5
inoltre, sicuramente ben sviluppate la caccia e la pesca, mentre l’artigianato ed il
commercio erano poco rilevanti.
1
Il carattere prevalentemente pastorizio di quest’epoca arcaica è attestato da una
moltitudine di differenti fonti, tra cui quelle, religiose, per esempio, con la venerazione
del lupo come animale sacro (rito dei Luperci o la stessa leggenda di Romolo e Remo
allattati da una lupa) temuto per la sopravvivenza del bestiame e venerato come oggetto
di culto totemistico. Un ulteriore esempio estremamente significativo è quello riportato
da Varrone, che mostra come il nome del denaro, pecunia, era derivato da pecus,
ovvero bestiame, il primo mezzo di scambio nella vita regolata dal baratto.
2
L’allevamento era, in particolar modo, composto da bovini, capre, pecore e suini,
ma erano, tuttavia, presenti anche cavalli, anche se non in gran numero in quanto molto
costosi (la plebe preferiva di gran lunga l’asino, importato dall’Egeo).
3
1
Tesi condivisa da molti autori; si veda, in particolare: De Martino, F., Storia di Roma Antica,
Firenze, La Nuova Italia Editrice, 1980, pag 2 e 3.
2
Marco Terenzio Varrone (116 – 27 a.C.), De lingua latina, trad. it. La lingua latina, tratta da Opere
di Marco Terenzio Varrone, antologia a cura di Antonio Traglia, Torino, 1974.
Il passo che segue e le informazioni sull’autore sono tratte dal testo Maiores, Bergamo, Edizioni
Scolastiche Bruno Mondadori, 1997
10
, trad. C. Annaratone, pag. 177.
Il De lingua latina rappresenta il primo trattato di linguistica latina, opera interessante e curiosa che, oltre
a quello citato nel testo fornisce molti altri interessanti esempi, sulla provenienza di molte parole
agricole, tra cui, il seguente, tratto dal libro 5:
«Così si chiamano vie (viae) quelle per cui si effettuavano i trasporti (vehebant); il luogo dove si
camminava (ibant) dal camminarvi (itu) si chiamò cammino (iter); un passaggio angusto si chiamò
sentiero (semita) poichè si trattava di un mezzo cammino (semi-iter) [...] Il campo fu chiamato fondo
(fundus) poichè sembrava il fondamento (fundamentum) del bestiame e del denaro: oppure perchè dà
(fundit) molti frutti ogni anno [...] Il podere (arvus) e le arature (arationes) derivano da arare (arando).
L’incavo che il vomere dell’aratro scopre (sustollit) si dice solco (sulcus); il mucchio di terreno che viene
scoperto (proiecta) porca (porca). Prati (prata) si dicono quei terreni che sono senza lavoro alcuno,
pronti a dare frutti (sine opere parata). Pel fatto che ogni anno si compiono di nuovo (rursum) le stesse
cose e di nuovo (rursus) se ne ricavano prodotti, così vengono chiamati i campi (rura)»
3
Varrone, De re Rustica, trad. it. Il fondo rustico, tratto da Opere di Marco Terenzio Varrone,
antologia a cura di Antonio Traglia, Torino, 1974.
Opera all’apparenza indirizzata all’istruzione pratica del fattore, come il De Agricultura di Catone, ma
che in realtà mirava ad estetizzare la vita di campagna ed a esaltare l’ideologia romana del proprietario
terriero.
6
Per quanto riguarda l’artigianato, i Romani preferivano acquistare manufatti di
elevata qualità e statue per decorare i propri templi, presso gli Etruschi o le città greche
del sud Italia, mentre dedicavano i frutti della propria opera, di qualità decisamente
inferiore, all’utilizzo quotidiano e per i lavori più umili. Infatti, i ritrovamenti
archeologici di utensili estremamente rozzi dimostra come la produzione propria si
limitasse a soddisfare le esigenze di vita quotidiana. La leggenda fa risalire al re Numa
Pompilio la suddivisione e l’organizzazione in corporazioni di mestiere di artigiani ed
operai (più precisamente: flautisti, orefici, calzolai, tintori, falegnami, cuoiai, fabbri e
vasai). Senza dubbio si tratta di un’anticipazione storica, dato che risulta impensabile
che ci fossero già corporazioni di mestieri in epoche così antiche.
4
Il vero motore, però, che portò alla trasformazione di Roma da piccolo centro a
città, fu sicuramente il commercio: presso Ostia sorgevano infatti alcune importanti
saline che distribuivano il sale attraversando il Tevere. Si può supporre che la città
esigesse dei dazi come un castello feudale in cambio di protezione militare delle merci
e del denaro.
Questo pone interessanti quesiti riguardo alla monetazione: questi traffici sono,
molto probabilmente, il motore che porterà, anni dopo, alla vera e propria monetazione
romana, risalente al 269 a.C., che rappresenta, senza alcun dubbio, uno dei dati più
4
Plinio il Vecchio (23 – 79 d.C.), Naturalis Historia, trad. it. Storia Naturale, Torino, Einaudi,
1983, edizione diretta da Gian Biagio Conte, Libro XXXIV 1,1.
Informazioni sull’autore tratte dal libro Maiores, cit. pag 455, 456. L’autore fu soprannominato così per
distinguerlo dal nipote Plinio il Giovane. Di ricca famiglia equestre perì a causa della celeberrima
eruzione del Vesuvio che seppellì Ercolano e Pompei. L’opera venne completata e consegnata
all’imperatore Tito nel 78 e rappresentò il risultato di venticinque anni di lavoro senza interruzioni.
Quest’opera è divisa in ben 37 libri con, in tutto, circa 40.000 informazioni tra dati, notizie ed
osservazioni e si prefiggeva di raccogliere e catalogare tutto lo scibile umano del tempo. Nonostante, in
realtà, rappresentasse un regresso, rispetto alla scienza alessandrina, nella matematica, nella fisica e nella
cosmografia, la Naturalis Historia venne letta da intere generazioni divenendo, nel Medio Evo il testo
scientifico per eccellenza, consultato per qualsiasi motivo.
7
significativi nello studio di queste epoche antiche. Durante questo periodo, però, Roma
era povera di metalli e non aveva accesso alle miniere di rame per lo più situate in
Etruria e di ferro sull’isola d’Elba. Si può, quindi, supporre che in cambio di prodotti
come pelli, lana e bestiame, alcuni popoli commercianti come Fenici, Latini ed
Etruschi, introducessero a Roma monete d’oro e d’argento e , soprattutto, ferro grezzo e
bronzo per la costruzione di armi ed armature.
Esattamente nella stessa maniera del sopraccitato commercio di sale, il commercio
del ferro fu di notevole importanza per la crescita di Roma: enormi carovane cariche di
ferro, che viaggiavano dall’Etruria in direzione sud, sostavano in città, trasformandola
rapidamente da centro pastorale-agricolo a stazione di traffico.
5
Probabilmente, proprio durante questo periodo, in seguito a questo nuovo ruolo
assunto da Roma, i signori Etruschi decisero di impadronirsene (o di prendere le redini
del governo) dando vita alla seconda fase monarchica. I ritrovamenti archeologici
hanno confermato che in questo periodo è accaduta una vera e propria trasformazione
di Roma in una città-stato di stampo classico, con mura esterne, templi grandiosi ed
opere pubbliche. Le stesse dimensioni della città dimostrano chiaramente come
l’economia si fosse sviluppata rapidamente da pastorale, ad economia di scambi e
manifatturiera. Sicuramente, durante questo periodo si stabilirono intensi rapporti con
le città stato della Magna Grecia e della Campania. Durante i primissimi anni della
Repubblica avvenne un primo contatto con Cartagine, tramite la stipulazione di un
trattato commerciale e questo dimostra come, già in tarda età arcaica, Roma avesse
interessi commerciali che si stavano estendendo fuori dall’area etrusco-laziale, grazie
all’utilizzo di navi da trasporto.
5
Ibidem, libro XXXIV, 14, 139.
8
In effetti, non si conosce con precisione a quando risale la costituzione di una flotta
commerciale, ma le tecniche utilizzate ed i tempi di realizzazione delle flotte militari
per combattere contro la stessa Cartagine durante la prima guerra punica, lasciano
intuire che esistessero già dei cantieri navali con una preparazione ed una manodopera
specializzate. I dati sono impressionanti: nel giro di 60 giorni, i Romani costruirono ben
120 navi da guerra!
6
Alla fine del VI sec. a.c., precisamente nel 509, secondo la tradizione, Roma si
accingeva alla cacciata dell’ultimo re etrusco (Tarquinio il Superbo) dovuta alla
rivoluzione dell’aristocrazia gentilizia terriera contro i signori etruschi che avevano
governato fino a quel momento. Tutto ciò avvenne in coincidenza con il declino della
civiltà etrusca e della sua forte influenza nel centro Italia.
La situazione per Roma appariva più che florida: l’economia era cresciuta
notevolmente insieme alla città, le istituzioni cittadine erano forti e pronte per essere
traghettate verso la repubblica e, inoltre, il declino degli Etruschi lasciava vacante il
ruolo di stato egemone nel centro Italia.
Le aspettative erano ottime, la realtà fu drasticamente diversa.
6
Per maggiori considerazioni riguardo a queste cifre, si veda: Pekary, T., Storia del mondo antico,
Bologna, Universale Paperbacks Il Mulino, 1996, traduzione italiana di Luigi Gallo, pag. 150.
9
L’agricoltura
Come già anticipato, a Roma, l’agricoltura sorse più tardi rispetto alla pastorizia,
ma come in tutte le società primitive, assunse subito il ruolo di maggiore importanza
nell’economia dello stato.
Fin dall’inizio dello sviluppo di forme stabili di coltivazione della terra, i romani
svilupparono un primitivo aratro, che sostituì parzialmente l’uso della zappa.
Probabilmente questo tipo di aratro fu importato, come molte altre cose, dall’etruria ed
ebbe da subito un impatto di importanza fondamentale nella vita non solo economica,
ma anche sociale dell’epoca. Il lavoro venne reso più rapido ed efficiente, ma
estremamente più duro: come naturale conseguenza venne, sempre più spesso, svolto da
uomini che soppiantarono il ruolo della donna nell’agricoltura, ponendo forti basi per il
cambiamento da società matriarcale a patriarcale.
7
Il più importante cambiamento, però, fu di carattere sociale: l’originaria struttura
sociale era quella costituita da grandi gruppi gentilizi dediti alla pastorizia su terreni
comuni, ora, invece, benché il pascolo si mantenesse su terreni comuni, si introduceva
velocemente il concetto di familia sulla base di proprietà individuali e private di un
lotto di terra per l’agricoltura. Conferme di questi cambiamenti si ritrovano anche nella
leggenda, secondo la quale lo stesso Romolo avrebbe decretato l’assegnazione ad ogni
famiglia di due iugeri di terra, i cosiddetti bina iugera, corrispondenti a circa mezzo
ettaro. In realtà, si tratterebbe di un appezzamento troppo esiguo per il sostentamento di
una famiglia, seppure molto piccola, quindi questa fonte risulta utile solo a confermare
7
De Martino, F., Storia di Roma Antica, cit. pag 5.
10
la nuova necessità, per ogni famiglia, di possedere una proprietà privata che forse, però,
era ancora affiancata dallo sfruttamento di alcune terre comuni.
8
Per quanto riguarda, nello specifico, le coltivazioni, sappiamo che l’alimentazione
era costituita principalmente dal far: una specie inferiore di grano (probabilmente la
spelta) caratterizzato da un involucro molto aderente al seme e che, quindi, necessitava
di un trattamento col calore del fuoco, prima del mortaio.
Non sappiamo molto sulla produttività di questo cereale in quanto le poche fonti in
nostro possesso sono discordi: Varrone e Cicerone affermano che la produzione di
grano fosse, in media, 8 – 10 volte il seme, ma l’autorevole Columella tramanda una
produzione tutt’al più di 4 volte il seme. Si deve, tuttavia, affermare che il testo di
Columella può anche essere tradotto ed interpretato come il far rendesse quattro volte il
reddito del capitale o, addirittura, un quarto della redditività di altre coltivazioni, come
ad esempio, il vigneto.
9
Dai ritrovamenti in alcune tombe, si è scoperto che la produzione di grano era
affiancata anche da altri cereali come l’orzo, il miglio ed il panico. Per quanto riguarda
i legumi, invece, la fava è tra le piante più antiche coltivate a Roma, mentre la coltura
di alberi da frutto era decisamente primitiva e si limitava a pochissime specie, come il
fico, il melo ed il pero. Un caso particolare è rappresentato da ulivo e vite, da sempre
due pilastri dell’agricoltura mediterranea: entrambi erano conosciuti ma, probabilmente
a causa del terreno inadatto, conobbero solo successivamente una forte diffusione e
8
Ibidem.
9
Varrone, De re rustica, cit. I, 44;
Marco Tullio Cicerone, In Verrem, trad. it. Il processo di Verre, Milano, Rizzoli 1996, traduzione e note
di Laura Fiocchi e Nino Marinone, II, 3, 47.
Lucio Giunio Moderato Columella, De re rustica, trad. it. L’arte dell’agricoltura, Torino, Einaudi 1977
trad. Rosa Calzecchi Onesti, note Carlo Carena, II, 9, 1.
11
ricoprirono in queste epoche antiche un ruolo sicuramente marginale.
Non possiamo conoscere quanto fosse esteso il territorio dedicato all’agricoltura,
l’ager Romanus, ma si può facilmente ipotizzare che i Romani, come moltissimi popoli
antichi, incendiarono boschi e selve per ricavarne terreni fertili e coltivabili,
dimostrando ancora una volta come, in quest’epoca arcaica, l’economia romana fosse
prevalentemente di transizione dalla pastorizia all’agricoltura.
12
La struttura sociale
Merita sicuramente particolare attenzione l’ordinamento della società romana in
queste epoche arcaiche, in quanto ha notevoli implicazioni sia sull’agricoltura, sia sulla
struttura sociale. L’ordinamento della società era basato sulla gens: un primitivo gruppo
con forte connotazione patriarcale, dove, al carattere familiare e domestico, si
affiancava quello politico, poiché, in epoche antiche, la gens disponeva di poteri
sovrani, come un piccolo stato autonomo, con un proprio elementare diritto, propria
religione e, come visto precedentemente, terre proprie per l’agricoltura e la pastorizia.
L’organizzazione interna era estremamente semplice e tutti gli appartenenti alla gens,
detti gentiles, erano uguali, liberi, ma ugualmente sottoposti al potere forte di un capo,
chiamato pater gentis. Ben presto le gens divennero dei forti poli di aggregazione: chi
non ne faceva parte, non potendo godere di certi benefici, cercava di entrarvi
sottoponendosi alle sue regole gerarchiche, con il rito della applicatio. Il numero dei
gentiles, quindi, cominciò a salire in maniera esponenziale; si cominciarono a perdere i
connotati familiari e domestici e cominciò a rendersi necessaria una migliore
organizzazione interna. In particolare, si introdusse la suddivisione del lavoro ed alcuni
impieghi divennero subordinati: si sviluppò così, velocemente, una specie di divisione
di classe interna alle singole gens, che trovò la sua realizzazione nella nascita della
clientela. Per spiegare correttamente i rapporti di clientela, dobbiamo ricorrere al
concetto di padrone e quello di servo, ma è fondamentale comprendere che questi due
termini risultano sterili e rappresentano solo una parte marginale di questa particolare
relazione: in effetti, la clientela aveva forti implicazioni morali e religiose, ancor prima
13
che giuridiche. Il rapporto tra signore e cliente era retto dalla fides: il patrono si faceva
carico di proteggere e tutelare il proprio cliente da offese estranee alla gens.
10
Da questo si desume chiaramente come, anche nelle epoche più antiche, per i
Romani era preferibile una gestione paternalistica dei subordinati, rispetto alla brutale
sottomissione.
Anche durante i secoli successivi, questo modo di gestire i rapporti umani, non solo
non andò perduto, ma divenne il vero cardine delle relazioni di Roma con il mondo
esterno. Un esempio interessante è dato dal fatto che, secoli dopo, venire in fidem era la
sottomissione volontaria di un popolo alla sovranità di Roma; seguendo questa linea di
pensiero, Roma sviluppò una politica estera vincente, spesso tesa non
all’annientamento ed alla riduzione in schiavitù dei popoli avversari, bensì alla loro
incorporazione.
10
Le fonti che ci tramandano questi rapporti sociali, sono riscontrabili in ogni opera di ogni autore
latino: in realtà, questa struttura sociale rimase per sempre la base della società romana e ne regolò ogni
rapporto giuridico e personale. Per questo è praticamente impossibile citare il nome di qualche autore che
in particolar modo abbia trattato l’argomento in un suo scritto.
14
La nascita del diritto
Nonostante abbiamo descritto la Roma monarchica come troppo cronologicamente
distante e primitiva per ricostruirne l’economia con precisione, è altresì vero che
quest’epoca risulta essere fondamentale per lo studio delle relazioni sociali che
crearono, pochi anni dopo, i presupposti per la nascita del diritto romano.
Come abbiamo appena detto, la società romana era retta da due strutture portanti: la
gens e la familia. Osservandole nel dettaglio, è facile immaginarne sia i connotati che la
gestazione: prima della vera e propria fondazione di Roma, che riunì, in una specie di
federazione, le popolazioni che abitavano i colli attorno al Tevere, tutte queste genti
erano suddivise in tre tribù separate e differenti: i Ramnes, i Tities e i Luceres. Oltre a
queste ve n’erano altre leggermente più lontane, ma che contribuirono alla creazione di
Roma: gli Albani ed i Latini. All’interno di queste tribù, dedite alla pastorizia, il nucleo
famigliare aveva una notevole importanza, dovuta anche al fatto che, nei continui
spostamenti per il pascolo del bestiame, le famiglie (intese in senso allargato:
comprendenti, dunque, figli, nipoti, parenti acquisiti per legami matrimoniali e servi)
fossero forzatamente separate dal resto della comunità per lunghi periodi di tempo.
Immaginiamo che, ad esempio, scoppiasse un acceso diverbio all’interno di una familia
in un momento in cui questa si trovava lontana dalla propria tribù. Chiaramente era
impensabile che venisse abbandonata la mandria per tornare di fronte ad un tribunale:
v’era dunque bisogno di una figura che avesse l’autorità assoluta sulla propria familia e
la scelta non poteva che ricadere sul pater, il progenitore vivente di un gruppo.
11
Il pater
11
La tesi del Bonfante, riportata da Talamanca, (Talamanca, Mario, Istituzioni di Diritto Romano, A.
Giuffrè Editore, Milano, 1990, pag 118) secondo la quale l’autorità del pater familias gli venise attribuita
dal princeps gentis è, non solo superata ed abbandonata ma, a mio parere, fuorviante, dato che attribuisce
15
familias era, dunque, il più rigido esempio di capo di un’unità patriarcale: egli
esercitava la propria autorità (che prendeva il nome di patria potestas, termine in uso
ancora oggi)
12
per il bene e la sopravvivenza del gruppo stesso ed era padrone assoluto
delle persone e delle cose, nonché sacerdote. Alla sua morte, i figli precedentemente
sottoposti, divenivano persone sui iuris, cioè con capacità giuridica di creare una nuova
familia alla quale porsi a capo.
13
La gens, dunque, non veniva sostituita, bensì affiancata
ed integrata dalle familiae. A testimonianza di questo, si può notare come le due figure
predominanti di questi due gruppi sociali, avessero nomi e ruoli profondamente diversi:
nel pater familias viene messo in risalto il rapporto di parentela, mentre nel princeps
gentis il ruolo prettamente politico. Queste forme più arcaiche di organizzazione sociale
non si persero affatto con la nascita di una più moderna struttura pubblica, ma ne
furono, anzi, la base. In questa federazione di tribù, che fu Roma arcaica, venne data
una grande importanza ai patres, la cui assemblea, che venne chiamata Senato, fu
l’organo legislativo più importante della storia di Roma e che, seppure con prerogative
differenti, esiste ancora oggi.
Nonostante la grande influenza del Senato sulla gente, il ruolo predominante della
fase monarchica romana spettava, ovviamente al rex: egli era al contempo la massima
autorità politica e religiosa. Tutto ciò, in realtà, non era affatto strano, dato che in epoca
arcaica il sistema politico era indissolubilmente e strettamente legato a quello religioso;
l’imperium del rex, dunque, si traduceva nella sua possibilità di consultare gli dei
una sorta di subordinazione del pater al princeps. Queste due figure, come vedremo più avanti, avevano
connotati e campi d’azione profondamente differenti.
12
Ducos, Michèle, Rome et le droit, Librairie General Française, Paris, 1996; trad. it. di Roberta
Ferrara, Roma e il diritto, Il Mulino, Bologna, 1998, pag 44.
13
Talamanca, M., cit., pag 119.
16
tramite gli auspicia. Tutte le azioni pubbliche erano, quindi, regolate dal volere degli
dei.
14
Alla luce di questa particolare situazione sociale, si può spiegare molto meglio
l’origine vera e propria del primitivo diritto romano: ciò che non era lecito e sgradito
agli dei si chiamava nefas; al contrario, tutto ciò che era lecito e giusto prendeva il
nome di fas. Con l’andare del tempo venne progressivamente separata la sfera religiosa
da quella sociale e civile, con l’introduzione dello ius, il diritto umano e non più divino.
Da questo momento con la parola ius si indicava cio che «è conforme al diritto»,
mentre con nefas solo ciò che «è conforme al volere degli dei».
15
Nonostante questa
separazione, le ancestrali norme del fas rimasero la base di tutto il diritto romano: si
trattava, infatti, di regole dettate dal buon senso e dalla ricerca del vivere in pace
all’interno di una stessa comunità. Ne è un ottimo esempio quello riportato da Ulpiano:
«iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique
tribuere»
16
(i precetti del diritto sono questi: vivere onestamente, non danneggiare un
altro, dare a ciascuno il suo). La principale fonte di diritto romano in epoca arcaica fu,
dunque, una sintesi di precetti derivanti principalmente dalla consuetudine e dalle
usanze. Come abbiamo detto, le leggi con maggiore autorità erano le leges regiae,
ovvero quelle promulgate dal rex, che rappresentano le prime norme autoritative della
storia di Roma. Il compito, invece, di interpretare la legge caso per caso e, quindi, di
14
Tito Livio (59 a.C. – 17 d.C.), Annales, secondo i manoscritti, Ab Urbe condita libri, secondo gli
antichi grammatici, traduzione italiana, Storia di Roma dalla sua fondazione, Milano, Rizzoli, traduzione
di Mario Scandola, note di Claudio Moreschini, 1994, libro VI, 41, 4.
«Sugli auspici è stata fondata questa città e attraverso gli auspici è condotta ogni attività in guerra ed in
pace, in patria e nelle campagne militari»
15
Cantarella, Eva, Istituzioni di diritto romano, Cuem, Milano, 2001; pag 97
16
Ulpiano, citato da Cantarella, cit., pag 97.
17
giudicare e risolvere le controversie, era affidato ai sacerdoti, i Pontifices, i primi veri
giuristi romani.
17
Un altro organo di governo e importante fonte di diritto fu rappresentato dai Comizi
Curiati. La loro importanza si intuisce dal fatto che, come vedremo più avanti, dopo la
caduta della monarchia, i Comizi colmarono il buco normativo causato dall’assenza del
rex, sostituendone, di fatto, il ruolo giuridico. I comizi curiati erano un’assemblea di
cittadini maschi, che prendevano il nome di Quirites, articolati nelle trenta curie in cui
era suddivisa la città. I Quirites, già durante quest’epoca arcaica, godevano di grandi
poteri, tra i quali quello di votare per l’elezione del nuovo rex e, successivamente,
esprimere pareri sulle sue leggi.
18
Come uno specchio di una organizzazione sociale semplice, gli organi promananti il
diritto erano, dunque, in epoca arcaica, pochi e caratterizzati dall’assenza di strutture
complesse e di controllo. Già a partire dall’epoca subito successiva, con la caduta della
monarchia e la nascita della repubblica, la crescita territoriale e l’egemonia politica e
militare di Roma, il diritto si arricchì di nuove e sempre più complesse istituzioni.
17
Cantarella, cit., pag 106
18
Arangio-Ruiz, Vincenzo, Storia del diritto romano, Jovene, Napoli, 1997, pag 38 ss.
18
II. IL V SECOLO a.C. E LA CRISI ECONOMICO-SOCIALE
Il declino della civiltà etrusca nell’Italia centrale, coincise strettamente con la
perdita di potere dei monarchi etruschi a Roma, che non poterono più contare sui
potenti appoggi dei loro connazionali.
L’aristocrazia gentilizia romana, intuendo che la situazione politica era
particolarmente propizia, diede vita ad una rivoluzione contro la monarchia, cacciando
dalla città l’ultimo re, Tarquinio il Superbo. Gli effetti di questa rivoluzione ebbero
pesanti ripercussioni sia in ambito politico, sia economico. Tutto il potere politico
rimase, infatti, nelle mani del patriziato, che istituì subito un governo estremamente
chiuso, gettando il seme per i disordini sociali e le guerre civili contro la plebe.
Anche per quanto riguarda l’economia, a differenza del VI secolo, il V appare
caratterizzato da crisi e stagnazione; i ritrovamenti di vasi di importazione ci forniscono
dati impressionanti: sono stati riportati alla luce 145 frammenti di vasi importati nel
periodo 500-450, mentre c’è poi un calo vertiginoso nel periodo 450-400 a.C. con soli 9
frammenti ritrovati. Questi dati sono uno specchio molto preciso di quella che era la
situazione politica a Roma: gli Etruschi avevano creato la propria egemonia in Italia
grazie ai commerci con la Magna Grecia ed avevano esportato a Roma questo modo di
condurre l’economia; ora, senza la guida etrusca, l’inesperto neo-governo romano stava
rivolgendo la propria attenzione, più che verso il commercio, verso l’interno dei propri