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La gamma dei meccanismi di difesa messi in atto dall’Io ha sempre
costituito un così importante campo di studio in psicoanalisi.
Implicito in tutte le formulazioni è il fatto che la difesa può assumere in
alcune circostanze un carattere disadattivo e condurre così alla formazione di
sintomi. Ciò è tanto più probabile quanto più primitivi sono i meccanismi di
difesa che vengono riattivati nella regressione o che rimangono sempre attivi
a causa di un arresto evolutivo in corrispondenza di “punti di fissazione”
precoci. Queste idee derivano da Freud, ma sono anche i fondamenti
concettuali del modello kleiniano.
Anche la Klein ha contribuito in particolar modo ad ampliare la
conoscenza dei meccanismi di difesa – quali si manifestavano in tutta la loro
forza nei pazienti psicotici – a partire dal suo modo di elaborare il materiale
clinico. Rispetto a Freud, essa (1946) ha messo in evidenza tutto un nuovo
spettro di difese, come la scissione dell’oggetto, l’identificazione proiettiva, il
controllo onnipotente sugli oggetti, l’idealizzazione e la svalutazione.
Di recente alcuni autori hanno entusiasticamente paragonato
l’importanza della “scoperta” kleiniana dell’identificazione proiettiva con la
scoperta della gravità o della selezione naturale (Bateman e Holmes, 1995).
L’identificazione proiettiva è senza dubbio un argomento tanto importante
quanto complesso, vuoi perché presenta difficoltà intrinseche, vuoi perché il
termine che lo definisce può risultare fuorviante, sia per il suo ruolo nello
sviluppo psichico, che per la sua rilevanza nella clinica delle psicosi.
La funzione svolta dal kleinismo nella teoria post-freudiana si lega
essenzialmente alla ricerca teorica e clinica sulla patologia psicotica – oltre
che, per quanto concerne la tecnica, all’analisi dei bambini. Le osservazioni
della Klein sulle difese primitive, la descrizione delle angosce e delle fantasie
6
primitive costituiscono l’articolazione teorica di un vasto materiale clinico
che concerne essenzialmente la psicosi.
In modo particolare, Melanie Klein ha minutamente descritto
meccanismi di difesa precedenti l’instaurarsi della rimozione. Al centro del
pensiero kleiniano troviamo la preminenza di meccanismi difensivi primitivi
che possono influire sulla qualità finale della rimozione.
A partire da queste premesse la nostra indagine si propone di illustrare
il significato che il concetto di rimozione e le sue implicazioni teoriche
vengono ad assumere in ambito psicoanalitico all’interno del sistema
freudiano e kleiniano, nonché di dimostrare l’importanza che esso svolge
nella vita psichica, nel suo ruolo primario di attività rimotiva difensiva.
Osserveremo i processi alla base del meccanismo della rimozione,
descrivendo come esso avvenga, all’interno di un modello esplicativo secondo
cui “l’amnesia non appare più il risultato passivo di una sottrazione di
energia, ma un processo attivo, in cui una barriera energetica viene opposta
alla libera circolazione del ricordo” (S. Vegetti Finzi, 1986, p. 47).
In riferimento a Freud l’operazione della rimozione sarà considerata
secondo i tre punti di vista della metapsicologia freudiana:
a) Dal punto di vista topico, vedremo come la nozione di rimozione,
colta alla sua origine, appaia subito come correlata a quella di inconscio (il
termine “rimosso” sarà a lungo per Freud, fino alla formulazione dell’idea di
difese inconsce dell’Io, sinonimo di inconscio) e come essa costituisca un
lavoro psichico al quale si oppone il lavoro analitico.
b) Dal punto di vista economico, approfondiremo in termini
quantitativi quei processi economici pulsionali di disinvestimento,
reinvestimento e controinvestimento che costituiscono il supporto dell’attività
difensiva rimotiva.
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c) Dal punto di vista dinamico, il problema principale è quello dei
motivi della rimozione. Esamineremo il movente pulsionale alla base della
rimozione e il meccanismo per cui una pulsione possa suscitare un dispiacere
tale da provocare l’operazione della rimozione.
Passeremo poi a considerare gli sviluppi del concetto di rimozione nel
modello kleiniano, tenendo conto degli aspetti continuativi e allo stesso tempo
di quelli estremamente innovativi rispetto alla psicoanalisi classica freudiana,
ed osservando l’enorme contributo apportato dalla prospettiva kleiniana e
dalle implicazioni derivate dall’analisi diretta dell’infanzia nell’ambito dello
sviluppo psicopatologico.
Infine dedicheremo un capitolo conclusivo ad un discorso critico circa
gli sviluppi che il concetto di rimozione ha conseguito e il significato che esso
viene ad assumere tutt’oggi nell’ambito della psicoanalisi contemporanea, e
della psicologia in generale.
Dopo Freud c’è stato molto fermento in seno alla psicoanalisi. Uno
degli aspetti principali di questo fermento è stata la particolare attenzione alle
relazioni oggettuali e al concetto di Sé. Essa è stata in parte collegata
all’emergente interesse per gli stati psicotici e i disturbi della personalità
borderline, ed è stata stimolata anche dalle teorizzazioni di Lacan, Bergeret,
Federn, Green, Kluft, Perry e Cooper, e dagli studi pionieristici di Kohut e
Kernberg, nonché da una generale insoddisfazione per taluni aspetti della
teoria psicoanalitica (per esempio Grünbaum, Stolorow, G. S. Klein).
In seguito a queste nuove teorizzazioni e scoperte, che mettono in
questione alcune ipotesi di base della teoria freudiana tradizionale, il concetto
di rimozione, insieme a quello, più generico, di difesa si è profondamente
trasformato dai tempi delle prime formulazioni freudiane.
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Rimane il fatto che, nonostante i radicali cambiamenti, il concetto
freudiano portante di rimozione resta al centro della riflessione teorica e della
pratica clinica contemporanee, anche quando esso costituisca il punto di
partenza verso nuove prospettive.
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1 SIGMUND FREUD:
LE ORIGINI DEL CONCETTO DI RIMOZIONE
“Per la rimozione, la quale rende inaccessibile e contemporaneamente conserva qualche cosa di
psichico, non vi è in realtà analogia migliore del destino subìto da Pompei, che è stata sepolta ed è
ritornata alla luce ad opera della vanga” (SIGMUND FREUD, 1906, Gradiva)
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1.1 IL CONCETTO DI RIMOZIONE
In termini generali il concetto di rimozione nelle teoria
psicoanalitica rappresenta il processo nel quale un desiderio o una
rappresentazione pulsionale sono tenuti fuori dalla coscienza, in quanto
inaccettabili, da istanze contrarie che vi si oppongono. Di qui il termine
rimosso per indicare appunto il contenuto soggetto a rimozione.
Come riportato da Laplanche e Pontalis nella loro “Enciclopedia
della psicoanalisi” (1967), al termine rimozione corrispondono
essenzialmente due significati: il primo più specifico, e il secondo più
generico.
“Nel senso proprio” la rimozione costituisce una “operazione con
cui il soggetto cerca di respingere o di mantenere nell’inconscio
rappresentazioni (pensieri, immagini, ricordi) legate a una pulsione. La
rimozione si attua nei casi in cui il soddisfacimento di una pulsione – atta
di per sé a procurare piacere – rischierebbe di provocare del dispiacere
rispetto ad altre esigenze”. (Laplanche e Pontalis, 1967, tomo secondo, p.
547). In questo senso la rimozione è considerata nella sua accezione
principale, come processo nel quale rappresentazioni pulsionali sono
respinte nell’inconscio da una forza contraria che si oppone all’energia
dell’impulso, e che sta alla base della costituzione dell’inconscio come
contenitore di rappresentazioni rimosse, e in quanto nucleo psichico
separato dalla coscienza.
“In un senso più vago: il termine rimozione è talora assunto da
Freud in una accezione che lo avvicina a quello di difesa, da un lato in
quanto l’operazione della rimozione intesa nel senso proprio si incontra
almeno come una fase in numerosi processi difensivi complessi,
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dall’altro in quanto il modello teorico della rimozione è utilizzato da
Freud come prototipo di altre operazioni difensive” (ivi, p. 547). In
Inibizione, sintomo e angoscia (1925) Freud propone di recuperare il
concetto di “difesa” e di includere la rimozione, con altri meccanismi,
all’interno del concetto più ampio di difesa: “il termine «difesa»
indicherebbe la tendenza più generale, la rimozione invece soltanto uno
dei meccanismi di cui la difesa si serve” (S. Cesario, 1982, p. 157). Qui
al termine rimozione viene a corrispondere il significato più specifico di
meccanismo di difesa principale, ovvero essa viene fatta rientrare tra i
meccanismi difensivi messi in atto a livello inconscio per proteggere l’Io
da pulsioni e pensieri inaccettabili, negando a questi accesso alla
coscienza.
Va però tenuto presente che “Freud, proprio nello scritto in
questione, conserva una certa ambiguità e oscillazione nell’uso dei due
termini” (ivi, p. 157) della rimozione e della difesa.
In realtà le concezioni di Freud sul problema del rapporto tra
rimozione e difesa subiscono una continua evoluzione nel tempo. A
proposito di tale evoluzione, facciamo nostre le osservazioni di
Laplanche e Pontalis (1967), secondo cui gli autori distinguono
essenzialmente due periodi, in ciascuno dei quali Freud specifica il
rapporto tra i due termini, e in cui ritroviamo le stesse due diverse
accezioni di cui sopra.
Un primo periodo comprende gli studi antecedenti alla
pubblicazione de L’interpretazione dei sogni (Freud, 1900), periodo in
cui i termini rimozione e difesa si trovano usati con la stessa frequenza,
ma con significati diversi. Sulla base della successiva testimonianza di
Freud, possiamo confermare che la rimozione a quel tempo non era il
12
solo modo di difesa conosciuto. Ciò è confermato dal fatto che “Freud
specifica in questa epoca le diverse psiconevrosi in base a modi di difesa
nettamente diversi tra cui egli non fa rientrare la rimozione; per esempio,
nei testi sulle neuropsicosi da difesa (1894 – 1896), il meccanismo di
difesa dell’isteria è la conversione, quello della nevrosi ossessiva la
trasposizione o lo spostamento dell’affetto, mentre nella psicosi Freud
considera meccanismi quali la reiezione della rappresentazione e
dell’affetto o la proiezione” (Laplanche e Pontalis, 1967, tomo secondo,
p. 548). Sebbene il termine rimozione conservi sempre una certa
parentela con il meccanismo di difesa, e Freud lo faccia rientrare nella
categoria dei meccanismi difensivi conosciuti, “il termine rimozione è”
comunque “usato per designare la sorte delle rappresentazioni tagliate
fuori dalla coscienza, che costituiscono il nucleo di un gruppo psichico
separato” (ivi, p. 548), e quindi all’origine della formazione
dell’inconscio. E poiché tale processo si ritrova sia nella nevrosi
ossessiva che nell’isteria, ne possiamo dedurre che la rimozione, sebbene
sia particolarmente manifesta nell’isteria, svolge un ruolo importante
anche nelle altre affezioni mentali, come pure nella psicologia normale.
Essa dunque, lungi dall’essere un modo di difesa specifico dell’isteria,
“può essere considerata come processo psichico universale in quanto
sarebbe all’origine della costituzione dell’inconscio come campo
separato dal resto dello psichismo” (ivi, p. 547). “Se la rimozione”
dunque “è presente universalmente nelle varie affezioni e non specifica,
in quanto meccanismo di difesa particolare, l’isteria, ciò è dovuto al fatto
che le diverse psiconevrosi implicano tutte un inconscio separato che è
istituito appunto dalla rimozione” (ivi, p. 548).
13
In un secondo periodo, comprendente le opere successive al 1900,
il termine difesa si trova usato meno frequentemente da Freud, e
conserva lo stesso significato generico, indicante una tendenza generale.
Freud parla di “meccanismi di difesa”, di “lotta difensiva”, ecc. Quanto
al termine rimozione, esso continua a connettere il massimo di specificità
con il massimo di generalità, in quanto volto a designare “l’insieme delle
tecniche difensive utilizzate per affrontare il conflitto psichico” (ivi, p.
548). Fondamentalmente, la nozione di rimozione conserva la stessa
accezione di processo in cui un desiderio o una rappresentazione
pulsionale sono respinti nell’inconscio, in quanto “…la sua essenza
consiste semplicemente nell’espellere e nel tener lontano qualcosa dalla
coscienza” (Freud, 1915, p. 55). Tuttavia la rimozione è talora
considerata da Freud come “un meccanismo di difesa particolare o
piuttosto come un destino pulsionale suscettibile di essere utilizzato
come difesa” (Laplanche e Pontalis, 1967, tomo secondo, p. 549). Come
processo difensivo essa svolge un ruolo prevalente nell’isteria, e, anche
se essa non perde mai la sua accezione universale, rimane il fatto che
essa costituisce comunque una specie di prototipo per altre operazioni
difensive. Detto questo sarebbe erroneo considerare che “la rimozione sia
descritta in varie nevrosi per inferirne che rimozione equivale ormai a
difesa: essa è ritrovata in ogni affezione come una delle fasi
dell’operazione difensiva, e ciò nella sua accezione ben precisa di
rimozione nell’inconscio”(ivi, p. 549).
Come abbiamo modo di notare, l’impossibilità di trovare una
definizione univoca del termine rimozione, questo suo essere sempre al
limite tra un meccanismo difensivo particolare e un processo psichico
universale, ci porta ad una “confusione che non è allora soltanto
14
terminologica, ma conduce a difficoltà di fondo” (ivi, p. 549). In realtà le
due accezioni, lontane dall’essere tra loro in opposizione, contribuiscono
entrambe a dare della rimozione un’ampia veduta. Il concetto di
rimozione conserva sempre in sé entrambi gli aspetti. Infatti, dopo aver
fatto rientrare la rimozione sotto la categoria dei meccanismi di difesa,
Freud, scrive: “sul fatto che la rimozione non sia l’unico procedimento di
cui l’Io può avvalersi per attuare i suoi propositi non vi fu mai dubbio.
Va detto però che essa è qualcosa di assolutamente particolare, che si
differenzia più nettamente dagli altri meccanismi di quanto questi si
differenzino tra loro” (Freud, 1937, p. 81). Vedi infatti l’Autobiografia
(1924), dove la rimozione viene presentata come “una novità assoluta;
non essendo mai stato scoperto da nessuno nulla di simile nella vita
psichica” (Freud, 1924, p. 98). Essa è definita successivamente, nel
Compendio di psicoanalisi (1940), come “il più primitivo e più
fondamentale dei meccanismi di difesa” (Freud, 1940, p. 157). Già nella
lettera a Fliess del 7 agosto 1901, quello della rimozione viene indicato
come un «problema cruciale».
15
1.2 STORIA DI UNA SCOPERTA
Per comprendere come si sviluppa la teoria della rimozione, è
necessario ripercorrere nel tempo le tappe fondamentali del percorso che
porterà Freud a costruire la sua teoria. E’ infatti attraverso una lunga
serie di esperienze, intuizioni e osservazioni, di cui Freud conserva
sempre le tracce e gli insegnamenti più significativi, che si costituirà la
teoria che segna la nascita della psicoanalisi.
Nel 1889 Freud si reca a Nancy dove opera il celebre Bernheim,
allo scopo di perfezionare la sua tecnica della suggestione ipnotica.
Freud resta molto colpito di fronte agli esperimenti condotti da Bernheim
sui malati dell’ospedale.
Bernheim induceva i pazienti a rievocare avvenimenti accaduti sotto
ipnosi, di cui tuttavia essi sembravano non conservare alcuna memoria
(amnesia post-ipnotica). Da questa esperienza nasce una osservazione
fondamentale per Freud sulla possibilità di recuperare – a certe
condizioni – contenuti psichici che si credevano perduti. Scrive infatti a
tal proposito: “ne riportai indelebili impressioni e finii per supporre la
probabile esistenza di processi psichici possenti che restavano, tuttavia,
nascosti alla coscienza dell’uomo” (Freud, 1925, p. 22). Attraverso il
metodo della suggestione ipnotica questi “processi” che sembravano
essere inaccessibili “potevano essere rievocati con una parola gentile di
comando o con una pressione della mano intesa a indicare un differente
stato di coscienza” (Freud, 1892-95, p. 266). Grazie agli esperimenti
condotti da Bernheim su questo metodo, Freud stabilisce di partire dal
presupposto che ”le mie pazienti sapessero effettivamente tutto quello
16
che aveva un qualsivoglia significato patogeno e che era soltanto
questione di portarle a dirlo” (ivi, p. 266).
Tanto più che in questi anni Freud, interrogandosi sul rapporto tra
disturbo psichico e causa organica (aveva infatti notato che la paralisi
isterica, a differenza di quella organica, non è spiegabile su basi
anatomiche ma secondo un concetto psichico di corpo), abbandona
l’ipotesi della eziologia organica dei disturbi nervosi, in favore di una
eziologia psicologica. “Progressivamente emerge un legame inquietante
tra la parola e il sintomo, si delinea uno spazio interstiziale che non è né
l’organismo della neurologia, né lo psichismo classico, erede dell’anima
individuale, e sarà in una dimensione prodotta dall’intersecarsi di due
coordinate eterogenee, come la materia e il logos, che prenderà corpo il
nuovo sapere” (S. Vegetti Finzi, 1986, p. 29).
Successivamente dalla collaborazione con Breuer, Freud trae
osservazioni fondamentali per lo sviluppo della sua teoria. E’ proprio
dall’esperienza con una giovane paziente (Anna O.)
1
che il medico
viennese aveva sottoposto a trattamento, che si fa discendere la
psicoanalisi. La paziente era colpita da un complesso quadro
sintomatologico, che si era manifestato in seguito alle ripetute cure
rivolte al padre, poi deceduto per una grave malattia. Grazie allo stato
ipnotico in cui la malata cadeva spontaneamente, essa era indotta,
attraverso il metodo terapeutico “catartico”
2
, ad esprimere la “eccitazione
affettiva” che in quel momento la dominava; si produceva così
“l’abreazione, cioè la scarica emozionale con la quale il paziente si libera
dall’effetto connesso al ricordo di un evento traumatico” (ivi, p. 33).
1
Ernest Jones ha rivelato il vero nome della paziente: Bertha Pappenheim (1859-1936).
2
Il caso della paziente Anna O. veniva presentato in Studi sull’isteria (1892-95) come prototipo di una
terapia catartica
17
Nella maggior parte dei casi infatti si trattava di episodi cui non era
seguita una reazione sufficiente, che scomparivano così dalla coscienza.
Sotto ipnosi però, il ricordo del trauma era tanto vivido quanto lo era
l’episodio reale, ed emergeva la situazione in cui i sintomi erano nati,
cioè essi risultavano sempre collegati ad una situazione affettiva vissuta
durante la malattia del padre. La rimozione di tale situazione dalla
coscienza, aveva poi portato alla formazione dei sintomi: “risultava che
spesso, trovandosi presso il letto di suo padre, la paziente aveva dovuto
rimuovere un pensiero o un impulso, in luogo del quale e in
rappresentazione del quale, più tardi, era comparso il sintomo” (Freud,
1925, p. 25). Quando poi, allo stato di ipnosi, la paziente ricordava
l’evento traumatico in cui era sorto un sintomo, dando espressione
verbale “all’atto psichico prima rimosso” (ivi, p. 26), il sintomo
scompariva. Come riporta Freud stesso “abbiamo scoperto, inizialmente
con nostro grande stupore, che ogni singolo sintomo isterico scompariva
immediatamente e permanentemente quando riuscivamo a riportare
chiaramente alla luce il ricordo dell’evento dal quale esso era stato
provocato, e a rievocare insieme anche lo stato affettivo che ad esso si
accompagnava, e quando il paziente aveva descritto quell’evento il più
dettagliatamente possibile, ponendo nelle parole il corrispondente stato
emotivo» (1892-95, p. 394). E ancora riporta Breuer: “si trattava degli
accaduti psichici interessanti il periodo di incubazione della malattia (…)
Erano essi che avevano provocato la totalità dei fenomeni isterici, e
quando ad essi veniva dato uno sfogo verbale durante l’ipnosi, i sintomi
scomparivano” (ivi, p. 201). Ogni sintomo, preso singolarmente (ciascun
singolo sintomo veniva trattato separatamente), veniva eliminato dopo
che ella ne avesse descritta la prima comparsa, e ne avesse riprodotto “le
18
impressioni patogene che lo avevano provocato, dando sfogo ad esse con
l’espressione di uno stato affettivo” (ivi, p. 419). Infatti ciò che costituiva
il punto fondamentale era la necessità che il ricordo fosse riportato al suo
“status nascendi” attraverso la parola “nel modo più vivo possibile”, e
che fosse dunque accompagnato all’emozione cui fin dall’origine si era
legato: “il ricordo senza emozione non produce quasi mai alcun effetto”
(ivi, p. 178). La scoperta che “in questa paziente, i fenomeni isterici
scomparivano non appena l’evento che li aveva provocati veniva
riprodotto durante lo stato di ipnosi” (Breuer, ivi, p. 201) costituisce per
Freud un nuovo punto di vista fondamentale in quanto ulteriore conferma
a quell’eziologia psicologica del ricordo, cui Freud da tempo guardava,
ormai lontano dall’ipotesi che associava i sintomi isterici con la patologia
organica.
Pertanto ne adotta il nuovo “procedimento terapeutico”,
“applicando ad un numero relativamente grande di pazienti il sistema di
cura di Breuer per il trattamento dei sintomi isterici mediante la loro
ricerca e abreazione sotto ipnosi” (Freud, 1892-95, p. 395). In Studi
sull’isteria (1892-95), ad un capitolo conclusivo sulla psicoterapia
dell’isteria, Freud espone la tecnica del «metodo catartico», “quale si è
andato sviluppando sotto le mani del neurologo” (Breuer, Freud, 1892-
95, p. 172)
3
.
In sintesi gli aspetti salienti di questa teoria basata sull’ipnotismo,
come riportato da Freud diversi anni dopo in uno scritto autobiografico
del 1924 (Autobiografia), sono ”…l’accentuazione del significato della
vita affettiva, l’importanza della distinzione fra atti psichici inconsci e
atti psichici coscienti (o, meglio, atti a diventare coscienti) ”, e ancora la
3
In Prefazione alla prima edizione.