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demandate le quattro funzioni indicate.
Un capitolo a parte abbiamo dedicato ai fattori caratterizzanti la
coscienza e le motivazioni di tutto il personale, quel personale che dà corpo e
vita ad una Istituzione solida, funzionante e coerente. A tal fine, abbiamo
cercato di tracciare, sulla scorta di diversi studi, il profilo della deontologia
degli Operatori di Polizia, di individuare e sottolineare i valori umani e
professionali, concludendo con l’immagine elaborata dall’Istituzione e
percepita dai cittadini. Si può comprendere l’importanza di quest’ultima in una
società, qual è quella in cui viviamo, contrassegnata proprio dalla
comunicazione, dall’apparire, dal senso dello spettacolo.
L’ultimo capitolo è dedicato ai settori d’intervento della Polizia di Stato,
alla rete articolata in strutture attive sul territorio e, infine, ai “bilanci” degli
ultimi anni con riferimento alle operazioni svolte e alle principali campagne
(sicurezza, immigrati, criminalità, terrorismo, pedofilia informatica, ecomafie,
ecc.).
Concludono la nostra Tesi alcune rapide ed essenziali considerazioni,
completate da tre appendici e da una ampia e specializzata bibliografia e
sitografia.
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CAPITOLO PRIMO
STORIA DELLA POLIZIA E SUA ORGANIZZAZIONE
Non vi è Stato al mondo che tra i suoi ordinamenti non ponga e risolva,
in qualche misura e pro-tempore, sin dal primo atto costitutivo, il problema
dell’“ordine”, dell’”uso della forza” al servizio dell’ordine. Per quanto riguarda
il nostro Paese, dal Risorgimento la storia della Polizia italiana ci accompagna
fino ai giorni nostri. E’ nel momento della costituzione dello Stato nazionale
che re Carlo Alberto introduce la nuova denominazione di Pubblica Sicurezza:
nasce in Italia con il Regio Decreto n. 798 del 30 settembre 1848;
“l’importanza di tale atto risiede nel fatto che la struttura di polizia già
esistente diviene civile” (1). Solo nel 1852 con la legge di Pubblica Sicurezza
si crea una forza di natura civile, il nuovo Corpo militarizzato delle Guardie di
P.S., esclusivamente dipendente dal Ministero dell’Interno (2). Nel 1852, con
la legge sull’organizzazione del personale dell’Amministrazione della Pubblica
Sicurezza, venne istituito il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza che,
creato prima a Torino e Genova, nel 1867 si estese progressivamente in tutte
le Province del Regno durante il governo Ricasoli. “Nel 1860 il segretario
generale del Ministero dell’Interno è Silvio Spaventa, professore di filosofia
cui viene affidato l’incarico di redigere il regolamento per il Corpo: la
posizione dell’”uomo a servizio dell’ordine” che ne deriva è “una via di mezzo
7
tra l’ordine monastico (il celibato è obbligatorio per le guardie) e la necessaria
obbedienza cieca ed assoluta allo Stato (l’arruolamento avviene in ambito
provinciale sotto il controllo diretto dei Prefetti)” (3).“C’era nella polizia, alla
fine del secolo, un tale stato di disordine che rendeva impossibile un’efficiente
lotta contro i cosiddetti delinquenti (4); l’uso delle forze dell’ordine fatto al
fianco dell’esercito era in chiave antipopolare: il brigantaggio con la sua
spietata repressione ne sarà testimonianza più eloquente” (5). “Nel biennio
1876-78 il Ministro dell’Interno è Nicotera: ma nemmeno con l’avvento della
sinistra storica si ha una inversione di tendenza. La politica dell’ordine
pubblico si adegua al criterio, seguito dalla destra, del “prevenire, non
reprimere” che, tradotto in pratica “significava anticipare i disordini con
arresti preventivi e con restrizioni della libertà di riunione e di movimento”(6).
Col governo Depretis, nel 1876, si avviò un periodo di riforme e
riordinamenti nella Pubblica Sicurezza: Successivamente anche Crispi mise
mano alla riforma con la fondazione, nel 1890, di un nuovo Corpo, le Guardie
di Città, nel quale confluirono le Guardie di Pubblica Sicurezza e le Milizie
Municipali.
Nel 1852, con la legge sull'organizzazione del personale
dell'Amministrazione della Pubblica Sicurezza, venne istituito il Corpo delle
Guardie di Pubblica Sicurezza che, creato prima a Torino e Genova, nel 1867
si estese progressivamente in tutte le Province del Regno durante il governo
8
Ricasoli.
Dopo la costituzione dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza
nacquero la Milizia Comunale e la Guardia Nazionale (7). La creazione del
Corpo delle guardie di città (Legge n. 7321 del 21 dicembre 1890) in
sostituzione di quello delle guardie di p.s. appare connessa al “tentativo di
Crispi di centralizzare l'istituto, attribuendo i compiti della polizia municipale
ad un corpo nazionale unico: tale nuova denominazione parrebbe indicare
anche un tentativo di fornire una corrispondenza tra funzione svolta e nome,
tale da eliminare qualsiasi equivoco tra corpo della p.s. e Carabinieri.) Ciò si
può inquadrare in un progressivo spostamento dell'azione di repressione dal
piano militare a quello di polizia” (8). Dopo la spietata repressione operata
dal generale Bava Beccaris a Milano ed il tentativo di involuzione che ne
segue, con l'avvento di Giolitti il Corpo si rafforza considerevolmente,
nell'ambito della politica giolittiana “tendente a sviluppare le istituzioni
democratiche liberali”(9). Dal punto di vista dell'ordine pubblico la posizione
di Giolitti risulterà modificata almeno nella forma rispetto a quella pratica
fino ad allora; ma “con l'accentuarsi delle tensioni sociali dovute alla
crescente presenza dei lavoratori e delle loro organizzazioni nemmeno Giolitti
rinuncia all'uso repressivo delle forze dell'ordine, pur limitandolo” (10). Nel
1902, con Giolitti, nacque la prima Scuola di Polizia Scientifica.
9
Nell’ottobre 1919 il governo Nitti diede vita alla Regia Guardia di
Pubblica Sicurezza (25.000 uomini impegnati nell’ordine pubblico) “che,
contrariamente a quanto previsto per il precedente corpo, viene considerata
come parte integrante delle forze armate dello Stato”, e gli Agenti
Investigativi (8.000 uomini con incarichi di alta qualificazione professionale).
“Fu una scelta di matrice essenzialmente politica: ossia il frutto del tentativo
di riassorbire tutti gli elementi di disordine che potevano essere costituiti dalla
disoccupazione post bellica degli ex combattanti rientrati dalla Prima Guerra
Mondiale e privati di sbocchi nelle forze armate dello Stato”. Entrambi i Corpi
vennero sciolti nel 1922.
Tre anni dopo, nel 1925, con Regio Decreto, “la Regia Guardia venne
sciolta e fu costituita la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, di cui si
servì il regime nei primi anni di assestamento. “Si trattava di una polizia non
inquadrata nell’organizzazione statale e fedele sotto il profilo politico”(11).
Appena consolidato il fascismo, Mussolini volle ricostruire la p.s. che tornò
alla denominazione di Corpo di Agenti di p.s., contemporaneamente la Milizia
venne privata delle attribuzioni di polizia”. “La pressione cui vengono
sottoposti gli uomini della P.S. determina situazioni di scontento sempre più
frequenti e condizioni di vita estremamente disagiate: non ci sono orari
prestabiliti di lavoro, non è previsto il giorno di riposo settimanale, gli
stipendi sono ancora molto bassi, gli alloggi per coloro che non hanno
10
famiglia sono inadeguati se non malsani; inoltre il Regolamento prescrive
un’età per contrarre il matrimonio (28 anni) oppure avere maturato almeno
sei anni di servizio, ma tutto è subordinato a rigorosi accertamenti sulla
moralità della futura consorte e della sua famiglia fino alla 7° generazione:
uno zio suicida o un nonno incarcerato possono costituire motivo ostativo alle
nozze (12)”. A ciò si abbina una gerarchia impreparata, inefficiente, spesso
guidata esclusivamente da interessi personali, che si serve dei regolamento
militari per rendere ancora più gravosa la vita dei dipendenti, in molti casi
compiendo soprusi. Per fare un esempio dei condizionamenti sulla vita
affettiva e sociale delle Guardie, Paloscia racconta che “quando la fidanzata
era in attesa di un figlio la soluzione era il matrimonio religioso. Tutto doveva
avvenire in gran segreto, come per Renzo e Lucia, altrimenti l’agente correva
il rischio di restare senza lavoro (13). Dal punto di vista del lavoro i mezzi
tecnici di cui dispone la P.S. sono vetusti (nell’immediato dopoguerra si vanno
a ripescare le jeep ed i mezzi pesanti abbandonati dagli alleati), mancano
collegamenti radio, le stesse suppellettili vengono fornite da qualche
occasionale benefattore. Le voci di dissenso sono fidamene annullate grazie
alle cosiddette ‘aggregazioni (giustificate formalmente con esigenze di
servizio) che si trasformano in trasferimenti dei responsabili. Altra arma in
possesso dei vertici della P.S. è l’allontanamento coattivo
dall’Amministrazione: si tratta di un provvedimento sempre praticabile nei
11
confronti del personale ‘ausiliario’ o ‘aggiunto’, che deve attendere molti anni
prima di veder consolidata la propria posizione lavorativa, ma anche il
personale ‘effettivo’ può essere allontanato rapidamente, magari con la
minaccia della denuncia al tribunale militare (14). Nonostante l’esistenza di
tali circostanze sfavorevoli “si ha notizia di varie forme di protesta, forse
connesse all’immissione massiccia di ex partigiani nella struttura della P.S.;
ma di tali proteste non è pervenuta altra testimonianza storica se non il
documento dei cosiddetti ‘Agenti Democratici, redatto il 21/2/1947,
conservato presso la Camera del Lavoro di Genova, che risulta inviato alla
Costituente, dove però non trova sbocco in alcuna riforma legislativa (15). Di
tale documento colpiscono l’essenzialità del testo e la precisione con cui sono
enumerate le richieste di vari miglioramenti.
Come tutte le opere e le operazioni umane neppure l’organizzazione
dalle Polizia sotto il Fascismo era impenetrabile; infatti come scriveva
Massimo Buggea “il Corpo degli agenti di p.s. non è integralmente votato alla
logica imposta dal Fascismo: i dissensi sono tali da indurre il governo, nel
1928, ad emanare un decreto nel quale prevede la dispensa dal servizio per
gli ufficiali e gli impiegati che non danno completa garanzia di fedele
adempimento dei doveri e che comunque siano in posizione incompatibile
rispetto alle direttive politiche generali del governo”. A partire dal 1926, sotto
la gestione del prefetto Bocchini, i compiti della polizia crescono in modo
12
abnorme anche nel campo amministrativo, dove lo Stato subordina il rilascio
di qualsiasi licenza all’esistenza dei presupposti dell’ordine pubblico e
dell’utilità per il regime (17). L’opera di Bocchini è rivoluzionaria per il periodo
in cui viene concepita: comincia con la creazione della Divisione di Polizia
Politica (i cui uffici provinciali sono diretti da funzionari di polizia ma
dipendono dai Prefetti, spesso di nomina politica, che, dipendenti dal
Sottosegretario all’Interno, sfuggono al controllo del Prefetto Bocchini) e della
Divisione di Polizia di Frontiera e dei trasporti. Nel giro di circa un anno
ristruttura sia la Direzione Generale sia gli uffici periferici e getta le basi di
una polizia che sarà la più moderna d’Europa (18). “L’istruzione del personale
viene migliorata con un conseguente innalzamento delle condizioni degli
operatori nei settori della preparazione professionale, della disciplina e della
stima per il proprio lavoro, nonostante permanga un diffuso malcontento
derivante dalle disagiate condizioni economiche. Tutto l’apparato viene reso
più agile, rinforzato e dotato di mezzi tecnici più efficienti (19). Bocchini fu il
creatore della moderna polizia italiana: una polizia che, oltre a costituire un
ottimo strumento di prevenzione e di repressione è adeguata a tastare il
polso dell’opinione pubblica, mentre la stampa, sottoposta a censura, non
può più assolvere a tale compito. Come afferma Paloscia “la polizia durante il
regime, artefice Bocchini, ebbe una sola faccia in cui fu molto produttiva,
quella della repressione contro gli oppositori politici, per cui fu chiamata
13
polizia fascista per far intendere che si era sposata con la dittatura”(20).
Nonostante questo clima “non mancano nella p.s. esempi di umanità e di
professionalità, come testimoniano i numerosi episodi di solidarietà da parte
di appartenenti al Corpo verso esponenti dell’opposizione salvati dalla
prigione se non dalla morte. Inoltre non è irrilevante il contributo del Corpo
alla resistenza, mentre è del tutto inutile il tentativo di Mussolini di ricostruire
una polizia asservita compiuto nel novembre 1943, istituendo la Guardia
Nazionale Repubblicana e la Milizia Ausiliaria Repubblicana: dopo pochi mesi
degli appartenenti a queste due formazioni si allontanarono portando con loro
le armi e si ebbero numerosi episodi di sabotaggio” (21). Il 31 luglio 1943 il
governo Badoglio militarizzò la P.S., con esclusione dei funzionari e del
personale addetto alla polizia femminile (si trattò di un provvedimento
provvisorio che avrebbe dovuto essere revocato con il mutare della situazione
storica; “al contrario la p.s. è rimasta strutturata militarmente fino alla legge
di riforma attuata nel 1981”) e il primo governo Bonomi, formato dopo la
liberazione di Roma istituì il nuovo Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza
(decreto del 2.11.1944), interamente dipendente dal Ministero dell’Interno.
Per “impedire che la polizia del nord Italia fosse troppo politicizzata e
sindacalizzata al termine della lotta di liberazione, il governo Bonomi emanò
un decreto che prevedeva il divieto per il personale civile e militare
dell’amministrazione della p.s. di appartenere a partiti politici o ad
14
associazioni sindacali anche se a carattere apolitico”.
Dopo la caduta del fascismo il governo Badoglio militarizza gli agenti di
p.s., già strutturati in modo paramilitare ma il cui personale godeva di uno
stato giuridico civile (22). “Proprio alla vigilia della Liberazione e mentre in
Italia si stanno per avviare processi di cambiamenti sociali nel nuovo clima
politico di libertà, la polizia resta relegata al ruolo di scomodo trait d’union
con il passato regime, senza possibilità per un suo sviluppo né per un serio
inserimento nella vita del Paese” (23).
Il referendum del 2 Giugno 1946 mutò, com'è noto, la forma
istituzionale dello Stato italiano. Sia pure non in misura schiacciante, la forma
repubblicana prevalse su quella monarchica (nota a piè di pagina
Esattamente, 12.717.923 furono i voti in favore della Repubblica, 10.719.284
quelli per la Monarchia; i voti nulli 1.458.150. Questi i dati che il Primo
Presidente della Corte Suprema di Cassazione Giuseppe Pagano lesse nella
Sala della Lupa, alla Camera dei Deputati, il 18 Giugno successivo.
Un passaggio non indolore segnò la storica data, poiché non poche
furono le riserve avanzate dalla parte perdente, invano controbattute dal
governo in carica con ripercussioni popolari che raggiunsero qua e là punte
altamente drammatiche). Il Re Umberto II, prima di lasciare l’Italia,
nonostante il parere dei sui più vicini consiglieri, tagliò, come si suol dire, la
testa al toro: anche e soprattutto per non voler esser causa di ulteriori
15
sciagure per l'Italia, già tanto provata, sciolse dal giuramento le Forze Armate
e le organizzazioni civili dello Stato e, nel pomeriggio del 10 Giugno,
dall'aeroporto di Ciampino, partì in volontario esilio per il Portogallo (Cintra
prima, Cascais dopo) (24).
Con la Repubblica la Polizia ebbe “compiti molto gravosi e l'ordine
pubblico fu uno dei principali problemi del Paese. La costituzione della
"Celere", nel primo semestre del 1946, fornì la Pubblica Sicurezza di uno
strumento flessibile particolarmente adatto per gli interventi di ordine
pubblico” (25).
Una data importante, dunque, quella del 2 Giugno 1946 nella storia
d'Italia e, come tale, ricordata pressoché ogni anno con feste e parate
militari, talune davvero imponenti, alle quali, fino alla Legge di riforma del
1981, partecipò sempre brillantemente la Polizia con rappresentanze degli
istituti d'istruzione, dei reparti ad inquadramento diretto, della Stradale e
degli squadroni a cavallo. I momenti e le date che segnano la storia della
Polizia in Italia non devono trarci in inganno in quanto costituivano i
riferimenti di massima di processi dolorosi e complessi, “la seconda guerra
mondiale era da poco finita, ma le innumerevoli ferite da essa inferta, erano
tuttora sanguinanti e soprattutto gli animi erano esacerbati da odi
violentissimi contro coloro che, volenti o nolenti, avevamo portato il Paese
alla rovina. E c'era stata poi la lunga guerra civile, che aveva scavato solchi
16
profondi in larghi strati del popolo italiano. I partiti politici ne catalizzavano i
diversi sentimenti e speso li esasperavano; talché la dialettica democratica,
che avrebbe dovuto avere come limite invalicabile il rigoroso rispetto
reciproco delle idee, trovava cento pretesti per superare questi argini e
dilagare in sopraffazioni e violenze. II principale bersaglio delle controversie
era, appunto, l'istituzione monarchica, considerata la causa prima dei tanti
mali piombati sull'Italia e, quindi, bubbone da estirpare a tutti i costi. Gli
avversari di tale concezione, che non erano pochi, reagivano, di conseguenza,
con pari determinazione e furore” (26). In questa fase che segna il rischioso
passaggio da una forma di Stato ad un’altra un contributo notevole fu dato
dalla Polizia, “che si trovò, si può dire quotidianamente, in quella lunga
rovente vigilia, in mezzo a mischie furibonde per salvaguardare le ancor
deboli strutture istituzionali, garantire le libertà democratiche e difendere
l'incolumità stessa degli antagonisti. Quel periodo ormai così lontano
rappresentò davvero, per la nostra Polizia, una prova estremamente
significativa di maturità. Essa, probabilmente, fu la prima, tra gli organismi
preposti al mantenimento dell'ordine e della sicurezza interna, a concepire
l'altissima delicatezza politica dei suo ruolo. ‘Sub lege libertas’, il motto che si
diede e che seppe subito onorare con fatti inoppugnabili, sovente pagando
prezzi non lievi in termini umani. …Spesso, in non poche circostanze
eccezionalmente drammatiche, la Polizia risultò la sola barriera fisica - a volte
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esile barriera, forte soprattutto della sua dignità, peraltro non una volta
soltanto apprezzata dalle stesse fazioni contrapposte - ad evitare lo
straripamento delle passioni nell'illegalità e nel danneggiamento, se non nella
distruzione, di prestigiose sedi istituzionali, dalle conseguenze morali e sociali
disastrose…”(27). Ricordando i colloqui avuti con gli agenti, con i dirigenti ed
i direttori delle diverse riviste, questi motivi di scontento si ritrovano quasi
tutti presenti nella realtà quotidiana odierna. Rimane d’augurarsi solo che
quanto accadeva in passato, nel passato recente ed accade oggi non debba
accadere in futuro. E ciò anche perché per via delle complicazioni del vivere
sociale, tutte le forze dell’ordine saranno chiamate ad assicurare le più alte
garanzie di democrazia alla vita civile.
Proseguendo nella nostra analisi “gli anni che seguono la fine della
seconda Guerra Mondiale vedono un crescente impiego del la polizia da parte
del governo come mezzo di controllo dell'ordine pubblico, mentre
parallelamente, è costantemente disatteso l'impegno sul fronte della lotta alla
criminalità: tale atteggiamento determina uno squilibrio nello sviluppo
dell'organizzazione della p.s. tale da incidere profondamente sul suo grado di
efficienza operativa e nei rapporti con i cittadini. Del resto l'atteggiamento da
parte della popolazione nei confronti delle forze dell'ordine è riconducibile al
pessimismo nutrito dai cittadini verso l'intero complesso dell'attività
giudiziaria oltre che ad avere radici nei comportamenti spesso illegali,
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autoritari o lassisti degli appartenenti alla forza pubblica” (29).
Il terzo governo De Gasperi, nato nel gennaio 1947, ha come titolare
del dicastero dell’Interno Mario Scelba. Il 1° maggio 1947 la strage di Portella
della Ginestra apre il periodo di crisi tra governo ed opposizioni di cui si aveva
sentore dopo la sconfitta del “Fronte Popolare” nelle elezioni per la Regione
Sicilia del 18 aprile 1947 (30). “Durante il 1947 c’è un crescendo di
conflittualità nei rapporti tra il Viminale e le opposizioni” (31).
L’anno 1947 vede la riorganizzazione dei servizi di Polizia Stradale alle
cui esigenze doveva provvedere il personale del Corpo delle Guardie di
Pubblica Sicurezza. Buggea riferisce che “nel 1949 viene nominata una
commissione parlamentare con l’incarico di stabilire se sia opportuno o meno
convertire in legge il decreto del 1943, nonostante la sinistra si mostri
preoccupata dall’uguaglianza prevista tra agenti di polizia e soldati, il decreto
viene convertito in legge nel maggio 1949”. Intanto “…l'equipaggiamento
degli uomini della Celere viene ammodernato e potenziato mentre nuovi
battaglioni vengono istituiti nelle città dove più forti sono i contrasti sociali;
le esigenze connesse all'ordine pubblico fanno si che anche i successori di
Scelba (Fanfani dal 17 agosto 1953 e Andreotti dal 9 febbraio 1954)
privilegino lo sviluppo di questi reparti” (32).