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Se osserviamo da vicino la natura di tali realtà informative,
noteremo sostanziali differenze che la supposta dimensione
pedagogica appartenente al Centro Informagiovani sembra
giustificare. È difatti questa, la dimensione pedagogica implicita,
che fa dell’Informagiovani un servizio che trascende la semplice
diffusione informativa e che gli consente di non correre il rischio di
vedersi assimilare a tali servizi. La tesi tenterà di fugare quei dubbi
che molti scettici formuleranno sentendo parlare di un servizio
informativo come di un servizio pedagogico; qual è lo spessore da
ricercare? Dove si colloca? In quali aspetti dell’Informagiovani è
possibile individuare un dispositivo pedagogico? La tesi vuole essere
anche una guida per chi come me lavora in realtà di questo
genere perché, mostrandone la valenza educativa, si possa dotare
queste professionalità di strumenti in grado di governare le
dinamiche riduttive cui una valutazione errata del servizio può
facilmente condurre.
La tesi si articolerà nel seguente modo.
La parte prima è volta ad offrire una panoramica di quella che è la
situazione nella quale oggi viviamo rispetto al tema
dell’informazione. Vista la complessità e la vastità dell’argomento
mi concentrerò soprattutto sulla questione altrettanto importante
del diritto all’informazione e della reperibilità delle informazioni da
parte del singolo, domandandomi se davvero oggigiorno la ricerca
dell’informazione è alla portata di tutti.
A tal proposito nella trattazione del capitolo eleggerò
l’Informagiovani a “strumento–bussola” volto ad aiutare il singolo a
navigare – per usare un termine caro al mondo dell’informazione di
questo secolo – nell’oceano della “micro-informazione”.
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Una micro-informazione oggi appannaggio di quei servizi
meramente di “largo consumo” e di apparente facile consultazione
quali portali, banche dati ecc…che nel capitolo saranno presi in
considerazione – ma non trattati nello specifico – e concorreranno
insieme al servizio Informagiovani a definire una pedagogia
dell’informazione.
Con la parte seconda arriviamo al cuore della tesi. Oggetto di
studio è il Centro Informagiovani: ne analizzerò le origini, la
diffusione in Europa e in Italia, i principi e i fondamenti teorici, gli
obiettivi e i criteri di qualità e la dinamica che è alla base della
creazione di un progetto Informagiovani. Si tratta di un capitolo
puramente tecnico, ma senza il quale al lettore non sarebbe
consentito comprendere pienamente la realtà del servizio e ancora
meno ipotizzarne un legame con il pedagogico.
La terza ed ultima parte appunto individua gli aspetti del servizio
che si possono ricondurre ad una dimensione educativa. In
particolare, per far emergere il latente, ho scelto di portare un
esempio di richiesta di informazione specifica: la ricerca del lavoro.
Un settore di cui l’Informagiovani si è da sempre occupato e su cui
ha fondato il proprio impegno sociale e professionale.
Come viene condotta, in termini di colloquio, questa ricerca per e
con l’utente, l’analisi dei suoi bisogni, la relazione di vincolo e
possibilità che instaura con l’operatore e la percezione del ruolo di
quest’ultimo indagato tramite interviste che proporrò agli operatori,
saranno oggetto di questo capitolo. In questo senso vorrei
sottoporre al lettore le differenti punteggiature con le quali i vari
attori attraversano l’organizzazione Informagiovani, scandagliare i
“nodi di senso” di coloro che abitano questo luogo tenendo ben
presente il diverso significato di attraversare e abitare. Noi
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attraversiamo regolarmente, nella quotidianità, molti luoghi dove è
predisposta una organizzazione, ma ne abitiamo pochi: quelli dove
agiamo la nostra vita professionale sono luoghi abitati, quelli dove
ci rechiamo solo per pochi attimi o momenti, saltuariamente, sono
quelli che attraversiamo. Da questa differenza possiamo quindi
prendere le mosse per ragionare ampiamente su coloro che
vengono per ricevere un servizio e coloro che lo danno, sul come lo
si offre e il come si riceve.
Parte prima
Il mondo dell’informazione
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1.
Premessa
Decidere di affrontare il tema dell’informazione significa affrontare
in termini di analisi critica gli ultimi secoli della società occidentale e
trarne degli spunti di riflessione. Il compito appare immediatamente
arduo ed è quindi bene precisare che questo capitolo non vuole
avere la pretesa di individuare nuove teorie o analisi sociologiche
rispetto al tema informazione. L’argomento è vasto e articolato e
proprio per non cadere nella banalità dei discorsi tentando la
strada della sintesi di tutto quello che il tema informazione richiama
alla nostra mente, scelgo l’analisi di una prospettiva consapevole di
“operare un taglio” nel riportare un punto di vista parziale,
soggettivo. Del resto, ogni volta che si scrive, si guarda, si osserva, si
operano “distinzioni”che aiutano l’individuo a conoscere il mondo
dal proprio punto di vista, a partire dai propri pregiudizi. Ognuno di
noi ha cioè un suo modo di “punteggiare” la realtà che vive, che
riconduce alla sua esperienza di vita, al suo contesto, alla sua
formazione, al suo ambiente. Il trucco o la magia sta nel tenere
insieme queste diverse punteggiature in una cornice più ampia.
Forse questa è la sfida più grande? Possiamo, da educatori, non
coglierla?
Se proviamo ad immaginare il mondo dell’informazione come un
poliedro tridimensionale ci accorgeremo ben presto che
pretendere una visuale piena dall’alto significa automaticamente
limitarne l’orizzonte della percezione perché non ne vedremmo che
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una facciata. Al contrario, se umilmente ci avviciniamo dal basso e
spiamo in una delle facciate del nostro poliedro, non solo vedremo
la parte da cui siamo stati attratti, ma anche porzioni di pareti che
mai ci saremmo aspettati di poter vedere.
Cos’è l’informazione? Porre la questione in questo modo significa
darne una definizione da manuale o farne la storia dalla nascita ai
giorni nostri. Ma da dove partirebbe una storia dell’informazione?
Chi direbbe dal 1300, chi dal 1400, chi ancora dal 1500 e via di
seguito in un infinita polemica sull’origine dell’informazione. Ma non
è forse da prima ancora? I segni lasciati dai nostri antenati
preistorici in grotte e caverne, oltre ad essere raffigurazioni
rappresentanti momenti della loro vita quotidiana, non sono forse
anche tracce di informazioni? Dunque parlare di informazione
significa, a mio avviso, parlare della storia dell’umanità e una
miriade di studiosi e intellettuali se ne sono occupati nei secoli in
maniera esaustiva. Ma, se tutto è informazione da dove partire,
cosa affrontare? Informazione oggi è: giornali, televisione, internet,
libri, scuola, università, banche dati, ricerche, cellulari, palmari di
nuova generazione ecc….
L’obiettivo di questo capitolo diventa allora la trattazione di un
aspetto del mondo dell’informazione, uno degli aspetti critici: la
quantità delle informazioni e la difficoltà per il comune cittadino di
estrarne gli elementi utili al suo vivere quotidiano, districandosi dal
gigantesco calderone di informazioni irrilevanti nel quale è immerso.
Nel tentativo di affrontare questo aspetto della questione mi è
sembrato utile fare dei distinguo parlando di “macro-informazione”
in cui secondo me rientrano i grandi mezzi comunicativi, quali
appunto mass media e internet e “micro-informazione” nella cui
definizione si riproduce tutto il mondo dell’informazione, ma a
10
misura d’uomo. Diventa infatti importante sottolineare come l’uomo
di tutti i giorni, quello per intenderci con un nome e un cognome,
sia in difficoltà. Non solo in relazione alla macro informazione, nella
quale orientarsi, o meglio districarsi e, impresa ancora più ardua,
sviluppare una capacità critica risultano un privilegio per pochi
eletti; ma è soprattutto nella micro-informazione che il nostro uomo
comune esprime pienamente il suo senso di smarrimento.
È di fronte ad un mondo informativo così fatto che molte persone
non sono più in grado di decifrare, di leggere e quindi di servirsene
secondo i propri scopi, necessità, bisogni. L’uomo comune si chiude
in se stesso quando invece, in apparenza, un livello così alto di
comunicatività determinato dalla quantità di informazioni che
viaggiano dovrebbe spingere il nostro soggetto ad aprirsi al mondo.
Al contrario, il nostro uomo appare inibito, spiazzato.
Per sopravvivere, per continuare a mantenere una sua identità, per
non soccombere di fronte all’incalzare di sistemi che gli promettono
l’informazione al minor sforzo possibile è costretto a rinunciare
all’informazione stessa, e a quale prezzo?
Vorrei introdurre un dubbio, a questo punto: l’informazione è così
essenziale per la vita elle persone? O meglio, questa informazione,
interessa,coinvolge, appassiona, serve ai cittadini? È un dubbio tra i
tanti che abitano la società del nostro tempo e che nasce dagli
stessi paradossi che l’attraversano.
Fine ultimo di questo capitolo non è demonizzare il mondo della
micro-informazione, inversamente, lo scopo è quello di smitizzarlo
mostrando come è possibile individuare una bussola per orientarsi
secondo una filosofia dell’informazione che ho definito “pedagogia
dell’informazione” e di cui l’Informagiovani può essere considerato,
in questo senso, un buon prodotto.
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2.
Riflessione sul mondo dell’informazione.
Il rischio di overdose
Sempre di più oggi intellettuali e studiosi della materia tendono a
trattare il tema “informazione” non più in termini ottimistici, quanto
piuttosto cominciando a intravederne gli effetti, non propriamente
positivi, sull’uomo e sulla società. In effetti parlare di negatività
appare un controsenso poiché sono indubbi l’utilità e il progresso
che l’informazione ha portato nelle nostre vite ed in particolare i
mezzi tecnologici attraverso cui essa si diffonde.
Eppure, negli ultimi anni, analisi sociologiche e ricerche scientifiche
in ogni campo dei saperi dell’uomo hanno riscontrato l’emergere di
precisi disagi sociali, cognitivi e di apprendimento, per non parlare
di vere e proprie dipendenze patologiche prodotte dagli strumenti
dell’informazione, imputabili all’esposizione ad un flusso informativo
sempre più crescente e alla incapacità di trovare a queste masse
di dati una sistemazione di senso all’interno del proprio “mondo
cognitivo”. Inoltre, e lo accenniamo appena, questi strumenti e la
nuova modalità comunicativa mediatici sembra fare a pezzi le
“relazioni corporee” di molti: pensiamo solo alle dimensioni ormai
rilevanti delle comunità virtuali dove masse di individui di ogni età,
sesso, condizione sociale si ritrovano per svariate ore dietro un
monitor, a conversare, chattare con altri/e sconosciuti. Ancora,
pensiamo solo “alla spesa con un click” dove si rinuncia anche ad
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uscire di casa, con tutte le conseguenze del caso, non ultimo il ritiro
dal sociale, dal conflitto, dalle relazioni.
Come si è arrivati a ciò, a pensare cioè che l’informazione, che
sembrava essere stato eletta a strumento principe per il
raggiungimento del progresso della conoscenza umana,
individuale, nonché lavorativa, sia invece artefice di ciò che in
termini tecnici è definita ansia da informazione o overdose
cognitiva? In effetti da sempre il termine informazione ha avuto un
significato ambiguo, potendosi attribuire arbitrariamente a molti
concetti. Secondo il dizionario della lingua italiana
1
tale vocabolo
trova la sua radice etimologica nella parola latina informare, cioè
dare forma alla materia. Con questo significato questa parola è
entrata a far parte della nostra lingua secondo la definizione:
“l’azione del formare; formare o plasmare la mente o il carattere;
preparare; istruire; insegnare; comunicare cultura”. Questa
definizione è rimasta pressoché inalterata fino agli anni
immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, allorché
si cominciò ad utilizzare il termine informazione come vocabolo
tecnico adatto a definire qualsiasi cosa trasmessa attraverso un
canale elettrico, meccanico o cartaceo.
Ma, almeno fino agli anni trenta del XIX secolo, non possiamo
parlare di mass media. C’erano si alcuni quotidiani, ma venivano
venduti solo per abbonamento e si rivolgevano, di conseguenza, a
un’élite, della quale riflettevano i gusti e gli interessi.
Solo intorno al 1830 i primi veri esempi di mass media fecero la loro
apparizione nelle grandi metropoli della East Coast americana.
Comparvero così i primi esempi di penny-press, giornali da un
1
Nicola Zingarelli, Il nuovo Zingarelli. Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli,
Bologna, 1984, p. 939
13
penny che venivano venduti per strada, al numero, e che si
rivolgevano ad un pubblico di massa con toni e argomenti diversi
da quelli adottati dai vecchi quotidiani, molto più vicini a quelli che
caratterizzano tuttora i mass-media di tutto il mondo.
L’avvento della penny-press fu soprattutto il frutto di spinte
economiche e sociali, come la democratizzazione della vita
politica, lo sviluppo del capitalismo e dell’economia di mercato,
l’urbanizzazione e l’ascesa delle classi medie, l’alfabetizzazione di
massa
2
. Tutti questi elementi concorsero a rendere possibile lo
sviluppo dei primi mass-media ma nel contempo esautorarono
sempre più il termine informazione del suo significato pedagogico: il
dare forma viene dunque meno. Improvvisamente questo termine
sembra designare cose che non devono necessariamente “in-
formare”; è altresì utilizzato per indicare qualcosa che viene detto o
comunicato indipendentemente da un possibile significato per il
destinatario. Ma è proprio la libertà generata da una definizione
così vaga come è appunto quella descritta che ne ha, com’è
logico, incoraggiato un uso indiscriminato. È diventata la parola più
importante del nostro secolo, la linfa vitale del nostro quotidiano e
del nostro lavoro e questo anche a causa della sua diffusione e
moltiplicazione su scala globale, nonché dell’accelerazione dello
sviluppo dei mezzi predisposti a diffonderla.
Per centinaia d’anni la produzione d’informazione è andata
aumentando gradatamente. Poi, negli anni Cinquanta, l’avvento
della tecnologia ha reso possibile raccogliere le informazioni in
tempo reale. Ciò, insieme al maggior numero di persone impiegate
nella produzione e nell’elaborazione dei dati, nonché ai costi di
2
L’analisi del percorso storico è stata tratta dal testo di Giuliano Da Empoli,
Overdose. La società dell’informazione eccessiva,Marsilio 2002.
14
raccolta decisamente più contenuti, ha determinato il ritmo
vertiginoso con cui le informazioni vengono fornite.
Attualmente il totale delle informazioni disponibili raddoppia ogni
cinque anni, fra non molto questo quantitativo raddoppierà ogni
quattro anni. Il numero dei libri nelle principali biblioteche, sempre
per rimanere in tema di cifre, raddoppia ogni quattordici anni
rendendo più significativa l’espressione “tenersi al passo con la
lettura”. Ma di che informazioni parliamo? Sebbene questa parola
abbia perso il suo senso pedagogico, la sua accezione originaria e
letterale, è ancora possibile una distinzione, una categorizzazione di
ciò che il termine informazione implica? Rimanere nel generico
quando questo termine indica più o meno il mondo tout court pare
la cosa più semplice da fare, ma è utile tentare comunque una
chiarificazione di “informazione”.
Già nella premessa del capitolo ho realizzato una precisa
distinzione parlando di “macro-informazione” in cui secondo me
rientrano i grandi mezzi comunicativi, quali appunto mass media,
internet e tutti i mezzi prodotti dalla nuova tecnologia informatica e
“micro-informazione” nella cui definizione si riproduce tutto il mondo
dell’informazione, ma a misura d’uomo.
Nel contempo ho molto apprezzato la sicura e rassicurante
classificazione operata da Richard Saul Wurman
3
. In effetti questo
architetto dell’informazione parla di come ci troviamo ad essere
tutti circondati da informazioni che incidono sulla nostra vita a gradi
diversi di immediatezza. Questi gradi possono essere
approssimativamente suddivisi in cinque cerchi.
3
Richard Saul Wurman, Information Anxiety, trad. it. L’ansia da informazione,
Leonardo, Milano, 1991.