Introduzione
2
D’altro canto in questi anni il mezzo televisivo non costituisce ancora un valido apporto alla
comunicazione politico-elettorale, poiché i programmi trasmessi hanno essenzialmente finalità ludiche.
Col ’68 si determina una vera e propria crisi di rigetto nei confronti della TV, mezzo che
viene accusato di manipolare le coscienze, di favorire il mantenimento del sistema offrendo al
cittadino un’evasione da quella realtà che invece i movimenti giovanili si propongono di cambiare.
Quindi la TV viene associata all’idea di divertimento spicciolo, che si contrappone all’impegno totale
che è connaturato alla politica. D’altro canto, la personalizzazione della politica trova ulteriori ostacoli
nel suo sviluppo poiché il ’68 è per le masse, per la loro spontaneità e non certo a favore del singolo,
ne tantomeno dei simboli individuali del potere.6
Sicuramente negli anni ’70 sono i movimenti d’opinione i principali canali di comunicazione
delle tematiche politiche, tuttavia essi non riescono a trasformarsi in strutture portanti di un messaggio
alternativo a quello dei partiti.7
Nel ’75, con una sentenza della Corte Costituzionale viene concessa l’autorizzazione ai
privati di impiantare stazioni televisive. Ciononostante la comunicazione politica non subisce
trasformazioni. L’unica eccezione di un certo interesse è rappresentata dalla campagna referendaria
sul divorzio del 1974.8
In questa occasione la Democrazia Cristiana ricorre alla RAI per patrocinare la sua
campagna anti-divorzista, ma proprio per l’esistenza di una frattura fra la politica e il mezzo
televisivo, il quale rimane ancorato alla concezione della TV come intrattenimento; il referendum
viene vinto dai pro-divorzisti.9
Chi si dimostra invece capace di esercitare un ruolo centrale nel catalizzare l’opinione
pubblica sono quotidiani e settimanali: nella consultazione quindi ha la meglio il medium che si è
rivelato più abile nel tematizzare la questione sottoposta alla valutazione dell’elettorato.10 La
campagna referendaria pro-divorzista riesce a travalicare il messaggio dei partiti, finendo per
assumere una valenza trasversale.11
6
STATERA G., La politica spettacolo. Politici e mass media nell’era dell’immagine, Milano, 1986, p. 20
7
MARLETTI, La comunicazione politica come “spettacolo” e come “mercato” cit., p. 93
8
MAZZOLENI, Dal partito al candidato cit., pp. 254-255
9
MARLETTI C., RONCARLOLO F., Media comunicazione politica e democrazia in Italia, in corso di pubblicazione, cap.5
(La Stampa nazionale come canale di comunicazione politica e il ruolo del giornalismo critico)
10
MARLETTI C., “Il potere dei media”: sulla crescente interazione fra comunicazione e politica, in “Il Mulino”, n. 4, 1983,
p. 589
11
MARLETTI, RONCARLOLO, Media comunicazione politica e democrazia in Italia cit.,
Introduzione
3
1. PERCHE’ IN ITALIA FINO AGLI ANNI ’80 PERSISTE UNO
SCARSO LEGAME FRA MEDIA E POLITICA?
Innanzitutto bisogna ricordare l’esistenza nel nostro paese di due subculture che, svolgendo
un ruolo primario nella socializzazione politica e nel rafforzamento dell’identità dei loro adepti, sono
state capaci di mantenere a lungo la loro specificità e di garantire la loro sopravvivenza. Due culture
certamente diverse. Quella socialista, alla quale è connaturato un forte senso di identificazione con la
classe operaia, la convinzione che quest’ultima possa giocare un ruolo cruciale nel processo di
trasformazione della società e quella cattolica, la quale favorisce un alto grado di religiosità, che si
esprime nella partecipazione attiva alle associazioni cattoliche e in un forte attaccamento alla chiesa, il
che comporta l’accettazione indiscussa dei precetti e delle indicazioni fornite da quest’ultima, sia in
campo morale che politico.
D’altra parte si possono individuare alcuni tratti comuni alle due subculture dominanti:
entrambe promuovono il senso di appartenenza grazie alla militanza in diverse organizzazioni ad esse
correlate, facilitano la formazione di un sentimento di alterità nei confronti degli esterni e soprattutto
sono legate ad una “visione del mondo” ben precisa.12
Esse favoriscono quindi l’identificazione partitica, la quale è un rapporto di grande vicinanza
fra l’attore e l’oggetto. Ci si considera comunisti o democristiani, il che esclude la possibilità di
un’identificazione multipla. Per chi si riconosce in un partito non si pone il problema della scelta
elettorale, c’è una “decisione permanente”.13 Si parla in questo caso di “voto d’appartenenza”, il
quale consiste in “un’opzione politico-ideologica di lungo periodo, che tende a riprodursi nel tempo
ed è insensibile alla congiuntura politica”14; infatti l’elettore d’appartenenza “vota ma non sceglie”.15
Ad un certo punto il partito di integrazione di classe entra in crisi, non e più in grado di
controllare l’autoproduzione dei propri messaggi. Il tradizionale partito di massa perde il suo ruolo di
agente socializzatore alla politica. Ciò è imputabile principalmente a due fattori: l’erosione dei confini
culturali, e soprattutto l’aumento del livello di istruzione.
Nuove organizzazioni, e fra esse in primis i media, si sostituiscono al partito in tale ruolo.16
Il sistema mediale italiano diviene da sistema d’élite, sistema di massa contemporaneamente “alla
12
MANNHEIMER R., SANI G., Il mercato elettorale, Bologna, 1987, pp. 86-87
13
MANNHEIMER, SANI, Il mercato elettorale cit., p. 114
14
CARTOCCI R., Elettori d’Italia, riflessioni sulle vicende elettorali in Italia negli anni ’80, Bologna, 1990, p. 33
15
CORBETTA P., PARISI A., SCHADEE H., Elezioni in Italia. Struttura e tipologia delle consultazioni politiche, Bologna,
1988. Citato in CARTOCCI R., Elettori d’Italia cit., p.44
16
PASQUINO G., Mass media, partito di massa e trasformazioni della politica, in “Il Mulino”, n. 4, 1983, p. 567 e pp. 570-571
Introduzione
4
messa in crisi dell’autoproduzione partitica come forma dominante della comunicazione politica”. La
produzione in proprio di messaggi diviene sempre più costosa, d’altra parte l’aumento della
complessità sociale determina un maggior bisogno di trasmettere informazioni per cui si ricorre ai
media, i quali divengono “un’infrastruttura” del sistema politico17.
L’autoreferenzialità del partito di massa implicava un meccanismo di trasmissione dei
messaggi di tipo verticale, nel quale il vertice decideva la linea politica e la periferia la recepiva e la
diramava capillarmente agli elettori. Un meccanismo molto simile al Two-step flow of comunication
di cui ha parlato Katz18, il quale prevede l’esistenza di alcuni leader d’opinione, nel nostro caso i
militanti, che sono il canale preferenziale di influenza dell’opinione pubblica, quindi nel nostro caso
degli iscritti.19
Il problema che si pone a questo punto non è più quello di definire una linea politica in
rapporto alle preferenze dei militanti. Dopo aver consultato la base degli iscritti, si deve invece
contrastare il flusso di comunicazioni provenienti dai nuovi media. Cambia la stessa militanza, la
quale da “scelta di vita” diviene meno intensa, più intermittente, anche a causa del calo di tensione
ideale.
Aumenta la spinta alla contrattazione. Gli stessi quadri di partito sono inclini a far ricorso ai
mass media nel dibattito politico; inoltre anche essi ora sono più esposti alla stampa non di partito.20
I media divengono attori politici proprio perché il partito di massa intuisce la necessità di creare un
equilibrio fra i flussi di comunicazione il cui obbiettivo è mantenere coeso il partito e quelli che invece
mirano a raggiungere nuovi settori dell’elettorato, resi disponibili dalle trasformazioni socio-
economiche, culturali e generazionali.21
Quindi il partito si trova di fronte all’esigenza di ridurre il bagaglio ideologico per spostarsi
verso la ribalta elettorale, rinunciando così ad agire in profondità, dando la preferenza ad un più
vasto consenso e ad un immediato successo elettorale.
17
MARLETTI C., La comunicazione americanizzata. Note su media e politica, in “Quaderni Piacentini”, n. 4, 1982, pp.
172-173
18
Per una spiegazione della teoria del “Two-step flow of comunication” vedi LAZARSFELD P. F., BERELSON B.,
GAUDET H., The People’s Choice, New York, 1948 e il successivo KATZ E., LAZARSFELD P. F., Personal Influence,
in Reader In Public Opinion And Comunication, a cura di BERELSON B., JANOVITZ M., New York, 1966, pp. 446-454
19
COSTANTINO S., SCIMECA S., Visibilità e democrazia: la comunicazione politica nell’Italia degli anni ’90, Palermo, 1994,
p.10
20
PASQUINO, Mass media, partito di massa cit., pp. 568-569
21
PASQUINO, Mass media, partito di massa cit., p. 566
Introduzione
5
Esso deve attenuare l’importanza della classe gardeé22, in quanto i messaggi unificanti,
adatti all’elettorato d’appartenenza, sono strategicamente controproducenti per raggiungere altri
strati della popolazione le cui preferenze politiche vanno diversificandosi. Anche il ruolo degli iscritti e
dei militanti si riduce, viene posto l’accento sui leaders, figure la cui visibilità è indispensabile per
uscire dall’elettorato tradizionale e per raggiungere l’elettorato che ora diviene cruciale, quello
“d’opinione”.23
E’ proprio questo voto, instabile, mai acquisito, il più esposto ai media24: ora l’elettore che
adotta tale criterio per scegliere un partito è legato alla quantità e qualità delle informazioni politiche
diffuse dai mezzi di comunicazione di massa. Egli non aderisce incondizionatamente al partito, anzi,
forma la sua opzione di voto valutando il rendimento politico delle squadre in campo.25
Quindi i mass media favoriscono la trasformazione del partito di integrazione di massa, il
prodotto di un’epoca in cui esistevano rigide divisioni di classe e potenti strutture confessionali e
ideologiche, in “partito pigliatutto”. E’ proprio con la diffusione di orientamenti secolari e di consumi
di massa, con divisioni di classe meno rigide, che i partiti classisti di massa e quelli confessionali di
massa vengono sottoposti a pressioni che li spingono a divenire partiti di popolo pigliatutto.26
Da tale sviluppo quasi universale rimane escluso il Partito Comunista Italiano. Esso
mantiene un forte legame con la subcultura di appartenenza, essenzialmente poiché esso, dopo il ’48,
subisce una progressiva discriminazione non solo nel Parlamento e nelle fabbriche, ma anche e
soprattutto nei mass media. Quindi tale partito continua a percepire la comunicazione essenzialmente
nei termini di propaganda, non è capace di scindere quest’ultima dall’informazione.27
Solo con l’apertura del “Corriere della Sera” di Ottone al PCI, col boom dei settimanali di
attualità, “l’Espresso” e “Panorama”, e soprattutto grazie alla creazione del nuovo quotidiano “La
Repubblica”28, tale partito ottiene la legittimazione dei media.
22
KIRCKHEIMER O., La trasformazione dei sistemi partici dell’Europa occidentale, in Sociologia dei partiti politici, a cura
di SIVINI G., Bologna, 1971, p.185 e pp.190-191
23
PASQUINO, Mass media, partito di massa cit., pp. 560-562
24
PASQUINO G., Alto sgradimento: la comunicazione politica dei partiti, in “Problemi dell’informazione”, n. 4, 1988, p. 483
25
PASQUINO, Mass media, partito di massa cit., p. 573
26
KIRCKHEIMER, La trasformazione dei sistemi partici cit., p. 185 e p. 190
27
GROSSI G., Rappresentanza e rappresentazione, Milano, 1985, pp. 142-144
28
Il quotidiano nasce nel 1976 e già nel primo numero l’editore, Eugenio Scalfari, in una nota che apre la pagina sei, dichiara
che “Questo giornale è un poco diverso dagli altri: è un giornale di informazione il quale, anziché ostentare un’illusoria
neutralità politica, dichiara esplicitamente di aver fatto una scelta di campo. E’ fatto da uomini che appartengono al vasto arco
della sinistra italiana”. Al riguardo vedi MURRIADI P., Breve storia del “Corriere della Sera” e de “La Repubblica”, in La
fabbrica delle notizie. Una ricerca sul “Corriere della Sera” e “La Repubblica”, a cura di LIVOLSI M., Milano, 1985,
pp.25-26
Introduzione
6
Ciò fa sì che esso comprenda la necessità di utilizzare anche i canali esterni per trasmettere
i propri messaggi; infatti se si rivelasse incapace di tematizzare le sue scelte nei confronti dell’intera
società, i media stessi finirebbero per arrogarsi tale ruolo, per cui il PCI perderebbe il controllo dei
suoi flussi comunicativi.29
Quindi negli anni ’80 assistiamo ad un rinnovamento del modello comunicativo del PCI. In
particolar modo le “Feste dell’Unità” divengono “il principale strumento di una comunicazione
interattiva organizzata per temi, la quale cerca di ricostruire quei nessi sociali che la rete organizzativa
di partito non è più in grado di mantenere e che le reti mediali non potrebbero garantire con
altrettanta efficacia”. Le feste hanno successo perché permettono al PCI di migliorare la propria
comunicazione con l’esterno30, per cui l’influenza dei canali comunicativi non di partito sul “popolo
comunista”, comporta la progressiva attenuazione della sua diversità.31
2. PIONIERI DELLA “POLITICA SPETTACOLO”
Fra il ’74 e il ’79 alcuni personaggi si dimostrano particolarmente abili nell’adattare la loro
comunicazione e i loro messaggi alle esigenze dei mezzi di comunicazione di massa. Essi non sono
personaggi creati dai media, tuttavia devono ad essi gran parte della loro popolarità.32
L’uomo che segna il punto di svolta della cultura politica italiana nel senso della
personalizzazione è Sandro Pertini. Egli, durante il suo settennato, riesce a riqualificare il ruolo della
presidenza della Repubblica e a contenere il fenomeno della delegittimazione e della disaffezione dei
cittadini alle istituzioni. Per quanto sia percepito come “divo”, Pertini viene identificato nel
quotidiano; rappresentando la gente comune finisce per assumere le funzioni del portavoce e
dell’amplificatore del sentimento collettivo. Il primo mass media che da risalto a questa figura è la
stampa d’opinione, il Pertini “televisivo” è successivo. 33
Altro personaggio che si dimostra capace di cogliere le potenzialità dei mass media e
accorto nel presentare un “prodotto partito” appetibile agli elettori d’opinione sensibili al nuovo è
29
GROSSI, Rappresentanza e rappresentazione cit., pp. 146-148
30
FEDELE M., Il problema delle “Reti effettive” nei processi di comunicazione politica, in Mass media e sistema politico, a
cura di PASQUINO G., Milano, 1984, pp.96-97
31
STATERA, La politica spettacolo cit., p. 114
32
MAZZOLENI, Dal partito al candidato cit., p.256
33
STATERA, La politica spettacolo cit., cap. V (Il caso Pertini), pp. 54-61
Introduzione
7
Craxi.34 Egli si rivela particolarmente abile nel gestire la propria immagine e nello sconvolgere le
aspettative altrui. Significativa al riguardo la polemica col PCI, che raggiunge l’apice con il gesto
spettacolare con cui egli consegna al “l’Espresso” un saggio in cui rivaluta Proudhon per screditare
pubblicamente il Partito Comunista. Craxi affermando che “tra socialismo e comunismo lieninista
esiste un’incompatibilità sostanziale” provoca il PCI, lo rende furibondo.
Si delinea il ritratto di un leader che aggredisce in diretta, che opera in modo aperto e
franco. Certo egli attira su di se l’ostilità e l’antipatia della stampa dell’epoca, che lo definisce: “un
monarca”, “il reuccio del PSI”; tuttavia dimostra che si può fare politica spettacolo usando
magistralmente l’aggressività, pur godendo dell’antipatia dei media.35
In ogni modo il vero precursore della politica spettacolo è Marco Pannella. Innanzitutto
bisogna tener presente che i radicali hanno sempre cercato di dare un’immagine di sé come di un
“non-partito”, si sono proposti come un movimento, evidenziando in questo modo la loro volontà di
costituire un’aggregazione alternativa al partito politico, di dar vita ad un gruppo capace di fare
opinione.
Essi si sono rivelati particolarmente abili nell’usare le comunicazioni di massa non tanto per
trasmettere contenuti, quanto per stabilire un’interazione comunicativa col mezzo stesso. Con le loro
azioni spettacolari, con i digiuni del loro leader, con l’imbavagliamento davanti ai teleschermi per
protestare contro il tempo troppo limitato concesso loro dalla TV, essi si sono dimostrati capaci di
attirare l’attenzione dei media. Per citare la celebre (e un po’ abusata) formulazione di McLuhan:
hanno capito che “il medium è il messaggio”, quindi non serve più l’argomentazione, essi stessi
costituiscono la notizia che i mezzi di comunicazione devono diffondere.36
Sostiene sempre lo stesso Marletti che “per politica spettacolo si dovrebbe soprattutto
intendere una strategia che cerca di condizionare “a monte” i media attraverso la produzione di gesti
clamorosi e di atti, che per la rilevanza che assumono in una data congiuntura economica o politica,
non possono essere ingnorati e di cui pertanto i media devono dare notizia”.37
3. COMINCIA A DELINEARSI LA “POLITICA SPETTACOLO”
34
STATERA G., Politica-Spettacolo, in “Mondoperaio”, n. 7, 1995, pp.163-164
35
STATERA, La politica spettacolo cit., cap. IX (Craxi e i mass media), pp. 93-107
36
MARLETTI C., Media e politica. Saggi sull’uso simbolico della politica e della violenza nella comunicazione, Milano, 1984,
pp. 96-99
37
MARLETTI C., Influenza politica, mass media e leadership, in Aa. Vv., Leadership e democrazia, Padova, 1987, p. 84
Introduzione
8
La campagna per le elezioni politiche del 1983 costituisce il momento di svolta nel
mutamento della comunicazione politica nel nostro paese. Il sistema delle comunicazioni di massa è
divenuto ormai un sistema “misto”. Da un lato la RAI continua a proporre programmi classici quali le
Tribune politiche per orientare le scelte di voto degli italiani, dall’altra le reti private iniziano a
imprimere una forte carica innovativa. Esse dispiegano risorse e fantasia, riuscendo a far approdare
anche nel nostro paese la così detta media logic.38
Questo termine, introdotto da un volume di due sociologi americani, Altheide e Snow, si
riferisce all’adattamento della politica alla logica dei media, il che implica che il sistema informativo
assuma un ruolo non solo autonomo nei confronti dei partiti e del sistema politico, ma addirittura
trainante.39
Per cui, come afferma Mazzoleni, ora “partiti, candidati e mezzi mettono in campo una
poderosa macchina comunicativa”.40 Significativi al riguardo sono i nuovi programmi televisivi
proposti dalle reti private. L’attenzione si sposta dai temi politici alla figura stessa del candidato, alle
sue doti comunicative.41
Cambia il ruolo stesso dell’intervista. All’interrogatorio che mirava a contrastare il soggetto,
a metterne in luce le contraddizioni, si sostituisce un colloquio che invece gli consente di esprimere il
suoi punto di vista, gli permette di porre l’accento sulle sue doti argomentative. Il testo stesso
dell’intervista non rappresenta più una notizia, bensì diviene una voice.42
Comincia a delinearsi quella che Mancini ha definito la “televisione passerella”; cioè si
diffondono trasmissioni nelle quali gli stessi giornalisti danno ai candidati la possibilità di presentare se
stessi, i propri programmi e le proprie intenzioni alle audiences televisive; ma non si sviluppa un
contraddittorio, anzi, le domande sono speso preparate.43
Le elezioni politiche del 1983 si caratterizzano per il tentativo dell’allora leader della DC,
Ciriaco De Mita, di identificare il partito con se stesso. Tale messaggio però non ha successo, poiché
38
MAZZOLENI, Dal partito al candidato cit., pp. 255-259
39
GROSSI G., MANCINI P., MAZZOLENI G., Giugno 1983: una campagna elettorale, Torino, 1985 (RAI/VPT), p. 95
40
MAZZOLENI, Dal partito al candidato cit., p. 258
41
MAZZOLENI, Dal partito al candidato cit., p. 260
42
MARLETTI, La comunicazione politica come “spettacolo” e come “mercato” cit., p. 97. Sull’uso della voice si veda anche
MARLETTI C., Prima e dopo. Tematizzazione e comunicazione politica nei media italiani, Torino, 1985 (RAI/VPT). In
particolare alle pagine 209-210, Marletti spiega che queste voices, servizi autoreferenziali nei quali i politici parlano di se stessi
con i giornalisti o con altri politici, danno loro la possibilità di essere sui media con un adeguato numero di presenze, il che
quindi consente di paragonare la “quotazione” dell’influenza politica dei diversi personaggi presenti sulla scena elettorale.
43
MANCINI P., Preferenza unica e televisione elettorale: vecchi e nuovi problemi in MANCINI P., Persone sulla scena. La
campagna elettorale 1992 in televisione, Roma, 1983 (RAI/VPT), pp. 16-17
Introduzione
9
la nuova immagine della Democrazia Cristiana è imposta dai mass media; in particolare essa viene
gestita da “La Repubblica” di Scalfari, quotidiano che cerca in tutti i modi di contenere l’avanzata di
Craxi.
Comunque è significativo il fatto che nel giugno ’83 la tendenza ad identificare la DC con
De Mita, il PSI con Craxi, il PCI con Berlinguer, non sia propria solo della televisione, ma anche del
mezzo stampato.44
Le elezioni amministrative del 1985 confermano questo trend. I partiti scatenano una vera
e propria caccia al volto nuovo, rivolgendosi a personaggi esterni al mondo della politica. Tuttavia
saranno le politiche del 1987 a dare l’addio ai vecchi comizi sulle piazze, portando i leader negli studi
televisivi. In particolar modo, la rubrica di Canale 5 Elettorando, condotta da Maurizio Costanzo,
sviluppa ulteriormente il modello della “Televisione passerella”; infatti lo scopo principale di tale
programma sembra essere quello di umanizzare il candidato, di avvicinarlo al pubblico.45
Assistiamo a quella che Meyrowitz ha definito la “trasformazione del politico in eroe
comune”. I media elettronici, cambiando la distanza fra politico ed elettore, creano un’immagine del
leader più ravvicinata, più fedele, quindi meno idealizzata.46 “La comunicazione politica si sposta
sempre più dalle segreterie dei partiti alle redazioni di giornali e telegiornali, è sempre meno
propaganda e sempre più informazione”.47
Per cui, con l’indebolimento del “voto di appartenenza”, l’elettore comincia a scegliere
razionalmente il politico cui accordare la propria preferenza, nel senso che egli cerca di individuare il
candidato che gli consente di massimizzare la sua utilità.48 A questo punto i mass media assumono un
ruolo centrale nel veicolare i programmi, i partiti e le immagini dei politici. Essi cioè favoriscono la
“mercificazione” della politica; e d’altra parte, come sostiene Kirckheimer “Il partito pigliatutto deve
entrare in milioni di menti, come un oggetto familiare che svolge in campo politico un ruolo analogo a
quello di una marca ben nota di un articolo di consumo di massa universalmente necessario e
altamente standardizzato”.49
Si comincia a delineare quel mercato elettorale “nel quale si incontrano domanda e offerta
politica, il luogo cioè nel quale i produttori di politiche pubbliche presentano le loro offerte a cittadini
44
STATERA, La politica spettacolo cit., cap. VIII (Le elezioni del 1983), pp. 83-92
45
MAZZOLENI, Dal partito al candidato cit., pp. 264-267
46
MEYROWITZ J., Oltre il senso del luogo, Bologna, 1993, p. 466
47
COSTANTINO, SCIMECA, Visibilità e democrazia cit., p. 44
48
COSTANTINO, SCIMECA, Visibilità e democrazia cit., pp. 47-48
49
KIRCKHEIMER, La trasformazione dei sistemi partici cit., p. 192
Introduzione
10
informati, liberi da pregiudizi e sciolti da legami con il passato, che scelgono di volta in volta proprio
sulla base delle alternative loro proposte”.50
Dato che l’elettore è alla ricerca di un soggetto politico capace di salvaguardare i suoi
interessi, aumenta la domanda di informazioni. Inoltre la richiesta di visibilità si rafforza proprio
perché, con il fenomeno Tangentopoli, si determina una rottura con il passato di buona parte dei
vecchi elettori. Ora anche lo stesso elettorato d’appartenenza si rende conto di poter scegliere
autonomamente, nasce un nuovo interesse verso la politica. Siccome si vuole sapere tutto sui
candidati, un programma informativo di stampo tradizionale si rivela incapace di sopperire a
quest’aumentata richiesta di visibilità dei futuri governanti da parte dei cittadini, i quali prediligono
programmi più informali nei quali emerga anche il privato del politico, nei quali si discuta non più di
party logic bensì di policies, cioè ci si aspetta che gli aspiranti parlamentari illustrino gli obbiettivi
che essi intendono realizzare una volta al governo.51
4. LA COMUNICAZIONE POLITICA NEGLI ANNI ’90
Un fenomeno emblematico del quale i media non hanno saputo cogliere fin da subito il
“potenziale di notiziabilità” è la Lega Lombarda. Inizialmente la copertura giornalistica di tale nuovo
partito cerca di minimizzare la carica “esplosiva” di un movimento che mette in discussione la stabilità
del sistema politico del tempo.52
La Lega infatti si scaglia proprio contro “La corruzione dei partiti, la mediocrità del ceto
politico, le ruberie e le vergogne di un sistema di potere che aveva governato dal dopoguerra”.53
Perciò essa si rivela capace di convogliare la protesta dei cittadini italiani contro Tangentopoli, e lo fa
tramite un linguaggio nuovo, rozzo e aggressivo, ma diretto: proprio il contrario del politichese54, che
invece era stata la modalità discorsiva caratterizzante il vecchio sistema.55
Come dimostra Mazzoleni, fu solo con il sorpasso della Lega sulla DC alle comunali di
Brescia nel 1991 che “gli organi di informazione, rispondendo in questo caso correttamente ad una
50
MANNHEIMER, SANI, Il mercato elettorale cit., p. 8
51
COSTANTINO, SCIMECA, Visibilità e democrazia cit., pp. 49-52
52
MAZZOLENI G., Quando la pubblicità elettorale non serve, in “Polis”, 1990, p. 292
53
COSTANTINO, SCIMECA, Visibilità e democrazia cit., p. 21
54
Sull’uso del politichese vedi i diversi interventi raccolti nel volume La comunicazione politica in Italia, a cura di
JACOBELLI J., Roma-Bari, 1989
55
COSTANTINO, SCIMECA, Visibilità e democrazia cit., pp. 15-16
Introduzione
11
media logic che esalta la notiziabilità di fatti e persone potenzialmente in grado di cambiare i
connotati politici di una città e, a medio termine, del gioco politico nazionale, non poterono sottrarsi al
dovere di cronaca concedendo in tal modo a queste formazioni politiche protestatarie uno spazio
molto rilevante”.56
Veniamo ora alle elezioni politiche del 1992. Esse sono state definite, da più parti, in
relazione alla comunicazione elettorale e alla strutturazione del sistema politico, una campagna fra il
“vecchio e il nuovo”.57
Si caratterizzano per l’introduzione della preferenza unica, per la comparsa di due partiti
nati dalla scissione del PCI: Rifondazione Comunista e il Partito Democratico della Sinistra e per la
presenza di liste regionali nelle quali si propone il un nuovo partito di Bossi.58
Effettivamente, come sottolinea Mancini, tale competizione non si distingue per
sconvolgimenti catastrofici, in essa tuttavia trova conferma un trend già in atto nel nostro paese: la
personalizzazione.
Altra novità è data dal comportamento dei singoli candidati i quali, nel rivolgersi al
pubblico, valorizzano le loro precedenti esperienze, il che implica una maggiore attenzione alle
policies: essi cercano di chiarire la loro posizione in relazione ad una serie di problematiche,
illustrando le competenze maturate nelle precedenti attività svolte. Ciò permette agli elettori di
scegliere i nuovi politici in base agli interessi specifici che essi si propongono di difendere.59
Quindi, se da un lato si parla di “personalizzazione della leadership”, che sta ad indicare la
crescente integrazione fra l’immagine del partito e quella del suo leader, dall’altro si può cominciare a
ragionare di “personalizzazione del voto”, in quanto il rapporto più stretto che si determina fra i
singoli candidati e gli elettori tende a sostituirsi all’appartenenza di partito.60
Il processo di personalizzazione della leadership si rafforza ulteriormente in occasione del
referendum sulla legge elettorale del Senato del aprile 1993. Il quest’occasione leader come Segni,
Pannella e Orlando si servono della loro persona per dare maggiore enfasi alle posizioni politiche che
sostengono.61 Il che dimostra che ha ragione Pasquino nell’affermare che dei tre elementi politici che
56
MAZZOLENI, Quando la pubblicità elettorale non serve cit., p. 294
57
Si veda al riguardo: MANNHEIMER R., SANI G., La rivoluzione elettorale. L’Italia fra la Prima e la Seconda
Repubblica, Milano, 1994 e la raccolta di saggi Persone sulla scena. cit., a cura di MANCINI P.
58
MANNHEIMER, SANI, La rivoluzione elettorale cit., pp. 45-46
59
MANCINI, Preferenza unica e televisione elettorale. cit., pp. 11-13
60
MANCINI, Preferenza unica e televisione elettorale. cit., p. 19
61
MAZZOLENI G., La comunicazione politica alla vigilia della seconda Repubblica, in “Problemi dell’informazione”, n. 4,
1993, p. 388
Introduzione
12
possono essere comunicati:“Il partito, il candidato, la tematica, il più facile e il più interessante da
comunicare è indubbiamente il candidato”.62
Altro momento elettorale che conferma la maggiore attenzione riservata al candidato sono
le elezioni amministrative milanesi del 1993. Tale competizione mette in luce la maggiore mobilità
dell’elettorato, l’affievolirsi del confronto ideologico63, e “come ulteriore conseguenza dell’elezione
diretta il candidato è diventato il vero “messaggio” nella propaganda e la sua persona e il suo
comportamento sono stati uno dei mezzi di comunicazione più importanti”.64 Certo la
spettacolarizzazione di tale momento politico è stata piuttosto contenuta, non si è nemmeno fatto
largo uso di tecniche di marketing, tuttavia anche la disputa milanese si è caratterizzata per la
maggior attenzione riservata alla visibilità del candidato65.
E d’altra parte l’immagine serve da etichetta. Essa attrae l’interesse del pubblico. Funziona
da abbozzo, sostituito di un programma:“il tale profilo di oggi annuncia la tale azione di domani”.66
5. CAMBIANO LE REGOLE DEL GIOCO
Con le leggi n. 276 e n. 277 del 1993 assistiamo in Italia al passaggio da un sistema
elettorale di tipo proporzionale ad un sistema prevalentemente maggioritario.
Poiché la riforma elettorale è stata concepita in un contesto di crisi e di delegittimazione
della classe politica, è risultato favorito un sistema misto, il quale però si è dimostrato complesso e
talvolta contraddittorio.67
Infatti i partiti, per poter catturare l’elettorato mobile, da un lato riducono gli appelli
ideologici sia nella conduzione della campagna che negli stessi programmi, dando quindi maggior
risalto alle problematiche del paese la cui soluzione sta a loro più a cuore. D’altro canto, poiché la
62
PASQUINO G., “Personae non gratae?” Personalizzazione e spettacolarizzazione della politica, in “Polis”, n. 2, 1990,
p. 208
63
RODRIGUEZ M., Vecchio e nuovo nella comunicazione politica delle elezioni amministrative 1993, in MANNHEIMER,
SANI, La rivoluzione elettorale cit., pp. 177-212
64
VILLA M., Le amministrative 1993 a Milano. Come è cambiata la comunicazione politica, in “Problemi dell’informazione”,
n. 1, 1994, p. 87
65
VILLA, Le amministrative 1993 a Milano cit., p. 91
66
SCHWARTZENBERG, Lo stato spettacolo cit., p. 7
67
Maggioritario ma non troppo, a cura di BARTOLINI S., D’ALIMONTE R., Bologna, 1995, p. 7 (Introduzione)
Introduzione
13
nuova legge prevede che il 25% dei seggi venga assegnato in base alla logica proporzionale, i temi
posizionali e l’enfasi sul partito non possono sparire del tutto.68
Se nel sistema proporzionale i partiti competono proprio in quanto allearsi prima delle
elezioni “non solo non è necessario, ma può anche compromettere quella distintività che costituisce
una risorsa importante quando il numero dei partiti in competizione è molto elevato”69, con
l’introduzione di un sistema prevalentemente maggioritario i partiti devono cominciare a porsi “delle
questioni di scelta della strategia elettorale, di alleanze politiche, di gestione delle candidature”.70
Nasce quindi l’esigenza di una fase di pre-campagna. Nelle consultazioni del ’94 tale
momento ha comportato la necessità di confrontarsi sulle grandi opzioni politico-ideologiche, le così
dette campaign issues, in quanto i candidati e i partiti non erano ancora noti. Inoltre, a causa della
destrutturazione del sistema partitico provocato, tra l’altro, da Tangentopoli, bisognava ricostruire
degli schieramenti nuovi.71
A questo punto, essendosi indebolito il ruolo di intermediazione dei partiti, quali canali
comunicativi potevano essere più indicati dei mass media per far conoscere i nuovi attori in campo?
Come affermano Mancini e Mazzoleni, i giornalisti stessi, nel momento in cui vengono meno
i tradizionali vincoli di appartenenza con le vecchie forze politiche, si rivelano capaci di assumere un
ruolo attivo, di tematizzazione, cominciano ad interagire con il sistema politico.
Emerge quindi la “televisione elettorale”, la quale propone una serie di programmi: Il Rosso
e il Nero, Milano Italia, Maurizio Costanzo Show, Funari News, che testimoniano la capacità dei
professionisti dell’informazione di competere con i mass media per la determinazione dell’agenda.72
La televisione diviene l’interfaccia fra i politici e il pubblico degli elettori, gli studi televisivi
costituiscono le arene in cui si discutono le questioni politiche73, assistiamo al trionfo della
“telepolitica”. Non bisogna dimenticare che “è lo stesso sistema elettorale maggioritario a spingere
l’opinione pubblica ad identificare nel leader il punto di riferimento e di sintesi delle posizioni politiche
presenti all’interno di ogni singolo polo”.74
68
SEGATTI P., I programmi elettorali e il ruolo dei mass media, in Maggioritario ma non troppo cit., p. 147-148
69
D’ALIMONTE R., CHIARAMONTE A., Il nuovo sistema elettorale italiano: le opportunità e le scelte, in Maggioritario ma
non troppo cit., p. 46
70
D’ALIMONTE, CHIARAMONTE, Il nuovo sistema elettorale italiano cit., p. 37
71
MANCINI P., MAZZOLENI G., Un’offerta eccezionale e ruoli particolari tra i giornalisti, in “Problemi dell’informazione”,
n. 3, pp. 286-287
72
MANCINI, MAZZOLENI, Un’offerta eccezionale cit., pp. 287-288
73
COSTANTINO, SCIMECA, Visibilità e democrazia cit., p. 85
74
MORCELLINI M., La telepolitica: polifonia e rappresentazione, in “Problemi dell’informazione”, n. 3, 1994, p. 280
Introduzione
14
Anche in politica trionfa lo star-system. Un tempo l’attore interpretava un certo ruolo
impostogli dal copione del film, oggi il centro è la star, su di essa viene creato lo spettacolo, essa fa
del prodotto cinematografico un successo semplicemente con la sua presenza. Lo stesso avviene in
politica. Il ruolo del partito si offusca a favore del candidato, anzi è il leader stesso a ridurre il
programma ad un supporto per il proprio lancio personale.75
6. UN IMPRENDITORE PRESTATO ALLA POLITICA
E’ con Berlusconi che trionfa la personalizzazione della politica, o meglio, con lui vince la
“personificazione della rappresentanza politica”.76 Come sostengono Diamanti e Mannheimer
“piuttosto che ad un’elezione legislativa, si è, così, assistito ad un’elezione “presidenziale” sul
modello degli USA oppure della Francia”.77
Ma Sua Emittenza ha costruito la sua svolta nel tempo. Egli non ha edificato case e
palazzi, bensì la “sua città” (Milano 2 e poi Milano 3), non gestisce supermercati, anzi ha proposto
al paese una vera e propria filosofia del consumo (La Standa è la casa degli italiani). Con le sue
televisioni ha migliorato le serate degli italiani, insomma egli ha giocato un ruolo non irrilevante nel
favorire l’americanizzazione del paese.78
Si è rivelato altrettanto abile nell’integrare televisione e calcio per promuovere il marchio
Fininvest e l’uomo Berlusconi; infatti l’immagine del Milan fa parte stabilmente della sua propaganda
politica.79 “Utilizzando sapientemente le regole del marketing politico Berlusconi ha saputo vendere
il proprio prodotto attraverso la pubblicizzazione della propria Immagine, con la quale ha
sponsorizzato un intero schieramento fuso e identificato nel suo smagliante sorriso”.80
Infatti, coloro che alle elezioni del ’94 hanno espresso la loro preferenza per Forza Italia
non conoscevano i candidati di tale movimento, ma ne conoscevano il leader nazionale ed hanno
75
SCHWARTZENBERG, Lo stato spettacolo cit., p. 11
76
MARTINI P., Berlusconi, la politica e la TV: la vocazione originaria, in “Problemi dell’informazione”, n. 3, 1994, p. 358
77
Milano a Roma, a cura di DIAMANTI I., MANNHEIMER R., Roma, 1994, p. XV (Introduzione)
78
MARTINI, Berlusconi, la politica e la TV cit., pp.358-360
79
DAL LAGO A., Il voto e il circo, in “Micromega”, n. 1, 1994, pp. 142-143
80
CAPECCHI S., Sorrisi e Canzoni in TV. I messaggi televisivi di Berlusconi visti dalla stampa, in La comunicazione politica
fra Prima e Seconda Repubblica, a cura di LIVOLSI M., VOLLI U., Milano, 1995, p. 159
Introduzione
15
scelto la nuova squadra a causa della fortissima affezione per le reti Fininvest; essi insomma hanno
aderito al modello culturale che era stato loro lungamente proposto dalle televisioni del Cavaliere.81
Egli ha presentato la sua “scesa in campo” come il sacrificio di una professione che tanto gli
piaceva82, ha creato l’attesa, inducendo tutti i media a parlare di lui; tuttavia a costruire l’effetto di
suspense hanno contribuito soprattutto i quotidiani.83
Come afferma Abruzzese, Berlusconi “ha fatto sognare gli italiani; l’immaginario televisivo
si è tradotto in politica, in potere, in sovranità; il “sogno delle merci” si è rivelato vincente”.84
Egli si è saputo servire anche del marketing elettorale, grazie all’uso dei sondaggi ha
creato un prodotto adeguato a soddisfare la domanda degli elettori; mentre il PDS ha usato il
marketing per pubblicizzare e far conoscere all’elettorato il programma che il partito aveva
precedentemente fissato.85 Certo i progressisti disponevano di un programma più approfondito e
dettagliato, il che corrisponde alla loro convinzione che in campagna elettorale si debba più informare
che “emozionare”, per cui con tale strumento essi si proponevano di dare credibilità alla loro
proposta politica.86
Ma il loro era lo stile del “candidato”, mentre Berlusconi si è presentato come il
“presidente designato”. Ha affrontato la campagna con lo stile di chi è già stato eletto, ma di chi è
stato eletto da poco e quindi illustra gli obbiettivi che intende perseguire. Quindi Berlusconi ha
spostato la realtà verso il desiderio: si è comportato come se egli avesse già ottenuto il consenso,
come se il suo obbiettivo fosse già stato raggiunto.87
Tuttavia, nonostante il tono il suo è un linguaggio semplice e immediato, riprende quello
diretto utilizzato da Bossi, ma lo depura di ogni asprezza88; ciò e dovuto essenzialmente al fatto che
mentre la Lega è un movimento che nasce e si sviluppa sul territorio, FI è un soggetto politico
veicolato dai media.89
Berlusconi ha potuto disporre di straordinarie risorse comunicative; ha trasferito in tempi
rapidissimi e a costo zero un numero rilevante di quadri dirigenti dall’ambito aziendale alla
81
MANNHEIMER R., Forza Italia, in Milano a Roma cit., p. 29-42
82
ABRUZZESE A., Elogio del tempo nuovo. Perché Berlusconi ha vinto, Pre.testi, s.l., 1994, p. 16
83
CAPECCHI, Sorrisi e Canzoni in TV cit., pp. 135-136
84
ABRUZZESE, Elogio del tempo nuovo cit., p. 32
85
GRANDI R., CHIAVICCHIOLI S., FRANCESCHETTI M., Elezioni politiche nazionali 1994. Strategie al confronto, in La
comunicazione politica fra Prima e Seconda Repubblica cit., p. 169
86
RODRIGUEZ M., La comunicazione politica, in Milano a Roma cit., p. 139-140
87
GUIZZARDI G., Messaggi e immagini, in Milano a Roma cit., p. 150
88
DIAMANTI I., La politica come marketing, in “Micromega”, n. 2, 1994, p.69
89
DIAMANTI, La politica come marketing cit., p. 68
Introduzione
16
produzione di consenso elettorale, si è servito della sua “corporation multimediale” per diffondere il
messaggio su tutto il territorio nazionale.90 In ciò è stato aiutato dalla fedeltà dei suoi uomini i quali
“sono stati allevati al culto del leader e alla riproduzione in scala delle virtù proprie della visione del
mondo del capo”.91
Berlusconi è riuscito a creare il “grande nemico”92 dal quale bisognava difendersi, egli ha
utilizzato il richiamo all’anticomunismo per stigmatizzare l’avversario politico e soprattutto per
costringere quest’ultimo a lottare con il passato prima che a parlare di progetti futuri.93
Il PDS ha reagito ricordando al Cavaliere la sua amicizia con Craxi. Ma questi, invece di
sconfessare il passato, ha riaffermato il suo legame, dimostrando così al paese di non essere un
traditore. Questo comportamento ha fatto leva su coloro che erano ancora indecisi sul votare Forza
Italia.94
Egli assume le connotazioni dell’“eroe”, mentre Occhetto viene percepito come l’anti-eroe.
D’altronde la logica televisiva comporta l’individuazione di un amico a cui indirizzare le proprie
simpatie e di un nemico che si spera venga sconfitto dal primo.95 L’eroe gestisce con cura i suoi
interventi, ne fa “un’arte”. Calcola le sue apparizioni, si mostra in pubblico solo in circostanze
eccezionali; la sobrietà del suo discorso ne mette in primo piano l’atteggiamento. D’altro canto nulla
accresce l’autorità meglio del silenzio.96
Significativo al riguardo lo schema comunicativo adottato dal Cavaliere. La sua è una
comunicazione di tipo verticale; parla ad una massa che rimane in silenzio ad ascoltarlo. A monte
però c’è un’analisi del target a cui il messaggio viene indirizzato, tanto è vero che egli parla solo
dopo che i sondaggi d’opinione gli hanno rivelato le aspettative del suo interlocutore.97 E non è un
caso che nel ’94 Berlusconi accetti il confronto con Occhetto solo quando tutti i sondaggi hanno
dato lo schieramento di centrodestra per vincente.98
Nel ’94 Berlusconi rappresentava il nuovo, non c’era altro che la sua persona, il suo
successo di imprenditore per giudicarlo. Oggi Forza Italia ha una storia, anche se breve, e
soprattutto ha un’ampia base elettorale, costruita a scapito degli antagonisti ma anche degli stessi
90
CALISE M., Dal partito dei media alla corporation multimediale, in “Quaderni di sociologia”, n. 9, 1994-95, p. 28
91
MARTINI, Berlusconi, la politica e la TV cit., pp. 359
92
Sulla creazione del “grande nemico” vedi in particolare CHOMSKY N., Il potere dei media, Firenze, 1994, pp. 38-41
93
DIAMANTI, La politica come marketing cit., p. 66
94
ABRUZZESE, Elogio del tempo nuovo cit., p. 22
95
MANCINI, MAZZOLENI, Un’offerta eccezionale cit., pp. 291-292
96
SCHWARTZENBERG, Lo stato spettacolo cit., pp. 22-23
97
RODOTA’ S., Berlusconi e la telepolitica, in “Micromega”, n. 2, 1994, p. 91-92
98
DIAMANTI, La politica come marketing cit., p. 69
Introduzione
17
alleati.99 Ora anche per gli elettori di FI esiste quello che Fiorina ha definito il retrospective vote. In
altre parole, anche nel suo caso la decisione di voto comporta la valutazione della congruenza fra ciò
che il partito al governo si era proposto e ciò che esso è stato effettivamente in grado di realizzare.100
7. L’EVOLUZIONE DELLA STAMPA ITALIANA
Il primo tipo di giornalismo che si diffonde nel nostro paese è collaterale al sistema politico;
“la natura ideologica e quella politica prevalgono sull’intento informativo”.101
L’insufficiente sviluppo della società industriale e la mancanza di un pubblico di massa
impediscono la costituzione di un giornalismo obbiettivo di tipo “liberal”, il quale invece padroneggia
nelle altre democrazie europee.
In Italia si diffonde il così detto adversary journalism, il quale trova terreno favorevole
nella società borghese di prima industrializzazione.102 La partigianeria che caratterizza questo tipo di
giornalismo è dovuta in parte al fatto che i partiti vengono coinvolti nelle scelte redazionali, essendoci
una forte integrazione fra élites dei mass media e élites politiche; e in parte al fatto che esiste un
notevole interscambio professionale, con giornalisti che entrano a far parte della classe politica o -
viceversa - politici che si cimentano nel giornalismo.103
Seymour-Ure sostiene che il forte legame esistente fra giornali e partiti è dovuto al fatto che
i primi hanno un basso costo, quindi penetrano facilmente nelle comunità, sono verbali (e la politica è
un’attività verbale), presentano un largo spettro di contenuti (e i partiti sono potenzialmente coinvolti
in tutti i problemi della società).104
In Italia, nel secondo dopoguerra, la mancata affermazione economica del paese favorisce
l’acquisizione delle aziende editoriali da parte dei grandi gruppi economici: ad esempio a Napoli il
Banco di Napoli compra “Il Mattino”, a Milano la Confindustria acquista “Il Sole” e “24 Ore”, a
Bologna un gruppo di industriali compra “Il Carlino”, il “Giorno” entro pochi mesi dalla fondazione
99
DIAMANTI, La politica come marketing cit., p. 75-76
100
FIORINA M. P., Retrospective Voting In American National Elections, New York, 1981,pp. 6-7 (Introduzione)
101
SORRENTINO C., La stampa italiana fra nuovi modelli e vecchie tendenze, in “Problemi dell’informazione”, n. 2, 1996,
p. 209
102
MARLETTI, Media e politica cit., p. 74
103
MANCINI P., Tra di noi. Sulla funzione negoziale della comunicazione politica, in “Il Mulino”, n. 2, 1990, p. 269
104
BARRET B. O., SEYMOUR-URE C., TUNSTALL J., Studies On The Press, London, 1977, p. 166
Introduzione
18
viene acquisito interamente dall’ENI.105 Si gettano così le basi per la successiva costituzione delle
grandi concentrazioni. Esse nasceranno per motivazioni tecnologiche, in quanto le imprese che
operano nei campi dell’informazione stampata, della TV e della pubblicità intuiranno che riunendosi
diviene più semplice sfruttare le sinergie di mercato.106 Tuttavia sarà soltanto con la vicenda
Mondadori che per la prima volta in Italia il capitale privato muoverà all’acquisto dei media non per
ragioni politiche o ideologiche, bensì perché essi producono ricchezza. 107
Ritornando a monte, l’obbiettivo del giornalismo partigiano era quello di fornire un prodotto
che potesse puntare ad un pubblico ampio dando informazioni sia di carattere nazionale che locale,
ma proprio perché il giornale era indirizzato a tutto il bacino territoriale, in Italia non è si è mai
formata la suddivisione popular papers contro quality papers, che invece è presente in altre
democrazie europee. Tuttavia questo giornale che adotta la formula omnibus, continua ad avere seri
problemi di diffusione, nonostante l’aumento del livello di istruzione. Si crea così una situazione in cui
diversi quotidiani adottano linee editoriali simili.108
Negli anni ’70 si diffonde negli Stati Uniti un nuovo modello di giornalismo, il così detto
advocacy journalism. Esso nasce come alternativa alla stampa “liberal” borghese, ed è un
giornalismo che affermando l’impossibilità di essere obbiettivi, si propone di tutelare il “punto di
vista” dei più deboli.109
Quindi il reportage diviene una collezione di frammenti del vissuto i quali vengono
documentati in tutti i loro particolari110: “se il “vecchio giornalismo” tendeva a sottolineare
l’importanza delle figure degli uomini e degli eventi, il “nuovo giornalismo” si distingue per la
preferenza dello sfondo rispetto alla figura”, diviene “un mezzo per immergersi nella situazione”.111
Esso, facendo venir meno la separazione fra realtà e finzione, porta facilmente alla produzione di falsi
giornalistici. Emblematico al riguardo il caso Cooke.112
105
GIGLIOLI P.P., MAZZOLENI G., Processi di concentrazione editoriale e sistema dei media, in Politica in Italia, a cura di
CATANZARO R., SABETTI F., Bologna, 1990, pp. 194-195
106
GIGLIOLI, MAZZOLENI, Processi di concentrazione editoriale cit., 198-199
107
GIGLIOLI, MAZZOLENI, Processi di concentrazione editoriale cit., 192
108
SORRENTINO C., I percorsi della notizia, Bologna, 1995, pp. 107-108
109
SORRENTINO, La stampa italiana cit., p. 211
110
MARLETTI, Media e politica cit., p. 52
111
MCLUHAN M., L’uomo e il suo messaggio, Milano, 1992, p. 73
112
Un articolo pubblicato il 28 settembre 1980 sul “Washington post” dal titolo Jimmy’s World, che descriveva la vita di un
ragazzino di colore già drogato a otto anni si rivela un falso, inventato da una giornalista, Janet Cooke, in cerca di
avanzamento professionale. Al riguardo vedi, MARLETTI, Media e politica cit., p. 62