2
spegnersi, una volta dichiarata la fine delle ostilità, cosa non affatto avvenuta per
l’Iraq. Al centro di questo lavoro è, per l’appunto, la descrizione di tale ‘anomalia’
allo scopo di comprenderla, sebbene – è importante sottolinearlo – non sia mia
intenzione addurre giustificazioni di ordine socio-politico. La mia preoccupazione
(e la mia maggiore difficoltà), infatti, è stata proprio quella di offrire una
descrizione dei dati basata su prospettive teoriche il più possibile lontane da
impostazioni spiccatamente ideologiche.
Nel primo capitolo, ho preso in considerazione il concetto di notizia in senso
lato, al fine di esplicitarne la complessità. Nel secondo capitolo ho poi rivolto lo
sguardo su quel filone di ricerche che ha concentrato la propria attenzione sulle
pratiche di newsmaking, riservando attenzione specifica al concetto di
valore/notizia. Alle principali teorie elaborate in merito fin dagli anni Cinquanta, si
aggiunge una breve descrizione della teoria dell’agenda setting, vista la sua
parziale correlazione alle ricerche sul newsmaking. Si tratta, ad ogni modo, di
un’elaborazione teorica volta ad indagare gli effetti a lungo termine
dell’esposizione ai media. Tenuto conto del fatto che la mia analisi non si è
estesa allo studio/rilevazione degli effetti di agenda sui lettori, è evidente che
l’esposizione degli assunti cardine della teoria proposta inizialmente da McCombs
e Shaw (1972) ha rappresentato uno spunto di riflessione solo per ciò che
riguarda la rilevazione delle scelte di agenda effettuate dal Corriere della Sera. In
fase di analisi, infatti, si è prestata particolare attenzione alla gerarchizzazione
delle notizie, al loro posizionamento nella pagina e nel giornale, proprio per
verificare l’importanza accordata dalla testata al dopoguerra iracheno. Se,
dunque, è lecito formulare solo delle ipotesi sugli effetti di agenda sul pubblico,
nulla preclude la possibilità di rilevare quale ordine di rilevanza il Corriere della
Sera abbia accordato alle notizie dall’Iraq.
È nel terzo capitolo che si passa alla descrizione dei dati quantitativi raccolti:
dal numero e dalla tipologia di articoli all’impianto grafico di supporto; dalla
collocazione nella pagina alla sezione di riferimento. Proprio in questo modo, è
stato possibile delineare l’importanza attribuita dal Corriere della Sera al tema
generico dopoguerra in Iraq, attraverso l’osservazione delle specifiche scelte
redazionali relative al rilievo degli articoli, sia all’interno del giornale, che nella
3
singola pagina. Nel quarto capitolo, infine, si propone una tipologia delle diverse
sotto-aree tematiche cui gli articoli analizzati possono essere ricondotti: cinque
quelle preponderanti, cui si sommano due aree tematiche a sé stanti, ossia quella
concernente la strage di Nassiriya e quella relativa alla cattura di Saddam
Hussein. Questa impostazione permette di evidenziare eventuali differenze nel
grado di notiziabilità attribuito a ciascuna area e di individuare così nodi tematici
fondamentali intorno ai quali si è mantenuto vivo l’interesse sull’Iraq. Si tenta
dunque di osservare come i criteri di notiziabilità – elementi centrali per lo
svolgimento dell’attività giornalistica – siano stati resi operativi in questo specifico
contesto d’uso.
NOTA METODOLOGICA
L’analisi proposta è una descrizione, basata principalmente su dati quantitativi,
delle modalità in cui il tema dopoguerra in Iraq è stato sviluppato e gerarchizzato
all’interno del Corriere della Sera. Ho scelto di analizzare una sola testata per una
ragione, in effetti, piuttosto semplice: l’alternativa sarebbe stata quella di
prendere in esame, per un intervallo di tempo inevitabilmente più limitato, due o
più quotidiani. E se è probabilmente vero che la comparazione tra diverse testate
giornalistiche avrebbe avuto risvolti di notevole interesse, è altrettanto vero che,
in tal modo, avrei sacrificato il mio primo obiettivo, ovvero l’analisi della
potenziale evoluzione, nel lungo periodo, della notiziabilità del cosiddetto
dopoguerra iracheno.
L’intervallo di tempo preso in esame è quello compreso tra il I maggio 2003 –
data dell’ormai famosa dichiarazione di Bush figlio: ‘In Iraq i combattimenti sono
finiti’ (CdS, 01/05/03, p. 1, in appendice 3), unita alla seconda frase dello stesso
presidente americano: ‘L’Iraq è un Paese libero’ (CdS, 01/05/03, p. 9, ibidem) – e
il 31 dicembre 2003. Ho scelto di interrompere in tal giorno la rilevazione dei dati
perché il corpus di articoli, raccolti nei primi otto mesi dopo la caduta del regime
di Saddam Hussein, mi è sembrato sufficiente per rendere conto da un lato, del
tipo di racconto offerto ai lettori sulla situazione irachena, e, dall’altro, del rilievo
accordato alle notizie provenienti dall’Iraq da parte del quotidiano di Via
Solferino.
4
Il corpus di articoli è stato suddiviso in base al mese e al giorno di edizione, e
per ciascun articolo è stata individuata la sezione di riferimento, la pagina e la
relativa collocazione al suo interno, il genere, il corredo grafico e il tema cui
ascrivere l’articolo stesso.
In una fase successiva, sono stati sommati, mese per mese, i dati così
ottenuti; inoltre sono stati calcolati i totali relativi a ciascuna variabile presa in
esame, in modo da avere un quadro complessivo dell’intero corpus analizzato.
Solo a questo punto si è passati alla fase di interpretazione dei dati.
5
Cap. 1 – LA NOTIZIA COME COSTRUZIONE DELLA REALTÀ
‘Senza standardizzazione, senza stereotipi,
senza giudizi scontati, senza un crudele disprezzo
per le sottigliezze, il giornalista morirebbe
presto di eccitazione’ (W. Lippman).
1.1 – Il processo di negoziazione
La natura negoziale di ogni processo comunicativo si rivela anche all’interno
del sistema delle comunicazioni di massa, che ha dato origine a quella che
Thompson (1998) ha brillantemente definito quasi-interazione mediata. Si tratta
di una forma d’interazione sui generis che non prevede la compresenza fisica:
come già per l’interazione mediata – che si realizza attraverso l’uso di mezzi quali
il telefono – si delinea, infatti, la possibilità di uno scambio di informazioni e
contenuti simbolici in tempi e spazi lontani. La quasi-interazione mediata si
differenzia, invece, da quella mediata poiché è prevalentemente unidirezionale ed
è destinata ad un numero indefinito di riceventi. Se l’interazione mediata prevede
uno scambio dialogico tra i partecipanti, quella quasi-mediata somiglia
decisamente di più ad un monologo indirizzato ad un pubblico indistinto
1
.
Tali caratteristiche si ritrovano anche nello scambio comunicativo che avviene
a mezzo stampa. Ciò che è rilevante evidenziare, però, è che tale unidirezionalità
non è in contrasto con la natura comunque negoziale del prodotto giornalistico:
1
Ovviamente esistono pubblici diversi per strumenti e prodotti comunicativi, tanto più che
il concetto di target è ormai entrato a far parte del senso comune. Anche i quotidiani,
soprattutto dopo l’ingresso sistema pubblicitario (e quindi del settore marketing)
nell’industria dei media, si rivolgono ad un pubblico in qualche misura connotato
culturalmente, politicamente e socialmente. Questo, però, non cambia il fatto che la
quasi-interazione mediata si rivolga a dei destinatari non identificati nello specifico e non
enumerabili uno per uno.
6
la produzione di notizie è, infatti, un processo che implica complesse forme di
interazione tra i giornalisti e numerosi soggetti sociali.
La negoziazione coinvolge nello specifico:
‘le fonti, cioè gli attori sociali che perseguono visibilità per le proprie azioni o
soltanto detengono le informazioni utili per i giornalisti;
il pubblico, che ha bisogno di conoscenze per potersi muovere e agire nei
vari contesti sociali della modernità;
i mediatori di informazione, le aziende giornalistiche e le varie figure
professionali in esse impiegate, che svolgono un lavoro di intermediazione
tra le fonti e il pubblico, tra i fatti, i loro protagonisti e i riceventi.’
(Sorrentino, 2002, p. 93).
Si delinea così il carattere precipuamente processuale del prodotto
giornalistico che, come ogni forma di comunicazione, implica sempre una
sottrazione, una semplificazione, insomma una selezione (ibidem, p. 10). Il
concetto stesso di selezione rimanda direttamente al fatto che il prodotto
giornalistico non possa essere, per definizione, uno specchio della realtà. L’ideale
‘romantico’ secondo cui i fatti parlerebbero da soli e, di conseguenza, i giornalisti
sarebbero semplicemente chiamati a riportare su carta tali fatti, si infrange di
fronte all’inevitabile processo di ricostruzione della realtà operato dai giornalisti
medesimi. La produzione informativa, infatti, implica – come detto sopra – una
scrematura tra tutti gli eventi che si presentano all’attenzione del giornalista, che
deve scegliere quali accadimenti siano trasformabili in notizie, ovvero quali
possano assurgere agli onori della cronaca. In questa fase decisionale (il
gatekeeping) entrano in gioco diversi fattori, tra cui, ovviamente, la
discrezionalità del singolo individuo. L’ineludibile componente soggettiva si
associa, però, a precisi criteri conformanti, cui normalmente ci si adatta. È in
primo luogo, il formato, dettato dal medium utilizzato, a delimitare tempi e spazi
del notiziabile: occorre offrire un resoconto degli eventi nel rispetto della cornice
informativa di riferimento, poiché ‘il formato indica le norme e le procedure per
definire, riconoscere, selezionare, organizzare e presentare l’informazione come
notizia’ (Altheide, 2000, cit. in Sorrentino, 2002, p. 20). La discrepanza evidente
tra il modello informativo proposto dalla televisione e quello tipico del giornale
illustra in modo efficace l’importanza del formato all’interno del prodotto-notizia.
7
Basti pensare, in tal senso, alla durata di un telegiornale in rapporto al numero
sempre più elevato di pagine di un quotidiano: evidentemente la redazione di un
telegiornale deve restringere il campo degli avvenimenti da presentare al
pubblico secondo logiche necessariamente più selettive di quanto non faccia la
redazione di un quotidiano. Inoltre, il formato televisivo si nutre di immagini,
sicché alcune notizie possono entrare nel processo produttivo proprio perché
corredate di filmati video, mentre altre rischiano di essere trascurate perché prive
di immagini (Sorrentino, 2002, p. 100). Tale problema, ovviante, non si pone per
il quotidiano: in mancanza di fotografie direttamente collegate al fatto di cui dare
notizia, si può tranquillamente ricorrere a quelle di repertorio.
Va fatta, a questo punto, una precisazione: per quanto ci siano notevoli
differenze tra i due mezzi di comunicazione, che inevitabilmente incidono sul
processo di costruzione dell’informazione, è pur vero che, a livello di contenuti, i
telegiornali e i quotidiani tendono ad essere abbastanza simili. Infatti, nonostante
permangano delle discrepanze anche su tale piano (dovute, come detto sopra, ai
formati differenti), si deve segnalare una certa sovrapposizione a livello tematico.
‘La televisione, diventa una fonte importante da cui attingere informazioni per la
costruzione dell’agenda e la tematizzazione […] Le caratteristiche del mezzo fanno
sì che la funzione di fonte si estrinsechi in vario modo. Innanzitutto, la maggiore
immediatezza della tv comporta una verifica costante, in ‘tempo reale’, delle scelte
giornalistiche operate dal quotidiano. […] Si può decidere d’enfatizzare temi
sottovalutati dall’informazione televisiva, ma non si possono tacere quelli sui quali i
tg hanno posto l’accento, che svolgono, dunque, una sorta di funzione d’indirizzo.
[…] Essendo la fonte informativa primaria di quasi tutti i lettori, la televisione
svolge il ruolo d’agenda, al quale i quotidiani devono adattarsi […]’ (Sorrentino,
1995, p. 129).
Inoltre, soprattutto negli ultimi anni, si è assistito allo sviluppo di una certa
autoreferenzialità da parte del mondo dei media. Con ciò mi riferisco, soprattutto,
al fatto che i quotidiani tendono a riservare sempre più spazio a notizie
riguardanti il mondo televisivo, nonché alle rassegne stampa che ogni giorno
vengono mandate in onda via etere.
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Ritorniamo ora alla questione cruciale della selezione, cui si associa la
gerarchizzazione. Gli eventi che accadono quotidianamente nel mondo sono quasi
innumerevoli, ed è funzione propria e caratterizzante del giornalista individuare
quali tra questi meritino di diventare notizia. Ma che cosa, in buona sostanza,
trasforma un fatto qualunque in una notizia?
Definire il concetto di notizia è estremamente complesso. Altheide (1976, cit.
Wolf, 1985), ad esempio, concentra la propria attenzione sull’aspetto pragmatico
del prodotto, descrivendone il processo organizzativo, che sottintende una
precisa rielaborazione pratica dell’evento da notiziare. Ciò significa che ‘la scelta
di ciò che è notiziabile […] è sempre orientata pragmaticamente, cioè in primo
luogo verso la ‘fattibilità’ del prodotto informativo da realizzare in tempi e con
risorse limitati’ (Wolf, 1985, p. 192). La centralità più volte ribadita delle
procedure pratico-organizzative, in merito alla notiziabilità di un evento, non
risolve, però, la questione. Entrano in gioco, infatti, anche altre considerazioni.
Innanzitutto, va ribadito il fatto che – vista la natura prettamente negoziale del
processo informativo – i criteri di selezione e notiziabilità variano con il mutare
dei tempi e delle circostanze. Si riconferma, in questo modo, l’importanza del
contesto storico, politico, economico e sociale. Va anche considerato il ruolo
giocato dalla specifica cultura professionale del giornalista, che secondo le tre
dimensioni individuate da Bechelloni (1979, cit. in Sorrentino, 1995) si articola in:
professionalità tecnica, che si fonda sull’apprendimento e
l’interiorizzazione delle routines produttive e organizzative, messe in
atto all’interno delle diverse redazioni giornalistiche;
professionalità relazionale (o politica), che ‘consiste nell’introiezione
delle norme sociali che regolano a vari livelli la professione […]
Innanzitutto, bisogna possedere un buon ‘capitale sociale’ (Bourdieu,
1979), atto a spendere le proprie relazioni all’interno di differenti
ambienti sociali’ (Sorrentino, 1995, p. 7). In secondo luogo, la
professionalità relazionale permette di instaurare e consolidare un
rapporto con le fonti, in qualche misura, di tipo privilegiato. La
socializzazione all’interno dell’ambiente redazionale, unita alla capacità
9
del singolo di individuare il settore che maggiormente risponde ai
propri requisiti culturali, completa il quadro della professionalità
relazionale;
professionalità culturale, che si realizza nel possesso degli ‘strumenti
adeguati a interpretare e rielaborare la complessa articolazione
emergente dall’infittirsi delle interazioni sociali […] La professionalità
culturale serve, inoltre, a declinare i valori orientativi della professione’
(ibidem, p. 9). Entra anche in gioco il concetto di vocazione, inteso qui
più che come una predisposizione innata, come spinta ad acquisire le
competenze tecniche e deontologiche per il corretto svolgimento della
professione stessa.
Inoltre, come osserva giustamente Papuzzi (2003), è la relazione con il
pubblico a rendere un avvenimento una notizia. E spetta proprio ai giornalisti
instaurare tale relazione, sulla base di ciò che ritengono possa interessare
maggiormente i lettori. A tale proposito va, però ricordato che i giornalisti, anche
quando dicono di operare le proprie scelte secondo le preferenze del pubblico,
fanno in realtà riferimento alla concezione di pubblico elaborata nel processo di
acquisizione della loro cultura professionale. Si tratta, dunque, di una sorta di
stereotipo che si può solo avvicinare alla complessità e alla variegata
composizione del reale pubblico di lettori.
McQuail (1996) propone una distinzione di rilievo tra ottica giornalistica (1) e
prospettiva teorica (2). A suo avviso, infatti, esistono due differenti versioni della
sequenza procedurale che porta alla realizzazione del prodotto-notizia:
1) eventi – criteri – resoconto – interesse
2) interesse – criteri – eventi – resoconto
I giornalisti sono spesso dell’idea che siano i fatti ad imporsi con la loro
imprevedibilità, sicché ai media spetterebbe il compito di utilizzare specifici criteri
volti a dare significato all’evento. Le cronache prodotte sarebbero poi giudicate
dal pubblico più o meno degne d’interesse. Viceversa, la prospettiva dello
studioso pone l’accento sull’esperienza consolidata del giornalista – componente
significativa per delinearne la professionalità – che ‘si traduce in una serie
10
abbastanza stabile e duratura di criteri di relazione della notizia, tra cui i requisiti
organizzativi e di genere. Gli eventi sono ritenuti notiziabili soltanto se rispondono
a questi criteri di scelta. Dopodichè si passa ai resoconti, che rispondono più alle
esigenze dell’impresa editoriale e alle routine che non al mondo reale degli eventi
o a ciò che il pubblico davvero vuole’ (McQuail, 1996, p. 254).
11
1.2 – Prevedibilità e imprevedibilità della notizia
Si è fatto cenno, a proposito di quanto osservato da McQuail (1996) alla
questione dell’imprevedibilità degli eventi. Anche in questo caso – come già detto
riguardo l’idea che i fatti parlino da soli – si tratta di un elemento che solo in
parte caratterizza il panorama informativo. In realtà, molte delle notizie che si
leggono sui giornali sono cronache di fatti ordinari. Si pensi, ad esempio, alle
notizie sul traffico, ai servizi sulle partite di calcio o ai quotidiani diverbi
dell’universo politico italiano. A riprova di quanto siano prevedibili, in effetti, molti
degli eventi che acquisiscono lo status di notizia è l’esistenza del cosiddetto
scadenziario.
‘Lo scadenziario è costituito essenzialmente dall’agenda che elenca, giorno per
giorno, gli eventi che accadranno e la cui notiziabilità è in gran parte data per
scontata. Si tratta ovviamente di accadimenti previsti per tempo, fissati in agenda
anticipatamente: per la maggior parte quindi sono fatti che rientrano nella sfera
politico-istituzionale-amministrativa o giudiziaria, e che consentono agli apparati di
informazione di organizzare con un certo anticipo il proprio lavoro’ (Wolf, 1985, p.
238).
La prevedibilità di molti accadimenti è, dunque, una loro cifra distintiva, cui i
giornalisti tendono a fare concretamente affidamento. A ciò si aggiunga
l’esistenza di quelli che Dayan e Katz (1986) hanno definito media-events. Si
tratta di avvenimenti appositamente costruiti e progettati, in funzione della loro
visibilità mediatica
2
. Molti spettacoli, cerimonie pubbliche e manifestazioni
sportive sono, infatti, pensate proprio in rapporto alle riprese televisive (o alla
successiva cronaca sulla carta stampata). Va detto, però, che per quanto un
evento possa essere magnificamente orchestrato e pensato strategicamente per i
media, ciò non ne garantisce necessariamente il successo di pubblico. In questo
modo, si dà voce all’idea che, parafrasando Abruzzese, le cerimonie mediali
ingigantiscano sì il potere dei media (soprattutto della televisione), ma che i
media non rappresentino di per sé una forma di potere. Inoltre, i media-events
2
Nell’ipotesi di Dayan e Katz, si può sicuramente considerare media-event il matrimonio
di Diana Spencer con il Principe Carlo d’Inghilterra nel 1983. E ancora, seppur sul
versante emotivo opposto, è stato un media-event di dimensioni planetarie anche il
funerale della stessa Principessa Diana nel 1997.
12
sono narrati, ma tendenzialmente e ragionevolmente non vengono creati dal
sistema dei media (Abruzzese, 1999).
Tutto quanto detto sopra, però, non invalida l’idea che esista una certa dose
di imprevedibilità del reale. I grandi disastri naturali, gli attentati e gli omicidi, le
dimissioni improvvise di un ministro o la brusca fine di una love-story tra
personaggi dello spettacolo sono eventi solitamente inaspettati. Proprio l’esigenza
di saper affrontare e raccontare anche fatti di questo genere implica una certa
flessibilità nel sistema organizzativo/produttivo del campo giornalistico. È
necessario che le strutture produttive dei mezzi di informazione siano
sufficientemente elastiche e reattive nei confronti di accadimenti imprevisti;
ovviamente occorrerà, di volta in volta, valutare il rapporto costi/benefici, per
stabilire se davvero valga la pena di dare copertura informativa ad un certo fatto.
Ciò che mi preme sottolineare, però, è la capacità di routinizzare l’imprevisto di
cui i media obbligatoriamente dispongono (Tunstall, 1977, cit. in Sorrentino,
2002): i mezzi di informazione sono strutturalmente in grado di recensire e
rendere partecipe il pubblico perfino degli eventi a ridosso di quella che viene
normalmente chiamata dead line.
13
1.3 – La funzione rassicurante
Si è detto fino ad ora che le notizie possono essere caratterizzate da un alto
grado di prevedibilità, ma che ciò non esclude il resoconto di fatti inattesi; il che
lascia ancora aperta la questione su quale sia la peculiarità che trasforma un
evento in notizia, o più in generale, su quale possa essere una definizione
corretta di notizia. Un passaggio importante riguarda la funzione rassicurante del
prodotto giornalistico. La notizia, spesso, racconta fatti considerati come punti di
rottura, come un’eccezione rispetto al corso normale della quotidianità. Premesso
che la rottura in sé non implica imprevedibilità
3
, mi pare rilevante soffermare
l’attenzione proprio sulla dinamica rottura/consuetudine. L’estrema dilatazione
dell’esperienza (e della conoscenza indiretta) del mondo – resa possibile dallo
sviluppo tecnologico e dalla diffusione dei mass media – pone costantemente
l’individuo di fronte alla complessità del reale (Meyrowitz, 1993). Ai giornalisti
viene affidato il compito di mettere ordine, di rendere maggiormente
comprensibile e accettabile il groviglio frammentario, composito e contraddittorio
che costituisce la realtà. Ecco, dunque, l’origine della rassicurazione offerta dal
sistema dell’informazione. Ma la funzione rassicurante non si esaurisce qui:
esistono altre interessanti implicazioni. La selezione e la gerarchizzazione delle
notizie possono aiutare i lettori ad orientarsi, a decidere quale grado di priorità
assegnare all’evento (v. ipotesi dell’agenda setting p. 33 e seguenti), però anche
il modo in cui vengono esposti i fatti ha una sua rilevanza. In questo senso, va
sottolineata la struttura narrativa della notizia: il giornalista racconta sempre una
storia.
3
Se il Parlamento italiano, ad esempio, varasse una legge a favore del matrimonio di
coppie omosessuali, e fosse nota la data del primo matrimonio gay, da un lato sarebbe
evidente il fattore di rottura (con il passato) percepito dal pubblico, dall’altro si
riscontrerebbe un alto grado di prevedibilità della notizia. I giornalisti, infatti, avrebbero
tutto il tempo di prepararsi a divulgarla.
14
Bell, seguendo e ampliando lo schema di van Dijk
4
(1983, 1985), sostiene che:
Solitamente il testo di una notizia consiste in un sommario, un’attribuzione e una
storia vera e propria. […] Una storia consta di uno o più episodi, e questi, a loro
volta, di uno o più eventi. Gli eventi devono contenere attori e azione, in genere
rivelano un ambiente […] Oltre agli elementi che presentano l’azione centrale, noi
riconosciamo tre altre categorie che possono concorrere a un evento: seguito,
commento e sfondo’ (Bell, 1991, cit. in McQuail, 1996, p. 226).
Nonostante la componente di rottura e il disagio/disorientamento
potenzialmente dovuti al contenuto della notizia, il racconto in quanto tale funge
da rassicurazione. Infatti, il ricondurre la complessità e la drammaticità del reale
all’interno di schemi narrativi familiari assolve un compito di rasserenamento. Il
già noto si mescola alla novità, rendendola più facilmente comprensibile. Si
possono, a questo punto, aggiungere alcune considerazioni suggerite da Milly
Buonanno in Faction (1999). L’autrice parla di esperienza rassicuratoria in merito
all’attualità televisiva, riprendendo in questo modo l’idea di Patricia Mellencamp
(1990, cit. in Buonanno, 1999) secondo cui la televisione sarebbe, a un tempo,
shock e terapia, ovvero causa e soluzione della paura dei telespettatori.
Buonanno propone, così, un’interpretazione originale del ruolo svolto dall’attualità
televisiva. A suo avviso, sono tre i fattori che ne spiegano la funzione
rassicurante:
ciascun programma d’attualità è giocoforza inserito all’interno del
palinsesto, la cui struttura ripetitiva e prevedibile concorre a
routinizzare l’imprevisto e a controllare il potenziale di rischio insito nel
mondo reale che quotidianamente entra nelle nostre case;
il senso di soddisfazione suscitato dall’idea che le tragedie e le morti
cui assistiamo non ci riguardano. Noi siamo al sicuro;
il senso di sicurezza viene anche dalla natura mediata delle esperienze
più disparate. Per quanto possa essere alto il coinvolgimento emotivo
dello spettatore, permane la consapevolezza di essere protetti da
pericoli e responsabilità reali.
4
All’interno della tradizione dell’analisi del discorso, van Dijk ha proposto un’analisi della
notizia basata su ‘schemi informativi’, fornendo una sintassi delle cronache giornalistiche’
(van Dijk, 1983; 1985, in McQuail, 1996, p. 226).
15
‘Routinizzata, distanziata, mediata, l’attualità televisiva offre dunque
rassicurazione all’ansietà, che a sua volta contribuisce ad alimentare’ (Buonanno,
1999). La potenza e l’impatto che le immagini in movimento hanno sull’individuo
sono certo elementi qualificanti da non sottovalutare, eppure credo sia possibile
rinvenire anche all’interno dell’informazione della carta stampata simili elementi
di routinizzazione, distanziamento e mediazione. Il palinsesto potrebbe essere
paragonato all’impaginazione e alla strutturazione del quotidiano, mentre il senso
di sicurezza e soddisfazione si potrebbero leggere anche tra le righe degli articoli
su carta.