4
cominciare con essa una sorta di rapporto di amicizia, piuttosto che continuare
ad averla come nemica. Questo è lo sfondo sul quale ho impostato la mia
tesina, analizzando i difficili rapporti tra Stato e Chiesa negli anni dal 1870 fino
al 1919, periodo nel quale intravedo le premesse per una lenta e progressiva
risoluzione dei conflitti. Particolare attenzione ho dedicato a due figure cruciali,
come quelle di papa Pio X e Giovanni Giolitti, che sono riuscite a incrinare il
muro dei vecchi pregiudizi, sostenuti dalla Santa Sede e dal Governo, e a far
incamminare lentamente le due istituzioni lungo la via di un possibile
avvicinamento. Mi sono soffermata soprattutto ad analizzare il problema
elettorale, ritenendo che il passaggio dalla totale astensione dei cattolici dalla
vita politica, imposta da papa Pio IX con la famosa formula del “non expedit”,
alla prima possibilità concessa “caso per caso” da papa Pio X, fino al ritorno dei
cattolici in Parlamento con la nascita del Partito Popolare Italiano nel 1919, sia il
segno evidente ed esemplificativo dello sviluppo delle relazioni tra il potere
politico e il potere ecclesiastico che, come dicevo sopra, sono passate da uno
scontro totale, ad una possibile apertura fino alla pacificazione e alla
collaborazione.
5
La proclamazione del “non expedit”.
Con la proclamazione del Regno d’Italia, nel 1861, si pose il delicato e difficile
problema della questione romana, in quanto lo Stato voleva come capitale
Roma, ma questa non era una semplice città, era la città del Papa e, allo stesso
tempo, la capitale dello Stato pontificio, quindi si trattava di una questione
dinastica, perché la Chiesa aveva dei diritti su questa dal Medioevo, perciò si
doveva scegliere tra conquistarla con la forza militare, senza, però, creare
allarmismi nelle coscienze dei cattolici, oppure negoziare, assicurandole alcune
garanzie. In quell’occasione il Governo scelse la conquista, con il famoso
episodio della breccia di Porta Pia, che fu interpretata come un affronto da
parte dei cattolici, i quali iniziarono a manifestare il loro dissenso contro lo
Stato, spronati dei gesuiti. Questi ultimi compresero che la migliore arma per
delegittimare lo Stato sarebbe stata l’astensione dei cittadini dalle urne politiche
e diffusero la loro opinione attraverso la rivista “La Civiltà Cattolica”. Non
esisteva, però, una visione univoca neppure tra gli scrittori di questa rivista,
infatti, di fronte alla scarsa partecipazione alle urne nel 1857 e nel 1865,
Beniamino Palomba “ non se la sentiva di dare torto a quei cattolici che
avevano stimato migliore partito non partecipare alle elezioni politiche per non
vedersi domani nell’obbligo di sedere, conversare, deliberare con uomini
settari,...ma non avrebbe potuto disconoscere i meriti di quegli scrittori cattolici
che avevano invece sostenuto che si dovesse votare e partecipare alle elezioni”
6
1
; secondo padre Liberatore,invece, essendo “ineluttabile il disfacimento dello
Stato...i cattolici non avrebbero dovuto fare nulla per rassodarlo, quindi
nemmeno votare”
2
.La Santa Sede riguardo al problema elettorale, inizialmente,
non mostrò un atteggiamento deciso, infatti, da una parte cercò di mitigare la
posizione estrema dei gesuiti, permettendo, nel 1866, ad un cattolico di
diventare deputato “purché nel giuramento di fedeltà aggiungesse alla presenza
di due testimoni la clausola -salve le leggi di Dio e della Chiesa-”
3
; dall’altra
dichiarò “–non licere- l’intervento alle elezioni politiche per tutte quelle
province che erano state annesse in virtù dei plebisciti e –non esse
respondendum- per gli altri territori che, di diritto, appartenevano da antica
data alla dinastia dei Savoia”
4
.
1
Cfr.: G. De Rosa, Storia del movimento cattolico in Italia. Dalla restaurazione all’età
giolittiana (1 ° volume). Bari, 1966, pag. 99; articolo di B. Palomba Un caso di coscienza. A
proposito delle elezioni, in “La Civiltà Cattolica”, 1865, vol. IV, sesta serie, pagg. 662 – 666.
Il titolo rispecchia proprio la scelta che devono fare i cattolici se votare oppure no,ma
Palomba propone libertà di scelta, proprio perché i tempi non sono facili e la stampa
intransigente cattolica non può permettersi voci di dissenso rispetto a quelle che sono le
sue idee.
2
Cfr.: G. De Rosa, op. cit., pag.102; articolo di M. Liberatore
I cattolici liberali in Italia, in
“La Civiltà Cattolica”, 1866,vol. VI, sesta serie, pag. 36. Il Liberatore sostiene che, poiché
lo Stato è fondato sul diritto di forza, non può legittimarsi e allora i cattolici devono
astenersi dalle elezioni.
3
Cfr.:G. De Rosa, op. cit., pag. 99; C.Marongiu Bonaiuti,
Non expedit: storia di una politica
1866-1919, Milano, 1991, pag. 12.La formula originaria era “ salvis legibus divinis et
ecclesiasticis”. Secondo Marongiu questa formula da una parte serviva a far diventare un
eletto deputato, ma dall’altra avrebbe provocato la fine della carriera parlamentare di chi
l’avesse osservata: giuridicamente perché le leggi ecclesiastiche e divine non possono
derogare allo Statuto e politicamente perché nel Regno non si sarebbe accettato un
giuramento di quel tipo.
4
C. Marongiu Bonaiuti, op. cit., pag. 6.
7
Dall’altra ancora, nel 1867, la Santa Sede lasciò “ai vescovi il potere di decidere
nei casi concreti sull’expedit o sul non expedit: l’expedit doveva essere concesso
solo nei casi particolari e non su scala ultradiocesana”, subordinando la
partecipazione elettorale soltanto alla condizione che il voto servisse “ad
impedienda mala et ad promovenda bona”
5
.Infine, nel 1868, di fronte al nuovo
e solito quesito per i cattolici riguardo alla partecipazione o meno alle elezioni,
Pio IX dichiarò che “l’astensione elettorale per i cattolici non era obbligo di
coscienza, ma misura di prudenza”
6
. Il difficile equilibrio tra cattolici e Stato si
spezzò definitivamente in seguito all’entrata in vigore della Legge delle
Guarentigie, il 13 maggio del 1871.
La Legge delle Guarentigie, approvata in Parlamento con 105 voti favorevoli e
solo 20 contrari, era composta di venti articoli, i quali dovevano regolare i
rapporti tra lo Stato, appena nato, e la Santa Sede.
5
C. Marongiu Bonaiuti, op. cit., pag. 14.
6
Cfr.: G. De Rosa, op. cit., pag. 100;articolo in “Il Giornale di Roma”, 21 gennaio 1868. Da
questa dichiarazione di Pio IX ,secondo me,si possono trarre due conclusioni importanti: la
prima è che, come afferma il De Rosa, il “non expedit” non fu solo un’imposizione dall’alto,
ma scaturì da una valutazione di etica politica da parte di padre Liberatore e della rivista
dei gesuiti, l’astensionismo derivò da un atteggiamento di disinteresse per la vita politica
presente nelle masse cattoliche e non come obbedienza ad un obbligo imposto dalle più alte
sfere ecclesiastiche; la seconda è che, visto che in meno di sei anni il “non expedit” era
passato da “prudenza” a “obbligo”, si deduce che altri eventi devono avere fatto aggravare
l’ostilità del Papa verso lo Stato, come per esempio la presa di Roma, oppure la già citata
Legge delle Guarentigie. É, inoltre, ovvio che nel 1874 il possibilismo dei gesuiti in materia
elettorale sia finito, e che nel mondo cattolico assumerà un ruolo di primo piano la corrente
intransigente, del tutto ostile ad una collaborazione con lo Stato, a discapito di quella
conciliatorista, la quale porterà avanti sempre l’idea di una conciliazione.
8
Essa prevedeva che il governo avrebbe lasciato pienamente libero il Pontefice di
esercitare il potere spirituale e di comunicare con tutto il clero, gli avrebbe
assicurato una protezione giuridica, un corpo personale di guardie armate, una
dotazione finanziaria annua di £ 3.225.000, permettendogli, inoltre, di risiedere
nei palazzi apostolici, anche se dati a Sua Santità in usufrutto e non in
proprietà, e di inviare o trattenere presso di sé i diplomatici dei Paesi stranieri.
Questo complesso di garanzie che lo Stato concedeva alla Chiesa non fu
apprezzato da papa Pio IX, il quale, considerando la legge come un atto
unilaterale, scomunicò i suoi autori e si considerò prigioniero nel Vaticano
7
. Alle
parole seguirono i fatti, e, quindi, Pio IX, oltre a pubblicare l’enciclica “Ubi Nos”
nel 1871, in cui contestava i fatti avvenuti, espose chiaramente e
definitivamente, nel 1874, il suo pensiero riguardo alla partecipazione dei
cattolici alla vita politica, pronunciando le seguenti parole: “Attentis omnibus
circumstantiis, non expedit”
8
.
Quale potrebbe essere il vero significato da attribuire alla parola “non expedit”?
Letteralmente la traduzione è “non giova”, però, con quest’accezione,essa
sembra un parere personale del Papa, privo di conseguenze pratiche e detto più
come risultato logico alle provocazioni da parte dello Stato, ma senza piena
consapevolezza, piuttosto che un obbligo fermo. Questa sottile ambiguità ha
lasciato aperta la strada a varie interpretazioni, come per esempio quella di don
7
Tratto dal sito internet http://www.cronologia.it/storia/a1871b.htm
8
G. De Rosa, op. cit.,pag. 107.
9
Margotti, il quale ha coniato la formula “né eletti né elettori”
9
, proprio per
evidenziare il divieto assoluto di partecipazione politica
10
; oppure quella di
Jemolo, per il quale “ il non expedit ebbe una larga parte nel formare quella
mentalità cattolica di separazione, di chiusura e di ostilità, che durerà fino al
principio del ‘900”
11
;oppure quella della stessa “La Civiltà Cattolica”, la quale “ si
limitava a convertire il “non expedit” in non licet”
12
, poiché non é necessario
per i cattolici sedere in Parlamento e quindi, di conseguenza, votare, visto che
manca la necessità di tutelare l’interesse pubblico; oppure quella di Spadolini,
per il quale l’astensione è un impedimento ideato dalla Santa Sede per non far
scendere i cattolici a compromessi con la classe dirigente liberale
13
. Superata la
concezione margottiana, il “non expedit” viene a identificarsi con la formula
“preparazione nell’astensione”, sostenuta da don Sturzo e Romolo Murri, per i
quali “ non doveva essere considerato come un’imposizione dall’autorità
9
C. Marongiu Bonaiuti,op. cit., pag. 4.La formula “né eletti né elettori” era “forma di
protesta verso la politica del nuovo Stato italiano determinata anche dal fatto che i
cattolici non avrebbero potuto servirsi delle elezioni politiche per fermare il movimento
unitario”. Quindi lo strumento dell’astensione elettorale è escogitato da don Margotti nel
1861, al momento dell’unità dell’Italia, anticipando di tredici anni la condanna vera e propria
da parte della Santa Sede.
10
Cfr.: G. Spadolini, L’opposizione cattolica da Porta Pia al ’98. (3 edizione).
Firenze,1972,pag. 179; G. Margotti, Né eletti né elettori, in “L’Armonia”,a. XIV, n. 7, 8
gennaio 1861. Margotti era il direttore dell’Armonia, il quale aveva inventato questo
termine già dal 1857 e G. De Rosa, op. cit., pag. 287, sostiene che la Santa Sede si era
ispirata a lui quando aveva proclamato il “non expedit”.
11
Cfr.: G. Spadolini, op. cit., pag. 179; A. C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi
cento anni. Torino, 1990.
12
G. Spadolini, op. cit.,pag. 181.
13
G. Spadolini, op. cit. ,pag. 116.
10
ecclesiastica ai cittadini cattolici, ma come una deliberazione presa da Roma a
nome di questi per una specie di rappresentanza e tutela provvisoria che essa si
era assunta, sicché i cattolici italiani non fossero in grado di provvedere a se
stessi nella vita pubblica”
14
; appare evidente che la nuova connotazione data
all’astensione non presuppone un atteggiamento totalmente passivo da parte
dei cattolici, ma serve per creare una organizzazione interna, per far loro
acquisire una coscienza politica autonoma e per studiare quale sia il modo
migliore per inserirsi nello Stato, quando sarà il momento opportuno. In aperta
polemica con tutte le interpretazioni finora illustrate del “non expedit” si trova
Filippo Meda, il quale sostiene che “ l’astensione non ha carattere di perpetuità,
ma è soltanto legata alla volontà del pontefice” ed i cattolici aspettano “con
gioia” che cessi “perché gli affezionati all’astensione e i convinti dei benefici che
essa reca vanno diminuendo di giorno in giorno”.
In questo caso si pone l’attenzione su un aspetto diverso, quello della validità
nel tempo, in quanto, secondo Meda “l’astensione può decadere o per atto di
volontà del pontefice o per il mutamento delle circostanze politiche, che la
14
Cfr.:G. De Rosa, op. cit., pag. 298; C. Marongiu Bonaiuti, op. cit., pagg. 47-48. La formula
“prepararsi nell’astensione” permetteva “alla Santa Sede una maggiore libertà e
tempestività di azione e anche un maggior controllo sulle organizzazioni cattoliche.., perché
permetteva di mantenere sotto le sue direttive i cattolici italiani attraverso l’approvazione
dei programmi delle varie associazioni...e avrebbe posto un freno alle defezioni, specie di
quelli che volevano partecipare alla vita politica”. Quindi, secondo quest’autore, il “non
expedit”inteso come “preparazione nell’astensione” rappresenta una fase intermedia, messa
in atto dalla Santa Sede per evitare che i cattolici tornassero a votare o si organizzassero
in un partito conservatore autonomo.
11
posero in essere”
15
, perciò, è opportuno che sia il popolo a capire i danni che
derivano dalla mancata partecipazione alla vita politica e faccia pressioni
affinché lo Stato si apra al volere del Papa, invece che sia il Papa ad annullare il
“non expedit”. Questa concezione innovativa, nonostante fosse criticata da tutti
coloro che predicavano l’assoluta astensione politica, diventò il caposaldo di
tutto il movimento cattolico.
Ma, ci possiamo chiedere, perché papa Pio IX ordinò proprio l’astensione dalla
vita politica dei cattolici? Forse perché il voto, in uno Stato moderno,
rappresenta la legittimità data dal cittadino allo Stato stesso, perciò, secondo
quest’ottica, i cattolici non dovevano votare, perché non dovevano riconoscere
lo Stato italiano che li aveva umiliati, eliminando il potere temporale al Papa,
sopprimendo tutte le associazioni cattoliche e laicizzando le scuole. In questo
clima di riconquista del potere, quasi di missione contro lo Stato nemico, (come
già è emerso dal Sillabo, nel 1848), creato da Pio IX e portato avanti
dall’organizzazione cattolica, “l’astensione dalle urne politiche servirà
eccellentemente a quelli scopi:mantenendo i cattolici al di fuori delle
competizioni, delle passioni e delle rivalità collegate alle lotte elettorali, li
temprerà a una coscienza di autonomia ideologica e programmatica che non
15
Cfr.: G. De Rosa, op. cit.,pag. 300; articolo di F. Meda, Le elezioni politiche in Italia:la
nostra astensione, in “La Scuola Cattolica e la scienza italiana”, marzo 1895, pag.227.
Il De Rosa, op. cit.,pag. 300, riporta una particolarità, e, cioè, che il Meda negli articoli che
scrive non si firma mai di persona, ma usa lo pseudonimo CIVIS. Questo è importante
perché la traduzione di questa parola è “cittadino”, perciò, nonostante sia cattolico, egli
sente la necessità, proprio in quanto cittadino dello Stato, di impegnarsi e di non rimanere
fuori della vita politica. D’altra parte, però, il non firmare i suoi articoli, serve a poter dire
quello che pensa, ma a non farsi scoprire, proprio perché, da cattolico, non può esprimere
idee contrastanti con la maggioranza che è intransigente.
12
sarebbe stata possibile in nessun altro caso, li adeguerà a un senso di
“separazione” e di “scissione” che contribuirà largamente alla loro originalità
politica,al loro impegno sociale, alla loro volontà di lotta e di vittoria....solo in
linea di polemica radicale con lo Stato del Risorgimento, i cattolici avrebbero
potuto conservare la loro fedeltà al Papa ed elaborare contemporaneamente le
basi di una rinnovata iniziativa politica e sociale insieme”
16
. La Santa Sede,
quindi, non vuole partecipare alla vita statale perché non la riconosce, mentre
vuole lei stessa dar vita a delle associazioni e a dei movimenti, sotto le sue
strette dipendenze, in grado di rivendicare i diritti del Papato, ma, allo stesso
tempo, di penetrare nella società civile per accrescere l’influenza sulle masse e
poter conquistare a tempo debito lo Stato.
16
G. Spadolini, op. cit. pagg. 60-61. Antecedente alla proclamazione del “non expedit”,
Spadolini riporta un episodio che esemplifica bene la considerazione nella quale erano
tenuti i cattolici, infatti, alcuni liberali ed anche il loro giornale “L’Opinione”, dopo che i
cattolici avevano partecipato alle elezioni amministrative a Roma,nel 1872, per la prima
volta, si chiesero se i cattolici dovevano avere uguali diritti e doveri,o se era meglio punirli
e isolarli come sovversivi.