansmann a
favore dell’ente non profit viene rafforzata dal ragionamento che gli
amministratori non hanno interesse a non scegliere beni di bassa qualità in
quanto la loro remunerazione non è legata ai risultati economici
11
Hansmann Henry, Economic Theories of Nonprofit organization in Powell Walter W. (a
cura di), The Nonprofit Sector: A Research Handbook, Yale, Yale University Press, 1986,
pp. 28 e segg.
12
Musella M., D’Acunto S., Economia Politica del non profit, p.14
15
dell’impresa . E’ perciò realistico supporre che il servizio offerto dall’ente
non profit sia di qualità o comunque migliore di quello offerto da un ente for
profit.
1.2.3 La teoria dell’integrazione verticale (di produzione e consumo)
di Avner Ben-Ner
Molti studiosi hanno messo in dubbio che il divieto di non distribuzione
degli utili sia sufficiente a impedire comportamento opportunistici da parte
degli amministratori i quali potrebbero aggirare il divieto “pagando salari
inflazionati o contratti di fornitura opportunamente gonfiati” (Musella,
D’Acunto, p.20) o “ricorrendo a forme di distribuzione nascoste o a
sussidiazione incrociata”
13
. Per queste ragioni si sono venute sviluppando
teorie alternative sul vantaggio comparato di cui godrebbe il non profit. Al
riguardo Ben-Ner (1986)
14
analizza il caso di un bene o servizio escludibile,
non rivale, di difficile valutazione qualitativa e prospetta due soluzioni al
gap informativo dei consumatori : la prima , monitoraggio continuo sulla
qualità del bene o servizio fornito , la seconda, assunzione diretta del
controllo di produzione. Il monitoraggio, come è intuitivo, può eccedere nei
costi in modo tale da scoraggiarne l’adozione per cui Ben-Ner ipotizza che i
donatori assumano il controllo della produzione. In questo modo
l’asimmetria informativa viene meno in quanto le figure dei produttori e dei
consumatori vengono a coincidere ed è anche superato evidentemente il
problema della fiducia. In realtà il modello prospettato ha un campo di
applicazione ristretto poiché il controllo della produzione può realizzarsi nel
concreto solo per enti di piccole dimensioni in cui i soci costituiti da gruppi
13
Angeloni Laura, L’analisi economica e le organizzazioni non-profit: alcuni riferimenti
concettuali, in Non profit e sistemi di Welfare, Roma, NIS, 1996 p.169
14
Ben-Ner Avner, Nonprofit Institutions. Why do they exist in Market Economics, in Rose-
Ackerman S., The Economy of Nonprofit Institutions, New York, Oxford University Press,
1986
16
molto omogenei sono anche consumatori: è il caso questo delle cooperative
di consumo. Per organizzazioni di grandi dimensioni, e questo è il limite
della teoria di Ben-Ner, i costi di amministrazione e controllo sarebbero
talmente alti da risultare non sopportabili.
1.2.4 La teoria dell’interdipendenza di Lester M. Salamon
15
Le teorie del fallimento del governo e del fallimento del mercato non
rendono piena giustizia al ruolo del settore non profit in quanto basandosi
sulla supplenza di questo allo Stato negherebbero l’esistenza di
collaborazione tra governo e non profit” (Salamon,p.36). Salamon vede
invece una correlazione positiva tra la forte crescita del non profit e la
contemporanea espansione del Welfare State tra il 1950 e il 1980 negli Stati
Uniti e ciò dimostra che il Governo Federale ha incoraggiato una crescente
rete di alleanza tra il settore pubblico e il settore privato non-profit .
La teoria alternativa di Salamon è la seguente: il Governo non è la risposta
tipica al fallimento del mercato nella provvista di beni collettivi e le
istituzioni non profit non sono istituzioni sorte in seguito a fallimenti del
Governo. Al contrario, le organizzazioni non profit sono il meccanismo
primario di risposta del fallimento del mercato mentre il Governo
interviene quando esse incontrano dei limiti. In sintesi Salamon condivide
con Weisbrod e Hansmann l’assunto fondamentale che il ruolo del non
profit è di affrontare e risolvere il problema del fallimento di mercato.
Salamon, rispetto a Weisbrod e Hansmann, sposta però le posizioni del
governo e del settore sociale invertendone l’ordine:
15
Salamon L.M., Partners in Public Service:Government-Nonprofit Relations in the
Modern Welfare State, Baltimore, John Hopkins University Press, 1995