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valutazioni scaturite in sede decisionale, prima, e di attuazione, poi, venivano
rese note e reinvestite nei progetti successivi. La pubblicità del dibattito sulla
scelta delle modalità comunicative delle campagne si può assumere, inoltre,
come indicatore di “trasparenza” nella gestione della funzione di
comunicazione, in accordo con le recenti normative riguardanti la pubblicità
degli atti della Pubblica Amministrazione.
La portata dei nodi problematici accennati è stata analizzata in riferimento ad
una cornice teorica inerente all’ambito disciplinare della comunicazione
pubblica e della sua articolazione quale comunicazione di utilità sociale.
Nel primo capitolo vengono affrontate le problematiche relative alla
definizione concettuale della comunicazione pubblica ed all’individuazione dei
suoi ambiti di pertinenza, anche in relazione alle radici storiche del concetto.
Sono, poi, analizzate le peculiarità di tale forma di comunicazione, che implica
particolari modalità di costruzione del messaggio, proprio in quanto
espressione del rapporto tra Stato e cittadini. Una panoramica della legislazione
in materia ha permesso di ricostruire il cammino compiuto dalla
comunicazione pubblica in Italia, i suoi limiti e le sue prospettive di sviluppo.
Il secondo capitolo è relativo al fenomeno della comunicazione sociale, il cui
ambito di pertinenza si interseca e al tempo stesso si differenzia dalla
comunicazione pubblica. Vengono analizzate le varie definizioni del fenomeno
presenti nella letteratura sul tema e, in base all’esame delle caratteristiche dello
stesso e dei soggetti che vi operano, si tenta di giungere ad una definizione. La
pionieristica attività di Pubblicità Progresso nel campo è stata affiancata, e
sovrastata, dall’attività di molteplici attori: dalle organizzazioni non profit
all’ente pubblico alle imprese private. L’attività del soggetto pubblico è stata,
quindi, esaminata relativamente alle implicazioni che la natura pubblica dei
suoi messaggi comporta. Sono stati poi analizzati lo sviluppo, la struttura e i
compiti del Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria della Presidenza del
Consiglio dei Ministri, l’ente promotore, tra l’altro, delle campagne di utilità
sociale sulla tossicodipendenza. L’uso del termine “utilità sociale” è utilizzato
esclusivamente come strumento per distinguere concettualmente la
6
comunicazione sociale messa in atto dal soggetto pubblico da quella messa in
atto da altri soggetti.
Il terzo capitolo prende in esame la pubblicità sociale. Nonostante i termini
pubblicità sociale e comunicazione sociale vengano spesso usati come sinonimi
da molti autori, la pubblicità è solo uno dei possibili mezzi utilizzabili per
veicolare messaggi con finalità sociali. Stante la presa d’atto di ciò, anche in
questa tesi spesso i termini vengono usati senza distinzione, quando il
riferimento a determinati autori lo richieda e poiché, in molti casi, le campagne
di comunicazione sociale utilizzano quasi esclusivamente tale mezzo. La
pubblicità sociale è stata messa in relazione e confrontata con la pubblicità
commerciale, in particolare riguardo al differente linguaggio delle due forme di
comunicazione. Dati i limiti presenti nel mezzo pubblicitario nel difficile
compito di promuovere il cambiamento, il rinforzo o l’adozione di
comportamenti e atteggiamenti collettivi, vengono prese in esame le
potenzialità offerte dal marketing sociale e le possibilità di applicazione dei
suoi principi e strategie.
Nel quarto capitolo si analizza il percorso comunicativo compiuto dallo Stato
relativamente al problema della droga. Attraverso un esame dei bandi di gara,
dei brief redatti dalle agenzie, del materiale prodotto e delle eventuali ricerche
post-campagna svolte viene ricostruito tale percorso in termini di obiettivi,
finalità, modalità di realizzazione e contenuti della campagna, soprattutto
contestualmente all’andamento che il fenomeno droga ha assunto nel corso
degli anni.
La seconda parte della tesi riguarda la ricerca empirica realizzata. La ricerca
mira ad esplorare quali siano gli atteggiamenti di parte della popolazione
giovanile nei confronti della pubblicità sociale, in generale, e della pubblicità
sociale sul tema della tossicodipendenza in particolare. L’universo giovanile,
infatti, costituisce il target principale cui tale comunicazione è diretta. Parte
della ricerca è finalizzata a rilevare il ricordo, il gradimento, l’atteggiamento
dello spot della campagna “O ci sei o ti fai”, e i processi di comprensione e di
interpretazione di tale spot da parte dei fruitori.
7
Nel quinto capitolo viene esposta la metodologia di ricerca utilizzata,
illustrando gli obiettivi di questa e gli strumenti di ricerca e di analisi dei dati
utilizzati.
Il sesto capitolo è dedicato all’analisi dei risultati della ricerca e al loro
commento, in relazione al quadro teorico che fa da sfondo alla pubblicità
sociale e al modello di fruizione dei testi mediali (Losito 1994, 2002).
In appendice, oltre al questionario ed al piano di codifica dei dati, è riportata
l’intervista realizzata all’account dell’agenzia pubblicitaria EuroRSCG che ha
curato la realizzazione della campagna “O ci sei o ti fai”, che ha permesso una
migliore comprensione degli obiettivi della campagna e di alcuni meccanismi
che agiscono nella realizzazione di una campagna di utilità sociale.
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PARTE PRIMA
CAP. 1 LA COMUNICAZIONE PUBBLICA
1.1 PROBLEMI DI DEFINIZIONE E SPIEGAZIONE DEL CONCETTO
La comunicazione pubblica rappresenta un ambito di studio relativamente
nuovo per il nostro paese, un ambito che ha conosciuto solo nell’ultimo
decennio un notevole sviluppo, anche in seguito ad importanti formalizzazioni
legislative.
Nella letteratura relativa a questo ambito disciplinare non si riscontra una
concordanza sulle denominazioni. Si parla di “pubblicità pubblica”, di
“comunicazione di pubblica utilità”, di “comunicazione pubblica” ecc., a
seconda dell’approccio adottato.
Ciò è dovuto, in parte, allo status della disciplina che si configura come una
disciplina in progress e, in parte, al fatto che essa si trova ad essere in un
punto di convergenza tra molte altre discipline quali il diritto, la sociologia, il
marketing, le scienze della comunicazione, caratterizzandosi necessariamente
in chiave multidisciplinare.
La principale difficoltà si ha nell’uso dell’aggettivo “pubblico”, il quale si
presta ad essere declinato in diverse accezioni. Infatti, tale termine può essere
ricondotto a due principali aree semantiche che implicano due modi diverse di
intendere la comunicazione pubblica:
- pubblico come inerente allo Stato e agli enti pubblici, in riferimento ai
soggetti promotori della comunicazione;
- pubblico come inerente alla collettività, in riferimento all’oggetto della
comunicazione.
La prima demarcazione che si può tracciare, tenendo conto di entrambe le
accezioni, è tra una comunicazione che soddisfa interessi particolaristici e una
comunicazione che soddisfa interessi che riguardano la generalità dei cittadini.
Le amministrazioni dello Stato, i partiti, le organizzazioni non profit , i
sindacati, sono tutti soggetti che, a diverso titolo e con diverse legittimità,
9
intervengono nella vasta area della comunicazione pubblica, contribuendo a
renderne labili i confini.
Per chiarire peculiarità, ambiti d’intervento e competenze della comunicazione
pubblica una preliminare chiarificazione sulle definizioni si rende necessaria.
1.1.1. Aspetti introduttivi: comunicazione pubblica e comunicazione di
mercato
Una prima necessità che si pone nella definizione della comunicazione
pubblica è quella di distinguerla dalla comunicazione di mercato. Questa
preliminare distinzione non implica, tuttavia, una totale separatezza delle due
aree, in quanto la comunicazione pubblica, pur avendo finalità differenti, si
colloca nello stesso spazio occupato dalla comunicazione commerciale,
avvalendosi degli stessi mezzi e delle stesse strategie comunicative. Inoltre, la
comunicazione pubblica, non avendo una tradizione consolidata nel nostro
paese si trova ad essere, a volte, un elemento estraneo alle modalità
comunicative prevalenti nei mass media, egemonizzati dalla pubblicità
commerciale, e deve sviluppare una sorta di concorrenza con essa, una
concorrenza che, tuttavia, si svolge su piani differenti.
La principale diversità tra la comunicazione pubblica e la comunicazione di
mercato si può individuare nelle finalità dell’attività di comunicazione
(Fiorentini 1990, pp. 173-175). Questa è strumento per il raggiungimento del
benessere comune nella comunicazione pubblica, mentre é strumento per la
massimizzazione del reddito delle imprese nella comunicazione commerciale.
La finalità della comunicazione dell’impresa consiste nell’orientare il
comportamento del consumatore verso l’acquisto di determinati beni o servizi
che consentano di raggiungere l’obiettivo economico dell’impresa stessa. Tale
obiettivo passa necessariamente attraverso la soddisfazione delle attese dei
clienti e tiene conto delle loro valutazioni. La finalità della comunicazione
dell’amministrazione pubblica si può definire, al contrario, come orientata alla
soddisfazione dell’interesse generale. Nella trasposizione pratica di questo
principio, tuttavia, si verifica una contrapposizione tra il suddetto interesse
generale e le “attese dei destinatari caratterizzate dai particolarismi” ( ivi, p.
173). Infatti, anche quando l’istituzione opera in un ambito che potremmo
10
definire come affine a quello commerciale come, per esempio, nella
pubblicizzazione di servizi forniti dalla pubblica amministrazione, essa “non
può fare comunicazione adattandosi semplicemente alle attese del destinatario”
( ivi, p. 173), spesso orientate in senso contrario a quelle che sono le finalità
dell’ente pubblico.
Anche nell’orientare il messaggio verso un determinato pubblico si potrebbero
verificare reazioni negative, dovute ad aspettative disattese, da parte di altri
cittadini; eventualità che non si verifica nell’ambito della comunicazione
commerciale.
Definendo il sistema globale della comunicazione come “area di trasferimento
di informazione, tanto gratuita quanto a pagamento, tra soggetti comunicanti
privati e pubblici costituiti in grandi e piccoli segmenti”, Rolando (1992, p. 29)
ne distingue all’interno, in relazione alle finalità della comunicazione, due
macroaree: la comunicazione pubblica e la comunicazione di mercato,
entrambe suddivise in tre settori.
Nell’area della comunicazione di mercato troviamo il settore della
comunicazione commerciale, che riguarda gli spazi acquistati e venduti sui
media, liberamente gestiti da chi li ha acquistati; quello della comunicazione di
“interessi sociali”, in cui viene espresso il punto di vista di parti sociali, quali
aggregazioni sindacali, associazioni civili, gruppi d’interesse economico; ed
infine, il settore dei media stessi.
L’area della comunicazione pubblica si definisce, sostanzialmente, in relazione
all’assenza di quegli interessi di parte che caratterizzano la precedente area
della comunicazione di mercato. Al suo interno possiamo distinguere la
comunicazione di “solidarietà sociale”, finalizzata alla promozione di una
causa sociale ad opera di soggetti privati o pubblici; la comunicazione politica,
promossa da partiti e movimenti, che si occupa di questioni di pubblico
interesse; e la comunicazione istituzionale, espressione delle istituzioni e della
Pubblica Amministrazione, finalizzata a svolgere un servizio d’informazione
capace di soddisfare i bisogni di conoscenza espressi dagli utenti.
Strumento comune ad entrambe le aree di comunicazione è la pubblicità che,
pur essendosi sviluppata come strumento di comunicazione delle imprese
11
industriali e commerciali, costituisce un mezzo indispensabile anche per la
comunicazione dei soggetti pubblici.
Rolando definisce “pubblicità di Stato” la pubblicità diretta all’apertura di un
dialogo tra Pubblica Amministrazione e cittadini e che “mantiene le forme e gli
stili efficaci della ‘presa diretta’ di chi vuol vendere qualcosa ma in un contesto
di contenuti e approcci in cui appaiono anche altri risvolti: informazioni di base
su materie di pubblica utilità, coinvolgimenti in processi di interesse generale,
strumenti (anche solo stimoli) per la piena realizzazione costituzionale del
rapporto diritti/doveri individualmente e socialmente diffusi” (1990, p.11).
L’autore, tuttavia, sottolinea come l’attività pubblicitaria sia solo uno degli
strumenti della comunicazione, anche se importante in quanto costituirebbe
uno “spazio autogestito” dallo Stato, libero dai filtri degli organi
d’informazione, “preziosi e autonomi centimetri (o minuti) di libertà
d’informazione”(1992, p. 5).
Anche Caligiuri (1997, pp 27-29), come Rolando, distingue all’interno della
comunicazione pubblica le tre aree della comunicazione sociale, politica ed
istituzionale. Con il termine comunicazione sociale si riferisce alle grandi
campagne di sensibilizzazione messe in atto sia dalle istituzioni che da
associazioni o imprese. All’interno dell’area della comunicazione politica
distingue la propaganda di partito sostenuta dal singolo candidato da quella
portata avanti dalla forza politica. Mentre la prima sarebbe ovviamente
parziale, la seconda avrebbe una diversa portata, promuovendo i valori più
generali di cui si fa portatrice. La comunicazione istituzionale, promossa dallo
Stato e dalle amministrazioni, è diretta “ad informare e raccogliere le domande
dei cittadini, come pure orientare la pubblica opinione su scelte lodevoli per il
bene della comunità e dei singoli individui” (p. 29).
In quest’ultima definizione si opera, tuttavia, una sovrapposizione tra la
comunicazione istituzionale e quella precedentemente definita come sociale, in
quanto le campagne di sensibilizzazione sono certamente finalizzate ad
orientare i cittadini verso comportamenti e scelte “lodevoli per il bene della
comunità”. Lo sono, perlomeno, le campagne promosse dalle istituzioni e dalle
12
associazioni non profit, mentre più difficile è rintracciare questa finalità
quando il soggetto promotore è direttamente un’impresa privata.
1.1.2. La “pubblicità pubblica”
Alcuni autori ritengono sia più opportuno utilizzare il termine “pubblicità
pubblica” nel descrivere l’attività di comunicazione tra Stato e cittadini, pur
nella consapevolezza della difficoltà di usare un termine tradizionalmente
afferente all’ambito commerciale in un contesto opposto.
Zanacchi (1999, pp. 243-245) sostiene che la dizione “pubblicità pubblica” è
da preferire per due ordini di motivi: per la minore significatività della parola
comunicazione rispetto alla specificità della tecnica utilizzata e per l’ambiguità
che potrebbe generare l’uso di altri aggettivi come “istituzionale” e “sociale”,
avendo questi un significato peculiare nell’ambito delle pratiche di
comunicazione. La pubblicità istituzionale è, infatti, relativa all’immagine
dell’impresa in generale, che si differenzia da quella che può essere la
“pubblicità di prodotto”, mentre la “pubblicità sociale” riguarda una delle
forme che può assumere la pubblicità non profit. Propone, quindi, l’utilizzo
dell’espressione “pubblicità pubblica” come specifica articolazione della
comunicazione pubblica considerata nel suo significato più ampio di
“comunicazione che ha come oggetto temi e problemi di interesse generale,
quali che siano i soggetti che la promuovono” (ivi, p.245). La pubblicità
pubblica è “una forma di pubblicità che si caratterizza per la natura pubblica di
chi la promuove e dei fini che si propone” e “le aree in cui può svilupparsi sono
estese quanto le competenze della pubblica amministrazione”( ivi, p. 268). E’
essenziale affinché si possa parlare di pubblicità pubblica che in essa siano
presenti, nello stesso tempo, la natura pubblica del soggetto promotore e
interesse pubblico delle finalità. All’interno di questa categoria Zanacchi
include tutte le varie declinazioni che può assumere il rapporto comunicativo
tra Stato e cittadini dalla pubblicità “sociale” a quella “d’immagine”, dalla
pubblicità relativa alle normative a quella per la promozione all’uso dei servizi
pubblici.
Fabris (1992, pp 585-597) ritiene che la preferenza che generalmente si
accorda all’espressione “comunicazione” piuttosto che pubblicità, derivi dal
13
persistere di vecchi pregiudizi verso di essa, considerata come tecnica di
manipolazione occulta. Parla, così, anch’egli di “pubblicità pubblica”
riferendosi alla pubblicità “svolta dallo Stato, dalla Pubblica Amministrazione
per comunicazioni che concernono i diritti/doveri del cittadino, per effettuare
un’adeguata informazione sulla propria attività , per incentivare l’uso dei
servizi pubblici” (ivi, p.588) e che è opportuno identificare come pubblicità
trattandosi di “un’insieme di tecniche rivolte, in senso lato, a persuadere, a
dissuadere da certi comportamenti o ad incentivarli, a sollecitare il
rafforzamento o la conversione di atteggiamenti – anche quando sono finalità
generali e non particolaristiche ad essere in gioco” ( ivi, pp 585-586). Questa
modalità di comunicazione viene differenziata dalla semplice emissione di
informazioni da parte dello Stato, che rappresenta la tradizionale modalità di
comunicazione dell’apparato pubblico ed è relativa al diritto del cittadino di
conoscere attività e servizi della Pubblica Amministrazione. Ciò che
caratterizza la pubblicità pubblica è l’intento persuasorio, pedagogico e
didattico.
Tali funzioni vengono riconosciute come peculiari della pubblicità pubblica
anche da Gadotti, che la considera come una specifica articolazione della
pubblicità sociale o di public service, ossia quella pubblicità che veicola
messaggi riguardanti “problemi d’interesse pubblico nell’interesse pubblico”
(1993, p.31). L’autrice individua una tipologia della pubblicità pubblica che
distingue tre diverse modalità comunicative messe in atto dallo Stato e dalle
Pubbliche Amministrazioni, in base alle finalità e agli obiettivi che questi si
pongono, e che caratterizza tre diverse “vesti” in cui la Pubblica
Amministrazione si propone (ivi, pp 183-196):
- l’amministrazione che educa. In questa veste lo Stato si fa attivatore di
un processo di comunicazione che ha l’obiettivo di promuovere o
cambiare determinati comportamenti e idee. Questa attività rientra
nell’ambito, definito dalla Gadotti, della “pubblicità sociale” finalizzata
al rafforzamento di stili di vita e abitudini in direzione dell’utilità
collettiva. Le campagne oggetto dell’attività educativa sono, per
esempio, quelle relative alla sicurezza stradale, alla tossicodipendenza,
14
all’AIDS, ecc. I soggetti che comunicano in tale ambito sono, oltre alla
Pubblica Amministrazione centrale, sempre più frequentemente gli enti
locali e le aziende municipalizzate. Gadotti ravvisa sia nelle tematiche
che negli stili di questa comunicazione una simmetria con l’analoga
attività svolta da Pubblicità Progresso, che starebbe ad indicare un
rapporto di “risonanza e di reciproco rinvio e supporto tra messaggi
pubblici e privati” (ivi, p.189).
- l’amministrazione che informa. Si tratta di un’attività comunicativa
finalizzata a rendere più comprensibile e “condivisibile” l’attività della
Pubblica Amministrazione tramite la pubblicizzazione dei propri
provvedimenti e delle proprie modalità di funzionamento. Tuttavia, per
poter considerare il messaggio informativo come appartenente alla
categoria della pubblicità pubblica è necessario che questo sia
connotato da un elemento persuasivo, nel senso che venga presentato in
maniera tale che il cittadino, al di là del momento informativo, possa
“sorprendervi un momento di utilità individuale e collettivo” (ivi, p.
191) e, quindi, venga persuaso a disporsi positivamente verso
l’amministrazione che lo promuove;
- l’amministrazione che si promuove. All’interno di questa categoria
Gadotti distingue due differenti filoni. Innanzitutto, lo Stato che si
autopromuove attraverso una comunicazione d’immagine (corporate
advertsing, dal punto di vista aziendale) relativa alla promozione del
proprio ruolo e del proprio operato. L’autrice avverte che si tratta di una
modalità pubblicitaria tra le più delicate, che si presta maggiormente ad
andare incontro alle diffidenze dei cittadini a causa della possibile
discordanza tra i contenuti da essa veicolati e il concreto agire
dell’amministrazione per come viene percepito dagli utenti.
L’altro filone della pubblicità di immagine è relativo alla promozione
dei servizi offerti dalla Pubblica Amministrazione, finalizzata ad
incrementarne l’uso, e per la quale si presentano gli stessi problemi
sulla possibile discordanza tra immagine comunicata e immagine
percepita.
15
1.1.3. La comunicazione di pubblica utilità
Le definizioni fin qui illustrate considerano tutte le attività di comunicazione
svolte dal soggetto pubblico come un tipo particolare di pubblicità. Tuttavia
l’attività pubblicitaria, pur nella sua importanza e visibilità, nell’ambito della
costruzione di un rapporto comunicativo tra Stato e cittadini, dovrebbe essere
integrata con altre attività comunicative che, a vari livelli, concorrano
all’effettiva instaurazione di un processo comunicativo tra potere pubblico e
cittadinanza. Se per alcune finalità quali, ad esempio, la comunicazione
dell’immagine dell’istituzione, la pubblicità costituisce uno strumento
essenziale, per altre finalità che possono essere, per esempio, il cambiamento di
determinati comportamenti o atteggiamenti, potrebbero risultare più utili altre
modalità di comunicazione. La stessa Gadotti (1995, pp 419-420) avverte che
in alcuni contesti la pubblicità potrebbe rivelarsi una modalità comunicativa
inopportuna o inefficace, soprattutto nel caso in cui essa rappresenti l’unica
iniziativa intrapresa per diffondere un messaggio di pubblica utilità.
In un opera successiva (2001, pp 15-23), realizzata in collaborazione con
Bernocchi, l’autrice preferisce usare il termine comunicazione “di pubblica
utilità” per definire la comunicazione relativa a tematiche d’interesse per la
popolazione che non siano lucrative, messe in essere da un soggetto sia
pubblico che privato. L’espressione “pubblica utilità” viene preferita a
“comunicazione pubblica” in quanto considerata come troppo legata alla
comunicazione della pubblica amministrazione e ad una visione statalistica
della comunicazione pubblica. Viene così ad ampliarsi lo spettro dei possibili
soggetti e degli ambiti che entrerebbero legittimamente a far parte di questo
tipo di comunicazione. Gli autori costruiscono una classificazione della
comunicazione di pubblica utilità, basata sui soggetti della comunicazione, che
viene a sua volta suddivisa in tipologie di comunicazione a seconda
dell’oggetto della comunicazione medesima. La comunicazione di pubblica
utilità può quindi essere ripartita in:
comunicazione delle istituzioni pubbliche, che si esprime
principalmente in quattro modalità:
16
- comunicazione istituzionale, finalizzata alla promozione
dell’immagine dell’istituzione in quanto tale;
- comunicazione normativa, tesa a rendere pubbliche norme e
decisioni dello Stato;
- comunicazione di pubblico servizio, diretta a promuovere la
conoscenza e l’utilizzo dei servizi pubblici;
- comunicazione sociale, riguardante tematiche di rilievo sociale
con finalità prevalentemente educative;
comunicazione dei partiti, la quale viene considerata come appartenente
all’ambito della comunicazione di pubblica utilità, pur nella
consapevolezza della sua peculiarità rispetto ad altre aree di tale
comunicazione, essendo i partiti espressione della società civile e
garanzia del processo democratico. Anche la comunicazione dei partiti
può articolarsi in diverse modalità: la propaganda elettorale,
l’esternazione politico istituzionale, la comunicazione della propria area
di appartenenza ecc.;
comunicazione delle organizzazioni non profit, anche la comunicazione
delle organizzazioni senza fini di lucro si svolge secondo quattro
modalità principali:
- comunicazione istituzionale, finalizzata a far conoscere
l’organizzazione stessa, la sua immagine, il suo ruolo e il suo
operato;
- comunicazione di pubblico servizio, che si propone la
promozione degli eventuali servizi offerti dall’associazione;
- comunicazione sociale, volta a sensibilizzare ed educare la
collettività o determinati pubblici in relazione a un tema di
rilevanza sociale o a raccogliere denaro a sostegno di una causa
o dell’associazione stessa. In realtà non sembra opportuno
eguagliare la comunicazione relativa a problematiche sociali e
quella relativa alla raccolta di denaro (fund raising) essendo,
teoricamente, due distinte attività comunicative con obiettivi
sostanzialmente diversi, anche se nella loro trasposizione
17
pratica, soprattutto nel caso di associazioni di piccole
dimensioni, vengono costantemente a sovrapporsi;
- advocacy, una particolare forma di comunicazione sociale
relativa ad argomenti di carattere controverso, che si prestano
ad una presa di posizione di parte;
comunicazione delle grandi istituzioni, riprendendo la definizione di
Mancini (1996) di “istituzioni semi-pubbliche”, gli autori considerano
appartenente a questo ambito la comunicazione di soggetti quali le
organizzazioni sindacali, imprenditoriali, la Chiesa, tutti soggetti di
lunga tradizione e di grande rilevanza sociale che mirano a creare
consenso intorno al loro operare. La tipologia delle forme di
comunicazione è analoga a quella delle organizzazioni non profit:
- comunicazione istituzionale, per esempio la Chiesa che
comunica la propria presenza a fianco dei deboli;
- comunicazione di pubblico servizio, per esempio il sindacato
che comunica i servizi che offre ai lavoratori;
- comunicazione sociale, in genere attivata dalla Chiesa
tradizionalmente promotrice di iniziative sociali;
- advocacy, per esempio la comunicazione religiosa su temi
controversi relativi alla sessualità. Potremmo considerare
comunicazione di advocacy anche le differenti comunicazioni
di sindacati e Confindustria nel caso di particolari
provvedimenti riguardanti i diritti dei lavoratori o di
ristrutturazione del mondo del lavoro;
comunicazione delle aziende pubbliche o private, l’inclusione di tali
soggetti nella categoria della comunicazione di pubblica utilità è
limitata solo ad alcuni casi particolari, quando cioè l’impresa mette in
atto iniziative di comunicazione paragonabili a quelle delle
organizzazioni non profit (e spesso in collaborazione con esse). Tali
iniziative hanno per oggetto tematiche sociali sulle quali sensibilizzare
18
l’opinione pubblica o cause da promuovere ( cause related marketing
1
).
In tale tipo di comunicazione è naturalmente presente una finalità
commerciale, nel senso di ricaduta positiva sull’immagine dell’impresa.
Tuttavia “dal punto di vista della forma e dell’efficacia, si tratta spesso
di comunicazioni paragonabili a quelle delle organizzazioni non profit”
(ivi, p.22). Anche nel caso di aziende pubbliche e o privatizzate con
funzioni di servizio pubblico è necessario distinguere tra la
comunicazione con finalità essenzialmente di profitto e quella che
promuove comportamenti di utilità sociale, come nel caso di un utilizzo
intelligente di risorse quali l’energia elettrica.
La pubblicità costituirebbe, quindi, la parte più visibile, potremmo dire
trainante, di una serie di attività di comunicazione che la particolare interazione
tra due soggetti quali Stato e cittadino richiederebbe. In questo senso
sembrerebbe più idoneo, in accordo con altri autori che si sono occupati in
maniere approfondita dell’argomento, l’utilizzo del termine “comunicazione
pubblica”.
1.1.4 Ambiti di applicazione: i “public affairs”
Mancini propone una definizione di comunicazione pubblica partendo dagli
“oggetti” ai quali viene applicata, cioè i public affairs , letteralmente gli “affari
di interesse generale”. La comunicazione pubblica si identifica nell’ “area di
attività simbolica di una società in cui, a seguito dei processi di
differenziazione sociale, sistemi diversi interagiscono e competono per
assicurarsi visibilità e per sostenere il proprio punto di vista su argomenti di
interesse collettivo” (Mancini 1996, p .87).
Quindi, viene definita come comunicazione pubblica la comunicazione che ha
per oggetto gli “affari di interesse generale”, riguardanti la comunità nel suo
complesso e che “producono effetti innanzitutto sulle interazioni tra i diversi
1
Il cosiddetto “cause related marketing” viene definito da Sodalitas (Associazione per lo
sviluppo dell’impresa nel sociale) “un’attività commerciale in cui imprese, organizzazioni non
profit o cause di utilità sociale formano una partneship al fine di promuovere un’immagine, un
prodotto o un servizio, traendone reciprocamente beneficio”, Congresso 25 Marzo 1999,
Milano. Per una trattazione più approfondita dell’argomento si rimanda al cap. 2, par. 2.3.3.