Introduzione
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Pensavo che, prima di noi, le donne non avessero avuto le
parole per dirsi; che il silenzio conservasse e raccontasse i
loro gesti i loro sogni, la loro storia. Eppure io leggevo scrit-
ture di donne.
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Ma il lavoro, che solo negli ultimi decenni si sta portando a ter-
mine su scritti privati e pubblici, tra carte inedite e testi scono-
sciuti, incomincia a ridar vita e a render visibile e accessibile
quel grandissimo “archivio delle assenze”, dietro cui è nascosta
tutta la vitalità di voci costrette da un alto muro legislativo e cul-
turale, entro il ristretto ambito casalingo e privato.
Si scopre, allora, l’inconfutabile presenza ed esistenza di una
scrittura femminile che cammina parallela e di pari passo a tutta la
nostra tradizione letteraria, obbligata ad una revisione delle pro-
prie regole e della classica scala di valori che presiede alle moda-
lità di inclusione ed esclusione dei testi dal proprio repertorio.
Nel corso della storia, nelle dinamiche di prevaricazione dei
sessi, la donna ha sempre vestito i panni del più debole, questo
avrebbe permesso alla controparte, anche e soprattutto per paura,
di occultare nell’oblio ed esiliare nel silenzio tutto ciò che potesse
risultare pericoloso, increscioso e in qualche modo minacciare il
proprio predominio culturale e quindi economico e sociale. Ma da-
to che ciò che è rimosso e dimenticato non per questo è morto e
sepolto e continua ad esistere in un lento e incessabile lavorio di
sottofondo, gradualmente assistiamo ad una presa di coscienza,
seppur difficile e incresciosa, da parte degli intellettuali, che, già
a fine Ottocento, non possono più evitare di riconoscere
l’importanza di una presenza femminile sempre più numerosa e
variegata negli intenti.
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MARINA ZANCAN, Il doppio itinerario della scrittura: la donna nella tradizio-
ne letteraria italiana, Torino, Einaudi, 1988, p. X.
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Con l’unificazione della penisola si apre un periodo di radicali
trasformazioni che non mancano di riflettersi sulla funzione e sul
ruolo sociale delle donne nel nuovo contesto politico ed economi-
co. Esse cominciano ad organizzarsi, ad avanzare richieste, dando
vita ad un progetto di emancipazione basato sulla rivendicazione
di pari opportunità nell’istruzione, nel lavoro, nell’accesso ai di-
ritti politici; così, alla pari degli uomini, le donne cominciano a
ricoprire una molteplicità di ruoli sociali impensabile appena
qualche decennio prima. La stessa varietà di funzioni, che esse
cominciano a svolgere alla fine del secolo XIX, sviluppa nelle
scrittrici la capacità di trasferire le proprie esperienze in una
gamma di tipologie testuali molto ampia, cosa questa che impen-
sierisce particolarmente i colleghi uomini, che si vedono invasi
nei loro stessi confini maschili.
In particolare, l’ultimo ventennio del secolo vede un’esplosione
di scrittrici mai verificatasi in precedenza in Italia, come acuta-
mente rileva la studiosa Antonia Arslan, anch’essa impegnata a
restituire alla storia letteraria italiana la sua metà oscura:
È un’«infinita» schiera di novellatrici e di intellettuali, di
giornaliste […] e scrittrici per l’infanzia, che costituiscono
quella galassia sommersa, dai contorni è vero incerti e un po’
ambigui ma dall’indubbio spessore quantitativo e anche qua-
litativo, che era percepita dai contemporanei come uno dei
fenomeni più importanti dell’Italia umbertina. La letteratura
femminile era infatti seguita con attenzione proprio perché
giocava un suo ruolo, non solo e non tanto come «lettura di
evasione», ma come legittimo intervento di analisi e denun-
cia sociale, operato da donne per cui la scrittura era diventa-
ta uno status professionale.
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ANTONIA ARSLAN, Dame, galline e regine. La scrittura femminile italiana tra
800 e 900, Milano, Guerini, 1998, pp. 43-44.
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Quasi a confermare l’ansia dei suoi colleghi letterati, nel 1906
Luigi Pirandello, quale acuto osservatore della società e interprete
della psicologia umana, cominciò a scrivere un romanzo, Suo ma-
rito, incentrato sulle devastanti conseguenze delle ambizioni lette-
rarie di una giovane donna. In modo chiaramente allusivo, Silvia
Roncella, l’eroina del romanzo, come molte donne sue contempo-
ranee, scrive in maniera decisamente prolifera, mentre il suo a-
mante, presentato come uno dei maggiori scrittori del tempo, sof-
fre di un blocco dell’ispirazione lungo più di dieci anni.
L’anno seguente, il primo Gennaio 1907, uno dei critici italiani
più influenti, Luigi Capuana, pubblicò un articolo sulla «Nuova
Antologia» intitolato Letteratura femminile. Tale articolo comin-
ciava chiedendo, piuttosto bruscamente, se il copioso numero di
scrittrici donne fosse veramente motivo di preoccupazione per la
controparte maschile, come molti ritenevano:
C’è da impensierirsi, come fanno taluni dell’invadente con-
correnza della donna nella letteratura narrativa?
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Dalle rassicurazioni che Capuana rivolge alla comunità letteraria
maschile, basate su quello che egli definisce “quel contributo di
femminilità […] che è speciale caratteristica dell’intelligenza e,
più, del cuore della donna”, emergono chiaramente tutte quelle
pressioni sociali e pregiudizi sessuali, subiti dalle donne che com-
pievano la coraggiosa scelta di diventar scrittrici:
Esse mettono nella loro opera d’arte un elemento tutto pro-
prio, la femminilità; ma niente di più. […] Io poi sono con-
vinto che nell’avvenire, nel lontano avvenire, le donne sa-
ranno quel che ora sono gli uomini; ma allora gli uomini
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LUIGI CAPUANA, Letteratura femminile, a cura di G. Finoccchiaro Chimirri,
Catania, C.U.E.C, 1988, p. 19.
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saranno tutt’altri; e la distanza rimarrà uguale a quella di og-
gi. Allora gli uomini lasceranno alle donne l’occupazione di
scrivere romanzi, liriche, tragedie, commedie e, se ci avran-
no preso gusto, poemi; ma esse – aggiungo- non creeranno
nulla di nuovo, perché non ci sarà altro da creare nelle forme
dell’arte. Sarà un’eterna ripetizione, fino a che non si stan-
cheranno; cosa un po’ improbabile: le donne sono ostinate.
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Il voler insistere sul carattere “femminile” della scrittura delle
donne era un atteggiamento molto diffuso da parte degli intellet-
tuali del tempo, forse, un loro inconscio tentativo di voler vanifi-
care i potenziali effetti della presenza femminile sugli scenari let-
terari.
Dunque, tumultuosi gli anni che caratterizzano la fine del XIX
secolo, con la precisazione che quello fin qui accennato vuole es-
sere solo un rapido schizzo del quadro ben più articolato e varie-
gato, delle problematiche dinamiche che portarono al lento ingres-
so dello scrivere femminile negli ufficiali spazi della tradizione
culturale. Ma proprio da questi presupposti pregiudizievoli e sfa-
vorevoli, che avrebbero voluto continuare a confinare la donna
nell’isolamento e nell’ignoranza, nasce la motivazione di questo
mio lavoro, il cui obiettivo è quello di tentare di recuperare, per
quanto possibile, l’opera e il vissuto di una di quelle, se così pos-
siamo definirle, “oscure signore ripescate dal silenzio”; mi riferi-
sco alla scrittrice milanese, oggetto delle mie ricerche, Anna Ra-
dius Zuccari, meglio conosciuta come Neera. Sin dalle prime
pubblicazioni, l’atteggiamento della critica verso questa scrittrice
fu decisamente mutevole, e, a mio parere, la visione parziale e
quindi tendenziosa di molti studi inerenti a scelte, atteggiamenti
assunti, significati di opere narrative e saggistiche, deriva da di-
versi fattori: in primo luogo la confusione che contraddistingue gli
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LUIGI CAPUANA, Letteratura femminile, pp. 21-22.
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ultimi anni dell’Ottocento, la mancanza poi, a inizio secolo, di un
reale interesse per tutta quella letteratura considerata di “se-
cond’ordine”, non ultimi i condizionamenti legati a repentini cam-
biamenti di prospettiva, in quadri storici in rapida evoluzione.
A conferma di quanto detto, riporto la testimonianza di un critico,
Guido Menasci, che in un saggio su Neera apparso sulla «Nuova
Antologia» nel 1901, in linea con l’atteggiamento di molti suoi
contemporanei, dichiara di trovare nelle opere della scrittrice ste-
reotipi attribuiti al genere femminile:
Certi graziosi atteggiamenti del pensiero, non so quali raffi-
natezze di sentimento, [una] tiepida atmosfera d’affetto e di
tenerezza… l’associazione strana ma graziosa di alcune ide-
e… qualche volta il capriccio, ma un capriccio carino e gar-
bato…Ecco in qual modo Neera rivela negli scritti la genti-
lezza donnesca: così come basta a rivelar la presenza della
donna nella dimora un nonnulla: un fiore, un ritratto, il fru-
scio d’una gonna.
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All’interno di un quadro generale di disaffezione da parte della
critica d’inizio secolo nei confronti di Neera, un posto a parte di
particolare rilievo è occupato dal critico napoletano Benedetto
Croce. A quest’ultimo la scrittrice deve gran parte della sua fortu-
na, arrivando ad essere considerata una figura centrale della lette-
ratura al femminile della nuova Italia. Ma lo stesso Croce nel sag-
gio della Critica dedicato a Neera, accanto alle tante note positive
relative soprattutto ai valori che ne connotano il pensiero, non può
non soffermarsi sulle scorrettezze e imprecisioni della sua lingua
e del suo periodare, afferma:
5
G. MENASCI, “Neera”, ‹‹Nuova antologia di scienze, lettere ed arti››, 16 Set-
tembre 1901, p. 267.
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La fretta e la negligenza si propaga per tutte le parti dei suoi
libri, si sente nel periodare, nella lingua assai scorretta ed
imprecisa, e cosparsa di vocaboli e frasi che non sono ardi-
menti, ma vere e proprie negligenze perché, usati a casaccio.
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Preciserà poi, però, come queste incertezze della lingua non devo-
no far dimenticare e sminuire la capacità di questa scrittrice di
trasfondere nella sua arte tutta la sua passionalità, la sua sensibili-
tà insieme ad una immediatezza comunicativa capace di avvincere
il lettore in modo decisamente sorprendente.
Dopo un lungo periodo di silenzio, negli anni settanta, nel mo-
mento in cui il rifiorire del movimento femminista diffonde un
rinnovato interesse per le scrittrici del passato, circa 75 anni dopo
l’articolo di Menasci, Luigi Baldacci riscopre e ristampa l’opera
sicuramente più importante di Neera, Teresa
7
. Egli, ormai libero
da qualsiasi pregiudizio di “femminilità”, restituisce all’opera di
Neera quell’indignazione e lucidità documentaria proprie di uno
spirito prettamente “femminista”.
Ma, alla luce di una visione complessiva, pur riconoscendo
l’importanza e l’originalità della nuova interpretazione di Baldac-
ci, non si possono ignorare i limiti di una posizione che risulta,
proprio come quella di Menasci, ugualmente rigida, nello stesso
tentativo di etichettare entro parametri troppo stretti la complessi-
tà di un’opera dagli aspetti molteplici e spesso sfumati.
Cito a tal proposito gli importanti Atti del Convegno
8
relativi a
Neera curati da Arslan e Pasqui, che insieme a tanta critica recen-
te hanno tentato di ricomporre nella sua autenticità l’immagine di
6
B. CROCE, Neera, in La letteratura della nuova Italia, Bari, Laterza 1914, p.
136. Nella raccolta di saggi il pezzo porta la data del 1904, evidentemente anno della
sua composizione.
7
NEERA, Teresa, a cura di Luigi Baldacci, Torino, Einaudi, 1976.
8
Atti del convegno, Ritratto di Signora. Neera (Anna Radius Zuccari) e il suo
tempo,a cura di A. Arslan e M. Pasqui, Milano, Guerini e Associati, 1999.
Introduzione
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questa scrittrice tramandataci in modo spesso frammentario e la-
cunoso.
Su queste premesse, ho cercato di portare avanti il mio lavoro di
ricerca nel tentativo di colmare o quantomeno chiarire i significati
di quel profondo divario tra opera narrativa e saggistica, proiezio-
ne di una profonda conflittualità interiore spiegabile e in piena
coerenza con un vissuto sofferto e difficile. E allora ecco la pre-
sentazione di Neera, come cita il titolo, “donna di alta moralità,
scrittrice di talento”, cresciuta nella soffocante tristezza di
un’infanzia profondamente infelice, necessaria però, forse, al
germinare di una sensibilità profonda, propria di chi ha conosciuto
la sofferenza, interprete in prima persona di tutte le angosce che
nel passato, e per certi versi ancora nel presente, affliggevano la
donna. È un percorso questo che si propone di indagare i rapporti
con i letterati del tempo, colleghi e colleghe, con critici a volte
tanto benevoli da varcare i limiti professionali, fino all’amicizia
sincera. Si prosegue nella celebrazione di un capolavoro narrativo
del realismo, quale è Teresa, per porlo poi a confronto con un al-
tro romanzo, Un matrimonio in provincia della Marchesa Colombi,
che in una prospettiva completamente diversa, indaga con la stessa
efficacia quel mondo di sopraffazione in cui la donna si trova vit-
tima. Per concludere, l’approdo finale conduce ad un’analisi di
tutte le ambiguità che caratterizzano l’opera saggistica di Neera,
in un parallelismo con i diversi modi, propri di alcune delle scrit-
trici dell’epoca, di intendere e interpretare la nuova posizione del-
la donna in società. A tal riguardo di particolare importanza è un
articolo, La donna povera della Marchesa Colombi, apparso
sull’«Illustrazione Italiana» nel 1876, che rivolto a Neera, con
sorprendente modernità, tenta di mostrarle una strada per la ricon-
ciliazione con il mondo femminista.
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Tutto questo, osservato, ora, da un nuovo punto di vista, consa-
pevole che la scrittura femminile va considerata “un discorso a
doppia voce”, che se da una parte incarna le eredità sociali, lette-
rarie e culturali delle strutture dominanti e ufficiali, dall’altra si
fa interprete, più o meno consciamente, di tutte quelle “figure mu-
te” che rappresentano un passato non sempre semplice da interpre-
tare e accettare.