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premure tipiche di un padre –, in netto contrasto quindi con il rapporto
fra Henry e Tom, considerato una sorta di figlio illegittimo. Ma al
cattivo rapporto affettivo posto da Henry si contrappone l’amore fra i
due fratelli; Tom non curante del comportamento del patrigno non
esiterà mai a prendersi cura del piccolo Flynn, di solo quattro anni di
età. E’, il loro, un rapporto affettivo molto tenero, ispirato
dall’innocenza tipica dei bambini e caratterizzato dalla sincerità.
Se dovessimo definire meglio il personaggio del padre, Henry
Gunn, lo descriveremmo come un taglialegna, affetto dal vizio
dell’alcool, molto rude, egoista e violento. Obbliga Tom a fare le veci
di una madre per il piccolo Flynn, nonché a lavorare duro con lui nei
boschi durante il fine settimana, quando la scuola è chiusa. Ne deriverà
pertanto una situazione di totale sottomissione e paura da parte di Tom
(che in ogni caso non arriverà mai ad odiare il suo patrigno o a
mancargli di rispetto); traspaiono dalla pagine del libro alcuni
sentimenti di Tom, quali la malinconia, la tristezza, l’eccessivo carico
di responsabilità che grava su di lui per la custodia del fratellino
quando sono assenti per lavoro entrambi i genitori. Addirittura Tom a
volte trova più confortevole e entusiasmante parlare con una persona
estranea alla famiglia, quale ad esempio la Signora Coop, un’anziana e
simpatica signora che gestisce una piccola drogheria in paese.
Ma la vicenda clou che anima il romanzo e da cui tutto ha inizio è
la notizia che scuote il paese, ovvero la scomparsa, un giorno, di Tom
e Flynn. Tutto accade in un fine settimana quando Henry, dato che
Ellie è impegnata con il lavoro, porta entrambi i ragazzini a tagliare la
legna nel bosco, insieme alla sua squadra di operai. Numerose sono a
questo punto le descrizioni sulla vita di questi tagliaboschi, nonché le
descrizioni della foresta, degli odori, dei profumi, dei suoni percepiti
dal giovane adolescente, che resta affascinato da questo mondo che
sente molto vicino a sé, ma che in realtà non gli apparterrebbe data la
sua giovane età.
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Una sera, appunto, Henry che è ubriaco ed ha intenzione di
prolungare la sua serata di divertimento, anziché tornare a casa e
accompagnare i figli, li affida entrambi ad un vecchietto di nome
Artie McKinnon. I ragazzi pertanto vengono accompagnati in
macchina da Artie, ma lungo il cammino vi è un cambio di programma
per il vecchio McKinnon e i due fratellini sono costretti a metà strada a
proseguire a piedi. Una volta però ai bordi della boscaglia, ciò che
sembrava facile risulta al contrario un’impresa davvero difficile. I
ragazzini, infatti, data l’inesperienza e il calar della notte, vagano per
diverse ore nella direzione sbagliata. Tom addirittura non riesce più a
trovare il fratellino che nel giro di pochi attimi si è allontanato, attratto
da chissà quali meraviglie notturne del bosco (sarà forse colpa del
canguro intravisto al buio? - Simbolo e rievocazione del mito del bush
di cui si tratterà in seguito - ). Vagano per alcuni giorni in preda alla
fame, alla sete, al caldo di giorno ed al freddo di notte, senza ritrovare
la giusta direzione verso Angel Rock.
Nel frattempo la narrazione riguardante i due fratellini si blocca ed
ecco emergere la figura di un altro personaggio chiave. In effetti Angel
Rock è iniziata come la narrazione delle vicende di un bambino, ma
successivamente l’attenzione viene traslata sul piano dei personaggi
adulti con dei continui spostamenti di scenario e di luogo. Ecco
appunto entrare in scena Pop Mather, il poliziotto locale. Pop ha una
figlia di nome Grace, molto amica di Tom e di Darcy Steele, la
ragazza che verrà ritrovata morta in un appartamento alla periferia di
Sydney (ma di questo parleremo più avanti). Pop è in un certo senso
una figura chiave perché sarà una delle poche persone che aiuterà Tom
nel suo difficile rapporto con il patrigno. La mamma, Ellie, ha troppa
paura di Henry e non oserà contraddirlo in nessuna circostanza; anzi
nella narrazione non si ha mai un colloquio tra i due personaggi.
L’assenza di colloquio è da interpretare come una totale sottomissione
di un personaggio ad un altro, in questo caso di quello femminile a
quello maschile.
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Pop appare pertanto come un gigante buono, un benefattore
(aiuterà anche l’ispettore Gibson a “scacciare i suoi fantasmi, i suoi
incubi”). Sarà lui in prima persona che si metterà alla ricerca dei
ragazzi quando la madre allarmata e in preda al panico ne denuncia la
scomparsa. Pop riuscirà a radunare diverse squadre di uomini nel
paese lavorando instancabilmente giorno e notte per trovare i due
dispersi. Anche sua figlia Grace, coetanea e compagna di scuola del
piccolo Tom, prenderà parte a queste escursioni nell’outback
australiano alla loro ricerca.
Successivamente si riprende a narrare la vicenda dei due ragazzi
scomparsi. Dopo circa una settimana solo Tom torna in paese,
denutrito, stanco, debole e scioccato. Scioccato perché torna solo e
perché non riesce a fornire dettagli o notizie utili per il ritrovamento
del piccolo Flynn. Sembra quasi ipnotizzato o che non voglia dire
quello che è successo, attirandosi così le ire del padre (che lo colpirà
ripetutamente a cinghiate), nonché i sospetti e i pettegolezzi di un
intero paese che lo additeranno come unico responsabile della
scomparsa del fratellino. Addirittura Tom sarà costretto ad alloggiare
presso la casa dei Mather per sfuggire alle violenze del padre ed ai
pettegolezzi del paese.
Arrivati a questo punto della narrazione, la storia subisce una
pausa in Angel Rock e lo scenario si sposta a Sydney. Qui viene
presentato un altro personaggio chiave, anzi un secondo protagonista,
un ispettore di polizia, di circa trentacinque anni, con una serie di
problemi (che sia il riflesso o la personificazione dello stesso autore?
Stessa età infatti e stesso luogo di nascita). Gibson soffre di una serie
di incubi, di visioni, di allucinazioni dovuti sia al suo stile di vita
(anch’egli in preda spesso all’alcool) sia al suo passato. Quando era un
adolescente in effetti aveva perso una sorella ritrovata poi morta
suicida; spesso pare come pentito o comunque colpito da questo
episodio. E’ come se si sentisse responsabile della sua morte, senza
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aver potuto fare nulla per evitarla o comunque per prevederla. La
sorella di Gibson, Frances, si era suicidata in circostanze oscure. Era
stata ritrovata morta in macchina in mezzo al deserto (torna l’elemento
geografico del bush che costituirà la base dell’intero romanzo e di cui
si tratterà in seguito); aveva anche lasciato un bigliettino in cui
spiegava i motivi del suo insano gesto, ma a causa degli agenti
atmosferici il documento risultò poi illeggibile. Pare comunque, dico
pare perché quando Gibson ha degli incubi o delle visioni sembra
quasi che siano reali, non si distingue cioè la realtà dal sogno e il
confine tra sogno e realtà è molto sottile; pare, dicevamo, che la
sorella si suicidò perché era costretta dal padre ad avere con lui
rapporti sessuali. Gibson una volta scoperto l’incesto uccise il padre
con un fucile e la madre, per non far imprigionare il figlio che era
allora solo un adolescente, se ne addossò la colpa. Ecco spiegati i
motivi dei ricorrenti incubi in Gibson. Diciamo che questo
personaggio enigmatico sembra quasi un Tom un po’ cresciuto, con
dei problemi sicuramente molto più gravi. I due personaggi hanno
comunque in comune l’infanzia vissuta in modo difficile. Più
precisamente Gibson è sinonimo, nella parte finale, di una specie di
metamorfosi del personaggio di Tom. E’ come se Tom fosse cresciuto
rapidamente con le sue paure e nel tentativo di cacciare via queste
paure, nel tentativo di ottenere giustizia e imporsi facendo valere le
proprie idee riesce a dipanare il velo di nebbia che separa il mondo
reale dal mondo irreale, dilemma ricorrente in Angel Rock.
Gibson viene presentato ufficialmente al lettore come
l’investigatore che svolge le indagini sullo strano caso di suicidio di
Darcy Steele, la ragazzina di Angel Rock. Quando Gibson, arguto e
perspicace, ricollega il nome della cittadina alla vicenda dei due
ragazzi scomparsi, decide di proseguire le sue indagini ad Angel Rock.
Sospetta infatti che possa esservi un legame tra la scomparsa dei due e
la fuga della ragazzina a Sydney, sfociata poi in quello che
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apparentemente sembra un suicidio, ma che in realtà, per Gibson, altro
non è che un omicidio.
Vi sono a questo punto delle narrazioni in parallelo fra le vicende
da un lato di Tom, dell’intero paese e dall’altro le interminabili
giornate di Gibson passate ad interrogare i cittadini di Angel Rock per
svelare questo strano mistero. Ogni indizio, ogni frase, ogni oggetto
farà scaturire nella mente di Gibson un continuo meccanismo di
riflessioni e collegamenti, che prendono spunto dal sospetto,
dall’intuito e dal sesto senso tipico del poliziotto perfetto. Gibson
riuscirà anche a sconfiggere il muro di omertà e di diffidenza che si è
creato nel paese nei suoi confronti; clima di diffidenza dovuto sia al
fatto che il nostro eroe proviene dalla città (veggasi in questo caso la
contrapposizione tra ‘bush and city’ di cui tratteremo in seguito),
nonché il fatto che la scomparsa dei ragazzi e il suicidio della
ragazzina sembrano avvolti da un velo di mistero, di cui tutti ne sono
al corrente ma di cui nessuno vuole parlarne o comunque andare a
fondo. Gibson svelerà pertanto i segreti della piccola cittadina.
Scoprirà addirittura che il motivo della scomparsa di Darcy sarà un
“qualcuno” ispirato da una motivazione religiosa. Non è chiaro
durante la narrazione chi sia questo personaggio che abbia spinto
Darcy a fuggire da Angel Rock. In parte era la ragazzina stessa a
desiderarlo, a progettarlo come da lei stessa affermato nel colloquio
con Grace (pag.19):
“What do you think it’s like there?” asked Darcy, making no move.
“Where?”
“Sydney.”
“I don’t know. Lots of buildings, lots of houses, lots of people.” Darcy nodded.
“I’m going there one day.”
Ma dalla narrazione si evince anche che in parte è stato soprattutto
un personaggio di sesso maschile a convincerla alla fuga verso
Sydney. Che sia Padre Carney, o Billy Flood il vagabondo in preda
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alla pazzia, o il fantomatico Smith della comunità religiosa chiamata
New Eden collegata a Padre Carney, diciamo che tutto ciò non è
assolutamente chiaro durante la narrazione. Potrebbe essere uno dei tre
o nessuno di loro. Solo alla fine del romanzo, una fine se vogliamo
scioccante e inaspettata, da vero colpo di scena, scopriamo che Smith
non era assolutamente morto come si credeva in paese, come era stato
riferito a Gibson. Anzi è proprio Smith il responsabile del rapimento di
Flynn. Gibson, nel finale ferito gravemente da Smith con un’arma da
fuoco a una spalla e allo stomaco, spiegherà a Pop i motivi per la
scomparsa di Flynn. Il suo rapimento infatti era solo un’esca per
attirare Annie, la sorella di Billy Flood, ormai deceduta da anni, ma
sempre viva nella mente di Smith. Emerge pertanto l’elemento della
pazzia, unico stato mentale a fare compagnia alle visioni di Gibson, ai
suoi incubi notturni. E non è un caso che sia Gibson a svelare il
comportamento messo in atto da Smith. Solo un visionario come lui
sarebbe riuscito ad interpretare il messaggio del rapitore di Flynn.
Rapire cioè un bambino per attirare dal regno dei morti un’altra
ragazza, morta anch’essa in circostanze misteriose (la sorella di Billy
infatti morì annegata, ma mai nessuno ne era certo – si diceva in paese
che fosse stata annegata da Henry Gunn il quale, essendone
innamorato, l’aveva scoperta amoreggiare con Ezra Steele, il padre di
Darcy -). E appunto Gibson, facendosi influenzare da questi
pettegolezzi del paese, aveva sempre pensato a Billy Flood come
possibile rapitore di Flynn - figlio di Henry Gunn appunto - e
possibile omicida di Darcy - figlia di Ezra Steele-; insomma c’erano
tutti gli elementi per far pensare ad una vendetta e giungere quindi alla
soluzione del giallo.
Non vi era pertanto sorta di dubbio, fino a tre quarti di narrazione,
che il duplice ruolo del rapitore e omicida avesse potuto essere
interpretato da Billy Flood. Egli era palesemente affetto da pazzia; a
seguito della morte della sorella era stato rinchiuso per anni in una
casa di cura psichiatrica. Né Angel Rock né il lettore avrebbero mai
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dubitato se Billy fosse stato additato come unico responsabile della
scomparsa di Flynn e del suicidio della piccola Darcy Steele. Nessuno
avrebbe mai potuto pensare a padre Carney, un fanatico religioso, ma
malato da anni e rinchiuso in un ospedale senza alcuna possibilità di
muoversi dal proprio letto. E’ quindi solo alla fine, dopo aver scoperto
la verità, che tutti gli elementi narrativi vengono nuovamente ribaltati
e rimessi in gioco. Gibson sarà quindi il personaggio-eroe, la figura
che darà una svolta alla narrazione. Verrà invece messo da parte il
piccolo Tom, le sue sofferenze, i suoi pensieri. Verrà messo da parte
per riapparire solo nell’ultima pagina e sarà lui stesso a prendersi la
rivincita, essendo l’unico in grado di scuotere Flynn, di farlo uscire
dalla sua prigione-nascondiglio, di riuscire a convincerlo che tutto è
finito e che è ora di tornare a casa. Come ci riuscirà? Semplicemente
mostrandogli un’armonica, la stessa armonica che, sinonimo di un
giocattolo nella mente del bambino, era stata l’ultima cosa che lo
aveva colpito prima che si smarrisse. Assistiamo così al trionfo del
mondo infantile su quello adulto.
Una novella quindi a lieto fine. Viene ritrovato il piccolo Flynn e il
responsabile viene scovato, anche se poi scompare nel nulla. In effetti
l’autore nel finale parla di Billy Flood che rimane ustionato dalle
fiamme sprigionatisi come una sorta di punizione divina, ma non dice
dove scappa Smith dopo aver ferito Gibson. Che sia davvero morto? O
che sia scappato? Suspence anche nel finale quindi. E Billy in realtà
chi è? E’ stato utilizzato da Smith in modo da addossargli le colpe del
rapimento e del “suicidio” di Darcy? Una sorta di capro espiatorio?
Non si trovano risposte a questi ultimi interrogativi. Ed è proprio la
linea dell’autore quella di far scaturire nel lettore un costante dubbio
sulla percezione della realtà che si sprigiona dal libro. Il confine tra
realtà e irrealtà, tra illusione e percezione della realtà, tra sogno e
mondo reale è molto sottile e allo stesso tempo confuso.
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Rimane basilare tuttavia collocare questo romanzo all’interno del
panorama della letteratura australiana. Qual è cioè il legame tra Darren
Williams e la letteratura australiana? La vicenda della scomparsa dei
due ragazzini è stata inventata a caso oppure c’è un ricollegarsi ad
eventi storici realmente accaduti? E che senso hanno queste scomparse
all’interno della comunità australiana? Possono essere considerati cioè
fenomeni di superstizione? Vi è la mitizzazione di un elemento
sovrannaturale?
Partiamo dalle origini. Inquadriamo cioè la letteratura australiana
anche alla luce delle minuziose e particolareggiate descrizioni sui
luoghi geografici che ricorrono spesso nel libro. Non a caso la vicenda
è ambientata nell’outback australiano, nel cosiddetto bush, definito da
molti una sorta di incantesimo.
Foto n. 1
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Ma perché ricorrono queste descrizioni?
Innanzitutto la letteratura australiana è stata definita da molti critici
come una “letteratura della terra”, ovvero una letteratura nella quale il
tema della terra, intesa proprio come luoghi geografici e panorami, ha
svolto un ruolo importante. Ed è proprio la terra se vogliamo a
plasmare e a dare forma alla società australiana.
In particolare nella letteratura australiana la terra è rappresentata
dal simbolo del bush cioè del bosco, della foresta. Ovvero quel
margine di boscaglia fitta che rimane ai bordi della civiltà, fra la fine
delle aree urbanizzate e l’inizio dell’immenso deserto australiano.
Il bush ha caratterizzato da sempre l’Australia, il suo popolo, il suo
folklore e in particolar modo anche la prosa descrittiva e il dramma. E’
stato più volte considerato come il fattore coincidente con l’identità
del popolo australiano. Sicuramente ciò è dovuto anche al fatto
dell’immensità del territorio australiano ed alle sue molteplici
caratterizzazioni geografiche (deserto, barriera corallina, aree
urbanizzate, boscaglia, ecc). Insomma in Australia tutto rievoca il
selvaggio ed il passato, quasi una sorta di flashback nel tempo. Tutta la
produzione della letteratura australiana risulta caratterizzata e
influenzata dalla presenza di questo immenso territorio.
Ma come in tutte le aree del mondo, si sa, al selvaggio e alla
campagna si trova sempre il suo concetto antitetico, ovvero quello di
città. La città viene vista in netta contrapposizione al bush. La città è
sinonimo di morte per l’individuo, nel bush invece ogni individuo
trova la sua piena realizzazione. Diciamo che questa antitesi è presente
in molte letterature di diversi paesi quali ad esempio la Nuova
Zelanda, il Sud Africa e l’Argentina, paesi in cui il territorio è
talmente vasto da condizionare la vita, gli usi e i costumi degli abitanti
stessi. Anche la letteratura di questi ultimi paesi viene considerata una
“letteratura della terra”.
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Tuttavia l’incantesimo del bush nella letteratura australiana è tipico
degli scrittori contemporanei; la maggior parte dei romanzi in stile
fiction ricorre all’elemento del bush e gli editori stessi ne riconoscono
la sua popolarità.
Ma dicevamo che sebbene l’elemento del bush predomini
all’interno della letteratura australiana non dobbiamo dimenticare che
gli si contrappone quasi come una sorta di paradosso l’elemento della
città, altro fattore basilare e al centro della vita australiana. Fin dalle
prime colonizzazioni in Australia la maggior parte della popolazione si
è sempre ammassata nelle grosse città creando notevoli problemi quali
il sovraffollamento delle stesse.
Ma perché il bush è diventato l’elemento dominante della
letteratura australiana sino a giungere quasi alla sua mitizzazione?
Innanzitutto per un motivo economico. Subito dopo le prime
colonizzazioni la maggior parte delle attività quali agricoltura,
miniere, allevamenti di bestiame avvenivano ovviamente nel vasto
territorio situato al di fuori delle grosse città. Ne derivò pertanto un
concetto di zona rurale vista come il centro delle attività, in netto
contrasto con la città considerata per uomini dediti all’ozio; la città
veniva vista come una sorta di modello di vita per “parassiti”. Pertanto
la presenza della terra in Australia è sempre stato un fattore
determinante.
Altra ragione basilare è il ritardo della letteratura rispetto alla vita
che scorre normalmente. I fattori economico e sociali cioè cambiano
molto più rapidamente di quelli culturali. Gli scrittori impiegano molto
tempo per adattarsi a tali cambiamenti, per esprimere il processo di
sviluppo da una società primitiva pastorale ad una più urbana ed
industrializzata.
Infine la transizione è stata molto più difficile per gli scrittori a
livello storico, a causa della sviluppo della letteratura indigena e del
suo ingresso nel panorama culturale australiano sotto forma di
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fenomeno di massa teso alla valorizzazione del bush, considerato
principale tema e fonte di ogni ispirazione.
Gli scrittori pertanto incoraggiati sia dal sentimento nazionale sia
dalla convenzione letteraria hanno sempre tenuto come punto di
riferimento l’elemento del bush, aggiungendo magari delle loro
interpretazioni.
Foto n. 7