2
Global Surveyor, Mars Odyssey, in funzione sia della dinamica
regionale sia della genesi magmatica.
Infine, dall’analisi morfologica delle strutture vulcaniche, si procederà
al confronto peculiare tra gli scenari eruttivi dei principali vulcani di
Marte, con quelli dei distretti vulcanici della Provincia Comagmatica
Romana, per avanzare, nel caso dei vulcani di Marte, ipotesi in grado
di spiegare i meccanismi genetici, eruttivi e deposizionali.
3
CAPITOLO 1
IL VULCANISMO TERRESTRE
4
1.1. LA STRUTTURA DEL GLOBO TERRESTRE
Il pianeta Terra, se considerato da un punto di vista statico, può
essere rappresentato da gusci concentrici corrispondenti a zone a
differente caratteristiche chimico-fisiche. Tale struttura, acquisita
entro i primi 500.000 anni dalla sua formazione, è attribuibile ad un
processo di differenziazione che nelle linee generali hanno subito
tutti i corpi planetari “rocciosi” del sistema solare.
La descrizione della parte interna del pianeta avviene attraverso due
modelli: il modello composizionale e il modello reologico.
ξ Modello composizionale
Questo modello individua una suddivisione del pianeta in tre zone
(crosta, mantello e nucleo) in base alla loro diversa composizione.
La crosta ha uno spessore variabile tra 5-15 Km sotto gli oceani,
30-40 Km sotto i continenti, superando i 50 Km sotto le grandi catene
montuose.
La crosta oceanica ha un sottile strato di sedimenti che ricopre lave e
prodotti vulcanici basaltici (basalti tholeiitici) e una densità media di
circa 2,9 g/cm
3
.
Per le zone continentali sono distinguibili due livelli geochimici diversi
suddivisibili in crosta superiore (velocità delle onde sismiche fino a
6,5 Km/s) e crosta inferiore o profonda (velocità delle onde sismiche
da 6,5 a 7,6 Km/s). La variazione nella velocità delle onde sismiche
(a testimonianza del carattere eterogeneo della crosta continentale),
individua una discontinuità non uniformemente distribuita, detta
discontinuità di Conrad.
La crosta continentale superiore ha una densità media di 2,5-2,7
g/cm
3
ed è prevalentemente costituita da rocce intrusive (daciti-
granodioriti) e metamorfiche con sottili coperture di rocce
sedimentarie.
La crosta continentale inferiore ha una densità media di 2,8 g/cm
3
ed
è composta da rocce di tipo gabbrico.
Una discontinuità sismica primaria (Moho), individua una zona di
transizione non netta che separa la crosta dal sottostante mantello
(Hale & Thompson, 1982).
5
Questa è caratterizzata da un aumento di velocità delle onde
sismiche da valori inferiori a 7,6 Km/s, a valori vicini o superiori a 8
Km/s.
Fig.1.1.:Struttura dei 700 Km più esterni della Terra.
Il mantello si estende per 2900 Km di profondità ed essenzialmente
assume lo stato fisico di un solido cristallino.
La porzione di mantello compresa tra circa 150 e 400 Km di
profondità è tuttavia caratterizzata da una velocità anomalamente
bassa delle onde sismiche e questo dovrebbe indicare che, in tale
porzione di mantello, è presente una piccola frazione di materiale allo
stato fuso. In condizioni “normali” il mantello (costituito da rocce
peridotitiche) è “secco” e l'aumento di temperatura con la profondità
non è compatibile con l'inizio della fusione.
Anche il mantello è suddivisibile in due strati: mantello superiore,
(fino a una profondità di circa 680 Km), e mantello inferiore.
La parte superiore ha una densità di 3,3-3,4 g/cm
3
mentre in quella
inferiore aumenta da 3,3 g/cm
3
fino a 5,6 g/cm
3
nella zona più
profonda.
Più complessa appare la corretta definizione della composizione del
mantello, tuttavia, correlando i dati riguardanti la sua densità media
con le caratteristiche elastiche che il materiale deve possedere, è
possibile indicare una composizione essenzialmente di tipo
peridotitico.
6
A circa 2900 Km di profondità è rilevabile la discontinuità di
Gutenberg, che identifica la differenza chimica tra il mantello e il
nucleo ( Brown & Musset, 1985 ).
Il nucleo è diviso in due strati: uno esterno liquido e uno interno
solido, entrambi a composizione piuttosto omogenea caratterizzata
da ferro e nichel, separati da una zona di transizione. La divisione tra
i due strati è posta a circa 5200 Km di profondità dove si riscontra
un'altra discontinuità (discontinuità di Lehman) alla sommità della
quale si estinguono le onde sismiche che non si propagano nei liquidi
(onde S).
ξ Modello reologico
Se si considerano le caratteristiche meccaniche, (come la risposta a
uno sforzo, la capacità o meno di fluire e di deformarsi,) la Terra può
essere suddivisa, dall'esterno verso l'interno, in litosfera, astenosfera,
mesosfera e nucleo.
La litosfera comprende la crosta e una parte del mantello, la parte più
esterna fino a circa 100 Km di profondità nelle zone oceaniche e fino
a circa 120-130 Km ed oltre in quelle continentali. La litosfera, ha un
comportamento abbastanza uniforme di tipo rigido, tipico di solidi con
temperature lontane da quella di inizio fusione.
Al disotto della litosfera è presente una zona (Low-Velocity Zone)
considerata parzialmente fusa, in quanto è caratterizzata da un
significante rallentamento delle onde sismiche. Quest’area
(astenosfera), si estende fino a 350 Km di profondità e il suo limite
inferiore è marcato dall'aumento di velocità delle onde sismiche.
L'astenosfera può deformarsi plasticamente, può fluire lentamente e
inarcarsi verso l'alto per effetto di ampi moti convettivi.
Lo strato che si estende dalla base dell'astenosfera (350 Km di
profondità) fino al nucleo (mesosfera), mostra al suo interno due
discontinuità, a 400 e a 650 Km di profondità, caratterizzate da
bruschi aumenti di velocità; tali discontinuità corrispondono a nette
variazioni di densità.
La suddivisione della parte più esterna del globo terrestre in base alle
diverse proprietà fisiche (litosfera e astenosfera), rappresenta il punto
di partenza per la teoria della tettonica a zolle.
7
Fig.1.2.: Rappresentazione
schematica della struttura
interna del globo terrestre,
secondo il modello reologico
e composizionale.
1.2. CENNI SULLA TETTONICA A ZOLLE
La tettonica a zolle, oltre a fornire una descrizione cinematica della
tettonica globale terrestre, rappresenta il maggior mezzo di
interpretazione dei processi vulcanici ritenuti legati a processi
eminentemente convettivi nel sistema litosfera-astenosfera, che
determinano la dispersione del calore dall’interno verso l’esterno del
pianeta.
La tettonica delle placche descrive la parte superiore del nostro
pianeta come costituita da una serie di placche litosferiche,
essenzialmente rigide, in movimento reciproco. Tali placche sono
ben delimitate da cinture sismiche, nelle quali particolarmente
intensa risulta anche l'attività ignea.
I movimenti delle placche, che in prima approssimazione possiamo
immaginare come infinitamente rigide, sono accoppiati a movimenti
più profondi della astenosfera, che può essere considerata plastica.
Nel complesso la tettonica delle placche costituisce un efficiente
meccanismo che, attraverso movimenti eminentemente convettivi nel
8
sistema litosfera-astenosfera determina una dispersione del calore
interno della terra. Dove infatti le placche si allontanano (dorsali
oceaniche), si ha una risalita della astenosfera, che è inizialmente
calda. Quando questa giunge alle zone più superficiali si raffredda,
aumenta la sua rigidità ed in ultima analisi si trasforma in litosfera.
Inversamente, dove il movimento delle placche è convergente, una
delle placche va sotto l'altra affondando nella astenosfera. Questo
processo di subduzione, perturba l'andamento delle isoterme della
astenosfera, che vengono depresse per l'introduzione della placca
litosferica complessivamente più fredda.
Dal momento che la rigidità della litosfera è controllata dal suo
regime termico, essa non risulta avere in tutta la sua estensione
verticale uguale capacità di deformazione. Per questo si distingue
una porzione superiore a comportamento elastico dove sono
localizzati i terremoti con stile tettonico essenzialmente rigido, da
una inferiore a comportamento visco-plastico, dove si hanno
movimenti penetrativi e piegamenti.
Le grandi placche litosferiche sono costituite da calotte sferiche in
movimento relativo sulla superficie terrestre. Il movimento relativo tra
placche, porta a tre tipi di contatti possibili: divergenti, trasformi,
convergenti.
Nei contatti divergenti la risalita di astenosfera produce
continuamente nuova litosfera; l'espressione superficiale di questo
processo è rappresentata dalle dorsali oceaniche, rilievi
topograficamente più elevati di 2000 metri rispetto alle zone
circostanti e talora caratterizzati da una valle centrale (rift valley), in
corrispondenza delle quali i fondi oceanici si espandono lateralmente
e simultaneamente.
Le dorsali oceaniche sono caratterizzate dalla presenza di attività
sismica abbondante, ma individualmente poco intensa e limitata a
zone molto superficiali (massimo 10-15 Km) e soprattutto ad attività
ignea che localmente può essere molto intensa, tanto da produrre
zone emerse, come per esempio l'Islanda. Il flusso di calore misurato
nella zona centrale è distintamente più elevato di quello osservato
nei bacini lontani dalle dorsali (valore medio del flusso di calore delle
dorsali 1,9 HFU contro un valore medio di 1,3 HFU nei bacini
oceanici).
9
Flusso di calore e altezza topografica del fondo variano
sistematicamente allontanandosi dalle dorsali e diminuiscono
proporzionalmente alla radice quadrata della età; ciò è consistente
con un modello di litosfera che si ispessisce per raffreddamento
allontanandosi dalle zone di risalita astenosferica.
Le dorsali, pur costituendo una fascia praticamente continua su tutta
la Terra, sono tuttavia nel dettaglio discontinue, essendo interrotte da
grandi lineamenti trasversali detti zone di frattura (Menard & Atwater,
1968).
L'ultima configurazione geometrica dei confini tra placche imposta
dalla loro cinematica, è quella convergente. In essa una placca
litosferica affonda sotto l'altra attraverso il processo di subduzione.
La subduzione è accompagnata da numerosi fenomeni geofisici,
ignei, metamorfici, tettonici, la cui disposizione spaziale permette di
definire anche in superficie la polarità del processo.
L'approfondimento della litosfera più fredda nell’astenosfera, libera
una relativamente grande quantità di energia sismica. La subduzione
favorisce la formazione di liquidi silicatici, la cui risalita determina in
superficie le catene vulcaniche (archi magmatici) che sono
costantemente associate alle zone di sottoscorrimento litosferico.
Le zone di risalita dei magmi ed in generale le intere fasce che
formano i margini attivi convergenti, sono caratterizzati da flussi di
calore relativamente elevati (in media 1,7 HFU) rispetto a quelli
osservati nelle zone lontane dai margini (flusso di calore medio negli
scudi stabili 1,0 HFU).
Fig.1.3.:Rappresentazione schematica degli elementi fondamentali della
configurazione della litosfera secondo la tettonica delle placche.
(Da D’Amico et. al., 1991, liev. modificato)
10
In alcuni casi il contatto tra le placche può assumere una
configurazione particolarmente complessa quando tre zolle entrano
in contatto in un punto così detto punto triplo. La geometria dei punti
tripli dipende dal tipo di confine che viene a contatto (dorsale, limite
convergente, faglia trasforme), e solo in alcuni speciali casi essa
rimane invariata nel tempo ed il punto può essere definito come
stabile. Se però è presente un margine convergente e/o le velocità di
allontanamento sono diverse, la geometria dell'intero sistema è
destinata ad evolvere e a modificarsi profondamente nel tempo
(McKenzie & Morgan, 1969).
1.2.1. IL VULCANISMO INTRAPLACCA
La maggior parte dei vulcani è di fatto concentrata ai limiti di placca,
ma tuttavia esistono consistenti centri vulcanici molto distanti da
questi limiti, sia in zone oceaniche che continentali (vulcanismo
intraplacca). Gran parte dell'attività intraplacca da luogo a rilievi
vulcanici lineari, lungo i quali esiste spesso una variazione
progressiva di età, essendo i prodotti più recenti sistematicamente
disposti ad una estremità. Queste caratteristiche si ritrovano sia nelle
catene di isole, come per esempio le Hawaii o le Canarie, sia nelle
dorsali totalmente sommerse, dette dorsali asismiche.
Una tale correlazione tra età e posizione lungo la dorsale ha fatto
avanzare l'ipotesi (Wilson, 1963) che esse rappresentino la traccia
sulla litosfera di punti caldi (hot spots) che rimarrebbero fissi nella
astenosfera rispetto alla litosfera mobile.
L'idea di Wilson è stata completata da Morgan (1971), immaginando
che i punti caldi rappresentino la culminazione di plume o pennacchi
di astenosfera che risale da zone molto profonde, trasferendo verso
la parte superiore del mantello materiale primordiale.
Si assume che i plume esprimano una eterogeneità fisica e chimica
del mantello (Anderson, 1975) e che risalgano lungo zone cilindriche
per differenze di temperatura, anche relativamente piccole, rispetto al
mantello circostante.
Differenze di temperatura di un centinaio di gradi tra centro del
plume e del mantello circostante, potrebbero essere sufficienti a
11
determinare la risalita e a mantenere la individualità del plume anche
per tempi relativamente lunghi.
In generale, la risalita di questo materiale profondo e caldo, può
essere in grado di determinare una perturbazione termica nella
litosfera e quindi di innescare il vulcanismo. Una prolungata azione di
questo tipo, può addirittura interrompere la continuità laterale della
litosfera; numerosi punti caldi, si trovano infatti in corrispondenza di
punti tripli o comunque di zone divergenti che risultano anomale
rispetto alle dorsali oceaniche normali, in quanto l'attività del plume si
estrinseca in una super-produzione di materiale igneo.
I magmi prodotti per l'azione dei punti caldi, traggono, secondo
questo modello, la loro origine da un materiale sorgente di
provenienza molto profonda, presumibilmente non modificato da
alcun altro processo; in altri termini sarà costituito da mantello
primordiale o almeno con caratteristiche molto vicine ad esso.
I numerosi dati isotopici e geochimici ottenuti sulle vulcaniti
intraplacca e più in particolare sui prodotti che si ritiene abbiano
avuto origine da plume profondi, tendono effettivamente a sostenere
l'ipotesi che le zone sorgenti di tali magmi, hanno caratteri più
primordiali di quelle che hanno generato il grande vulcanismo delle
zone divergenti.
Fig.1.4.: Modelli di Mantle Plume.
12
Un interessante aspetto dell'ipotesi di Wilson-Morgan è
rappresentato dal fatto che i punti caldi, riflettendo perturbazioni
profonde del mantello terrestre, possano essere in prima
approssimazione considerati un sistema di riferimento fisso nel
tempo. Si può così tentare di riferire ad essi, attraverso le tracce
lasciate sulla litosfera mobile, il movimento delle placche assoluto e
non relativo.
Non tutti i dati oggi disponibili sul vulcanismo intraplacca sono
razionalizzabili all'interno di tale modello, per questa ragione sono
state proposte altre ipotesi che non postulano sorgenti profonde, e
che fanno appello a processi distensivi causati da appropriati stress
intraplacca (Pilger, 1982).
La forma non sferica della terra potrebbe in questa ottica giocare un
ruolo significativo provocando un effetto di membrana (Turcotte &
Oxburgh, 1973), a causa del quale le placche in movimento verso i
poli, sarebbero sottoposte a stress tensionali orientati
essenzialmente secondo i paralleli per il passaggio su superfici con
minore curvatura rispetto a quelle di provenienza.
1.3. GENESI E RISALITA DEI FUSI MAGMATICI
La fusione di parti del mantello terrestre si ritiene possa essere
innescata da diversi fenomeni:
ξ diminuzione di pressione;
ξ aumento di temperatura;
ξ depressione della curva del solidus causata da una variazione
chimica del sistema.
Una depressione pseudo-isoterma, potrebbe essere provocata per
movimento verso profondità inferiori di un certo volume del mantello
in rami ascendenti di correnti convettive in zone di dorsale oceanica:
in tal caso una parte del mantello, trovandosi in condizioni di
pressioni inferiori, potrebbe iniziare a fondere.
L’aumento di temperatura sembra il meccanismo più semplice per
spiegare la genesi dei magmi; questi, può essere attribuibile a
elementi radioattivi quali Th, U, Rb, Cs, che tuttavia, essendo
13
particolarmente mobili, concentrandosi nel magma, lascerebbero un
mantello fortemente impoverito in elementi radioattivi, con la
conseguenza che un mantello in convezione, decurtato in tali
elementi, possa difficilmente fondere.
E’ tuttavia plausibile che al centro di celle convettive possano esserci
nuclei relativamente stagnanti nei quali l’effetto del calore liberato
dalla disintegrazione degli elementi radioattivi, possa effettivamente
accumularsi sino a provocare la fusione; questo è infatti uno dei
meccanismi proposto per spiegare l’origine dei plume.
Fig.1.5.:Zona di possibile
fusione parziale del
mantello dedotta in base al
diagramma di stato di una
peridotite anidra (linea
tratteggiata) e di una con
aggiunta dello 0,1% di acqua
(linea continua).
Fig.1.6.: Diagramma di fase di una roccia;
la linea del solidus indica le condizioni di
pressioni e temperatura che separano la fase
solida dalla fase liquida.
Il processo di fusione può avvenire per
diminuzione di pressione, per aumento di
temperatura o per l’effetto combinato di
entrambi i fattori.
Altro processo alternativo in grado di spiegare l’arricchimento in
elementi radioattivi, riguarda il metasomatismo del mantello grazie
all’infiltrazione di soluzioni fluide arricchite in CO
2
e H
2
O, in grado di
trasportare elementi a largo raggio ionico come quelli radioattivi.
In un ristretto intervallo di profondità compreso tra 100-300 Km,
l’aumento di pressione dell’acqua favorisce la fusione parziale del
mantello con la possibile coesistenza di una frazione liquida ed una
solida.
14
Un ulteriore processo in grado di generare un magma, è quello di
abbassarne il punto di fusione del mantello cambiandone
alcune proprietà chimico-fisice, mediante depressione del solidus.
Tale meccanismo sembra essere il più plausibile per spiegare
l’origine dei magmi nei margini di zolla compressivi al di sopra della
zona di subduzione.
Una volta formatosi nel mantello terrestre, il magma inizia il processo
di risalita verso la superficie, ed essendo in condizioni di disequilibrio
fisico-chimico con l’ambiente circostante, subisce una serie di
processi che ne modificano la composizione originaria. Avendo
minore densità rispetto al solido che lo circonda, il liquido subisce
una minore attrazione gravitazionale e pertanto subirà una forza di
galleggiamento che tenderà a muoverlo verso l’alto. Il meccanismo
mediante il quale avviene la migrazione verso profondità minori, è
stato proposto da Turcotte & Schubert (1982), ipotizzando che la
formazione del magma avvenga nell’interstizio tra granuli di materia
solida, che, con il procedere dell’accumulo, produce un sistema
interconnesso di canali in grado di favorire la permeabilità del mezzo.
La risalita del magma nell’astenosfera, può essere paragonabile
all’instabilità di un mezzo a minor densità sottoposto ad un mezzo a
maggiore densità, tanto che l’instabilità prodotta dal materiale a
minore densità, innesca la risalita di diapiri magmatici verso l’alto.
I diapiri magmatici, secondo Anderson (1989), sono considerati
strutture più o meno sferiche che risalgono adiabaticamente
attraverso il mantello, divenendo via via sempre più fluide a causa
del differente andamento delle curve di fusione adiabatica.
Per la risalita dei magmi, la litosfera agisce come una barriera di
viscosità, mentre la crosta come una barriera di densità, tanto che gli
elevati valori di viscosità della litosfera, rendono qui improbabile il
meccanismo di trasporto del magma attraverso il diapirismo.
Nelle zone crostali un meccanismo alternativo è quello che prevede
la rottura delle rocce soprastanti ed il loro affondamento all’interno
del corpo magmatico.
Altro fenomeno permissivo è stato suggerito da Wertmann (1971), il
quale ipotizza che fratture riempite di liquido possano propagarsi
all’interno di una placca (fluid-filled cracks).
Tale meccanismo ipotizza che un accumulo di magma alla base della
15
crosta, possa creare una sovrapressione sufficiente a generare una
frattura in presenza di uno stress tensionale uniforme.
Il magma riempie così il vuoto creato fino a che la frattura, raggiunta
la lunghezza critica, comincia a propagarsi verso l'alto tendendo ad
aprire l’estremità superiore e chiudere quella inferiore. Anderson &
Grew (1977), hanno proposto un meccanismo di propagazione delle
fratture causato per stress ad opera di sostanze corrosive liberate
all’interno della frattura per essoluzione dei volatili. Questi gas
unitamente all’azione dell’acqua, agendo come agenti chimici
corrosivi, aggrediscono la roccia incassante e riducono l’energia
necessaria alla sua fratturazione.
Non tutto il magma prodotto nel mantello riesce a raggiungere la
superficie terrestre a causa del fatto che, perdendo calore durante la
risalita, esso diventa man mano più viscoso ed incontra maggior
resistenza a fluire.
Quando il magma, risalendo verso la superficie incontra una zona ad
uguale densità, si determinano le condizioni che ne permettono
l’accumulo con la formazione di una camera magmatica. All’interno
delle camere magmatiche, l’effetto del raffreddamento del magma e
la conseguente cristallizzazione di fasi minerali, porta un originario
magma basaltico ad evolversi per differenziazione, in termini
progressivamente più ricchi in alcali e silice, ed a un impoverimento
in MgO, FeO, CaO. Il meccanismo di differenziazione del magma,
sembra giustificare in maniera comprensibile il processo che
permette al magma in raffreddamento ed in cristallizzazione, di
riacquistare la sua spinta ascensionale e giungere in superficie.
1.3.1. PROCESSI DI VESCICOLAZIONE
Durante il processo di risalita o di differenziazione, si possono
verificare fenomeni che portano alla saturazione un magma
inizialmente sottosaturo in H
2
O o in altri gas.
Una causa può essere la decompressione del liquido per la risalita
verso zone a minore pressione idrostatica. Ogni diminuzione di
pressione, in condizioni prossime alla saturazione, provoca la
fuoriuscita di H
2
O dal reticolo cristallino e la sua essoluzione.