8 Introduzione
costruzione quale ad esempio l’acceleratore LHC al CERN di Ginevra con l’esperimento
ALICE.
Il problema principale che si incontra nel tentativo di quantificare con precisione os-
servabili fisiche nel regime di basse energie e` il fatto che a tali scale energetiche la QCD
non puo`, come abbiamo osservato, essere sviluppata in approssimazione perturbativa, per
ragioni di liberta` asintotica: cio` richiede quindi lo sviluppo di metodi non perturbativi che
possano essere validi strumenti atti a quantificare tali osservabili anche in questo regime
fisico.
Esistono allora svariate possibili metodologie utilizzate per uno sviluppo non per-
turbativo della QCD e per tentare di dare una risposta a tutti i quesiti lasciati aperti
dalla trattazione perturbativa: per esempio le cosiddette regole di somma [11], il calcolo
istantonico [7], lo studio della QCD su reticolo (o lattice QCD) [12].
La QCD su reticolo. Il metodo non perturbativo che utilizziamo nella presente Tesi
e` quello della QCD su reticolo, o lattice QCD [13], sviluppata per la prima volta da K. G.
Wilson nel 1974 [12]. Questo metodo consta essenzialmente dei seguenti passaggi:
(i) considerare lo spazio–tempo (euclideo) come un reticolo discreto di passo reticolare
a nelle quattro direzioni spazio–temporali xµ;
(ii) implementare il modello della QCD su di esso;
(iii) far tendere infine a 0 il passo reticolare a per ottenere risultati coerenti con la fisica
della QCD nel continuo.
Per compiere questi procedimenti il metodo della QCD su reticolo riparte dalla for-
mulazione degli integrali di percorso di Feynman [14]:
Z =
∫
[dA dψ¯ dψ]eiS[Aµ,ψ¯,ψ], (1.2)
in cui l’azione S e` definita come:
S =
∫
d4x LQCD; (1.3)
l’integrale compiuto su tutti i possibili percorsi di Feynman e` calcolato sulle variabili di
campo Aµ(~x, t), ψ¯(~x, t), ψ(~x, t), i cui gradi di libera` sono, per ciascuno dei campi, le
coordinate spaziali e temporali (~x, t), gli indici spinoriali e gli indici di colore.
Questa formulazione mediante gli integrali di percorso e` del tutto equivalente a quella
canonica e sviluppa tuttavia soluzioni esatte, non dipendenti quindi da serie perturbative.
Quando il calcolo di tali integrali viene implementato su strumenti informatici diviene
pero` elevato il numero di integrazioni necessarie al calcolo del valore di aspettazione di
un qualunque operatore sullo stato fondamentale della teoria. La strada privilegiata per
eseguire il calcolo di un qualunque valore di aspettazione della teoria e` allora quello di
implementare metodologie statistiche che selezionino degli stati privilegiati fra tutte le
configurazioni possibili, quali il metodo Monte–Carlo, attraverso opportuni algoritmi, per
compiere su tali stati simulazioni numeriche che permettano lo svolgimento del calcolo
degli integrali.
9Per generare distribuzioni che il metodo statistico Monte–Carlo possa giudicare accet-
tabili come densita` di probabilita` necessitiamo di un’integrale del tipo definito nell’equa-
zione (1.2) in cui pero` la distribuzione sia definita positiva, rappresentativa cioe` di una vali-
da distribuzione di probabilita`; l’integrale Z definito nell’equazione (1.2) e` pero` intrinseca-
mente una grandezza complessa. Ovviamo a questo inconveniente ponendo la nostra teoria
in formulazione euclidea. Consideriamo la rotazione di Wick x0 → −ix4 = −iτ : median-
te questa rotazione possiamo continuare analiticamente l’integrale Z a tempi immaginari;
cos`ı facendo otteniamo una trasformazione dell’azione:
iS → −S;
possiamo dunque, nell’integrale (1.2), nella formulazione con il tempo euclideo, sostituire
iS con −S, con le conseguenze che studieremo nei seguenti Capitoli.
Il problema del confinamento e l’esistenza di una transizione di deconfinamen-
to. Uno dei risultati principali a cui si sta cercando di giungere attualmente e` quello
di un diagramma di fase quantitativo e completo della QCD [15, 16]: un diagramma,
quindi, in grado di fornire dati precisi che rispondano alla questioni aperte sopra citate e
mostrino il comportamento della materia soggetta alle interazioni forti in funzione della
sua temperatura e densita`.
Siamo soprattutto interessati a studiare il problema del confinamento della QCD
(cfr. [17]). Data la lagrangiana (1.1), e` ancora in parte inspiegato il motivo per cui non si
siano ancora osservati quark liberi: le particelle ottenute negli esperimenti, infatti, sono
neutre di colore, ovvero non sono mai stati osservati stati adronici della materia dotati
di carica di colore non neutra; quale meccanismo allora fa s`ı che non possano esistere
quark liberi? Cosa li tiene “legati” all’interno della materia adronica? Questa difficolta`
nell’osservare o produrre quark liberi ha portato all’idea di un confinamento esatto della
teoria, di cui pero` non e` ancora pienamente noto il meccanismo producente.
Ci si puo` comunque domandare se questo stato confinato della materia sia stabile
in qualunque condizione termodinamica, o se esistano delle condizioni a cui la materia
soggetta alle interazioni forti deconfini e si giunga ad uno stadio in cui i quark non sono
piu` legati nella materia adronica.
Si osserva che, in tutte le simulazioni di condizioni termodinamiche estreme eseguite
con i suddetti metodi statistici, al di sopra di precisi valori di temperatura e/o potenziale
chimico la condizione di materia confinata viene meno, e la materia adronica inizia a com-
portarsi come una sorta di plasma quark–gluonico [8, 18, 19, 5]; in Figura 1.1 mostriamo
e commentiamo appunto un diagramma di fase qualitativo in cui e` presente la maggior
parte delle ipotesi di lavoro ed alcuni risultati finora ottenuti in questo campo, i quali
dovrebbero rispondere ad almeno una parte dei quesiti ancora aperti qui sopra descritti.
La QCD a temperatura e densita` finite. Diviene quindi interessante lo studio della
QCD a temperatura e densita` finite, ed in particolare la ricerca di una transizione di
fase di deconfinamento in tali condizioni [22]: a tale scopo, come abbiamo dichiarato in
precedenza, utilizzeremo il metodo della lattice QCD.
La temperatura si implementa in modo piuttosto semplice sul reticolo grazie alle note
metodologie della teoria dei campi a temperatura finita (cfr. ad es. [23, 24]), semplice-
mente limitando l’integrazione nella direzione temporale al tempo immaginario iτ ≡ 1/T ,
10 Introduzione
T
µ
early universe
ALICE
<ψψ> > 0
SPS
quark-gluon plasma
hadronic fluid
nuclear mattervacuum
RHIC
Tc ~ 170 MeV
µ ∼ o
<ψψ> > 0
n = 0
<ψψ> ∼ 0
n > 0
922 MeV
phases ?
quark matter
neutron star cores
crossover
CFLB B
superfluid/superconducting
2SC
crossover
Figura 1.1: Diagramma di fase qualitativo della QCD (cfr. Hands [8]). Sull’asse verticale
e` graficata la temperatura T della materia soggetta alle interazioni forti, mentre sull’as-
se orizzontale e` graficato il potenziale chimico µ (di cui la densita` fisica n e` funzione
crescente).
Sono presenti, segnati con croci blu (e sigle corrispondenti), i valori termodinamici li-
mite dei vari esperimenti finora condotti e futuri (ALICE); il valore µ0 e` il valore del
potenziale chimico al di sopra del quale si ha presenza di materia nucleare, ovvero viene
rotto il vuoto della QCD, mentre il semicerchio intersecante gli assi T e µ corrisponde ai
valori critici di temperatura e corrispondente potenziale chimico a cui si ha la transizione
di fase di deconfinamento della materia adronica. La temperatura Tc e´ determinata da
studi in teoria di pura gauge; con l’espressione 〈ψ¯ψ〉 si intende il valore di aspettazione
del cosiddetto condensato chirale [20]. La fase “CFL” ( colour–flavour–locking) e la fase
“2SC” (superconduttivita` a 2 colori) sono anch’esse riferite allo studio del condensato
chirale [21].
Condizioni di alta temperatura e (relativamente) bassa densita` di materia adronica do-
vrebbero corrispondere ai primi istanti di vita dell’universo, mentre condizioni di alta
densita` e bassa temperatura sono presenti in stelle collassate come le stelle di neutroni.
in cui T e` la temperatura (cfr. sezione 2.5). Tali metodologie portano quindi ad uno
sviluppo della QCD a temperatura finita piuttosto diretto; i risultati a temperatura finita
[25] sono stati percio` ampiamente studiati gia` dai primordi della costruzione della lattice
QCD [4, 23].
Per implementare una densita` finita di fermioni (ovvero di quark) nella QCD su reti-
colo si opta comunemente per l’inserimento nella teoria del potenziale chimico µ, di cui
la densita` fisica e` funzione crescente: e` infatti possibile implementare in modo non trop-
po difficoltoso tale potenziale nella lattice QCD. L’inserimento di una densita` finita sul
reticolo, tuttavia, comporta conseguenze non banali per quanto riguarda le simulazioni
numeriche, riassunte nel cosiddetto problema del segno. L’integrazione delle variabili fer-
mioniche nell’integrale di Feynman 1.2 conduce al calcolo del determinante di una matrice
M (detto determinante fermionico); per µ = 0 la relazione γ5Mγ5 = M † garantisce la po-
sitivita` del determinante fermionico, mentre, per µ 6= 0, tale positivita` non e` piu` garantita
dalla teoria, anzi, in generale il determinante e` una quantita` complessa: diviene quindi
11
impossibile generare una distribuzione di probabilita` (che deve essere una grandezza reale)
su cui poter compiere le necessarie simulazioni mediante il metodo Monte–Carlo.
Il problema del segno ha impedito per molto tempo che la QCD su reticolo fosse un
buon modello utilizzabile per lo studio della teoria a densita` finita; l’unica possibilita` era
studiare una QCD in cui il gruppo di gauge fosse SU(2) anziche´ SU(3); se il gruppo
di gauge della teoria fosse SU(2), infatti, non si avrebbe il problema del segno, perche`
il determinante di M sarebbe sempre positivo. Solo negli ultimi anni si e` giunti allo
sviluppo di diverse metodologie e modelli capaci di superare in qualche modo questo
problema anche con SU(3) come gruppo di gauge; tra questi, citiamo il metodo del
reweighting [26], il metodo del potenziale chimico immaginario [27] e l’approssimazione a
quark statici o quenched QCD, che considera la dinamica di creazione ed annichilazione
dei fermioni “spenta”, ovvero non presente (pur inserendo i fermioni sul reticolo).
Scopo della Tesi. Scopo della presente Tesi e` quello di studiare la transizione di fase
di deconfinamento a densita` finita.
Per poter compiere le simulazioni necessarie alla verifica di tale transizione di fase,
riducendo, almeno in parte, il problema del segno del determinante fermionico, ci avvar-
remo di un’approssimazione a densita` finita nel limite della quenched QCD, sviluppata da
Blum et al. [28], in cui la densita` finita e` costituita da quark statici.
In particolare ci occuperemo della verifica del cosiddetto modello a superconduttore
duale del vuoto di QCD come modello di confinamento1, che prende spunto da un’idea di
’t Hooft [29], Mandelstam [30] e Parisi [31].
Nell’elettrodinamica ordinaria, in cui il gruppo di gauge e` U(1), il fenomeno della
superconduttivita` e` regolato dal tensore elettromagnetico Fµν : poste all’interno di un
materiale superconduttore, nella fase superconduttiva le cariche elettriche condensano,
e le cariche magnetiche sono conseguentemente confinate all’interno del superconduttore
stesso; si consideri quindi l’analogo del tensore elettromagnetico nella QCD, in cui, come
e` gia` stato dichiarato, il gruppo di gauge e` SU(3), e se ne utilizzi il duale2 Fµν? come
regolatore di una nuova teoria duale di superconduttivita`, stavolta del vuoto della teoria
stessa: se il vuoto e` un superconduttore duale, si verifica allora il fenomeno duale della
condensazione dei monopoli cromoelettrici, che manterra` quindi confinati i quark. Per
compiere il passaggio non banale dall’elettrodinamica ordinaria alla cromodinamica sara`
necessario studiare proiezioni abeliane del gruppo di gauge SU(3), poiche´ la QCD non
permetterebbe altrimenti l’analogia con il caso abeliano dell’elettrodinamica ordinaria,
essendo una teoria non–abeliana.
Di questo modello a superconduttore duale del vuoto della QCD e` stata verificata la
validita` per quanto riguarda il settore di pura gauge a temperatura finita [32, 33, 34] e
sono in corso studi per la QCD nella sua formulazione completa [35, 36]: in particolare,
questi studi vengono compiuti mediante la misura del vev di un operatore µ˜ con carica
magnetica diversa da zero; e` stato verificato il comportamento a superconduttore duale
(corrispondente a 〈µ˜〉 6= 0) nella fase confinata, che scompare (ovvero, 〈µ˜〉 → 0) attraverso
la transizione di deconfinamento.
1Ricordiamo che per modello di confinamento si intende un modello effettivo della QCD che motivi
l’esistenza del confinamento.
2
Il tensore, cioe`, in cui il ruolo dei campi elettrico e magnetico vengono scambiati.
12 Introduzione
Nella presente Tesi studieremo lo stesso parametro di disordine 〈µ˜〉, per capire se anche
l’attraversamento della transizione di densita` finita sia legato al passaggio da una fase
superconduttiva duale (〈µ˜〉 6= 0) ad una fase normale (〈µ˜〉 = 0). Non e` insensato infatti
ipotizzare che le proprieta` superconduttrici possano scomparire per un certo valore critico
della densita`: il campo cromoelettrico associato ai quark potrebbe avere lo stesso effetto di
un campo magnetico esterno critico in un superconduttore usuale; in tal senso l’utilizzo
di quark statici anziche´ quark dinamici non dovrebbe portare a differenze sostanziali.
Cio` che vogliamo investigare e` se tale densita` critica corrisponda con quella a cui si ha
transizione di deconfinamento.
Cercheremo quindi di capire sotto quali condizioni dell’approssimazione quenched so-
pra citata si possa effettivamente studiare la transizione di fase di deconfinamento a
temperature piu` basse possibile per avvicinarci il piu` possibile, nel diagramma di fase
(cfr. Figura 1.1), alle condizioni di densita` finita. Modificando la dimensione, sia spaziale
sia temporale, del reticolo su cui compieremo le simulazioni saggeremo inoltre l’effettiva
validita` dell’approssimazione quenched come limite accettabile in cui verificare il suddetto
modello di confinamento e verificheremo l’omogeneita` dei risultati a differenti estensioni
dei reticoli per ottenere risultati indipendenti dalle simulazioni compiute.
Abbiamo quindi strutturato la Tesi nella maniera seguente: nel Capitolo 2 procediamo
alla formulazione della QCD su reticolo a temperatura zero, implementando su reticolo
progressivamente campi scalari, campi fermionici, e, infine, campi di gauge; studiamo
infine l’implementazione di temperatura e densita` finite e le loro implicazioni nella teoria;
nel Capitolo 3 scorriamo brevemente il metodo Monte–Carlo con particolare riferimento
agli algoritmi ed alle analisi utilizzate per compiere le nostre simulazioni; nel Capitolo 4
specifichiamo meglio il problema del confinamento, studiamo alcuni parametri d’ordine del
confinamento nella teoria a temperatura finita e analizziamo il modello di superconduttore
duale del vuoto di QCD come modello di confinamento, da cui traiamo infine una famiglia
di parametri di disordine 〈µ˜a〉, 〈µ˜b〉; nel Capitolo 5 studiamo in dettaglio il limite quenched
della QCD a densita` finita finora brevemente descritto e studiamo l’implementazione in
tale limite della famiglia di parametri di disordine precedentemente definita; nel Capitolo
6 analizziamo, per ciascuna simulazione su reticoli di differente estensione, il metodo
utilizzato e i risultati ottenuti. Nel Capitolo 7, infine, riassumiamo i risultati ottenuti
analizzando alcuni possibili sviluppi futuri della presente Tesi.
Capitolo 2
La formulazione della QCD sul
reticolo
Utilizzeremo per la formulazione della QCD il metodo gia` citato nell’equazione (1.2),
ovvero quello degli integrali di percorso di Feynman, utilizzando da ora in poi stabilmente
la formulazione nel tempo euclideo; con questo metodo, il valore di aspettazione di un
qualunque operatore Oˆ sullo stato fondamentale della teoria vale:
〈Oˆ〉 = 〈0|Oˆ|0〉 = 1
Z
∫
[dAµ dψ dψ¯] O[Aµ, ψ, ψ¯] · e−S[Aµ,ψ,ψ¯], (2.1)
dove e S e` l’azione, descritta dall’equazione (1.3), e Z e` definito dall’equazione (1.2), in
cui pero` e` stato sosituito il tempo euclideo al tempo minkowskiano, ottenendo:
Z =
∫
[dAµ dψ dψ¯] e−S[Aµ,ψ¯,ψ]. (2.2)
Per avere quindi il valore di aspettazione di un operatore sullo stato di vuoto del-
la teoria e` necessario avere ben presente l’espressione della lagrangiana della QCD, che
abbiamo scritto in (1.1). Riscriviamo pero` ora la lagrangiana della QCD attuando la
seguente trasformazione (che non cambia ne´ la gauge–invarianza ne´ le simmetrie della
teoria):
Aµ → 1
g0
Aµ (2.3)
Otteniamo da questa trasformazione la seguente lagrangiana, che da ora in poi consi-
dereremo l’effettiva lagrangiana della nostra teoria:
LQCD := L
(Aµ→ 1g0Aµ)
QCD = −
1
4g20
Fµνa F
a
µν +
∑
f
ψ¯(f)
i
((i∂/−mf )δij − taijA/a)ψ(f)j (2.4)
La lagrangiana qui sopra sviluppata e` percio` quella che, integrata, fornisce il valore
dell’azione. Grazie alla trasformazione (2.3), la costante di accoppiamento ora e` a fattore
della sola parte di pura gauge della teoria. Notiamo anche come ora il valore di aspettazio-
ne (2.1) sia descritto da un’espressione analoga a quella del valore medio di una variabile
14 La formulazione della QCD sul reticolo
termodinamica in un insieme statistico canonico: in questa equivalenza termodinamica,
leggiamo quindi Z come la funzione di partizione di un sistema statistico.
In conclusione, la forma (2.2) in cui Z e` scritta si puo` quindi interpretare nella maniera
seguente: abbiamo i campi Aµ, ψ, ψ¯, che sono tutte le configurazioni su cui si integra
lo spazio delle fasi dell’insieme canonico; l’azione S ricopre il ruolo dell’Hamiltoniana
moltiplicata per l’inverso della temperatura ϑ nella trattazione della fisica statistica: S ↔
H
βϑ . Poniamo attenzione pero` al fatto che la temperatura ϑ qui esplicitata non ha nulla in
comune con la temperatura fisica reale del nostro sistema fisico: e` solo la lettura dell’azione
S in analogia con le espressioni termodinamiche che ci da` questa sorta di “temperatura
fittizia”, ϑ.
Abbiamo ora i presupposti per passare dalla descrizione della QCD nel continuo a
quella sul reticolo; a questo scopo, definiamo prima di tutto il reticolo stesso.
Definizione 2.0.1 Sia V4 lo spazio–tempo euclideo. Su di esso si selezionino dei punti
Pi nel modo seguente:
P1 = axˆ1
P2 = axˆ1 + axˆ2
P3 = axˆ1 + axˆ2 + axˆ3
P4 = axˆ1 + axˆ2 + axˆ3 + axˆ4
P4 = 2axˆ1 + a ·
∑4
i=2 xˆi
· · ·
· · ·
dove xˆµ, µ = 1, . . . , 4 (indicati anche direttamente con µˆ = 1ˆ, . . . , 4ˆ) sono i versori della
base ortonormale di V4.
L’unione dei punti R = ⋃∞
i=1{Pi} definisce un reticolo cubico in V4.
Sarebbe, a priori, possibile definire un reticolo R′ di passo differente lungo ogni dimen-
sione spazio–temporale; per comodita`, tuttavia, ci riferiamo al reticolo R come isometrico
in tutte le direzioni, tranne dove altrimenti specificato.
Definire la QCD sul reticolo R e` un compito che comporta passaggi non banali: l’im-
plementazione dei fermioni nell’integrale di azione (2.2) opportunamente adattato al reti-
colo, ad esempio, comporta passaggi che rendono difficoltoso, e in alcuni casi impossibile,
il calcolo diretto e le simulazioni numeriche sulla teoria completa.
Procederemo ora con ordine ad inserire le varie particelle costituenti nella teoria, a
partire dai campi scalari; scriveremo poi i campi fermionici e giungeremo infine alla formu-
lazione completa con l’aggiunta dei campi di gauge. Studieremo poi come implementare
nella teoria temperatura e densita` finite.
2.1 Campi scalari
I campi scalari vengono implementati sul reticolo con passaggi piuttosto semplici; a titolo
d’esempio mostreremo qui il passaggio dal continuo di V4 al discreto del reticolo R, che
e`, in parte, analogo a quello riguardante i fermioni: in questo passaggio sono necessarie
alcune accortezze tipiche della costruzione del reticolo al fine di poter scrivere espressioni
coerenti che diano un valido limite continuo, ovvero consistenti con la teoria continua,
2.1 Campi scalari 15
quando il passo reticolare a → 0; si rende necessario rivedere alcuni concetti validi nel
continuo, che richiedono una ridefinizione sul reticolo.
Perde innanzitutto significato il concetto di derivata intesa come limite di un rapporto
incrementale; ad essa viene sostituita una nuova espressione, che deve avere il requisito di
essere una derivazione hermitiana e avere un valido limite continuo: deve cioe`, per a → 0,
divenire la derivata ordinaria. Per esempio, una possibile definizione, che adotteremo di
qui in poi come definizione di derivata del campo scalare, potrebbe essere la seguente:
dato il campo scalare φ(x) = φ(na) ≡ φn, dove n = (n1, n2, n3, n4), ni ∈ N e` il vettore
direzionale dei punti del reticolo, definiamo la derivata lungo la direzione µˆ del campo:
∂µφ(xν) −→ a−1(φnν+δνµ − φnν ); (2.5)
in pratica, sul reticolo la derivata diviene la differenza dei valori del campo tra i siti primi
vicini.
La lagrangiana del campo scalare libero nel continuo minkowskiano e`:
Lfree = 1
2
∂µ∂µφ−
1
2
M2φ2 (2.6)
Ci impegniamo ora nella scrittura di un’azione euclidea, cioe` trasformiamo formalmente
la coordinata x0 → −ix4 come spiegato nell’introduzione; grazie alla nuova definizione di
derivata otteniamo:
S =
∫
d4x Lfree = a
4
2
[∑
n,m
1
a2
(φˆn − φˆm)2 +
∑
n
Mˆ2φˆ2n
]
, (2.7)
dove n,m sono siti reticolari primi vicini, l’integrale ∫ d4x e` stato sostituito dalla somma
sui siti reticolari moltiplicata per a4 ed abbiamo espresso la massa Mˆ ed i campi φˆi in
termini di unita` reticolari (nel sistema di unita` di misura razionale ~ = c = 1 sempre
adottato nella presente Tesi, tranne nei casi in cui contrariamente specificato):
Mˆ = a ·M ; φˆn = aφ(na).
Cerchiamo ora la funzione di partizione Z riferita al campo scalare libero. Questa si
calcola nel modo indicato dall’equazione (2.2) Riscriviamo l’azione nella forma:
S = 1
2
∑
n,m
φˆnKnmφˆm (2.8a)
Dove la matrice Knm in questo caso scalare vale:
Knm = −
∑
µ
[δn+µˆ,m + δn−µˆ,m − 2δnm] + Mˆ2δnm
Consideriamo il funzionale generatore Z0[J ]:
Z0[J ] =
∫ ∏
l
dφˆl e−S[φˆ]+
∑
n Jnφˆn (2.9)
16 La formulazione della QCD sul reticolo
Il calcolo di Z0 e` un calcolo piu` semplice in quanto siamo di fronte a integrali tutti di
tipo gaussiano. Otteniamo percio`:
Z0[J ] =
1√
detK e
1
2
∑
n,m JnK−1nmJm (2.10)
Da questa espressione di Z0 possiamo ottenere, mediante derivazioni successive, il valore
di una qualunque funzione di correlazione:
〈φˆnφˆm · · · 〉 =
∫ ∏
l
dφˆl φˆnφˆm · · · e−S[φˆ]
∫ ∏
l
dφˆl e−S[φ]
≡
≡
∫
[dφˆ] φˆnφˆm · · · e−S[φˆ]
∫
[dφˆ] e−S[φ]
= 1
Z0[J ]J=0
·
[
∂
∂Jn
∂
∂Jm
· · ·Z0[J ]
]
J=0
(2.11)
Abbiamo percio` ottenuto un algoritmo efficiente per calcolare le funzioni di Green sui
campi scalari. Grazie a tale algoritmo siamo in grado di calcolare il propagatore del
campo scalare, che nello spazio dei momenti ha un andamento del tipo:
G(p) ≈ 1M2 +∑µ p˜2µ ; p˜µ =
2
a
sin
apµ
2
(2.12)
Passando al limite per piccoli a otteniamo:
4
a2
sin2
apµ
2
= 4
a2
(1− cos apµ) −→a→0 p2µ + o(a2);
Da questa relazione otteniamo quindi, per a → 0, ovvero al limite continuo, il corretto
propagatore: G(p) ≈ (M2 +∑µ p2µ)−1.
2.2 Campi fermionici
A causa della relazione di anticommutazione dei campi fermionici, l’implementazione di
questi nella teoria di gauge su reticolo presenta alcune serie difficolta`.
Consideriamo l’equazione di Dirac nello spazio–tempo minkowskiano (anche in questo
caso passeremo successivamente a quello euclideo):
(iγµ∂µ −M)ψ(x) = 0, (2.13)
dove γµ sono le matrici di Dirac che obbediscono all’algebra di Clifford generata dalle
relazioni di anticommutazione {γµ, γν} = 2gµν , con gµν metrica di V4.
Passando alla rappresentazione euclidea, continuiamo analiticamente SF mediante la
sostituzione iSF → −SF,E . In questo nuovo contesto l’integrale di azione del campo
fermionico libero vale:
SF,E [ψ, ψ¯] =
∫
d4x ψ¯(x)
(
γµ (E)(∂µ + iAµ) +M0)ψ(x), (2.14)
2.2 Campi fermionici 17
in cui abbiamo scritto per esteso la derivata covariante; per le matrici gamma euclidee
vale la relazione di anticommutazione:
{γ(E)µ , γ
(E)
ν } = 2δµν .
Cerchiamo di trovare anche in questo caso una funzione generatrice per le funzioni di
correlazione in forma gaussiana.
Innanzitutto, gli integrali di tipo gaussiano come il funzionale generatore dell’equa-
zione (2.9), su variabili grassmaniane quali quelle dei campi fermionici danno un risultato
non piu` proporzionale a (detK)−1/2 come nel caso bosonico, dove K, come in (2.8a), e` la
matrice che moltiplica le due variabili di campo, ma proporzionale a detK; dato cioe` un
insieme di 2N variabili grassmaniane {η¯j , ηi}i,j=1,... ,N , abbiamo il seguente risultato:
Igauss.[ρ, ρ¯] =
∫
dη dη e−
∑
i,j η¯iKijηj+
∑
i(η¯iρi+ρ¯iηi) = detK e
∑
i,j ρ¯iK−1ij ρi (2.15)
Notiamo come questo tipo di risultato sia simile a quello dell’equazione (2.10); creiamo
pertanto anche in questo caso un funzionale generatore:
Z0[ρ¯, ρ] =
∫
d¯ˆψdψˆ e−SF+
∑
n,α[ρ¯α(n)ψˆα(n)+
¯ˆψα(n)ρα(n)] (2.16)
in questa equazione abbiamo posto:
SF =
∑
n,m
α,β
¯ˆψα(n)Kαβ(n,m)ψˆβ(m), (2.17a)
dove:
Kαβ(n,m) =
∑
µ
1
2
(γµ)αβ[δm,n+µˆ − δm,n−µˆ] + Mˆδmnδαβ (2.17b)
Anche in questo caso abbiamo reso quantita` adimensionali la massa ed i campi, con
la seguente trasformazione:
ψα(x) → ψˆα(n)a(3/2)
ψ¯α(x) →
¯ˆψα(n)
a(3/2)
M → Mˆa
Grazie al funzionale generatore possiamo scrivere anche nel caso fermionico l’espres-
18 La formulazione della QCD sul reticolo
sione per una qualunque funzione di correlazione sul reticolo nel seguente modo:
〈ψˆα(n) · · ·
¯ˆψβ(m) · · · 〉 =
=
∫ ∏
n,ζ d
¯ˆψζ(n)
∏
m,ξ dψˆξ(m) ψˆα(n) · · · ¯ˆψβ(m) · · · e−SF
∫ ∏
n,ζ d
¯ˆψζ(n)
∏
m,ξ dψˆξ(m) e−SF
≡
≡
∫
[d¯ˆψ][dψˆ] ψˆα(n) · · ·
¯ˆψβ(m) · · · e−SF
∫
[d¯ˆψ][dψˆ] e−SF
=
= 1
Z0[ρ¯ = 0, ρ = 0]
[
∂
∂ψˆα
· · ·
∂
∂ ¯ˆψβ
Z0[ρ¯, ρ]
]
ρ¯=0,ρ=0
(2.18)
A priori non c’e` ragione perche` questa costruzione non funzioni: abbiamo compiuto
essenzialmente gli stessi passaggi della precedente costruzione del campo scalare sul reti-
colo. Ciononostante si verifica un fenomeno molto peculiare, detto fermion doubling, che
fa s`ı che questa costruzione del campo fermionico non restituisca sul reticolo un analogo
esatto della teoria continua.
Avviene precisamente questo: per rendere la derivata sui campi fermionici sul reticolo
antihermitiana come quella canonica sul continuo, si costruisce, come si puo` desumere
dalla costruzione (2.17b) della matrice di interazione Kαβ(n,m), nel seguente modo:
∂ˆµψˆα(n) =
1
2
[ψˆα(n+ µˆ)− ψˆα(n− µˆ)] (2.19)
Se si calcola il correlatore a due punti con questa implementazione della derivata
e dell’azione fermionica, nella rappresentazione nello spazio dei momenti si ottiene un
propagatore del tipo:
G(p) ≈ 1∑
µ γµ
˜˜pµ +M
, (2.20a)
in cui: ˜˜pµ =
1
a
sin(pµa). (2.20b)
La zona di Brillouin nel reticolo reciproco, in ogni direzione µˆ, corrisponde all’intervallo
[−pia ,+pia ]: in questo intervallo il limite per a → 0 non e` come quello dei campi scalari;
infatti l’equazione (2.20b) ha due zeri: uno in corrispondenza con pµ = 0, ed uno in
corrispondenza con pµ = pi/a.
Se avessimo soltanto lo zero in pµ = 0, per a → 0 avremmo l’esatto ritorno al pro-
pagatore fermionico del continuo, che ricordiamo essere G(p) ≈ (∑µ γµpµ + M)−1; cio`,
come possiamo vedere in figura 2.1, si verifica nell’intervallo [− pi2a ,+ pi2a ]. Negli intervalli
[−pia ,− pi2a ] e [+ pi2a ,+pia ], che per la proprieta` di ciclicita` del reticolo possono essere conside-
rati come un’unico intervallo [+ pi2a ,+3pi2a ], i fermioni hanno invece un andamento differente
del propagatore, del tipo ˜˜pµ 'a→0 −pµ.
2.2 Campi fermionici 19
Figura 2.1: Confronto tra pµ = pµ e pµ = ˜˜pµ.
Nel limite continuo non abbiamo quindi piu`, come nel caso dei campi scalari, un solo
propagatore, ma due propagatori diversi: intorno a pµ = 0 abbiamo G(p) ≈a→0 (
∑
µ γµpµ+
M)−1; intorno a pµ = +pi/a otteniamo invece G(p) ≈a→pi (−
∑
µ γµpµ +M)−1.
Poiche´ le dimensioni del reticolo sono quattro, questo raddoppiamento dei propagatori
(fermion doubling) si verifica su ciascuna di queste: otteniamo percio` 24 = 16 propagatori
differenti. Poiche´ a differenti propagatori si possono far corrispondere differenti specie di
particelle, abbiamo cos`ı ottenuto, nel limite a → 0, anziche` una sola specie di fermioni,
16 specie fermioniche, di cui una e` la specie “originaria”, mentre le altre 15 sono un ar-
tefatto del reticolo, e pertanto non hanno significato fisico; ciononostante queste nuove
specie vivono anche nel limite continuo. Questo fenomeno genera quindi seri problemi
di adattamento della teoria fermionica al reticolo, almeno nella formulazione che sarebbe
piu` naturale; si puo` in definitiva asserire che la difficolta` maggiore dell’implementazione
dell’azione sul reticolo sia proprio il fermion doubling : per ogni specie fermionica inseri-
ta nella teoria, sul reticolo se ne ottengono infatti 15 completamente nuove e differenti
dall’originaria; ovviamente, questo elimina la speranza di ottenere un limite continuo
corretto.
Come ovviare a questo problema? Un teorema dovuto a Nielsen e Ninomiya [37]
afferma che non si puo` risolvere il problema del doubling senza rompere esplicitamente
la simmetria chirale dell’azione al tendere a 0 del valore della massa. Il nostro intento,
seguendo l’idea di Wilson [12], e` percio` quello di aggiungere all’azione fermionica delle
“parti” che abbiano le seguenti proprieta`:
· rompano esplicitamente la simmetria chirale per Mˆ → 0;
20 La formulazione della QCD sul reticolo
· per a → 0, ovvero al tendere al continuo della teoria, si annullino: non si osser-
vano infatti nel continuo parti dell’azione che rompano esplicitamente la simmetria
chirale.
Con queste assunzioni si restringe ovviamente il campo delle azioni fermioniche possi-
bili. Rimangono comunque infinite costruzioni che soddisfano questi requisiti; ovviamente,
affinche` il reticolo sia una buona approssimazione della teoria continua, il limite continuo
stesso deve essere indipendente dalla costruzione di volta in volta utilizzata: se infatti
nelle simulazioni risultasse che le osservabili dipendono crucialmente dall’azione scelta,
avremmo la riprova che non stiamo studiando la fisica del problema del deconfinamento,
ma piu` banalmente il comportamento generico dell’azione che di volta in volta viene im-
plementata nelle simulazioni. Questo requisito di indipendenza del limite continuo dalla
costruzione implementata su reticolo e` detto di universalita`.
2.2.1 L’azione di Wilson
Nelle seguenti sezioni cercheremo di fornire una breve panoramica dei due metodi piu`
utilizzati per ovviare al problema del fermion doubling ; cominciamo con la proposta
dovuta a Wilson [39].
Consideriamo l’azione:
S(Wils.)F = SF −
r
2
∑
n
¯ˆψ(n)
∼2 ψˆ(n), (2.21)
dove r e` il cosiddetto parametro di Wilson, SF e` l’azione dell’equazione (2.17a) e ∼2 e` il
d’alembertiano adimensionale sul reticolo: ∼2= a2 ·2.
Per r 6= 0, anche per masse Mˆ → 0 si ha la rottura esplicita della simmetria chirale.
Si verifica inoltre che il propagatore vale:
G(p) ≈ 1∑
µ
˜˜pµ +M(p)
(2.22a)
dove: M(p) = M + 2r
a
∑
µ
sin2
(pµa
2
)
. (2.22b)
Con questa “aggiunta” alla massa nella scrittura del propagatore abbiamo soddisfatto
contemporaneamente i requisiti di Wilson (rottura della simmetria chirale, ritorno all’a-
zione fermionica sul continuo per a → 0), e inoltre siamo tornati ad una situazione in
cui, al limite per a → 0, il propagatore che si ottiene e` soltanto quello nel punto pµ = 0,
coincidente con la bisettrice degli assi; per pµ = pi/a, infatti, al limite continuo M(p)
diverge; pertanto non si verifica piu` il fenomeno del doubling.
Tuttora l’azione di Wilson resta una delle piu` utilizzate per le simulazioni numeriche:
ha il grande vantaggio dell’immediatezza concettuale e dell’estrema semplicita`: e` a tutti
gli effetti la piu` semplice aggiunta all’azione fermionica che rompe esplicitamente la sim-
metria chirale. Ha d’altro canto lo svantaggio dato dal fatto che, proprio a causa della
rottura esplicita della simmetria chirale, risulta impossibile con questa azione studiare il
fenomeno di rottura spontanea di tale simmetria per massa dei fermioni diversa da zero,
che richiede quindi un aggiustamento fine sul parametro Mˆ intorno allo 0 della massa fisi-
ca. Questo comportamento e` differente nell’azione di Wilson, nel senso che su tale azione
2.2 Campi fermionici 21
l’aggiustamento fine e` ancora possibile, ma va compiuto intorno ad un valore critico Mˆc
della massa.
2.2.2 I fermioni staggered
Questo e` un metodo che consente in un certo modo di aggirare il problema del doubling.
Da cosa ha origine tale problema? Abbiamo visto che, essenzialmente, il doubling
e` generato dall’annullamento di ˜˜pµ ai margini della zona di Brillouin. L’idea, dovuta a
Kogut e Susskind [40, 41], in sostanza consiste nel “distribuire” i campi fermionici su
ipercubi 2 × 2 × 2 × 2 di siti reticolari. Il raddoppiamento del passo reticolare, e quindi
delle celle di Wigner–Seitz del reticolo fisico, consente di conseguenza di dimezzare la
dimensione effettiva della zona di Brillouin su ciascuna direzione del reticolo: in questo
modo la funzione ˜˜pµ(a) e` approssimata correttamente da pµ = pµ su ciascuna delle cos`ı
ricostituite zone di Brillouin. Questa formalizzazione comporta pero` alcune costruzioni
non banali nella rappresentazione posizione; cerchiamo di vedere quali.
Cerchiamo innanzittutto di capire quanti gradi di liberta` sono necessari per rad-
doppiare il passo reticolare per i fermioni. Consideriamo l’ordinario spazio–tempo 4–
dimensionale, e suddividiamolo in ipercubi elementari di dimensione unitaria; a ciascun
sito corrispondente ad un ipercubo assegniamo un grado di liberta`, e ripetiamo questa
operazione su tutto il reticolo. In questo modo il passo reticolare effettivo e` stato raddop-
piato per ogni grado di liberta`; poiche´ ci sono 24 = 16 siti reticolari in ogni ipercubo, ma
solo 24/2 componenti differenti dei campi di Dirac, abbiamo bisogno di 24/2 = 4 campi
di Dirac differenti per ridurre la zona di Brillouin di un fattore 1/2. Questa costruzione
puo` allora essere appropriata per descrivere 4 differenti flavour dei quark (up, down, . . .
). Percio` i siti reticolari saranno in questo modo occupati da particolari combinazioni li-
neari dei campi fermionici ψfα, dove α e` l’indice di Dirac del campo e f l’indice di flavour,
costruite in modo che l’azione sul reticolo S(stag.)F cos`ı costruita si riduca ad una somma
di azioni fermioniche libere, una per ogni flavour di quark:
S(stag.)F −→
∫
d4x
∑
α,β,f
ψ¯fα(x)(γµ∂µ +M)αβψfβ(x) (2.23)
Per fare questo, etichettiamo le coordinate del “nuovo” reticolo di ipercubi elemen-
tari: siano dette m le coordinate corrispondenti agli ipercubi; otteniamo quindi che le
coordinate, in una qualunque direzione µˆ del reticolo si possono scrivere:
nµ = 2mµ + εµ,
dove m sono le coordinate del “nuovo” reticolo di ipercubi elementari, n le coordinate
del “vecchio” reticolo e ² un 4–vettore le cui coordinate hanno componenti 0 oppure 1, e
servono a “spostarsi” negli ipercubi di lato a. Attuiamo, a partire dall’azione fermionica
pura (2.17a), un cambio locale di variabili ψ → χ, agendo in modo che la nuova azio-
ne possa essere scritta, mediante una diagonalizzazione, eliminando le matrici di Dirac.
L’azione libera (2.17a), (2.17b), scritta nei termini dei campi χ(n), χ¯(n) si scrive quindi:
SF =
∑
n,α
µ
ηµ(n)χ¯α(n)∂ˆµχα(n) + Mˆ
∑
n,α
χ¯α(n)χα(n), (2.24)