7consacrato a Tampere nel 1999, il quale presuppone un alto grado di fiducia tra gli
Stati membri.
La decisione quadro 2002/584/GAI incarna perfettamente tale spirito e, in
applicazione del suddetto principio, l’esecuzione del mandato di arresto europeo
avviene attraverso contatti diretti tra le autorità giudiziarie. Viene in tal modo
eliminata la fase politico-amministrativa che caratterizzava la procedura di
estradizione e che la rendeva lenta e difficoltosa.
La decisione quadro prevede che il sopra descritto meccanismo abbia luogo in
relazione a 32 tipologie di reati considerati più gravi dagli Stati membri e per i quali
si prescinde dal principio della doppia incriminazione, rendendo più semplice la
verifica circa la corrispondenza, nel proprio ordinamento giuridico, delle fattispecie
di reato alla base di un mandato di arresto europeo da parte dell’autorità giudiziaria
dell’esecuzione. Quest’ultima può rifiutarsi di dare esecuzione al mandato di
arresto europeo soltanto nelle ipotesi tassativamente elencate nell’art. 3 della
decisione quadro (amnistia; ne bis in idem; non punibilità a causa dell’età del
ricercato). La decisione sulla consegna viene presa dall’autorità giudiziaria
dell’esecuzione in tempi rapidi (10 gg. in caso di consenso alla consegna da parte
della persona arrestata o 60 gg., in caso contrario, con possibilità di una proroga di
30 gg., in casi particolari).
Oggetto del presente lavoro è il mandato di arresto europeo, al fine di mettere in
luce i contenuti della decisione quadro 2002/584/GAI e di fornire una
rappresentazione di come gli Stati membri, segnatamente l’Italia, abbiano dato
attuazione nei rispettivi ordinamenti giuridici alle disposizioni in essa contenute.
8A tal fine, nel capitolo primo viene descritta l’evoluzione che ha investito gli
strumenti della cooperazione giudiziaria in materia penale dagli anni ’70 in poi,
mettendo in luce i principali motivi che possono aver spinto l’Unione Europea e
altri organismi internazionali a favorire i processi di snellimento delle procedure di
ricerca e di consegna delle persone sottoposte a restrizione delle libertà personale a
fini penali. Viene pertanto descritta la base giuridica della collaborazione tra gli
Stati membri nei settori della giustizia, fornendo una visione della costruzione
europea fino alla decisiva trasformazione di questo settore, avvenuta con il Trattato
di Amsterdam, entrato in vigore il 1° maggio 1999. In particolare, si vedranno i
cambiamenti da questo apportati al “terzo pilastro” dell’Unione Europea al fine di
realizzare “uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia”. Verrano quindi esaminati
sia i nuovi meccanismi istituzionali introdotti dal Consiglio GAI che gli atti
normativi adottabili dal medesimo nell’ambito del terzo pilastro per contrastare in
maniera più efficace la criminalità, con particolare attenzione alla introduzione
dello strumento della decisione quadro.
Nel capitolo secondo verrà esaminato il tradizionale strumento di ricerca e
consegna delle persone che si sottraggono alla giustizia consistente nella
estradizione. Si parlerà della disciplina predisposta in tale materia dal principale
strumento convenzionale elaborato in seno al Consiglio d’Europa, la Convenzione
di estradizione del 1957, nonché dei tentativi posti in essere dal Consiglio
dell’Unione di semplificare la relativa procedura con le Convenzioni del 1995 e del
1996.
Oggetto del capitolo terzo sarà la decisione quadro 2002/584/GAI. Sarà messa in
luce la particolare natura di tale strumento e i motivi alla base della scelta del
9Consiglio GAI di utilizzare questo particolare atto normativo per disciplinare il
nuovo strumento di cooperazione giudiziaria. Una volta viste le tappe del percorso
relativo all’adozione della decisione quadro verranno esaminate le relative
disposizioni, con particolare riguardo agli elementi più innovativi che rendono la
procedura del mandato di arresto europeo diversa da quella della estradizione (e più
rapida). Negli ultimi due paragrafi si darà, invece, un’idea delle reazioni suscitate
dall’introduzione della decisone quadro nel mondo politico e dottrinale,
evidenziando prima le principali critiche sollevate sulla relativa disciplina e poi i
pareri di coloro che, invece, confidano nella natura garantistica del nuovo
strumento di cooperazione giudiziaria.
Nell’ultimo capitolo, infine, si parlerà dei lavori del Parlamento italiano in materia
di mandato di arresto europeo e, quindi, del disegno di legge di attuazione della
decisione quadro 2002/584/GAI, partendo dalla primigenia versione nota come
“Proposta Kessler” fino a quella approvata dalla Camera dei Deputati il 12 maggio
2004, mettendo in luce le principali differenze tra i due testi. Si attende che l’iter
parlamentare giunga presto a conclusione, auspicando che la legge che sarà
approvata possa contemperare le esigenze di celerità e snellimento degli strumenti
finalizzati alla repressione del fenomeno delinquenziale in tutto il territorio
dell’Unione Europea con le esigenze di tutela giurisdizionale che deve essere
accordata alle persone sottoposte alla restrizione della libertà personale, con
particolare riguardo ai diritti fondamentali dell’imputato.
10
CAPITOLO PRIMO
IL QUADRO DEI RAPPORTI GIURISDIZIONALI CON LE AUTORITÀ
STRANIERE NELL’UNIONE EUROPEA
1.1 - La cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale e il “terzo
pilastro” dell’Unione Europea nel Trattato di Maastricht.
La cooperazione giudiziaria in materia penale è andata incontro, nel tempo, a
notevoli sviluppi.
I primi passi verso la realizzazione di una comunanza di intenti e di azioni tra gli
Stati membri in materia penale e di politica criminale sono stati mossi già nel 1977,
anno in cui risale il progetto di espace judiciaire pénal européen, promosso dal
Presidente francese Giscard d’Estaing al Vertice dei Capi di Stato e di Governo.
Segnata per lungo tempo da scarsi risultati sul piano pratico, in quanto dotata di
scarsa trasparenza nei processi decisionali (la Commissione risultava in taluni casi
del tutto esclusa) la cooperazione giudiziaria penale ha visto dapprima sfociare i
suoi lavori in un affastellarsi di Gruppi di lavoro operativi a vario livello quali il
Gruppo Trevi
1
, il CELAD (Coordinatori Europei per la Lotta Antidroga) o il GAM
(Groupe Assistence Mutuelle, operante in materia doganale), per poi ricevere una
migliore coordinazione in seguito al Trattato di Maastricht.
1
Acronimo che, a detta di alcuni, avrebbe indicato l’oggetto dei lavori del Gruppo, identificato nei
fenomeni di Terrorisme, Radicalisme, Extrèmisme, Violence Internazionale. A detta di altri detta
denominazione venne, invece, assegnata al Gruppo in occasione di una riunione tenutasi a Roma
sotto la presidenza di un funzionario olandese, di nome La Fontaine, il quale, a fronte dell’offerta di
11
Tradizionale strumento di detta cooperazione è quello dell’estradizione, oltre alle
rogatorie internazionali, al riconoscimento delle sentenze penali straniere e alla
nuova figura dell’esecuzione all’estero delle sentenze penali italiane
2
. A questo
elenco possiamo aggiungere uno strumento elaborato di recente dal Consiglio
dell’Unione GAI, alla luce degli sviluppi dettati dalle nuove esigenze della lotta
contro il crimine, costituito dal Mandato di Arresto Europeo, il cui disegno di legge
attende di passare all’esame della Commissione Giustizia del Senato della
Repubblica italiana, di cui si parlerà più diffusamente avanti, anticipando qui
soltanto che esso è destinato a sostituire la procedura tradizionale dell’estradizione.
Se però, nell’ambito di quest’ultima, la decisione sulla consegna è interamente
rimessa alla discrezionalità del Ministro della Giustizia, secondo la decisione
quadro 2002/584/GAI del Consiglio, invece, oggi le richieste di consegna di una
persona avanzate dall’autorità giudiziaria di un altro Stato membro devono essere
poste in essere automaticamente.
Salta già agli occhi una delle più importanti novità relative alla procedura
estradizionale, che può essere considerata solo il punto di arrivo del processo
evolutivo che, nel corso del tempo, ha coinvolto questo istituto, in particolare, e le
modalità di cooperazione giudiziaria, in generale.
Del resto le radici dell’istituto sono molto lontane nel tempo e esso ha attraversato
fasi diverse prima di pervenire a quella disciplinata dal codice di procedura penale e
dalle Convenzioni elaborate in ambito europeo e dal Consiglio d’Europa e, forse,
oggi, superata.
indicare il Gruppo con il nome del suo Presidente, propose di usare piuttosto il nome della celebre
fontana in prossimità della quale si svolgevano i lavori.
12
La nozione di cooperazione internazionale si è invero andata evolvendo a partire
dalla seconda metà del secolo scorso, per il comune interesse degli Stati nella lotta
contro la criminalità, fino a giungere alle forme più moderne di cooperazione,
tendenti a realizzare la partecipazione comune degli Stati interessati ai procedimenti
investigativi e giurisdizionali e a garantire sia il riconoscimento diretto che la
conseguente circolazione dei provvedimenti giudiziari adottati dai vari Paesi.
Detto mutato contesto internazionale, specie per i Paesi dell’Unione Europea, ha
comportato, quale ineliminabile premessa del cambiamento, l’adozione di nuove
forme e strumenti di cooperazione giudiziaria
3
.
In ambito europeo sono state sviluppate iniziative normative per regolare i rapporti
di collaborazione internazionale nella lotta contro il crimine, riconducibili
sostanzialmente a due gruppi.
In un primo si possono annoverare le norme che, pur attenendo al tema della
cooperazione giudiziaria, riguardano più specificamente le prove, o meglio gli atti
processuali e investigativi attraverso cui poter acquisire la prova rispetto alle
singole fattispecie penali.
In un secondo gruppo tutte le norme che hanno consentito di rafforzare le strutture
di cooperazione europee ed internazionali.
2
Detti strumenti di cooperazione giudiziaria sono trattati da G. CATELANI, I rapporti internazionali in
materia penale. Estradizione, rogatorie, effetti delle sentenze straniere, Giuffrè, 1995.
3
Si legga a titolo esplicativo, E. SELVAGGI, Il mandato europeo di arresto alla prova dei fatti, in Cass.
Pen., 2002, n. 10, p. 2978, che rileva come in generale la cooperazione internazionale sia
profondamente mutata: “Nuove forme di cooperazione dovute alle innovazioni tecnologiche (fax,
video-conferenze, intercettazioni satellitari); nuove forme di adeguamento alle modalità particolari
con cui la criminalità si esprime (cybercrimes); nuove forme che rappresentano alternative rispetto
alle forme tradizionali di cooperazione giudiziaria (Europol, Eurojust, Rete Giudiziaria Europea).
Cambiamenti riconducibili al fatto che il mondo cambia e che esso diventa sempre più piccolo e che
le forme di criminalità hanno assunto i caratteri della transnazionalità, con la conseguenza che la
repressione dei reati non è più un fatto ristretto ai confini nazionali dei singoli Stati”. Ancora
sull’argomento: E. CALVANESE - G. DE AMICIS, Le nuove frontiere della cooperazione giudiziaria penale
nell’Unione Europea,inDocumenti Giustizia, 2000, n. 6.
13
Al primo gruppo di norme appartiene la Convenzione Europea di assistenza
giudiziaria in materia penale del 1959
4
, adottata nell’ambito del Consiglio
d’Europa.
Essa impegna reciprocamente gli Stati membri ad eseguire, nelle forme previste
dalla legislazione dello Stato richiesto, le rogatorie relative ad un procedimento
penale che abbiano ad oggetto il compimento di atti istruttori, o la trasmissione di
corpi di reato, di fascicoli e documenti nonché a rimettere atti processuali e
provvedimenti giudiziari, mediante semplice invio o notifica al destinatario e citare
a comparire testimoni, periti e persone sottoposte a procedimento penale.
E’ previsto inoltre che le comunicazioni richieste debbano essere trasmesse alle
autorità giudiziarie qualora fosse loro possibile ottenere, analogamente, le
medesime attraverso gli estratti del casellario giudiziario.
Stabilisce infine che gli Stati debbano provvedere allo scambio di informazioni
relative a condanne e possano ricevere denunce dirette ad ottenere l’instaurazione
di procedimenti penali.
Ai sensi dell’art. 2 della Convenzione, solo in ipotesi tassative può essere rifiutata
l’assistenza, ossia “quando la domanda si riferisce a reati che lo Stato richiesto
considera politici ovvero reati fiscali”.
4
La Convenzione è stata firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959 ed è entrata in vigore per l’Italia il 12
giugno 1962. Per altri Paesi europei è entrata in vigore nell’anno 2000: l’11 gennaio 2000 per la
Georgia, il 9 marzo 2000 per la Federazione Russa, il 24 maggio 2000 per Cipro, il 3 luglio 2000 per
l’Albania. È Israele l’unico stato non membro del Consiglio d’Europa che sin dal 27 dicembre 1967
ha aderito a tale Convenzione. Per una trattazione completa e accurata degli strumenti convenzionali
internazionali di assistenza giudiziaria in materia penale, si legga A. CIAMPI, L’assunzione di prove
all’estero in materia penale, Padova, Cedam, 2003. Ancora sull’argomento, D. CARCANO, Norme
comuni e norme internazionali sull’assistenza giudiziaria in materia penale,inDocumenti Giustizia,
2000, n. 6.
14
Un’altra ipotesi di rifiuto si ha quando lo Stato richiesto ritenga che l’esecuzione
della domanda possa arrecare “pregiudizio alla sovranità, alla sicurezza e ad altri
interessi essenziali del Paese”.
E’ doveroso qui accennare anche, con riferimento all’Unione Europea, ai
miglioramenti apportati in materia nel 2000
5
, al fine di completare e facilitare
l'applicazione della Convenzione del 1959.
L’obiettivo perseguito dalla Convenzione è quello di incoraggiare ed attualizzare
l’assistenza tra le autorità giudiziarie, di polizia e delle dogane e rendere più
agevole anche l’uso della Convenzione sull’applicazione dell’Accordo di Schengen
del 1990
6
e del trattato Benelux del 1962, rispettando i principi fondamentali di
5
Con Atto del Consiglio del 29 maggio 2000 è stata decisa, conformemente all'art. 34 del Trattato
sull’Unione Europea, la Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati
membri dell'Unione Europea. E’ pubblicata nella Gazzetta ufficiale C 197 del 12.07.2000. Le
principali innovazioni introdotte dal testo convenzionale riguardano: a) la normativa applicabile
nell’esecuzione della rogatoria; b) il termine di esecuzione della rogatoria; c) la previsione di una
serie di norme processuali e di previsione di nuovi strumenti investigativi, che hanno indubbiamente
una rilevanza specifica nel settore dell’azione di contrasto al fenomeno del traffico di stupefacenti;
d) le forme di cooperazione introdotte dalla nuova Convenzione (squadre investigative comuni,
consegne sorvegliate, operazioni di infiltrazione) possono essere attivate anche dalle autorità di
polizia autonomamente, nelle attività di raccolta della “notizia criminis”, allorché la direzione delle
indagini non sia ancora stata assunta dal pubblico ministero; e) la videoconferenza, di cui all’art. 10.
6
L’accordo è stato firmato e raggiunto il 14 giugno ’85 tra Benelux (Belgio, Olanda e
Lussemburgo), Francia e Germania. All’accordo hanno successivamente aderito Grecia, Italia,
Portogallo e Spagna. Ha avuto per obiettivo quello della graduale eliminazione dei controlli alle
frontiere interne in modo da raggiungere uno spazio di libera circolazione delle persone e delle
merci. Il 19 giugno ’90 è stata sottoscritta da tutti i paesi firmatari dell’accordo la relativa
Convenzione applicativa in modo da disciplinare le diverse misure compensative degli effetti
dell’abolizione dei controlli alle frontiere. L’Italia ha aderito alla Convenzione, ratificando sia
l’accordo che la suddetta Convenzione, con Legge n. 388 del 30 settembre ’93, entrata in vigore per
l’Italia il 26 ottobre 1997. Attualmente l’accordo e la relativa Convenzione sono in vigore tra
Austria, Belgio, Germania, Francia, Grecia, Italia, Lussemburgo, Olanda, Portogallo e Spagna.
Danimarca, Finlandia e Svezia hanno solo aderito all’accordo, mentre Islanda e Norvegia sono
semplici osservatori. Irlanda e Regno Unito sono rimaste fuori dall’ “Area Schengen” ma hanno da
tempo chiesto di aderire alla parte delle disposizioni della Convenzione relative alla materia di
cooperazione di polizia e giudiziaria. In virtù del Protocollo sull’integrazione dell’acquis di
Schengen nell’ambito dell’Unione Europea ad opera del Trattato di Amsterdam, la Convenzione di
Schengen e quindi il sistema di diffusione internazionale delle ricerche a scopo estradizionale, è
divenuto parte del diritto dell’Unione e quindi il Comitato esecutivo Schengen è stato sostituito dal
Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea.
15
ogni Stato membro, compresa la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo firmata a Roma il 4 novembre 1950.
Un ruolo notevole nella predisposizione di strumenti che consentissero agli Stati
membri di entrare più facilmente in contatto tra loro da un punto di vista giudiziario
lo ha del resto avuto l’appena citato Accordo di Schengen
7
. La sua portata
innovatrice sta da un lato, nell’aver rafforzato il diritto alla libera circolazione
nell’Unione, prevedendo la possibilità di attraversare liberamente, senza controlli,
le frontiere interne da parte dei cittadini di tutti gli Stati membri della Comunità
nonché nella libera circolazione delle merci; dall’altro nell’aver puntato ad un
maggior rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne con i Paesi extra-europei
e al miglioramento dei livelli di sicurezza dei porti e degli aeroporti con traffico
internazionale.
L’obiettivo era quello di armonizzare la politica dei visti d’ingresso agli stranieri,
negando l’ingresso o il soggiorno, in un qualsiasi Stato membro, ad uno straniero
segnalato da uno qualsiasi dei Paesi membri della Comunità.
Alla soppressione dei controlli interni alle frontiere, rappresentante certo una novità
al tempo in cui risale la sua entrata in vigore, poiché si era ancora agli inizi della
costruzione dell’Unione Europea, si sono, dunque, accompagnate inevitabilmente
una serie di misure parallele, soprattutto in materia di sicurezza, realizzabili
attraverso una ben più stretta collaborazione nei settori della giustizia, della polizia
e dell’immigrazione, settori in cui le leggi e le politiche sono tradizionalmente
nazionali.
7
Su tali accordi, oltre ai contributi contenuti nel volume a cura di B. NASCIMBENE - M. PASTORE, Da
Schengen a Maastricht, Milano, 1995, M. MEIJERS (ed.), Schengen, Internationalisation of Central
Chapters of the Law on Aliens, Refugees, Privacy, Security and the Police, Leiden, 1992.
16
Schengen è così diventato il banco di prova dell’Europa senza frontiere auspicata
dall’Atto Unico Europeo del 1986.
L’Accordo Schengen ha contribuito, in maniera significativa, a migliorare,
contestualmente, la rapidità e la qualità delle informazioni tra gli Stati membri,
quanto alla localizzazione delle persone ricercate; ha facilitato e reso più snelli i
contatti tra le autorità nazionali competenti in occasione dell’arresto delle persone;
ha inoltre consentito l’estradizione senza la procedura formale tipica, purché la
persona vi consenta. Può dirsi più compiutamente realizzata la libera circolazione
delle persone all’interno dello “spazio Schengen”, garantita nel contempo da misure
giudiziarie e di polizia
8
.
Con il Trattato di Maastricht si è segnato il passaggio dalle Comunità Europee
all’Unione Europea, dando vita ad una costruzione che mette insieme, correlandoli,
così come si evince dall’art. 1 del Trattato, tre distinti momenti: le tre Comunità
Europee, già esistenti, -CECA, CE ed EURATOM- costituenti il c.d. “primo
pilastro” (Titoli II, III e IV), cui appartengono le politiche comunitarie classiche
relative all’unione doganale, alla libera circolazione di merci, persone, servizi e
capitali tra gli Stati membri e all’unione economica e monetaria; la PESC (Politica
Estera e di Sicurezza Comune), costituente il c.d. “secondo pilastro” (Titolo V),
elemento di novità introdotto dal Trattato di Maastricht, con l’obiettivo di difendere
i valori e gli interessi comuni, rafforzare la sicurezza interna dell’Unione e quella
internazionale, promuovere la cooperazione internazionale, sviluppare la
8
Nonostante ciò, non si può qui non accennare al fatto che, a causa del suddetto rinforzamento delle
misure di polizia, talvolta ritenuto eccessivo e noncurante dei diritti dei rifugiati e di coloro che
chiedono asilo in uno Stato membro, la Convenzione di Schengen ha incontrato anche una feroce
critica. Per una disamina delle principali obiezioni al riguardo, si veda D. O’ KEEFFE, The Schengen
Convention: a suitable model for European integration?,inYearbook of European Law, 1992, pp.
185-220.
17
democrazia e lo stato di diritto, con il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali; GAI (Cooperazione Giustizia ed Affari interni
9
), costituente il c.d.
“terzo pilastro” (Titolo VI), sempre introdotto ex novo dal Trattato di Maastricht,
con l’obiettivo di rendere effettivamente possibile la libera circolazione delle
persone, raggiungibile se gli Stati dell’Unione Europea concentrino la loro
attenzione e il loro operato su una serie di politiche e temi previsti dal Trattato
medesimo, che vengono considerate “questioni di interesse comune”
10
.
Con il Trattato di Maastricht si è dato dell’Europa un profilo non più soltanto
economico, che agevoli le contrattazioni, gli scambi commerciali e il libero fluire
dei cittadini da uno Stato membro all’altro, ma soprattutto politico, atteso che
l’Europa non è più intesa soltanto quale entità geografica o economica, ma quale
soggetto politico dotato di autonomia regolamentare, deciso a garantire la pace
intereuropea con solide radici e ad edificare una democrazia stabile; un soggetto in
grado di impedire il ripetersi delle rivalità e delle guerre storiche. Con il Trattato di
Maastricht è emersa invero la dimensione di una Europa sociale e solidale che ha
permesso di fare un salto in avanti nel processo dell’integrazione comunitaria,
portando a compimento la definizione dell’identità democratica dell’Unione
Europea attraverso il passaggio dall’Europa “funzionale”, elemento innovativo alle
origini della costruzione europea ma obsoleto e insufficiente agli albori di
Maastricht, all’Europa politica e democratica.
9
Rinominata, per i motivi che si vedranno in seguito, dal Trattato di Amsterdam, in “cooperazione
di polizia e giudiziaria in materia penale”.
10
Ex art. K.1 TUE. Sul funzionamento del Titolo VI TUE,sivedaE. CHITI, M.E. FAVILLA, L. LIMBERTI, Il
terzo pilastro: una rassegna,inRiv.it.dir.pub.com., 1997, n. 3-4 che al riguardo offre anche spunti
dottrinali e normativi; J. MONAR – R. MORGAN , The Third Pillar of the European Union-Cooperation in
the Field of Justice and Home Affairs, European Interuniversity Press, Bruxelles, 1994.
18
Ai sensi dell’(allora) art. K.1 (ora 29 TUE), sono considerate questioni di interesse
comune, anzitutto le materie che attengono all’ingresso e alla circolazione dei
cittadini degli Stati terzi nel territorio dell’Unione, quali la politica di asilo, la
disciplina relativa all’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri, la
politica di immigrazione e di soggiorno di tali persone.
Nell’elenco seguono i temi della lotta contro la tossicodipendenza e contro la frode
su scala internazionale.
Dal punto 6 dell’articolo considerando sono, infine, indicati i campi della
cooperazione giudiziaria, sia civile che penale, doganale e fra le autorità giudiziarie.
Il Trattato di Maastricht prevede che talune azioni pertinenti solo ai primi sei
settori, possano man mano essere trasferite alla competenza comunitaria, a seguito
di una deliberazione unanime del Consiglio.
Gli ultimi tre settori, invece, restano riservati all’esclusiva competenza degli Stati
membri, sia nel senso che ad essi non si potrà applicare il c.d. meccanismo della
“passerella”
11
, sia nel senso che, a differenza dei primi sei settori, la Commissione
non può presentare proposte al Consiglio per l’adozione delle misure previste
dall’(allora) art. K.3.
I tre pilastri, ovvero gli ambiti di azione, cui si è accennato sopra, individuano
invero competenze e poteri degli Stati membri e raccordano il settore della
cooperazione attuata nelle Comunità europee con le politiche di cooperazione
instaurate dal Trattato di Maastricht.
Se, da un lato, si può affermare che il metodo più squisitamente intergovernativo è
scivolato verso procedure che vedono un più o meno intenso coinvolgimento di
11
Ex art. K.9 TUE.
19
organi e istituzioni creati per gli organismi comunitari, dall’altro, non si deve
pensare che vi sia una perfetta equiparazione tra i due ambiti, posto che l’assetto dei
rapporti interistituzionali è radicalmente differente a seconda che si tratti
dell’ambito comunitario o dell’ambito, per così dire, diplomatico.
Non si può prescindere del resto dal fatto, che la cooperazione intergovernativa si è
situata, fin dall’inizio, al di fuori dell’ambito istituzionale comunitario e si può dire,
tutt’al più che tra le due vi sia un rapporto di interazione
12
.
Ciascun pilastro, infatti, oltre ad avere ad oggetto differenti materie e ad indicare
diverse competenze alle istituzioni comunitarie e agli Stati membri, si differenzia
per il ruolo più o meno ampio svolto dai propri organi e per procedure decisionali
proprie.
Soffermandoci sul terzo pilastro, occorre precisare che all’interno del medesimo, il
perno attorno al quale ruota l’intero procedimento decisionale è il Consiglio
dell’Unione.
Questo, infatti, svolge un ruolo decisivo riguardo alla concertazione
intergovernativa degli Stati
13
e deve adottare gli strumenti che consentano il
perseguimento della cooperazione in materia di sicurezza interna.
Compongono il Consiglio i rappresentanti di ciascuno Stato membro appartenenti al
livello ministeriale, abilitati ad impegnare la volontà dei rispettivi Governi
nazionali.
12
Sulle forme e le modalità con cui si dispiega la cooperazione intergovernativa tra gli Stati membri,
D. O’ KEEFFE, La cooperazione intergovernativa e il terzo pilastro del Trattato sull’Unione Europea,
in Riv.it.dir.pub.com.,1997,n.3-4;R. ADAM, La cooperazione nel campo della giustizia e degli affari
interni: da Schengen a Maastricht,inRivista di Diritto Europeo, 1994, pp. 225-244.
13
E’ “in seno al Consiglio” che “gli Stati si informano e si consultano reciprocamente”, ai sensi
dell’(allora) art. K.3,n.1TUE.