7
Infine si prenderanno in considerazione la categoria del rito, la
drammaturgia sociale e le identificazioni sociali.
Nella seconda parte invece analizzeremo le interviste sui giocatori di
calcio, previa illustrazione della griglia metodologica con cui si è
effettuata la ricerca sul campo: cogliendone le dinamiche e le interazioni
prodotte dai loro vissuti in riferimento a quattro tematiche precise.
In estrema sintesi tali tematiche verteranno sulla:
1) progettualità
2) rapporto con i mass media
3) gli interessi culturali
4) rapporto con il territorio.
In conclusione si illustreranno gli esiti della ricerca – confrontati
con la tesi generale del lavoro qui presente -, i possibili riscontri rispetto
alle diverse e complesse problematiche che contraddistinguono la fase
attuale del calcio.
Emerge infatti dall’elaborazione empirica una decisa vocazione alla
professione calcistica, che per certi versi coniugherebbe la passione alla
carriera.
Semanticamente, persistono “luoghi comuni”, rappresentazioni
statiche e fittizie che rinchiuderebbero la figura del calciatore in ambiti di
accentuato stereotipo culturale.
Un’ eccezione da sollevare invece pur non ambendo all’esaustività
dell’argomento, riguarda a una certa crescita del cosiddetto interesse
culturale, termine da circoscriversi, comunque, ad una fenomenologia che
si va formulandosi.
Il lato più interessante infine riguarda una marcata attenzione alla
solidarietà e all’aiuto ed all’intervento verso l’altro, anche se va
riscontrata una certa ritrosia a manifestare tali comportamenti.
8
PARTE PRIMA
LA TEORIA
9
CAPITOLO 1
RAPPRESENTAZIONE E REALTA’ IN ERVING
GOFFMAN: L’APPROCCIO DRAMMATURGICO
1.1 - LE MATRICI CULTURALI DI GOFFMAN:
L'INTERAZIONISMO SIMBOLICO
Goffman, (1922-1982), considerata la formazione culturale presso la
scuola di Chicago, è stato ritenuto da molti un interazionista simbolico
atipico, infatti pur presentando elementi comuni che lo legano agli
interazionisti simbolici, in modo particolare a Mead, ne condivide i
presupposti, l’orientamento teorico, l’interesse microsociologico, ma segue
una linea di pensiero assolutamente originale e difficile da catalogare in
qualche corrente riconosciuta.
Altre principali correnti sociologiche che hanno influenzato la sua
opera sono state: l’etnografia urbana di Park e Wirth; la sociologia di
Simmel; gli studi di sociologia del lavoro e delle occupazioni di Hughes;
infine l’approccio dei neoChicagoans ai problemi della devianza, tuttavia
Goffman stesso cercò sempre di distaccarsi da ogni tipo di etichetta.
In questa sede eviterò volontariamente di entrare nel merito della sua
posizione accademica, mi limiterò a illustrare brevemente i concetti
principali dell’interazionismo simbolico prendendo in rassegna i suoi
maggiori teorici: Mead e Blumer. In seguito cercherò di esporre le
intuizioni principali contenute nell’opera più famosa di Goffman: La vita
quotidiana come rappresentazione, in cui applica un approccio
drammaturgico all’interazione sociale della vita quotidiana, basato sull’uso
costante della metafora, dove i soggetti sono considerati attori di scena.
L’interazionismo simbolico si è sviluppato negli Stati Uniti durante i
primi anni trenta anni del secolo scorso, la scuola dell’interazionismo
10
simbolico non si occupa dei fenomeni di massa, ma si interessa invece
dello studio del sé e della personalità individuale.
Tutti gli autori che vi aderiscono, più o meno ampiamente, situano le
loro ricerche a metà strada tra la sociologia e la psicologia sociale. Fra di
essi esistono differenze, anche notevoli, dovute al carattere sincretistico e
prevalentemente metodologico dell’interazionismo simbolico, che si ispira
ad autori diversi (soprattutto ai filosofi James e Dewey, ai sociologi
Simmel e Cooley, allo psicologo Piaget, (1896-1980) ed al linguista
Ferdinand de Saussure, (1857-1913). Esiste tuttavia un autore, il quale più
d’ogni altro, costituisce il riferimento privilegiato degli interazionisti
simbolici: il filosofo e psicologo sociale Mead (1863-1931). Per questo
autore la società è l’interazione simbolica dei molti individui.
Il “Sé”, uno dei concetti di maggiore rilevanza della teoria mediana,
rappresenta una delle definizioni fondamentali della corrente interazionista.
Mead distingue in ogni individuo un Io (I), un Me (Me) e un Sé
(Self). Mead sottolinea come:
<< L’io è la persona originaria e imprevedibile, ciò che ciascuno è e
che non può essere oggettivato. L’io è ciò con cui ciascuno si identifica
[…]. Il Me è l’insieme organizzato di atteggiamenti assunti all’Io nei
confronti di altri Io; corrisponde all’interiorizzazione degli atteggiamenti
degli altri ed è pertanto la parte socializzata dell’individuo. Il Me è l’io non
come soggetto, ma come oggetto […]. E il Sé? E’ l’insieme dell’Io e del
Me. E’, da un lato, l’azione della società sull’io, che lo trasforma in Me; ed
è, dall’altro, la reazione dell’Io, che coscientemente giudica, assume o
rifiuta il condizionamento della società sull’individuo […]. Il Sé è
fondamentalmente un processo sociale che si sviluppa in rapporto a questi
due momenti distinguibili fra di loro. Se non esistessero questi due
momenti, non vi potrebbe essere nulla di nuovo nell’esperienza >>.
1
Premeva a Mead riconoscere la funzione primaria del processo di
socializzazione, nel quale ciascuno assume il ruolo dell’altro e considera il
proprio ruolo come esperito dagli altri.
Lo schema teorico dell’interazionismo simbolico è in gran parte
basato sulla sistematizzazione e sull’elaborazione dell’eredità intellettuale
di Mead, al quale tutti gli autori si richiamano prioritariamente – autori
diversi e contrapposti, fra i quali merita una trattazione il “padre fondatore”
1
Mead, cit. in Morra, Propedeutica Sociologica, Bologna, Monduzzi, 1994, pag. 164.
11
della corrente, Blumer, che proprio a Chicago fu studente di Mead negli
anni venti.
Invitato a scrivere un saggio introduttivo di psicologia sociale, Social
Psichology, 1937, Blumer ha coniato il termine “interazionismo
simbolico”. Secondo l’autore:
<< L’organizzazione sociale in questa prospettiva costituisce una
cornice entro cui le unità agenti sviluppano le loro azioni; caratteristiche
strutturali, quali la “cultura”, il “sistema sociale”, la “stratificazione
sociale”, o i “ruoli sociali”, pongono le condizioni per l’azione, ma non la
determinano. Le persone – cioè le unità agenti – non agiscono
rapportandosi alla cultura, alla struttura sociale e così via, ma agiscono nei
confronti di situazioni.
L’organizzazione sociale entra in azione solo nella misura in cui
modella delle situazioni in cui agiscono gli individui e solo nella misura in
cui fornisce una serie definita di simboli, che le persone usano per
interpretare le proprie situazioni >>.
2
Nel prossimo paragrafo, nell’esplorare il pensiero di Goffman,
presenteremo alcuni elementi del suo approccio drammaturgico e come
sono stati portati avanti il concetto del Sé e l’approccio dell’individuo nei
confronti della situazione.
2
Society as Symbolic Interaction in Ciacci, L’ interazionismo simbolico, Il Mulino, 1983, pag. 72.
12
1.2 - ALCUNI ASPETTI DELLA SOCIOLOGIA DI GOFFMAN: LA
DEFINIZIONE DELLA SITUAZIONE E LA STRUTTURA DEL
SELF
Come Blumer anche Goffman è stato profondamente influenzato
da Mead, cosa particolarmente evidente nella sua attenzione sul sé posta
nel primo libro La vita quotidiana come rappresentazione, lavoro che ha
condizionato tutta la sua produzione seguente. Egli ha arricchito la
psicologia sociale e la microsociologia in vari modi, ma il suo contributo
alla teoria del ruolo attraverso l’esplicita elaborazione di un modello
drammaturgico è certamente il più distintivo e importante.
Già prima di Goffman, molti studiosi del ruolo hanno citato i famosi
versi di A Piacer vostro di Shakespeare.
3
E’ stato Goffman, tuttavia, a trasformare una vaga analogia in una
potente visione drammaturgica.
4
Ritengo opportuno presentare integralmente alcuni passaggi del suo
pensiero, al fine di comprendere meglio le tematiche drammaturgiche per
poi in seguito analizzare il suo approccio con alcune considerazioni di
Giglioli.
Secondo Goffman:
<< La società è organizzata sul principio che qualsiasi individuo che
possieda certe caratteristiche sociali ha il diritto morale di pretendere che
gli altri lo valutino e lo trattino in modo appropriato. Esiste un secondo
principio connesso a questo, e cioè che un individuo il quale
3
Shakespeare, cit. in Coser, I maestri del pensiero sociologico, Bologna, Il Mulino, 1994, pag. 729,
l’autore scrive:
<< Tutto il mondo è teatro
E tutti gli uomini e le donne non sono che attori:
Essi hanno le loro uscite e le loro entrate.
Una stessa persona nella sua vita rappresenta parecchie parti >>.
4
Wallace & Wolf, La teoria sociologica contemporanea, Bologna, Il Mulino, 1994, pag. 302, l’autore
sottolinea:
<< Riprende il concetto sociologico di ruolo e lo “riporta sulla scena”, ambientando l’analisi del
comportamento umano in uno scenario teatrale. L’operazione compiuta in questo caso è quella di adattare
la situazione drammatica che si verifica in scena fra un attore ed una attrice e riprodurla nella
quotidianità, all’interno dei comportamenti fra uomini e donne che interpretano i loro ruoli nella vita
reale. Goffman si concentra sui modi attraverso i quali gli individui rappresentano se stessi e le loro
attività agli altri; in particolare si focalizza sul controllo delle impressioni, ovvero l’arte con cui gli
individui guidano le impressioni che gli altri si fanno di loro >>.
13
implicitamente o esplicitamente dichiara di avere certe caratteristiche
sociali dovrebbe in effetti essere ciò che pretende di essere.
Di conseguenza, quando un individuo proietta una definizione della
situazione, e perciò implicitamente o esplicitamente afferma di essere
persona di un certo tipo, automaticamente compie una richiesta morale nei
confronti degli altri, obbligandoli a valutarlo e trattarlo nel modo in cui le
persone del suo tipo hanno il diritto ad essere trattate >>.
5
Con queste affermazioni l’autore introduce uno dei concetti più
significativi del suo pensiero, quello di “definizione della situazione”,
esposto per la prima volta da Thomas, interazionista simbolico che lo
precedette.
6
Nozione successivamente elaborata dallo stesso Thomas in
collaborazione con Znaniecki.
7
Da queste premesse, si può cogliere l’importanza della situazione
come ambiente sociale specifico, un contesto di interazione tra persone in
cui vigono relazioni sistemiche di influenza, retto da “regole” proprie, che
vive in una certa autonomia rispetto alle costrizioni e ai vincoli della
struttura sociale più ampia.
Lo scopo della sociologia goffmaniana è descrivere e analizzare
questo “ambiente umano”, caratterizzato dall’interazione faccia a faccia.
Nella prefazione della sua opera La vita quotidiana come
rappresentazione possiamo comprendere meglio il pensiero di Goffman:
<< Quando un individuo viene a trovarsi alla presenza di altre
persone, queste in genere, cercano di avere informazioni sul suo conto o di
servirsi di quanto già sanno di lui. E’ probabile che il loro interesse verta
sul suo status socio-economico, sulla concezione che egli ha di sé, sul suo
atteggiamento nei loro confronti, sulle sue capacità, sulla sua serietà, ecc.
[...] Le notizie riguardanti l’individuo aiutano a definire la situazione,
permettendo agli altri di sapere in anticipo che cosa egli si aspetti da loro e
5
Cfr. Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, Bologna, Il Mulino, 1969, pag. 23.
6
Cfr. Thomas, cit. in Coser, I maestri del pensiero sociologico, op. cit., pag. 651, l’autore afferma che:
<< Qualsiasi atto di comportamento autonomamente determinato è sempre preceduto da un momento di
valutazione e di decisione, che possiamo chiamare la definizione della situazione… Non soltanto gli atti
concreti dipendono dalla definizione della situazione, ma gradatamente l’intera condotta di vita e l’intera
personalità dell’individuo stesso derivano da una serie di tali definizioni >>.
7
Cfr. Thomas e Znaniecki, 1968, Il contadino polacco, I, pp. 62-63, gli autori aggiungono:
<< La definizione della situazione è una necessaria precondizione per ogni atto di volontà, poichè in
condizioni date e con un dato insieme di atteggiamenti è possibile un’indefinita pluralità di azioni, e
un’azione definita può sorgere solo se tali condizioni vengono selezionate, interpretate e combinate in
modo determinato >>.
14
che cosa essi, a loro volta, possono aspettarsi da lui: tali informazioni
indicheranno come meglio agire per ottenere una sua determinata reazione.
I presenti possono ricavare informazioni da diverse fonti e molti
indicatori (o “ strumenti segnici ”) sono disponibili a questo scopo. Se non
conoscono affatto l’individuo, gli osservatori possono raccogliere indizi
dalla sua condotta e dalla sua apparenza, così da potersi servire di
precedenti esperienze fatte con persone abbastanza simili all’individuo
presente, o, cosa più importante, applicare ad esso stereotipi non controllati
in precedenza. […] Si può fare affidamento su quanto l’individuo dice di
sé, o sulla documentazione che egli offre in merito alla sua identità. Se gli
osservatori conoscono l’individuo o ne sanno qualcosa in base a esperienze
precedenti all’interazione in esame, essi possono agire nel presupposto che
le sue caratteristiche psicologiche abbiano un carattere di generalità e
continuità e possano quindi essere utilizzate per prevedere il suo
comportamento.
Tuttavia, durante il periodo in cui l’individuo è alla presenza diretta
di altre persone, si verificano pochi avvenimenti tali da procurare agli
astanti quelle informazioni decisive che sono loro necessarie per
determinare a ragion veduta le loro azioni. Molti fatti cruciali restano al di
fuori dei limiti spaziali e temporali dell’interazione o, pur essendovi
compresi, non sono evidenti. Per fare un esempio, le convinzioni, gli
atteggiamenti, le emozioni “vere” o “reali” dell’individuo possono essere
accertate solo indirettamente, attraverso le sue dichiarazioni o ciò che
appare essere un comportamento espressivo involontario. [...] Riportando le
parole di Ichheiser l’individuo dovrà agire in modo da esprimersi più o
meno intenzionalmente, e i presenti, a loro volta, dovranno riportare
un’impressione sul suo conto >>.
8
La sua analisi è focalizzata sulle ambiguità di fondo che
condizionano la struttura del self nel momento in cui l’individuo si
relaziona con gli altri, generando rappresentazioni fuorvianti dal momento
che siamo costretti a basarci su deduzioni. Come precisa l’autore:
<< Quando un individuo viene a trovarsi alla presenza di altri, vorrà
essere al corrente dei fatti della situazione […]. Per conoscere
completamente gli elementi di fatto che caratterizzano la situazione,
l’individuo dovrebbe poter disporre di tutti i dati relativi allo status sociale
degli altri. Gli sarebbe anche necessario conoscere sia l’effettivo risultato o
8
Cfr. Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, op. cit., pp. 11-12.
15
prodotto finale dell’attività altrui, sia gli altrui sentimenti nei suoi
confronti. Tutti questi dati sono raramente a disposizione; in loro
mancanza, l’individuo tende a impiegare sostituti – spunti, prove, accenni,
gesti espressivi, simboli di status, ecc. - come mezzi di previsione >>.
9
Dal punto di vista del soggetto nei confronti degli osservatori:
<< L’individuo potrà desiderare la loro stima, o potrà voler far
credere di averne nei loro riguardi: potrà sinceramente desiderare che essi
avvertano i suoi sentimenti nei loro confronti, o addirittura potrà non volere
che riportino un’impressione definita su di lui. Può darsi che l’individuo
desideri assicurarsi quel tanto di armonia che renda possibile l’interazione,
o può invece darsi che voglia imbrogliarli, allontanarli, confonderli,
ingannarli, opporsi ad essi o insultarli >>.
10
Goffman rinforza le asserzioni precedenti affermando che:
<< Quando un individuo compare di fronte ad altri, le sue azioni
influenzano la definizione che questi danno della situazione. A volte
l’individuo agirà in modo del tutto calcolato, esprimendosi in una
determinata maniera solo per dare agli altri il tipo d’impressione che ha la
probabilità di sollecitare in loro la particolare reazione che egli ha interesse
di ottenere. Altre volte egli agirà per calcolo, pur non essendone che
relativamente consapevole, altre volte ancora si esprimerà intenzionalmente
e coscientemente in un determinato modo soprattutto perché la tradizione
del suo gruppo, o il suo status sociale lo richiedono, e non per ottenere una
particolare reazione (a parte una vaga accettazione o approvazione) >>.
11
Come nota Giglioli la sua teoria sociale si sofferma più del dovuto
sull’episodico e sul marginale, considerando prevalentemente solo quella
parte non istituzionalizzata della vita urbana, dove gli individui,
relativamente indipendenti da costrizioni strutturali, possono abbandonarsi
liberamente al gioco
9
Cfr. Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, op. cit., pag. 285.
10
Cfr. Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, op. cit., pp. 13-14.
11
Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, op. cit., pag 16.
16
dell’interazione.
12
Da queste argomentazioni, si può già intravedere la posizione di
partenza della nostra tesi: l’ipotesi di fondo è che l’attore sociale viene
identificato dalla figura del calciatore e sarà compito della fase empirica di
questo studio cercare di individuare quale definizione della situazione si
crea e venga mantenuta da queste persone.
I luoghi spaziali dove questi comportamenti vengono elaborati, ossia
i territori degli attori, saranno oggetto del prossimo paragrafo e ci
consentiranno di conoscere altri due elementi della drammaturgia
goffmaniana: la ribalta e il retroscena, necessari per sviluppare la
prospettiva drammaturgica goffmaniana e per consentirmi di elaborare uno
schema di riferimento che verrà successivamente utilizzato per svolgere
una funzione di guida nella fase empirica.
12
Giglioli, Self e interazione nella sociologia di Erving Goffman, introduzione a Goffman, Modelli di
interazione, Bologna, Il Mulino, 1982, pp. XXI-XXXI, l’autore aggiunge:
<< Come Mead, Goffman divide l’individuo in due parti. […] Per Mead, la dialettica fondamentale del
self è quella tra Io e Me; per la drammaturgia goffmaniana, le due parti fondamentali sono l’attore, “un
affaticato fabbricante d’impressioni”, e il personaggio, “una figura dotata di carattere positivo, il cui
spirito, forza e altre qualità eccezionali devono essere evocate durante la rappresentazione”.
L’interesse di Goffman è invece concentrato sul personaggio o, meglio, sulle tecniche drammaturgiche
impiegate per porre il personaggio in una luce favorevole. Sulla base di queste rappresentazioni la società
attribuisce un self all’attore, che, questi, se favorevole, deve cercare di conservare. La seconda
fondamentale distinzione goffmaniana è quella tra l’immagine del self che l’attore dovrebbe proiettare e
quella che viene effettivamente proiettata. Da qui due imperativi d’azione dell’uomo goffmaniano: la
coerenza e il controllo dell’informazione. Poiché il self viene attribuito a un individuo sulla base della sua
rappresentazione e tende ad essere considerato stabile dalla società, la coerenza del personaggio è
necessaria […]. Ma mantenere la coerenza è difficile, l’individuo corre sempre il rischio di essere
screditato, con la conseguenza non solo di perdere la faccia in un momento determinato, ma di essere
considerato da allora in poi come una persona che proietta un’immagine del self a cui non ha diritto. Di
conseguenza il suo modello causale dell’interazione si riduce a una struttura sequenziale estremamente
semplice. Un soggetto, quali che siano i suoi motivi, inizia l’interazione proiettando un’immagine del self
e una definizione della situazione che divengono obbligatori per i partecipanti. Questi, a loro volta,
rispondono. Una volta messo in moto, il processo interattivo tende a continuare spontaneamente e la sua
felice o infelice conclusione deriva dal fatto se l’iniziale definizione della situazione venga accettata o
meno. […] La questione cruciale non è tanto sapere chi sono i soggetti, ma quale è la situazione, perché
è alla situazione che viene attribuito un significato (naturalmente l’identità del soggetto può essere
importante nella misura in cui essa contribuisce a definire la situazione) >>.
17
1.2.1 - LO SPAZIO SOCIALE DEGLI ATTORI: LA RIBALTA E IL
RETROSCENA
Goffman dal punto di vista degli attori divide lo spazio sociale in due
categorie che lui definisce ribalta e retroscena
13
e adotta il termine “équipe
di rappresentazione”
14
per riferirsi a qualsiasi complesso di individui che
collaborano nell’inscenare una singola routine.
15
1.3 - LA MESSA IN SCENA E IL SELF: CHIAREZZA
METODOLOGICA
Si rimanda alle citazioni che seguono per la comprensione
rispettivamente, delle competenze del self goffmaniano e della sua
evanescenza, per giungere alla formulazione di un self tutto sociale e
svuotato di implicazioni psicologiche, dato che il self è incarnato nelle
situazioni. Goffman sostiene che:
<< L’osservazione del fatto che ognuno di noi rappresenta se stesso
dinanzi agli altri non è certo originale; quello che, concludendo, dovrebbe
essere sottolineato è che la stessa struttura del sé può esser vista in termini
13
Wallace & Wolf, La teoria sociologica contemporanea, Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 302-303, gli
autori aggiungono:
<< Pertanto la scena comprende ogni cosa osservata dagli spettatori mentre l’attore recita; è quindi il
luogo principale in cui l’attore esercita il controllo delle impressioni, cercando di evitare ogni cosa che
possa risultare inappropriata al copione. Al contrario il retroscena è un luogo chiuso e nascosto alla platea
dove si gestiscono le tecniche di controllo delle impressioni […] Inoltre nel retroscena l’interprete può
rilassarsi o, come suggerisce Goffman, “può abbandonare la sua maschera, le sue battute e uscire dal
personaggio. Il retroscena è il luogo dove l’attore non ha bisogno del controllo delle impressioni, può
essere finalmente se stesso >>.
14
Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, Bologna, Il Mulino, 1969, pp. 97-100, Goffman
scrive:
<< Esse costituiscono un punto di riferimento imprescindibile se si vogliono studiare come vengono
create e controllate le impressioni, i problemi cioè che si presentano nel suscitare un’impressione e le
tecniche per affrontarli. Ogni componente dell’équipe è obbligato a fidarsi della buona condotta e del
comportamento dei suoi compagni, e questi, a loro volta, sono obbligati a fidarsi di lui: si sviluppa quindi
necessariamente un vincolo d’interdipendenza reciproca fra di loro >>.
15
Ivi, Goffman aggiunge:
<< Ci sarà un retroscena con gli utensili per plasmare il corpo, e una ribalta con i suoi arredi permanenti.
Ci sarà un’équipe di persone la cui attività sul palcoscenico, in connessione con gli arredi a disposizione,
costituirà la scena dalla quale emergerà il sé del personaggio rappresentato, e un’altra équipe – il pubblico
– la cui attività di interpretazione sarà necessaria per questa apparizione >>.
18
di tecniche e degli strumenti adottati per tali rappresentazioni nella società
anglo-americana. In questo studio l’individuo è stato implicitamente diviso
in due parti fondamentali: è stato considerato come attore, un affaticato
fabbricante d’impressioni, immerso nel fin troppo umano compito di
mettere in scena una rappresentazione, ed è stato considerato come
personaggio, una figura per definizione dotata di carattere positivo, il cui
spirito, forza e altre qualità eccezionali debbono essere evocati nella
rappresentazione >>.
<< […] Il sé non ha origine nella persona del soggetto, bensì nel
complesso della scena della sua azione […]. Una scena ben congegnata e
rappresentata induce il pubblico ad attribuire un sé a un personaggio
rappresentato, ma ciò che viene attribuito – il sé – è il prodotto di una scena
che viene rappresentata e non una sua causa. Il sé, quindi, come
personaggio rappresentato non è qualcosa di organico che abbia una
collocazione specifica, il cui principale destino sia quello di nascere,
maturare, e morire; è piuttosto un effetto drammaturgico che emerge da una
scena che viene presentata. Il problema fondamentale, il punto cruciale, è
se verrà creduto o meno >>.
16
A questo proposito Giglioli sottolinea:
<< La logica conseguenza di questa posizione teorica è la sua
marcata componente antipsicologica. Se durkheimianamente prima viene la
società e poi l’individuo, se il self non è inerente alla persona, ma emerge
da una situazione sociale, è inutile cercarlo all’interno della persona stessa:
“ è meglio cominciare a lavorare dall’esterno dell’individuo verso l’interno,
che viceversa >>.
17
Segue una lettura durkheimiana dell’identità dell’individuo assunta
da Goffman,
18
in cui Giglioli chiarisce meglio la distinzione fondamentale
tra Goffman e gli interazionisti simbolici.
19
16
Cfr. Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 288-289.
17
Giglioli, Introduzione all’edizione italiana, in Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, op.
cit., pag. XVI.
18
Giglioli, Introduzione all’edizione italiana, in Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, op.
cit., pp. XIV-XVIII, l’autore continua:
<< La dialettica tra persona e ruolo, tra essere e fare, dietro la quale sembrerebbe trasparire la nostra
soggettività più autentica, è in realtà imposta e regolata socialmente nelle società moderne. Si può
sostenere che l’interazionismo simbolico ha offerto a Goffman un oggetto di analisi, il self, ma non gli
strumenti per analizzarlo, che Goffman trae da Durkheim. La sua intuizione fondamentale è consistita
nell’elaborare a livello microsociologico due cruciali affermazioni di Durkheim: la prima è che la divinità
è il prodotto di rituali collettivi; la seconda è che, nella società moderna, l’oggetto della vita religiosa è
rappresentato dal “culto dell’individuo”, dal riconoscimento del suo specifico self. Tutta la sociologia di
Goffman può essere considerata una riflessione su questi due punti. Essa è un minuzioso tentativo di
19
1.4 - LO SCHEMA DI RIFERIMENTO
Lo schema di riferimento presenta determinate caratteristiche che
deve possedere il modello drammaturgico.
20
Secondo la nostra tesi questi elementi saranno rielaborati nel
seguente modo (vedi fig. 1 a pag. seguente):
1) La rappresentazione della scena ipotizzata in un qualsiasi
ambiente sociale consiste nella capacità dell'attore sociale (in questo caso il
calciatore) di conservare e mantenere l'immagine che gli altri attribuiscono
al suo personaggio (mantenimento e definizione della situazione da parte
dell'attore sociale-calciatore).
2) Il personaggio deve possedere determinate caratteristiche
drammaturgiche/teatrali (struttura del self).
3) Esse possono manifestarsi in due ambienti differenti: nel pubblico
(luogo della ribalta) dove la rappresentazione è presentata o nel privato
(luogo del retroscena) dove la rappresentazione di una routine viene
preparata.
individuare i rituali che nella società contemporanea affermano la sacralità dell’individuo, di indagare la
natura cerimoniale dell’identità, di esaminare i meccanismi mediante i quali questo equilibrio rituale
viene ristabilito quando è stato turbato. Beninteso Goffman non si riferisce più ai grandi rituali pubblici,
ai quali pensava ancora Durkheim, ma prende in considerazione quei piccoli riti apparentemente banali
che costellano l’interazione faccia a faccia nella vita quotidiana, quei “gesti che talvolta consideriamo
insignificanti, ma che, di fatto, sono forse i più significativi >>.
19
Ivi. Giglioli aggiunge:
<< Riprendendo l’intuizione durkheimiana che la divinità è il prodotto di rituali collettivi e applicandola
al self, Goffman non afferma semplicemente, come fanno gli interazionisti, che l’identità è fortemente
influenzata dai rapporti sociali con gli “altri significativi”. Sostiene qualcosa di molto più radicale: il self
è creato mediante il rituale virtualmente dal niente. […] l’identità non è qualcosa di stabile e duraturo nel
tempo (sia pure sottoposto a sviluppo), ma un effetto strutturale prodotto e riprodotto discontinuamente
nei vari balletti della vita quotidiana. Ma, in realtà, siamo obbligati ad esibire un self non perché davvero
l’abbiamo, ma perché la società ci obbliga a comportarci come se l’avessimo. E, naturalmente, ce ne
offre anche la possibilità. Il contrasto tra ribalta e retroscena, ruolo e distanza dal ruolo, frame e contenuto
del frame dà infatti l’impressione che dietro a tutte le immagini di se stesso che l’individuo presenta vi sia
un’identità ultima e definitiva che organizza e gestisce tutte le altre. Ma si tratta di una impressione
illusoria. Dietro questa immagine multistratificata dell’individuo non vi è niente. E’ solo la complessità e
la differenziazione della società che fornendo molteplici pubblici, ruoli e occasioni rende possibili queste
numerose sfaccettature del self.
Questo non significa ovviamente che l’individuo non abbia una sua identità biografica stabile nel tempo e
rinforzata dai processi di identificazione e standardizzazione dello stato moderno e delle altre
organizzazioni complesse; significa però che l’individuo può essere considerato “un complesso di cose
abbastanza diverse, tenute insieme in parte a causa delle nostre credenze culturali relative all’identità >>.
20
Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, Bologna, Il Mulino, 1969, pp. 273-274.
20
4) Troviamo un’ équipe di attori
21
che cooperano per presentare al
pubblico una certa definizione della situazione. Tra i membri dell’équipe
tende ad instaurarsi un senso di familiarità e di solidarietà e tutti tengono
nascosti quei segreti che potrebbero rovinare lo spettacolo. La funzione
svolta dall' équipe ha lo scopo di proteggere l'attore calciatore da eventuali
gaffes
22
al fine di consentigli il successo della sua rappresentazione.
Questo schema è formale e astratto nel senso che può essere
applicato a qualsiasi istituzione sociale, ma non è solo una classificazione
statica. Infatti esso ha a che fare con problemi di natura dinamica creati dal
desiderio di sostenere una definizione della situazione che è stata proiettata
davanti ad altri.
Nelle interviste che andremo a fare, nell’ipotesi di partenza,
cercheremo di individuare la definizione della situazione assunta dall’attore
sociale-calciatore, la struttura del suo self, che cosa emerge nei luoghi di
retroscena (spogliatoio, vita privata) e di ribalta (interviste, conferenze in
sala stampa, partecipazioni a trasmissioni televisive).
21
Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, op. cit., pag. 97.
22
Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, op. cit., pag. 240, Goffman scrive:
<< Quando un attore, mediante il suo comportamento non intenzionale ma incauto, distrugge l’immagine
della propria équipe, possiamo parlare di gaffes o di “papere”.>>.