Eccesso di potere nel delitto di abuso d’ufficio
e la sorte del peculato per distrazione
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da un lato, l’incompletezza delle disposizioni normative relative ai comportamenti da
seguire per soddisfare tali interessi, dall’altro, il collegamento del potere con uno scopo,
ossia il suo carattere funzionale. [ Pubusa, 1994(3) ]
Ciascuna delle definizioni testé menzionate mette giustamente in evidenza il
fatto che la discrezionalità della P.A., lungi dal costituire un’attività libera, incontra il
principale limite costituito dal perseguimento dell’interesse pubblico, e più
precisamente quell’interesse per il soddisfacimento del quale il potere è stato conferito.
Invero l’individuazione di siffatto interesse in molti casi costituisce
un’operazione affatto semplice, soprattutto quando in una determinata vicenda vengono
in rilievo una pluralità di interessi pubblici. In presenza di tali situazioni la P.A., sarà
pertanto tenuta, attraverso un’attività interpretativa, ad estrapolare dall’insieme di
norme che disciplinano una determinata materia l’interesse pubblico primario, il quale
dovrà per ciò stesso considerarsi prevalente rispetto agli altri.[ Giannini. M. S., Milano,
Giuffrè 2001 (4) ]
Le considerazioni fin qui svolte ci inducono a condividere l’affermazione
secondo la quale l’attività discrezionale della P.A. non contrasta con il principio di
legalità bensì lo presuppone; in particolare si sostiene che laddove siamo in presenza di
un riserva di legge relativa ci si troverà di fronte ad un’attività discrezionale:
quest’ultima può investire alternativamente l’an dell’emanazione di un provvedimento,
il quando, sotto il profilo della individuazione del momento più opportuno
dell’intervento programmato ovvero gli elementi accidentali e il contenuto dell’atto.
Per converso nelle materie ricoperte da riserva assoluta di legge, non essendo
attribuita alla P.A. alcuna facoltà di scelta, l’attività posta in essere dalla stessa non
potrà che definirsi vincolata. [ Galli R., Padova, Cedam 2000 (5) ]
Per molto tempo la dottrina ha contrapposto al termine discrezionalità quello di
“merito amministrativo”; quest’ultimo deve essere, invece, inteso, quale conformità
della scelta discrezionale alle regole non giuridiche di buona amministrazione ossia
l’idoneità del provvedimento amministrativo a soddisfare adeguatamente l’interesse
pubblico.
Le questioni di merito, qualora siano precedute da un corretto esercizio del
potere discrezionale non sono sindacabili dal G.A., salvi i casi eccezionali di
giurisdizione di merito e ferma restando l’esperibilitá del ricorso gerarchico.
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Diversamente da quanto accade per le questioni di merito l’attività discrezionale
della P.A. è suscettibile di essere sottoposta al sindacato del giudice di legittimità
allorquando essa venga esercitata in violazione di precisi limiti individuabili
rispettivamente: nella realizzazione dell’interesse pubblico primario, ossia l’interesse
che deve essere perseguito per legge, nel rispetto dei principi della logica, imparzialità e
ragionevolezza nonché nell’esigenza di effettuare un’adeguata istruttoria al fine di
garantire una completa ed esatta informazione. [ Virga P., Milano, Giuffrè 2001 (6) ]
La violazione dei su menzionati limiti renderà pertanto illegittimo l’atto sotto il
profilo dell’eccesso di potere. In merito a quest’ultimo si sono formati in dottrina una
serie di orientamenti ciascuno dei quali cerca di definire la natura giuridica e l’oggetto
dell’eccesso di potere. All’uopo mentre alcuni autori [ Sala, Milano, 1993 (9)] ritengono
che l’eccesso di potere incida negativamente sul corretto procedimento di formazione
della volontà della P.A.; altri studiosi individuano rispettivamente nei motivi [Giannini
M. S., Milano, Giuffrè, 2001 (10) ] o nella causa l’elemento viziato da tale vizio.
La posizione dottrinaria, da molti condivisa, qualifica l’eccesso di potere come
vizio della funzione: è la potestà nel suo complesso a non essere esercitata
correttamente. Nelle ipotesi d’eccesso di potere, dunque, non è illegittimo l’atto in sé
bensì la funzione amministrativa che esso esprime, funzione che risulta esercitata in
modo anomalo o se si preferisce “sviata” [ Benvenuti, 1950 (11); Trib. Catania, 15
Luglio 1998, arena e altro, in Cass. pen. 1999, p. 722].
Quest’ultima teoria consente di estendere l’applicazione dell’eccesso di potere in
tutti i casi in cui vengano violati i limiti interni della discrezionalità amministrativa che,
pur non essendo consacrati in norme scritte, sono inerenti alla natura stessa del potere
esercitato.
[ Virga P., Milano, Giuffrè, 2001 (12) ]
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1.2 Origine dell’eccesso di potere ed elaborazione giurisprudenziale delle
figure sintomatiche.
L’eccesso di potere costituisce uno dei tre vizi di legittimità dell’atto
amministrativo, espressamente previsti dalla legge 5992 del 1889, istitutiva della IV^
Sezione del Consiglio di Stato.
Questa legge non fornisce tuttavia una definizione dell’eccesso di potere, sicché
tale compito è stato inevitabilmente rimesso alla dottrina e alla giurisprudenza. A tal
fine un criterio di riferimento veniva individuato nella legge 3761 del 1877, la quale
attribuiva alle SS.UU. della Cassazione, in materia di conflitti di attribuzione, il potere
di annullare le sentenze viziate da eccesso di potere.
Alla luce di ciò l’eccesso di potere fu inizialmente ricondotto alle sole ipotesi di
straripamento del potere, ossia di emanazione dell’atto amministrativo che, andando al
di là dei poteri propri della P.A., invadesse quelli del Parlamento o della Magistratura.
Ben presto la giurisprudenza, preferì conformarsi all’orientamento già
affermatosi presso la dottrina, secondo il quale l’elemento caratterizzante l’eccesso di
potere avrebbe dovuto essere individuato nello sviamento del potere. [Consiglio di Stato
Sez. IV, 7 Gennaio 1892 n. 3]
Tale situazione si viene a configurare in tutti i casi in cui il potere viene
esercitato per il soddisfacimento di interessi personali o politici, e, più in generale, per
un fine diverso da quello per il quale il potere stesso era stato conferito, quanto nel caso
in cui la P.A. persegua l’interesse pubblico, ma con un potere diverso da quello previsto
a tal fine dalla legge. [ Virga P., Milano, Giuffrè 2001 (7) ]
Ulteriore elemento caratterizzante la figura dell’eccesso di potere viene
individuato dalla giurisprudenza [Cons.St., sez. VI, 14 Ottobre 1999, n.1360, in Cons.
St. 1999, I, 1661] nonché dalla dottrina prevalente,[Sala, 1993, Milano (8)]
nell’esercizio da parte della P.A. di un potere discrezionale, escludendo pertanto che
tale vizio possa configurarsi in relazione all’attività vincolata; l’eventuale illegittimità
degli atti vincolati potrà pertanto essere fatta valere sotto il profilo della violazione di
legge o della incompetenza. [ Cons. giust. Amm. Sicilia, sez. giurisd., 25.03.1999, n.98
in Cons. St. 1999, I, p. 511]
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In merito all’evoluzione storica dell’eccesso di potere è bene adesso notare che
nel corso degli anni la giurisprudenza ha individuato una serie di fattispecie, denominate
“figure sintomatiche” dalla sussistenza delle quali è lecito presumere il non corretto uso
del potere discrezionale da parte della P.A; controversa è, tuttavia, in dottrina la
questione se tali figure costituiscano un’ipotesi specifica di sviamento di potere ovvero
integrino fattispecie autonome di eccesso di potere.
Altrettanto discussa è la problematica concernente la valenza probatoria delle
figure sintomatiche: a tal riguardo la dottrina prevalente sembra escludere che le stesse
costituiscano prova dell’eccesso di potere dovendosi a tal fine dimostrare se al sintomo
corrisponda un effettivo anomalo esercizio dell’azione amministrativa. [ Benvenuti,
1950 (13); Trib. Catania, 15 Luglio 1998, Arena e altro, in Cass. pen. 1999, p. 722]
La giurisprudenza sembra non accogliere l’orientamento fatto proprio dalla
dottrina e, pertanto, la stessa ritiene sufficiente a determinare l’illegittimità dell’atto
amministrativo la sussistenza di una delle figure sintomatiche.[ Cons. St. sez. VI, 14
ottobre 1999, 1360 in Cons. St. 1999, I, 1661]
Ciascuna di tali figure, sebbene costituisca il frutto di un’elaborazione
giurisprudenziale nonché dottrinaria, è pur sempre riconducibile ai principi giuridici
posti a fondamento dell’agire della pubblica amministrazione quali: il principio della
ragionevolezza, della completezza e veridicità dell’istruttoria, dell’imparzialità
dell’agire e della giustizia sostanziale.
La prima figura sintomatica elaborata dalla giurisprudenza è senz’altro costituita
dalla mancanza di motivazione: il silenzio sui motivi, infatti, comporta l’elusione della
possibilità del confronto tra scopo perseguito e fine normativamente individuato.
L’obbligo della motivazione veniva all’uopo fatto discendere ( prima dell’entrata in
vigore della legge 241 del 1990) dal principio di trasparenza [ C.g.a. reg. Sic., 4
Febbraio 1985 n.29] dell’atto amministrativo nonché dal diritto di difesa del cittadino
[ Cons. St. sez. IV, 13 Luglio 1976 n.586].
Secondo un altro indirizzo dottrinario la ratio unitaria dell’istituto deve altresì
essere individuata nel c.d. uditorio ossia nella pluralità di categorie dei destinatari. La
motivazione non si dirige solo ai privati e al giudice amministrativo ma anche alla
comunità dei cittadini.
[ R. Tassone, Milano, 1987 (14) ]