7
Un consumatore più razionale rispetto al passato in quanto maggiormente informato, consapevole
dei propri diritti e sempre più attento alle proprie scelte, non poteva, ancora, essere affrontato
ricorrendo al tradizionale paradigma di marketing transazionale. Di qui la necessità di cambiare
ottica, entrando nella dimensione olistica del marketing relazionale che impone un nuovo
orientamento customer centered. Infatti, per le aziende, una risorsa sempre più scarsa, e perciò
costosa e difficile da reperire, è il cliente ed è per questo che, da qualche anno, proprio su di lui, ed
in particolare sulla sua soddisfazione, si focalizza l’attenzione dei marketers e la nostra, nell’ambito
del terzo capitolo.
Stiamo attraversando una fase difficile, contrassegnata da scenari in profonda e dinamica
evoluzione per le famiglie, che vedono il proprio potere d’acquisto erodersi sempre più a causa di
una perdurante crisi economica, e per le imprese (specie commerciali) attanagliate dai morsi di
un’accesa competizione che rischia di comprometterne la redditività.
In questo contesto, l’elemento differenziante è insito nella capacità di corrispondere in modo
ottimale alle esigenze della domanda: il cliente soddisfatto rappresenta il più efficace mezzo di
comunicazione su cui l’impresa possa contare, il suo passaparola positivo è più potente di qualsiasi
spettacolare pubblicità. Le aziende sono dunque chiamate a recepire quanto prima il concetto di
customer satisfaction, elevarlo a criterio cardine della propria mission istituzionale, traducendolo
poi nel concreto attraverso opportune leve operative. Tale impegno va corroborato con l’attivazione
di precipui canali d’ascolto che permettano di captare le necessità degli acquirenti per integrarli nel
sistema-impresa, allo scopo di farli sentire partecipi in ordine alla realizzazione di un progetto
comune: la creazione di valore per tutti.
Il mondo della grande distribuzione, analizzato nel quarto capitolo, rappresenta in questo senso un
laboratorio d’eccezione: il supermercato è la realtà più prossima all’acquirente e, proprio per
questo, è chiamato a concentrarsi in modo prioritario sulla fidelizzazione e soddisfazione. Queste
ultime vengono perseguite, come vedremo, mettendo in campo tutte le tecniche comunicative
possibili legate alle politiche assortimentali, alle leve di merchandising, ma non solo. Oggi le
imprese commerciali hanno capito il potenziale differenziante insito nella componente servizio
della propria offerta commerciale, e si adopereranno sempre più per migliorarla agli occhi della
clientela. Tuttavia, l’impegno da solo non basta: è importante misurare quantitativamente come esso
venga recepito dall’acquirente, con il parametro “soddisfazione” da monitorare sistematicamente.
Per verificare tali ipotesi a livello empirico, ci si è orientati verso una realtà all’avanguardia, in
Italia, in termini di soddisfazione e gratificazione della propria clientela: Unicoop Tirreno, facente
parte del sistema Coop Italia. Si tratta di un’azienda che, per antonomasia, progetta la propria
attività in funzione del cliente, in particolare, dell’acquirente-socio; individuando il proprio punto di
8
forza, rispetto ai competitors, proprio nella relazione fiduciaria intrattenuta con esso. Anche se, per
non far torto a nessuno, dobbiamo sottolineare come tali virtù siano conseguenti, almeno a livello
ideale, alla natura di tale organizzazione, che è quella di essere una cooperativa di consumatori che
non può non avere, quindi, come propria caratteristica ontologica quella di ispirarsi alla
soddisfazione del socio. Cionondimeno non possiamo non dare atto del suo impegno per tradurre
nella pratica operativa di tutti i giorni ciò che è scontato e già previsto a livello strategico.
Con il presente lavoro ci si è posti l’obiettivo di rispondere, sperabilmente in modo affermativo,
anche dal punto di vista empirico dopo averlo fatto nella teoria, alle seguenti domande:
9 possiamo considerare il supermercato come campo da gioco privilegiato nel quale
sperimentare il nuovo orientamento al consumatore, attraverso un approccio globale di
customer satisfaction che sappia coglierne la natura multidimensionale, soddisfacendo
tanto i bisogni materiali quanto quelli intangibili?
9 la fedeltà e la soddisfazione del cliente sono veramente elementi indispensabili ai fini
dell’ottenimento di vantaggi competitivi durevoli e dunque, in ultima analisi, del successo
imprenditoriale?
9 possiamo considerare la customer satisfaction quale punto di partenza sulla base del quale
parametrare tutte le iniziative e i servizi prestati nell’ambito di una strategia di
miglioramento continuo?
Abbiamo cercato, nel nostro piccolo, di rispondere a tali quesiti nelle pagine che seguono.
9
Capitolo primo
ANALISI DEL COMPORTAMENTO DEL CONSUMATORE
1.1 La centralità della conoscenza del comportamento del consumatore nell’ottica di marketing e
delle relazioni impresa-mercato
Lo studio del comportamento del consumatore, in prima approssimazione, si occupa di analizzare le
ragioni per le quali gli individui acquistano determinati prodotti e servizi, nonché gli schemi di
pensiero e di azione seguiti dagli stessi nell’ambito dei processi di acquisto e di consumo. Come già
sosteneva Howard nell’89
2
l’analisi del comportamento del consumatore rappresenta il core degli
studi di marketing dato che costituisce il punto di partenza per la definizione delle strategie
dell’impresa
3
. Il successo competitivo, infatti, sempre più dipende, oltre che dallo sviluppo di
particolari capacità distintive dell’impresa anche dalla conoscenza approfondita delle peculiarità
degli acquirenti
4
e dai percorsi da questi seguiti nell’elaborare le proprie decisioni
5
.
Dunque, per l’impresa che oggi imprescindibilmente deve orientarsi al mercato, la soddisfazione del
consumatore rappresenta una condizione ineludibile per una sua congrua riuscita. Come già faceva
osservare Baccarani nel ‘91
6
, e a maggior ragione oggi data l’innegabile incrementata complessità
del contesto socio-economico, “il marketing deve occupare sempre più un ruolo di valenza
strategica all’interno dell’impresa, non limitandosi a addomesticare la domanda, ma stimolando
l’orientamento al cliente”. Il che significa valutare scientemente le molteplici variabili che, in modo
più o meno diretto, incidono sui comportamenti del consumatore e quindi sul processo di
formazione delle preferenze. Queste ultime, influenzando le modalità di allocazione delle risorse,
vengono di fatto ad assumere un’importanza fondamentale nell’ambito delle dinamiche economico-
aziendali dell’impresa.
Ma il marketing, ad oggi, è in grado di svolgere il ruolo strategico che dovrebbe essergli proprio?
2
Howard John A. (1989), Consumer Behavior in Marketing Strategy, Prentice Hall.
3
Fiocca, almeno apparentemente, non sembra sposare tale impostazione laddove dice che “le stesse definizioni di
Marketing, soprattutto quelle che ricorrono nella letteratura nord-americana negli anni ’50 e ’60, pongono in posizione
primaria i consumi e il consumatore e giungono, esagerandone non poco l’importanza, a far coincidere lo stesso
concetto di marketing con l’esigenza primaria per l’impresa di soddisfare il consumatore”. Poi, però, lo stesso autore
afferma che “in numerosi settori e mercati i consumi e il consumatore sono effettivamente elementi centrali esplicativi
dei diversi modi di…concepire e organizzare il marketing in impresa”. Vedi Fiocca R., Evoluzione dei consumi e
politiche di Marketing, (1990), EGEA, Milano.
4
Nel presente capitolo utilizzeremo indifferentemente i termini di consumatore e acquirente, salvo quando il contesto
consiglierà di distinguere le due fattispecie. Nel prosieguo del lavoro, in particolare nei capitoli 4 e 5, ci concentreremo
invece sulla soggettività di acquirente come controparte del servizio commerciale prestato dall’impresa di distribuzione.
5
Cfr. Quintano M., (2000), Il comportamento del consumatore nella prospettiva del Marketing, Liguori, Napoli.
6
Baccarani C., (1991), “Qualità e governo d’impresa”, Sinergie n. 7.
10
Busacca nel ‘90
7
affermava che “esso non dispone ancora di una o più teorie generali autonome,
essendosi caratterizzato, sin dal suo sorgere, per uno spiccato eclettismo concettuale e
metodologico”. Gli studiosi del comportamento del consumatore hanno dato luogo, nel corso degli
anni, ad una proliferazione di conclusioni teoriche frammentarie che poco si prestano ad un fecondo
utilizzo da parte degli uomini d’azienda. Appare dunque evidente la necessità di una maggiore
sistematizzazione teorica affinché il marketing e, in particolare, la teoria del comportamento del
consumatore possano rivestire il ruolo centrale che gli compete nel mondo dell’impresa. Nel 2003
Mattiacci
8
ribadisce che “non si dispone in letteratura di nulla che possa somigliare a una teoria
generale del consumatore; manca cioè una rappresentazione che sia unitaria nella forma, poliedrica
nei contenuti e flessibile nell’uso, tale da supportare gli sforzi diagnostici ed interpretativi di chi
pone questo soggetto al centro dei propri interessi, manager o studioso che sia”. A ben vedere,
dunque, la situazione non pare sia sostanzialmente migliorata nel corso degli anni. Lo stesso Autore
evidenzia inoltre come il prevalente modello di cultura economico-manageriale presente nel nostro
Paese abbia da sempre guardato con sospetto, oltre che con una certa dose di disinteresse, il
marketing ed, in particolare, quelle “contaminazioni interdisciplinari” che un’attenta analisi del
comportamento del consumatore richiede. In controtendenza con quello che succede nel mercato:
“di contro nel mondo reale, ovvero sui mercati, fra i marketer, il mercato dei servizi di customer
intelligence accresce costantemente, in valore e quantità, il proprio fatturato consolidato; gli istituti
di ricerca producono una gran quantità di contributi conoscitivi e vanno sempre raffinando le loro
metodologie d’indagine”.
La comprensione delle dinamiche d’azione del consumatore rappresenta dunque un momento
conoscitivo d’importanza cruciale ai fini di una corretta interpretazione della relazione domanda-
offerta, che è stata, continua ad essere e sempre sarà soggetta ad evoluzioni e cambiamenti. Questi
ultimi è bene che siano sapientemente monitorati e governati dai decisori di marketing.
Le principali variazioni intervenute negli ultimi anni sono riconducibili a diversi elementi.
9
In primo
luogo ad un progressivo incremento della pressione concorrenziale, dovuto a sua volta ad una serie
di fattori quali l’evoluzione di molti settori verso uno stadio di maturità del proprio ciclo di vita,
dall’incrementata (e incrementante) flessibilità dei processi produttivi che consente una maggiore
personalizzazione dell’offerta, dallo sviluppo internazionale delle imprese che ha allargato
enormemente i confini del “gioco”. Ed allora in un contesto di aspra competizione l’impresa può
acquisire difendibili vantaggi competitivi solo affinando le proprie capacità di soddisfare la
clientela. Un secondo elemento è da rinvenirsi nell’evoluzione delle tecnologie dell’informazione e
7
Busacca B., (1990), L’analisi del consumatore, EGEA, Milano.
8
Mattiacci A., (2003), Il marketing consumer-based. Il modello della product offering, CEDAM, Padova.
9
Cfr. Busacca, op. cit.
11
nella loro valenza trasversale che rende possibile lo sviluppo di una sempre maggiore capacità di
governare tanto i processi operativi tanto quelli decisionali, tanto quelli relazionali tra azienda e
cliente. Le trasformazioni sociali in atto derivano, infatti, dalla coevoluzione di organismi umani,
sistemi tecnologici e sistemi socio-culturali
10
; gli sviluppi della tecnologia finiscono quindi per
influenzare le componenti sociali, culturali e umane. Così come è da ritenersi vero il contrario
11
.
Non bisogna poi dimenticare l’influsso che la sempre più potente distribuzione organizzata esercita
sul comportamento del consumatore, rendendo la scelta della marca quasi trascurabile rispetto alla
scelta del punto vendita
12
, ma di questo tema ci occuperemo in modo diffuso nel prosieguo del
presente lavoro.
Al progredire dello sviluppo economico e sociale si assiste ad un processo inarrestabile che conduce
ad una sempre più complessa articolazione della domanda di mercato. Le esigenze del consumatore
- grazie alla crescita del reddito disponibile e del livello di benessere associato, alle maggiori e più
accessibili fonti informative e all’avvenuta soddisfazione dei bisogni di base- divengono sempre più
sofisticate (e legate a sistemi di segni, rientranti nell’ordine del simbolico, usati dagli individui per
significare le proprie scelte, come vedremo meglio nei paragrafi successivi). Nuove tendenze di
consumo pervadono la realtà odierna: il consumatore, sempre più spesso, diventa un “consumatore
eclettico”
13
, infedele ai prodotti e alle marche, “disincantato” e “mutevole” nella scelta in quanto
“guidato da un continuo processo di ridefinizione dell’identità personale e sociale”. Ciò comporta
un mix estremamente variegato di prodotti anonimi e di marca, edonisti e salutisti, economici e di
lusso nel suo carrello della spesa.
L’insieme di tali fattori implica la necessità, per le imprese, di procedere ad una segmentazione del
mercato e ad una differenziazione dell’offerta sempre più accentuate. Come osserva Fiocca
14
“l’analisi e la comprensione dei fenomeni di consumo (per molti anni considerati elementi esterni
all’economia dell’impresa…) diverranno elementi centrali del comportamento strategico
dell’impresa; di conseguenza il momento basilare dell’economia d’impresa si sposterà
10
Cfr. Busacca, op. cit. Busacca qui fa riferimento all’assunto di fondo del paradigma eco-sistemico proposto da L.
Gallino, che considera l’evoluzione sociale come un processo fondato sulla formazione e diffusione di molteplici
sistemi parziali (e non sulla trasformazione della società in quanto totalità sistemica). Le implicazioni di tale paradigma
vengono fatte proprie dalla teoria dell’impresa attraverso l’opera di E. Rullani, (1987), “L’impresa come sistema
artificiale: linguaggi e apprendimento nell’approccio evolutivo alla complessità”, Economia e Politica industriale, n.56.
11
Le potenzialità indotte dallo sviluppo tecnologico sembra abbiano addirittura fatto nascere una nuova categoria di
consumatore: “il consumatore on-line”. Per una soddisfacente panoramica sull’argomento vedi Windham L., (2002),
Clienti e Consumatori. Profili e analisi del nuovo consumatore., ed. it. a cura di A. Mattiacci, APOGEO, Milano.
12
Vedi Mattiacci A., in Windham L., op. cit. dove si distingue: “l’acquirente è colui che acquista e sceglie servizi
commerciali e pertanto è soggetto dei comportamenti di scelta del punto vendita e della marca-insegna, nonché attore
passivo della condotta di store loyalty del distributore, laddove il consumatore è propriamente colui che pone al centro
dei propri percorsi di scelta i prodotti e le marche industriali ed è, specularmente, un attore passivo delle strategie di
brand loyalty del produttore.”
13
Cfr. Codeluppi V., (2000), “Il marketing e il nuovo consumatore”, Micro & Macro marketing, vol. 9, fasc. 1.
14
Fiocca R., op. cit.
12
progressivamente dall’offerta alla domanda e si ridurrà la separazione storica tra le due”; poi
continua dicendo: “fino ad oggi la domanda è stata spesso (riduttivamente) intesa come destinataria
delle politiche di mercato delle imprese… in futuro, invece, di essa si dovranno cogliere soprattutto
le componenti innovative e… se ne dovrà riconoscere il ruolo prioritario di generatrice
dell’innovazione”. Alcuni Autori
15
sostengono che, al fine di conseguire vantaggi concorrenziali,
diverrà necessario attuare processi di “micronizzazione” del mercato, ovvero spingere, quanto più
possibile, l’iter di segmentazione della domanda, al limite fino al singolo consumatore.
Quest’ultima affermazione, in particolare, ci sembra estrema (specie con riferimento al mercato dei
beni di largo consumo!), ma utile per evidenziare come tali chiavi di lettura ribadiscano la centralità
del marketing e della teoria del comportamento del consumatore nel contesto odierno. Diventa,
dunque, evidente la necessità di sviluppare quella che Levitt
16
chiama “Marketing imagination”:
“L’imprenditore che riesce a prefigurare ciò che il cliente vuole, elabora in modo immaginativo gli interventi
da compiere e li attua con fantasia e ottimismo, è destinato a condurre la propria azienda al successo.”
Ciò implica una ridefinizione delle funzioni di marketing ed un rinnovamento del concetto stesso di
marketing-mix: infatti il successo dell’impresa non dipenderà esclusivamente dal saper offrire un
insieme di valori (incorporati in beni e servizi), ma dalla sua capacità di anticipazione e interazione
con la domanda
17
. L’abilità nell’interagire e confrontarsi col consumatore rappresentano, a nostro
avviso, la vera sfida alla quale, negli anni a venire (ma già da oggi), il marketing non potrà
sottrarsi.
18
15
Vedi Cozzi G., Di Bernardo B., Rullani E., (1988), in Scritti in onore di Luigi Guatri, Ed. Bocconi Comunicazioni,
Milano.
16
Levitt T., (1985), Marketing imagination, SPERLING & KUPFER, Milano.
17
Cfr. Fiocca R., op. cit.
18
Nadia Olivero sottolinea però la difficoltà di applicazione dei principi relazionali e l’errore del marketing relazionale,
che consiste nel promuovere strategie basate sul dialogo interpersonale senza tuttavia apprezzare adeguatamente i limiti
e le possibilità della metafora conversazionale. Vedi Olivero N., (2000), “Dinamiche di consumi e società
dell’informazione.”, Micro & Macro marketing, fasc. 3.
13
1.2 Le diverse definizioni e l’interdisciplinarità della materia
Abbiamo definito, in prima istanza, il comportamento di consumo come quell’insieme di attività e
processi che conducono il soggetto a maturare un’intenzione (positiva o negativa) verso determinati
beni o servizi, nonché il sistema di valori e motivazioni ad essa sottesi. Il Consumer behaviour,
come disciplina di studio autonoma, si occupa proprio della formulazione di rappresentazioni
concettuali delle attività di approvvigionamento di prodotti da parte delle persone
19
focalizzando
l’attenzione sugli aspetti del comportamento individuale rilevanti a tal fine e sui vari elementi,
interni ed esterni, in grado di influenzare le scelte soggettive. In realtà le definizioni formulate dai
diversi autori sono molteplici, alcune le riportiamo nella figura 1.1.
Figura 1.1 Alcune definizioni di consumer behaviour.
Fonte: Mattiacci, op. cit.
In particolare ci sembra interessante la definizione che ne dà Nadia Olivero
20
: “il consumo implica
l’appropriazione di un oggetto e il suo utilizzo, fino ad esaurimento della relativa funzionalità.
Secondo un’accezione più estesa ed attuale, beni di consumo non sono semplicemente beni
materiali ma anche servizi, la cui utilità si esplica in termini esperenziali ed è volta anch’essa a
19
Vedi Mattiacci A., op. cit.
20
Olivero N., op. cit.
14
risolvere uno stato di necessità. Il termine consumo indica dunque un processo circoscritto nel
tempo ma potenzialmente rinnovabile …grazie all’esistenza di bisogni che non solo necessitano un
appagamento costante, ma che si evolvono e si differenziano, parallelamente ai cambiamenti
coinvolgenti l’individuo nella rappresentazione di sé e nell’interazione con l’ambiente circostante.”
Dall’insieme di tali accezioni appare evidente che l’analisi del comportamento del consumatore
debba fondarsi su un approccio necessariamente interdisciplinare. Infatti per sua natura il consumo
è un’area interdisciplinare nella quale convergono, con i loro irrinunciabili contributi, economia,
psicologia, sociologia, antropologia, semiotica. Come è facile notare il nostro modo di agire è
influenzato da fattori complessi dipendenti dalle più diverse variabili: sicuramente economiche, ma
anche psicologiche, sociali, ecc. Lo stesso Busacca
21
sottolinea l’importanza, ai fini di una piena
comprensione dei comportamenti di consumo, di attingere a più campi del sapere: “Il
comportamento del consumatore viene a porsi quale campo elettivo di analisi interdisciplinare, a
motivo dei nessi causali esistenti tra la struttura di preferenze dell’individuo, i suoi orientamenti
psicologici e comportamentali e il contesto ambientale, sociale e culturale in cui è inserito.”
Tuttavia laddove non sapientemente gestito, tale approccio multisettoriale presenta un rischio. Ci si
potrebbe infatti smarrire nei mille rivoli dei vari filoni scientifici perdendo di vista il focus
dell’analisi che deve permanere fisso sulla teoria del comportamento del consumatore. Cuomo
22
mette in guardia: “La multidisciplinarietà attira, affascina, prospetta scenari culturalmente ricchi,
promette fecondi spunti d’indagine, appare pure in linea con i tempi, forse mai tanto aperti a
qualsiasi genere di contaminazione quanto oggi. Per tutto ciò è certamente appetibile. Ma con la
multidisciplinarietà si corre anche il rischio di perdere l’orientamento, il fine ultimo della riflessione
che ha indotto a intraprenderne la via. In altre parole è facile lasciarsi affascinare dalle scienze
sociali e perdere di vista gli obiettivi primari dello studio.”
Inoltre la necessità di analizzare il comportamento di consumo da più angolazioni, troppo spesso ha
prodotto contributi teorici parziali, in quanto ogni scienza ha fatto ricorso solo alle proprie
prospettive d’indagine
23
. La difficoltà d’integrazione dei diversi filoni ha da sempre rappresentato
un ostacolo nel ricondurre la materia ad un insieme unitario
24
. Ma il consumo è un fenomeno
unitario e come tale va analizzato, non potendo prescindersi dalla considerazione di tutte le sue
componenti, di qualunque natura esse siano. Solo così potrà prodursi un’analisi utile per il manager
d’azienda, che la eleggerà a strumento indispensabile per il suo agire.
21
Busacca B., op. cit.
22
Vedi prefazione di G. Cuomo in Mattiacci A., op. cit.
23
Cfr. Busacca B., op. cit.
24
Cfr. Fiocca R., op. cit.
15
Di conseguenza, riportiamo di seguito i contributi delle diverse discipline, soffermandoci, per un
momento, su una materia che guarda al consumatore da una posizione complementare e con una
finalità prevalentemente strumentale, pur acquisendo sempre maggiore rilevanza nel contesto
odierno: il diritto. Quest’ultimo si propone di soddisfare la domanda di tutela giuridica, che ha
conosciuto una vera e propria esplosione nel corso degli ultimi anni sulla base delle istanze
consumeriste, diffusesi in Europa e, solo di recente, pure in Italia. Il vecchio continente infatti si
pone, anche in questo campo, in posizione di follower: le prime associazioni dei consumatori
nascono in America negli anni successivi alla crisi del ’29, agitando una nuova comune bandiera,
emblema di tre fondamentali diritti dell’individuo/consumatore: il diritto d’informazione, il diritto
di scelta e il diritto di essere rappresentati
25
. Il consumerismo viene definito da Kotler
26
come: “an
organized movement of citizens and government to strengthen the rights and power of buyers in
relation to sellers”. In altre parole, con questo termine si identifica l’opera di difesa organizzata dei
consumatori, attraverso la creazione di organismi che, in via conflittuale o negoziale, si
contrappongono agli operatori economici d’offerta
27
.
Le associazioni consumeriste nascono in Europa attorno agli anni ’50 sul modello americano, o
forse dovremmo dire, solo vagamente ispirate a tale modello. Infatti esse appaiono dotate di una
capacità d’azione decisamente inferiore alle loro sorelle d’oltreoceano per una serie di motivi
28
:
l’assenza di un potere unificatorio/unificante dei mass media (che negli Usa sono sempre stati
indipendenti dalle forze industriali), la mancanza di un sistema legislativo individualista che
permetteva al singolo di lottare, da solo, contro il sistema
29
. L’Italia appare ancora più in ritardo
rispetto ai suoi colleghi europei: “non esistono associazioni o movimenti collettivi nemmeno
lontanamente comparabili, per autorevolezza e numero di adepti, a quelli nordamericani e di molti
Paesi europei”
30
. Le ragioni di tale situazione sono diverse. Innanzitutto il potere di cui hanno
sempre goduto le associazioni sindacali nel nostro Paese, che mal vedevano le istanze consumeriste,
in quanto potenziali sottrattrici di proprie aree d’intervento. Inoltre, nel periodo di riferimento, non
sono le singole proposte di consumo ad essere messe in discussione, quanto piuttosto l’intero
25
“Se la prima consapevolezza del possesso di questi diritti ha un impatto forte sull’immaginario collettivo americano,
questo subisce un vero e proprio shock nel ’65 allorché un giovane avvocato Ralph Nader intenta una causa alla GM
…sulla sicurezza delle vetture. La sua vittoria…l’opera di continuazione della battaglia consumerista… fanno nascere il
fenomeno del naderismo, che si pone come modello-tipo di azione consumerista.” Mattiacci A., (1996) “La tutela
organizzata dei diritti dei consumatori e cittadini in Italia”, Economia e Diritto del terziario, vol.8, n. 1.
26
Kotler P., Armstrong G., (1987), Marketing: an introduction., Prentice-hall, Englewood Cliffs, NJ.
27
Mattiacci A., “La tutela organizzata dei diritti dei consumatori e cittadini in Italia.”, op. cit.
28
Cfr Mattiacci A., op. cit.
29
“Consumers have not only rights but responsibilities to protect themselves instead of leaving this to someone else.
Consumers who feel they’ve got a bad deal have several remedies available, including writing to the company president
or to the media; contacting federal state or local agencies; and going to small claims courts.” Kotler P., Armstrong G.,
op. cit.
30
La citazione è tratta da Fabris G., Consumatore & mercato. Le nuove regole., (1995), Sperling & Kupfer, Milano., al
quale faremo riferimento anche per individuare le cause di tale ritardo.
16
assetto dei consumi. Si accusa il sistema capitalistico di manipolare l’individuo, di sovvertire il suo
apparato di bisogni. Per cui il dibattito consumerista appariva estraneo o, quantomeno superfluo,
rispetto al reale problema. Man mano che passa il tempo tuttavia, i diritti dei consumatori si
affermano anche da noi, sebbene non per nostra volontà, ma per una volontà imposta
prevalentemente dall’alto. L’appartenenza cioè alla comunità europea ha finito per farci fruire di
provvedimenti a tutela del consumatore frutto delle mobilitazioni consumeriste di altri Paesi. Oggi,
però, qualcosa appare mutato: la nuova identità del consumatore contemporaneo, più esigente e
maggiormente attento ai suoi diritti, consapevole di doversi impegnare per difenderli, ci spinge,
inesorabilmente, verso un riallineamento alle posizioni già conseguite da altri.
1.3 I contributi delle diverse scienze: il contributo della teoria economica
Il primo contributo rilevante all’analisi del comportamento del consumatore è stato fornito
dall’economia, fin dall’inizio inquadrato nel trade-off tra fini e mezzi scarsi aventi usi alternativi.
Oggetto esclusivo dell’analisi economica sono sempre state le relazioni di causalità esistenti tra
domanda, prezzi e reddito, opportunamente strutturate al fine del conseguimento dell’equilibrio
economico generale. Nell’ambito di tale analisi si usa distinguere tra approccio macroeconomico e
approccio microeconomico
31
.
Gli studi macroeconomici, il cui padre indiscusso fu J. M. Keynes
32
, si fondano sull’assunto che il
consumo dipende dal reddito. (Saranno poi fornite varie accezioni, ma il concetto di base rimarrà
questo).
Facendo riferimento al grafico in figura 1.2, ipotizzando per semplicità che la funzione del
consumo sia lineare, la correlazione consumo-reddito disponibile è espressa dal segmento AA’. La
sua inclinazione indica la propensione marginale al consumo, mentre i segmenti OB e CC’
esprimono rispettivamente le funzioni del reddito disponibile e del risparmio intenzionale. Nel
punto di intersezione tra i segmenti AA’ e OB (punto di risparmio nullo) tutto il reddito disponibile
è destinato ai consumi; a sinistra di tale punto il risparmio diventa negativo, il che implica un
ricorso all’indebitamento o erosione del risparmio accumulato in precedenza. Keynes assume che la
spesa aggregata per consumi, funzionalmente dipendente dal reddito disponibile, aumenti in modo
31
Cfr. Busacca B., (1989), “Il comportamento del consumatore: approcci di studio, sviluppi analitici, prospettive di
ricerca.”, Finanza Marketing e Produzione n. 4.
32
Keynes J., M., (1936), The general theory of employment, interest and money, New York, Harcourt, (trad.it. Torino,
Utet, 1947).
17
meno che proporzionale rispetto alla crescita del reddito stesso ed introduce la seguente funzione
aggregata di consumo:
C = a + bY
dove:
C = spese totali di consumo;
Y = livello complessivo del reddito;
a, b = parametri;
Successivamente furono introdotti nuovi fattori di natura oggettiva e soggettiva in grado di
influenzare la funzione di consumo, sempre però di rilevanza trascurabile rispetto al livello del
reddito (furono infatti chiamati di “aggiustamento”).
Figura 1.2 La correlazione tra reddito, consumi e risparmio
Fonte: Busacca, op. cit.
Vi furono altre teorie di notevole rilievo, come la Teoria del ciclo vitale e la Teoria del reddito
permanente, entrambe focalizzate sulle determinanti della stabilità che caratterizza il rapporto
reddito-consumo nel lungo periodo
33
.
33
Per una panoramica di tali teorie vedi Fiocca R., op. cit.
18
La ricerca microeconomica, finalizzata alla comprensione del comportamento individuale del
consumatore, ha prodotto contributi importanti, soprattutto nell’ambito della teoria neoclassica.
Quest’ultima si fonda su alcuni assunti fondamentali:
ξ ciascun individuo è perfettamente informato e a conoscenza di tutti i prodotti disponibili;
ξ elabora le proprie scelte in base ad un sistema ordinato di preferenze allo scopo di
massimizzare l’utilità derivante dal consumo dei beni;
ξ l’utilità marginale derivante da ciascun bene è correlata negativamente alla quantità
consumata del bene stesso ed il saggio marginale di sostituzione tra i beni è decrescente.
Si può così costruire una serie di funzioni di utilità (curve d’indifferenza), ciascuna delle quali
rappresenta l’insieme delle possibili combinazioni di beni che presentano la stessa utilità. Avendo a
disposizione un certo reddito (vincolo di bilancio), e supponendo per semplicità che esso venga
ripartito tra due soli prodotti, il soggetto consegue un risultato ottimale nel punto di tangenza tra la
retta di bilancio e la curva d’indifferenza (si veda la figura 1.3); il che, da un punto di vista
analitico, implica l’uguaglianza tra saggio marginale di sostituzione tra i due beni e il rapporto tra i
loro prezzi. Tale costruzione consente non solo di verificare come variazioni del reddito o dei prezzi
influiscano sulle scelte di consumo, ma anche di individuare, alla luce dell’andamento delle curve
reddito-consumo e prezzo-consumo l’esistenza di diverse tipologie di beni (normali e inferiori).
Figura 1.3 Le curve reddito-consumo e prezzo-consumo
Fonte: Busacca, op. cit.
L’intero impianto ora evidenziato regge sull’ipotesi che il consumatore, essere perfettamente
razionale, scelga tra le diverse alternative massimizzando la propria soddisfazione. Appare evidente
19
l’eccessiva semplificazione di tale impostazione rispetto alla reale complessità del fenomeno. Ne
deriva un’interpretazione prettamente normativa che stabilisce come gli acquirenti dovrebbero
idealmente effettuare le proprie scelte ma non come effettivamente lo fanno. I limiti che ne
emergono sono stati sottolineati da diversi Autori
34
: in particolare circoscrivere la spiegazione del
comportamento al solo obiettivo della massimizzazione dell’utilità. Il consumatore non si comporta
in modo meccanico, prevedibile, non impersona insomma l’homo oeconomicus della teoria
tradizionale, ma si lascia influenzare, nelle sue azioni, anche da variabili sociali e ambientali, che
talvolta addirittura sovrastano quelle meramente economiche. Inoltre non sempre il consumatore
ricerca la massima soddisfazione possibile: a volte accade pure che si “accontenti”
35
. La stessa
misurazione dell’utilità risulta difficoltosa e comunque legata a dimensioni soggettive; inoltre la
teoria neoparetiana non prende in considerazione due aspetti cruciali: il processo di formazione
delle preferenze considerato estraneo al campo d’indagine dell’economia (in quanto influenzato da
variabili psicologiche e sociali) e l’impatto della qualità e marca dei prodotti sulle scelte del
consumatore. Busacca
36
tuttavia non attribuisce l’inadeguatezza della teoria neoclassica alla scarsa
attenzione prestata a elementi psicologici e sociali, quanto piuttosto alla negazione di una realtà
“oltremodo evidente”: la ricerca della varietà da parte dei consumatori e l’offerta differenziata da
parte delle imprese. Alcuni economisti hanno preso atto di ciò: Lancaster
37
riconosce che “many
economists take a puritanical view of commodity differentiation since their theory has induced them
to believe that it is some single characteristic of a commodity that it is relevant to consumer
decisions (that is automobiles are only for transportation), so that commodity variants as regarded
as wicked tricks to trap the uninitiated into buying unwanted trimmings. This is not, of course, a
correct deduction even from the conventional analysis, but is manifestly incorrect when account is
taken of multiple characteristics.” Fiocca
38
evidenzia un’ulteriore mancanza nell’apporto
conoscitivo della teoria economica: non è stata in grado di proporre criteri di aggregazione
intermedi oltre quelli estremi (collettività-individuo) considerati. In effetti la comprensione della
dinamica dei consumi può essere facilitata dall’analisi del comportamento di unità intermedie,
quali, in primo luogo, la famiglia, o di segmenti particolarmente rilevanti, quali quello degli anziani
o dei single. A nessuna azienda, infatti, interesserà mai la struttura dei consumi di un’intera
collettività e neppure del singolo individuo, ma deciderà in base ad aggregazioni per lei interessanti
e soprattutto praticabili.
34
Vedi Dalli- Romani, op. cit. e Podestà S., (1974), Prodotto, consumatore e politica di mercato,Etas, Milano.
35
Facciamo riferimento al cosìddetto approccio soddisfacente, in base al quale il consumatore sovente sceglie la prima
alternativa che incontra, senza spendere ulteriore tempo e fatica nella ricerca di una migliore. Cfr. East R., (2003),
Comportamento del consumatore, APOGEO, Milano, (ed. it. a cura di A. Manaresi e G. L. Marzocchi).
36
Busacca B., op. cit.
37
Lancaster K., J., (1998), Consumer theory,ELGAR, UK.
38
Fiocca R., op. cit.