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viene associata, pur condividendo alcune caratteristiche con entrambi. Il
disegno animato, usato in modo sempre innovativo e ambizioso, ci trasmette
delle “emozioni”, sia attraverso la narrazione delle avventure di alcuni
personaggi che compiono le azioni più incredibili, sia perché essi sembrano
“provare” delle emozioni.
La percezione delle emozioni nei cartoons dimostra che il cast di
animatori segua delle regole, probabilmente implicite, di rappresentazione
espressiva, sia visive che sonore, che si basino su comuni teorie ingenue delle
emozioni tra gli artisti del disegno animato e gli spettatori. Anche se ogni
animatore o scuola di animatori segue un proprio modo di rappresentare le
emozioni, tutti si rifanno all’idea principe di “caricatura della realtà”
attraverso artifici grafico-dinamici e sonori.
Analizzare il connubio tra espressione di emozioni e cartoon vorrebbe
dire analizzare in un medium artistico con un proprio codice espressivo,
l’espressività umana, la quale ha regole proprie. Per un confronto tra
personaggio animato e uomo, quindi, ho optato per un cartoon che meglio
riproducesse il “reale” e, poi, ho scelto un modello teorico adatto ad
un’analisi di tipo espressivo delle emozioni. Nel vastissimo campo
dell’animazione, la serie televisiva animata di Matt Groening, I Simpson, mi
è sembrata la più adatta perché è quella che meglio si avvicina alla “realtà”
dal punto di vista contenutistico, inaugurando il genere di serie animate “per
adulti”. Mentre nello stile grafico-dinamico essa appartiene senza ambiguità
al genere dei cartooons, nei contenuti è rivoluzionaria, perché attuale,
contestatrice e ironica. Quindi, se rappresentano così bene la “realtà”,
riuscendo ad “emozionare” un pubblico adulto, si suppone che i personaggi
8
de I Simpson siano molto più vicini all’espressività delle emozioni nell’uomo
di quanto non lo siano altri cartoni animati.
Il primo problema da affrontare, per gettare le basi dell’analisi, ha
riguardato il numero e il tipo di emozioni da analizzare. Partendo dal
presupposto che un medium e prodotto artistico come il cartone animato, basa
la sua esistenza sulla percezione delle sue storie, ed assieme ad esse le sue
emozioni, da un pubblico mondiale, esso deve seguire delle regole di
espressione delle emozioni che si fondino sulla loro riconoscibilità
universale. Ho quindi setacciato il campo degli studi sulle emozioni,
costellato da teorie di ogni tipo, alla ricerca di quelle che si incentrassero
sulla comunicazione verbale e non-verbale delle emozioni.
Quello che, però, i teorici sulle emozioni odierni fanno notare è la
generale propensione ad un approccio sindromico, per citare uno dei termini
più utilizzati, dell’emozione. Se dal punto di vista teorico, l’integrazione di
varie teorie è la generale direzione degli studi sulle emozioni, dal punto di
vista empirico ci si limita ad un solo approccio teorico per rispondere a
problemi di ordine specifico. Anche questo è il caso della mia analisi, che si
fonda sulle teorie evoluzioniste, essendo il mio interesse incentrato sugli
aspetti visivi e verbali delle emozioni , cioè l’espressività.
Gli studiosi hanno proposto teorie antitetiche riguardo alla definizione
stessa di emozione, chi sostenendo che esistano alcune categorie emozionali
e chi credendo che ogni emozione sia determinata dal variare di un
complesso sistema di dimensioni. All’interno del primo gruppo di teorici il
dibattito è aperto sul numero e sul tipo di emozioni universalmente
riconoscibili. Questi studiosi, detti evoluzionisti o neoevoluzionisti, hanno
9
cercato di rintracciare, attraverso studi cross-culturali, le caratteristiche
espressive prototipiche delle emozioni cosiddette primarie.
E’ pur vero che ci sono delle differenze espressive relative alla cultura,
al contesto sociale e alla personalità dell’individuo, e non pochi problemi
metodologici sono sorti per ovviare a queste differenze e rintracciare dei
prototipi universalmente riconoscibili. Inoltre, molteplici canali verbali e
non-verbali sono contemporaneamente coinvolti durante l’esperienza di
un’emozione, anche se la ricerca ha dimostrato che gli elementi
paralinguistici e l’espressione facciale sono gli indicatori privilegiati della
comunicazione delle emozioni.
Gli studiosi evoluzionisti hanno dimostrato che ci sono dei tratti
prototipici nell’espressione facciale per ciascuna emozione primaria. Tra
questi studiosi, spiccano Ekman e Friesen, i quali da quasi quarant’anni si
occupano di ricerca cross-culturale e hanno elaborato un modello di
riconoscimento delle emozioni attraverso la scomposizione del viso in unità
corrispondenti ai muscoli facciali, il FACS, che è stato adottato da altri
studiosi e trasferito ad applicazioni in altri settori, come la computer
animation. Il loro testo base sulle espressioni prototipiche delle emozioni
primarie, ossia quelle universalmente riconosciute, risale a qualche anno
prima della messa appunto del FACS, ed espone, assieme ad una vasta e
documentata serie di fotografie di espressioni facciali, anche l’esperienza
prototipica di ciascuna emozione: Unmasking the Face: A guide to
recognizing emotions from facial expression (1975). Il modello teorico scelto
è stato adattato al medium dei cartoon, il quale presenta particolari
caratteristiche espressive, con l’intento di verificare se i prototipi
10
dell’espressione di alcune emozioni primarie ne I Simpson siano
confrontabili con i prototipi delle espressioni facciali di Ekman e Friesen.
L’espressività dei personaggi animati si avvale, inoltre, di una compresenza
di elementi, quali il dialogo e gli elementi strattamente legati al mezzo
cinematografico, come il suono, le inquadrature e le “luci”. Analizzare un
personaggio nei suoi molteplici livelli di comunicazione espressiva
dell’emozione ha significato costruire prototipi che considerassero tutte le
potenzialità del medium.
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Emotions are what make life livable.
P.Ekman, 2003
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PARTE PRIMA:
L'ESPRESSIONE DELLE EMOZIONI
NELL'UOMO
13
CAPITOLO 1
CHE COS’E’ UN’EMOZIONE?
In realtà quasi non esiste un campo di fenomeni
psichici più ostico allo studio che quello dei sentimenti.
Se scorriamo la psicologia, dalla più antica alla più
recente, da nessuna parte regnano tanta divergenza e
tanto contrasto nelle prospettive e nella spiegazione
come in quest’ambito.
J.W. Nahlowsky, Das Gefühlsleben, 1862
1.1. Le teorie sulle emozioni: verso una definizione di emozione
Anche se sentimenti, affetti ed emozioni sono stati da sempre oggetto
di riflessione filosofica, è ben vero che nell’ambito della psicologia solo a
partire dagli anni Sessanta si è risvegliato un vivo interesse per lo studio
psicologico dell’esperienza emozionale. Sono infatti i numerosi lavori di
Tomkins (1962, 1963), di Schachter (1964), di Izard (1965, 1972), della
Arnold (1968) e di Plutchink (1970) – per citarne alcuni – che hanno
risvegliato l’interesse nel settore (Battacchi, Renna e Suslow 1995). Il
rifiorire dell’interesse verso l’argomento è dovuto in parte al diffondersi
della psicologia cognitiva, che ha riabilitato l’esplorazione di quanto accade
dentro la black box.
Da allora sono state proposte numerose teorie, che hanno notevolmente
arricchito questo settore scientifico, anche se non sono mancati aspetti di
ambiguità e confusione. A riprova di questo stato di cose, Battacchi, Renna e
Suslow (1995) ripropongono il lavoro di Kleinginna e Kleinginna (1981), i
quali hanno classificato 92 definizioni diverse di emozione che hanno isolato
dall’analisi della letteratura fino allora esistente. Questa classificazione si
basa su 11 categorie classificatorie generali secondo un criterio di prevalenza
di una determinata componente emotiva nella definizione teorica, e non ha
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solo carattere socio-documentativo, ma riflette posizioni che si sono
conservate in parte fino ad oggi nella psicologia delle emozioni. Per questa
ragione le riproponiamo qui di seguito:
1. Le definizioni affettive, che accentuano le sensazioni (feelings)
dell’eccitazione o/e del piacere/dolore (coloritura edonistica), e
risultano le più diffuse nella letteratura sulle emozioni (Arietti 1970,
Hilgard et al. 1979).
2. Le definizioni psicofisiologiche, che sottolineano la dipendenza delle
emozioni da meccanismi fisiologici (Cannon 1928, Pribram 1970).
3. Le definizioni cognitive, che rivelano componenti relative alla percezione
e al pensiero (ad esempio processi di etichettamento e di valutazione:
Schachter 1970, Kimble et al. 1980, Mandler 1984).
4. Le definizioni situativo-esterne, che accentuano il ruolo dei fattori esterni
che scatenano reazioni emotive (Millenson 1967, Strasser 1970).
5. Le definizioni espressive, che sottolineano il significato centrale delle
reazioni espressive emozionali (Darwin 1872, 1965, Clynes, 1977,
Wallon 1949, che aggiunge le risposte tonico-posturali).
6. Le definizioni interruttive, che mettono in rilievo gli effetti disgreganti o
disfunzionali delle emozioni (Young 1943, Wickens, Meyer 1961).
7. Le definizioni adattive che, viceversa, dedicano particolare attenzione agli
effetti funzionali delle emozioni che garantiscono il soddisfacimento
dei bisogni (Carr 1929, Rado 1969, Buck et al. 1974).
8. Le definizioni motivazionali, che in particolare sottolineano la relazione
tra emozione e motivazione (Arnold 1960, Tompkins 1970).
9. Le definizioni sindromiche, che tendono a cogliere nel loro insieme le
diverse componenti emotive (Lazarus 1975, Reisenzen 1983, Scherer
1984).
10. Le definizioni restrittive, che tentano un’identificazione delle emozioni
soprattutto attraverso la differenziazione da altri fenomeni psichici
(Freud 1915, Ewert 1970).
11. Le definizioni scettiche, infine, che mettono in dubbio il valore del
concetto di emozione (Duffy 1941, Stein, Rosen 1974).
Ciò che lo schema di Kleinginna e Kleinginna (1981) mette in risalto è
la molteplicità di angolazioni da cui possono essere studiate le emozioni e
perciò la difficoltà per gli studiosi di giungere ad una definizione definitiva
di emozione. D’altra parte lo schema non tiene conto dell’approccio
costruttivista-sociale (Averill 1980, 1986, Armon e Jones 1986, Harré 1986),
che concepisce l’emozione come un costrutto sociale nel senso di ruoli
sociali transitori (Battacchi, Renna e Suslow 1995, p. 19).
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Oltre alla discordanza sulla definizione di emozione, Battacchi, Renna
e Suslow (1995) fanno notare che tra gli studiosi del campo ci sono notevoli
divergenze anche riguardo ai modelli funzionali delle emozioni. Essi, infatti,
propongono un’ulteriore suddivisione dei diversi approcci teorici
fondamentali, che si ramifica nei modelli psicobiologici, psicofisiologici,
cognitivistici, psicoanalitici e comportamentistici. Battacchi, Renna e Suslow
(1995) adottano come punto di partenza la prospettiva teorica di Scherer
(1984, 1986, 1988, e Gehm 1988) che, analogamente a Reisenzein (1983),
concepisce le emozioni come sindromi reattive multidimensionali. I tre
studiosi si dichiarano critici nei confronti della discordanza e imprecisione
dei concetti nella psicologia delle emozioni che si ripercuote negativamente
anche sul piano operativo-metodologico. Essi, inoltre, suddividono le
emozioni in cinque dimensioni o componenti, che possono concorrere a
formare la risposta emotiva totale ed elencano le funzioni principali delle
emozioni nella vita dell’uomo.
Qualche anno più tardi Lombardo e Cardaci (1998), sul filone di una
concezione sindromica dell’emozione, definiscono l’emozione un insieme
complesso di fenomeni che si manifestano su almeno tre piani – tra cui
quello espressivo-comportamentale. Essi affermano che nonostante sia
difficile pervenire a una definizione univoca, fra i teorici e i ricercatori che si
sono occupati fino ad oggi dell’argomento è gradualmente emerso un
generale consenso nel definire l’emozione come sindrome, ovvero come
insieme di diversi sintomi (neuropsicologici, fisiologici, espressivi,
fenomenologici ecc.) che la costituiscono, tutti più o meno presenti, nessuno
singolarmente necessario e sufficiente a definire uno stato emozionale.
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D’Urso e Trentin (1992, p. 29) ribadiscono che l’emozione è un evento
multisistemico che interessa il piano dell’elaborazione cognitiva e dei
resoconti verbali dell’esperienza soggettiva, il piano dei comportamenti
motori e quello delle risposte fisiologiche. Anche Lacroix (2001, p. 4)
riconosce l’esigenza di riformulare una definizione di emozione che
comprenda tutti i suoi aspetti.
Data la generale propensione dei teorici verso un approccio che
abbracci varie teorie contemporaneamente e inquadri l’emozione in un ottica
più aperta all’integrazione di vari metodi d’analisi – che di volta in volta
viene definita “multidimensioniale” o “sindromica” (Battacchi, Renna e
Suslow 1995, Scherer 1984, 1986, 1988, Scherer e Gehm 1988, Reisenzein
1983) “mutisistemica” (D’Urso e Trentin 1992) o di “insieme complesso di
fenomeni” (Lombardo e Cardaci 1998) –, in questo capitolo mi rifarò proprio
a quegli autori che si sono occupati del campo di studio delle emozioni in
tale direzione: D’Urso e Trentin (1992), Battacchi, Renna e Suslow (1995),
Lombardo e Cardaci (1998).
L’area della psicologia che tratta le emozioni è quindi una di quelle
probabilmente più ricche di teorie in cui ciascuna di esse adotta una diversa
definizione operativa, che riflette l’aspetto principale della sindrome
(esperienziale, psicofisiologico, espressivo) cui viene attribuito il ruolo
causale nel processo emozionale (Lombardo e Cardaci 1998). Riproporrò le
teorie che hanno osservato l’emozione dai suddetti punti di vista, iniziando
dalle teorie psicofisiologiche, procedendo per quelle cognitive e
concludendo con quelle fenomenologiche. Trascurerò le teorie che si basano
sull’esperienza soggettiva attraverso il linguaggio verbale (definite da
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Plutchik, teorie psicodinamiche: Freud , Rapaport 1950) per accennarle solo
successivamente quando andrò a parlare dell’espressione verbale delle
emozioni. Mi incentrerò, quindi, sulle teorie che si interessano
maggiormente dei comportamenti visibili, maggiormente significative per la
mia analisi.
1.2. Le teorie psicofisiologiche delle emozioni
1.2.1. Le teorie di James e Lange (1884)
Nel linguaggio comune non sono infrequenti espressioni come “ho il
cuore in gola”, che mettono in relazione le componenti psicologiche e quelle
fisiologiche delle emozioni. Infatti, il problema che le teorie
psicofisiologiche si pongono è se le modificazioni fisiologiche sono la causa
dell’esperienza emozionale o ne costituiscono l’effetto. Pur privilegiando la
spiegazione fisiologica, le prime teorie scientifiche forniscono soluzioni
contrapposte al problema del ruolo delle modificazioni viscero-somatiche nel
processo emozionale.
Nel 1884 William James e, indipendentemente, Carl Gustav Lange
(1885) ipotizzano che l’informazione relativa agli stimoli emotigeni (cioè gli
stimoli interni o esterni in grado di elicitare una risposta emozionale) venga
registrata dagli organi di senso ed elaborata dai centri sottocorticali e
corticali. L’elaborazione produrrebbe una pura e fredda registrazione
cognitiva, se non si accompagnasse all’attivazione automatica di schemi
innati di risposte viscero-somatiche e motorie (Lombardo e Cardaci 1998).
Lange, in particolare, rivolge un’attenzione marcata agli aspetti
fisiologici della dinamica emozionale, descrivendo nei dettagli l’anatomia
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dell’emozione. Crede infatti che esistano tre distretti muscolari da cui hanno
origine, se attivati, tutte le diverse espressioni corporee delle emozioni. La
modalità di attivazione può essere di tre tipi e alcune combinazioni tra vari
tipi risultano più frequenti di altre e costituiscono le emozioni di base o
primarie, da cui possono costituirsene altre più complesse.
In altre parole, quello che James e Lange (1885) teorizzano è che la
sequenza che descrive un’emozione non è quella, più familiare al senso
comune, e cioè: “Percepisco un evento, ciò produce in me un effetto mentale
chiamato emozione e questa provoca delle conseguenze sull’organismo”; ma
piuttosto il contrario, che può essere sintetizzato con frase “Sono triste
perché piango”. La loro teoria periferica implica che “diverse emozioni
abbiano ben distinti correlati fisiologici” (D’Urso e Trentin 1992, p. 46), il
che non è riscontrabile empiricamente.
1.2.2. Le teorie di Cannon e Bard (1927)
Dopo circa trent’anni, Cannon (1927) decide di apportare alla teoria
periferica delle modifiche, convinto che nuove conoscenze fisiologiche ne
rendessero necessario il superamento. Riprendendo alcuni concetti espressi
in precedenza da Bernard, Cannon sostiene che scopo ultimo delle attività
che l’organismo compie, anche quelle sociali, è il mantenimento
dell’omeostasi, cioè dello stato interno psicofisiologico di equilibrio, in cui il
bilancio delle energie in uscita e di quelle in entrata risulta pareggiato
(corsivo di Lombardo e Cardaci 1992) e quindi che la mobilitazione di una
maggiore quantità di risorse psicofisiologiche si rende necessaria per
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affrontare situazioni di emergenza e per ristabilire l’equilibrio iniziale
(Lombardo e Cardaci 1998).
L’esperienza fenomenologica di emozione (cioè l’emozione provata a
livello soggettivo in presenza di una situazione di emergenza) dipende,
secondo l’autore, dall’attività di alcune strutture del sistema nervoso
centrale, in particolare dalla neocorteccia e dal talamo, che è una struttura
sottocorticale. Nel talamo sarebbero presenti meccanismi e schemi
preformati che regolano le azioni e le risposte viscerali che normalmente non
vengono espresse a causa dell’azione inibitoria esercitata dalla corteccia. A
dimostrazione del ruolo inibitorio esercitato dalla corteccia sul talamo,
Cannon riporta alcuni dati empirici: gatti sperimentali ai quali viene
asportata la corteccia, con comportamenti emozionali spropositati e
frequenti, come se si trovassero sempre di fronte a stimoli emotigeni. Lo
studioso ne ha dedotto che, dal momento che il comportamento emozionale
rimane immutato anche dopo l’eliminazione delle strutture periferiche,
queste ultime sono ininfluenti sull’emozione. Tuttavia, gli studi condotti
sull’uomo evidenziano che pazienti con lesioni traumatiche accidentali del
midollo spinale riportano una riduzione dell’intensità delle proprie
sensazioni emozionali dopo l’incidente (Lombardo e Cardaci 1998). Cannon
ha tuttavia provato che certe risposte fisiologiche sono le stesse per molte
emozioni e anche per stati non emozionali e ha dichiarato che i visceri non
possono essere la causa di risposte rapide come l’espressione e l’esperienza
emotiva (D’Urso e Trentin 1992, p. 48).
Le critiche di Cannon alle teorie periferiche hanno guidato la ricerca
per lungo tempo. Centinaia di studi, d’altra parte, sono stati condotti per
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individuare, come previsto dalle teorie periferiche, profili differenziati di
modificazioni fisiologiche per le diverse classi di emozioni identificabili a
livello soggettivo (presentazione di diapositive o di sequenze filmiche,
l’emotional imagery, l’espressione facciale di emozioni in posa, ad esempio).
I risultati di molti esperti condotti utilizzando le procedure descritte indicano
che vengono coerentemente riscontrati pattern psicofisiologici differenziati
fra emozioni positive e negative. E’ invece molto più controversa la
differenziazione fra emozioni della stessa valenza (entrambe positive o
entrambe negative), poiché la direzione delle modificazioni riportate non è la
stessa in studi diversi. Alla teoria periferica va comunque riconosciuto il
merito di avere collegato il ruolo adattivo della specie ad un meccanismo di
innesco facile ed immediato che esegue l’azione adeguata “ancor prima” che
sia disponibile la valutazione cognitiva dello stimolo (Lombardo e Cardaci
1998, p. 28).
1.3. Le teorie cognitive
Lange (1885) ha osservato che “inizialmente, lo studio scientifico delle
emozioni, influenzato dalla tradizione filosofica, ha operato una netta
distinzione tra emozione e cognizione e ha considerato le emozioni o
“passioni” forme primitive di attività psichica” (Lombardo e Cardaci 1998).
Soltanto alla fine degli anni Sessanta si è cominciato a formulare vere e
proprie teorie cognitive (ad esempio Averill 1974, Lazarus 1966), le quali
hanno studiato i processi di valutazione cognitiva (dette perció appraisal
teories) che caratterizzano e differenziano le esperienze emozionali,