II
movimento sindacale il libro di Sergio Turone, Storia del sindacato in
Italia. Dal 1943 al crollo del comunismo e la biografia di Giuseppe di
Vittorio realizzata da Michele Pistillo, in particolare il volume Giuseppe
Di Vittorio 1944 – 1957, e per la storia del Partito Comunista Italiano, i
volumi Storia del Partito comunista italiano, il primo di Renzo
Martinelli e il secondo dello stesso Martinelli e di Giovanni Gozzini,
integrati con le biografie, gli scritti e le interviste di quanti sono stati
protagonisti degli avvenimenti di quegli anni e quindi i membri del
gruppo di vertice del PCI e della CGIL, con particolare attenzione per
le figure di Palmiro Togliatti, Giuseppe Di Vittorio e Agostino Novella.
I1 lavoro di ricerca è stato condotto essenzialmente su fonti a stampa,
con particolare riguardo per L’Unità, Rinascita e Rassegna Sindacale.
Il lavoro compiuto si pone come obiettivo finale quello di collocare in
un quadro omogeneo quanto di pubblicato, al momento, risulta
disponibile alla consultazione.
Il primo capitolo di questo lavoro è occupato da un’ampia panoramica
storica degli avvenimenti verificatisi negli anni tra il 1944, firma del
Patto di Roma, e il 1954. Ciò è stato reso necessario dall’importanza
decisiva assunta da tali eventi per i riflessi che avrebbero avuto sullo
sviluppo storico - politico degli anni successivi.
Al centro del lavoro si pone, inevitabilmente, il 1956, anno carico di
significati, comunemente ritenuto fondamentale per la svolta dei rapporti
tra Partito e sindacato e per la politica della Confederazione.
La fine del meccanismo della “cinghia di trasmissione” e la dichiarata
indipendenza della CGIL dal Partito che, per certi aspetti, appariva più
formale che reale, come non mancarono di far notare gli organi di
stampa vicini alla DC, furono il punto di partenza per una nuova
strategia sindacale, attenta alle esigenze di fabbrica e alla ricerca di un
dialogo con le altri centrali sindacali.
III
La morte di Giuseppe Di Vittorio, avvenuta nel novembre 1957, e
l’insediamento di Agostino Novella alla carica di segretario generale
della Confederazione contribuirono a consolidare la politica del “ritorno
alla fabbrica” e dell’unità di azione, anche se la maggioranza comunista
presente all’interno della CGIL non mancò di appoggiare, più o meno
apertamente, il PCI in qualsiasi occasione.
L’avvicendamento ai vertici della Confederazione sindacale portò,
certamente, ad un profondo cambiamento delle prospettive del sindacato
e anche l’analisi della realtà in cui esso si trovava ad agire subì notevoli
cambiamenti, ponendo in primo piano la necessità di attuare una
strategia che vedesse la fabbrica al centro dell’elaborazione della politica
sindacale, ma pesava sull’effettiva indipendenza della CGIL dal PCI il
fatto che il nuovo segretario della Confederazione fosse stato, prima di
tutto, un membro del Partito affiancato nella direzione del sindacato al
segretario in carica.
In questo contesto ebbero luogo le grandi lotte sindacali per il rinnovo di
alcuni contratti nazionali, tra i più importanti ricordiamo quello dei
metalmeccanici e quello dei tessili, del 1959, in occasione delle quali
CGIL, CISL e UIL compirono i primi passi sulla strada dell’unità di
azione sindacale.
In conclusione possiamo sostenere che gli effetti degli avvenimenti del
1956 contribuirono ad aprire, per il sindacato, la strada dell’effettiva
autonomia, ma, ancora nel 1960, la CGIL era lontana dalla conquista di
una piena indipendenza, anche a causa del clima di reciproca diffidenza
nel quale prendevano corpo i nuovi rapporti con le altre centrali
sindacali.
I
1944 – 1954. Dall’unità all’isolamento.
1. La CGIL unitaria dal Patto di Roma al Congresso di Firenze
Con la stipula del Patto di Roma
1
, 3 giugno 1944, e la rinascita di un
movimento sindacale libero, dopo la clandestinità durante il periodo
fascista, la questione della dipendenza dei sindacati dagli schieramenti
politici si ripresentò con forza.
Si deve sottolineare però che non si trattava di una completa
subordinazione politica, bensì di una dipendenza, differenza questa che
può essere rilevata considerando la semplice sequenza cronologica degli
avvenimenti. La Confederazione Sindacale unitaria, infatti, visse un
breve intervallo dopo la lacerazione avvenuta tra i partiti antifascisti,
prima che si consumassero le scissioni del 1948.
Possiamo, inoltre, essere d’accordo con quanto ipotizzato da Elisabetta
Benenati, la quale sostiene che la presenza di componenti politiche
diverse all’interno della Confederazione abbia fornito gli “spazi di un
ruolo autonomo (da soggetto politico si direbbe oggi) nel processo di
ricostruzione”
2
, anziché subordinare il sindacato al sistema dei partiti. In
questo contesto, la figura di Di Vittorio assume i caratteri del mediatore,
elemento che cerca di elaborare una sintesi delle posizioni sostenute
dalle diverse correnti presenti nel sindacato.
1
Per il testo integrale del «patto di Roma» cfr. PISTILLO, Michele, Giuseppe Di Vittorio. 1924-1944,
Roma, Editori Riuniti, 1975, Appendice, pp. 471-473.
2
BENENATI, Elisabetta, “1943-1949. Nascita e morte della CGIL unitaria”, in CGIL. il lavoro della
confederazione. Milano, Mazzotta, 1988, p. 293-294.
2
Richiami ideologici, pressioni dall’esterno, sviluppi della situazione
internazionale, che in poco tempo si era evoluta in direzione di una forte
chiusura in blocchi tra paesi posti sotto l’influenza degli Stati Uniti e
paesi posti sotto il controllo dell’Unione Sovietica, è in questo difficile
periodo di transizione che fu introdotta la nozione di “cinghia di
trasmissione”
3
, formula che identificò le relazioni tra CGIL e PCI e che
avrebbe accompagnato i rapporti tra partito e sindacato fino all’VIII
Congresso del Partito Comunista Italiano.
Lo stesso Di Vittorio si rendeva conto del pericolo corso dalla
Confederazione unitaria. Era fin troppo semplice che il sindacato
conducesse la propria azione sulla base delle correnti presenti al suo
interno ed egli propugnava, fin dai primi passi del nuovo sindacato, la
necessità per la CGIL di perseguire una propria linea politica. Non era,
infatti, tenendo lontana la CGIL dalla politica che sarebbe stato possibile
rendere il sindacato indipendente dai partiti.
Tale posizione fu ribadita dallo stesso Di Vittorio in un’intervista
apparsa su “L’Unità” del 2 luglio 1944:
“E’ bene chiarire, quindi, che i sindacati sono e debbano essere
effettivamente indipendenti da tutti i partiti politici; che tutti gli
operai di qualsiasi opinione e fede religiosa hanno il diritto – e noi
aggiungiamo il dovere – di iscriversi al sindacato anche se non
intendano iscriversi a nessuno dei partiti antifascisti; che da
quando un sindacato si costituisce regolarmente e convoca
l’assemblea, questa è sovrana e quindi deve procedere all’elezione
democratica della sua direzione nella quale risulteranno così
3
Il termine, introdotto da Lenin con il significato di strumento rivoluzionario e temporaneo, acquisì
una connotazione negativa. Con il passare del tempo questa espressione fu impiegata per indicare la
situazione in cui il partito prendeva tutte le decisioni al posto del sindacato o per mettere in risalto la
matrice politica delle concezioni sindacali.
3
rappresentate proporzionalmente tutte le correnti effettivamente
esistenti”
4
.
Nello stesso tempo, i problemi relativi all’assetto strutturale che la CGIL
avrebbe dovuto assumere (democrazia interna, partecipazione dei
lavoratori all’elezione degli organi dirigenti, costruzione delle
federazioni nazionali di categoria)
5
si intrecciarono a quelli riguardanti la
condizione dei lavoratori, la situazione del paese, la difesa delle più
elementari condizioni di vita. I primi sei mesi di vita della CGIL unitaria
furono difficili, in primo luogo per la presenza all’interno del sindacato
di numerose categorie, con esigenze diverse e richieste reali e concrete,
ma anche per i problemi che essa dovette affrontare, quali la
ricostruzione e lo sviluppo dell’economia del paese.
Il contributo di Di Vittorio alla crescita della Confederazione sindacale
fu, senza dubbio, di fondamentale importanza, ma la convergenza della
strategia della CGIL con quella che il PCI portava avanti nelle sue linee
generali
6
pesò sul giudizio che la stampa vicina alla Democrazia
Cristiana diede del dirigente comunista.
Come ha sottolineato anche Michele Pistillo, nella biografia di Di
Vittorio:
“L’obiettivo era quello di avvalorare la tesi di un sindacato
succube della volontà, delle decisioni del partito comunista, privo,
quindi, di autonomia, dislocato non sul terreno della difesa degli
interessi dei lavoratori, ma di quelli di un solo partito”
7
.
4
DI VITTORIO, Giuseppe, Intervista pubblicata su L’Unità, 2.7.1944.
5
DI VITTORIO, Giuseppe, “Per la democrazia sindacale”, in L’Unità, 15.7.1944.
6
Cfr. TOBAGI, Walter, “I sindacati nella ricostruzione (1945 – 1950)”, Il Mulino, novembre –
dicembre 1974, p. 935.
7
PISTILLO, Michele, Giuseppe Di Vittorio 1944 - 1957, Roma, Editori Riuniti, 1977, p.61.
4
Agli inizi del 1945, e più precisamente il 28 gennaio, ebbero inizio a
Napoli i lavori del Congresso della CGIL. Erano trascorsi venti anni
dall’ultima assise libera della vecchia Confederazione generale del
lavoro.
Di Vittorio, in un’intervista rilasciata a L’Unità sintetizzò in questi
termini gli obiettivi del congresso:
“Oltre che tracciare la linea generale di un piano di ricostruzione
economica, secondo le esigenze generali del paese e non secondo
particolari interessi plutocratici; oltre che formulare le principali
rivendicazioni dei lavoratori italiani nel momento attuale ed
esprimere la loro volontà di portare un più valido contributo alla
liberazione dei nostri fratelli del Nord e dell’Italia, il congresso
dovrà procedere alla costituzione delle più importanti federazioni
nazionali.
Infine, cosa importantissima, il congresso dovrà approvare lo
statuto confederale che fissa la struttura ed i principi organizzativi
della CGIL, che sono notoriamente fondati sulla base della più
ampia ed illimitata democrazia interna”
8
.
Al Congresso che si svolse dal 28 gennaio al 1 febbraio nella sala degli
Arazzi del Museo nazionale di Napoli parteciparono circa cinquecento
delegati, eletti, con voto segreto, nelle assemblee di fabbrica delle dodici
regioni dell’Italia centro – meridionale, da circa un milione e mezzo di
iscritti, ma riuscirono ad essere presenti anche alcuni rappresentanti
venuti dal Nord, ancora occupato.
I temi affrontati nel corso dell’assise riguardarono la ricostruzione, la
questione dei monopoli e i problemi della piccola proprietà, affiancati da
quello della disoccupazione. In questa occasione vennero chiariti anche i
caratteri che il sindacato unitario avrebbe dovuto assumere in futuro.
8
DI VITTORIO, Giuseppe, in L’Unità, 14.1.1945.
5
Esso avrebbe dovuto essere indipendente da tutti i partiti, ma non
avrebbe dovuto abbandonare la scena politica.
Giuseppe Di Vittorio, nella relazione conclusiva, espresse in questi
termini la posizione dei sindacalisti comunisti riguardo le caratteristiche
politiche del sindacato:
“Io affermo che, a mio giudizio, la CGIL non è apolitica, non può
essere apolitica. La CGIL è, se si può dire con una brutta parola
italiana, apartitica; cioè è e deve essere sempre indipendente da
qualsiasi partito e deve guardarsi dal far intromettere i partiti nella
soluzione delle sue questioni interne. L’indipendenza deve essere
completa, assoluta, totale. Ma questa apoliticità non deve
significare apoliticità, cioè agnosticismo, di fronte ai problemi
politici. Vi sono problemi politici che sono esclusivamente del
partito, e quelli sono estranei alla CGIL. Vi sono, invece, problemi
politici che non interessano soltanto questo o quel partito, ma tutta
la massa lavoratrice e tutto il popolo italiano; questi sono anche
problemi che riguardano la Confederazione. Un esempio a titolo
esplicativo: la libertà, non è un problema economico sindacale, è
politico”
9
.
Uno dei punti fondamentali del dibattito congressuale fu quello
riguardante lo statuto provvisorio della CGIL, da rendere definitivo, una
volta che si fosse realizzata la liberazione completa del paese, con un
congresso al quale potessero partecipare delegati eletti regolarmente di
tutte le regioni italiane.
Fu soprattutto l’art. 9 dello Statuto provvisorio, il quale avrebbe subito
alcune modifiche, non sostanziali, al I Congresso nazionale di Firenze
9
Cfr. La CGIL d al Patto di Roma al congresso di Genova, v. 1, a cura dell‘Ufficio stampa e
propaganda della CGIL, Roma, 1949.
6
del 1947, a rivestire una notevole importanza, in quanto con tale articolo
si ribadiva la necessità dell’indipendenza dei sindacati dai partiti e si
sviluppava, confermandola, la linea del “Patto di Roma"
10
.
L’altro punto al centro della discussione era l’art. 59, riguardante il
diritto di sciopero nei servizi pubblici. Alla fine del dibattito fu accolto
dal congresso un emendamento in base al quale:
“Qualsiasi organizzazione di addetti ai servizi pubblici è obbligata,
nel caso di proclamazione di sciopero, a garantire dal punto di
vista tecnico il funzionamento dei servizi stessi. Nel caso, invece, si
voglia interrompere il totale funzionamento dei servizi, occorrerà
l’autorizzazione del comitato della rispettiva federazione nazionale
e del Comitato direttivo della confederazione”
11
.
Nonostante il congresso di Napoli (che in seguito sarà considerato come
un “convegno delle organizzazioni delle regioni liberate”, mentre il
Congresso di Firenze sarà considerato il primo) si fosse svolto in assenza
dei delegati delle regioni più avanzate del paese, la linea del “Patto di
Roma” ne uscì consolidata.
Pochi mesi dopo il Congresso, la liberazione del Nord Italia divenne
realtà: nell’aprile del 1945 le forze nazifasciste si arresero e il governo
legale del paese tornò a Roma. La Liberazione avvenne in un contesto
che non mancò di influenzare i futuri sviluppi politici ed economici del
10
Questo è il testo dell’art. 9 approvato a Napoli: “L’indipendenza dei Sindacati dai partiti politici e
dallo Stato non significa agnosticismo dei Sindacati di fronte a tutti i problemi di carattere politico.
La CGIL prenderà posizione su tutti i problemi politici che interessano, non già questo o quel partito,
bensì la generalità dei lavoratori, come quello della conquista e dello sviluppo della democrazia e
delle libertà popolari, quelli relativi alla legislazione sociale, alla ricostruzione ed allo sviluppo
economico del paese, ecc. e difenderà le soluzioni favorevoli agli interessi dei lavoratori”.
11
Cfr. La CGIL dal Patto di Roma al congresso di Genova, v. 1, a cura dell‘Ufficio stampa e
propaganda della CGIL, Roma, 1949, p. 204. Dobbiamo ricordare che l’emendamento sopracitato, pur
accolto dall’assemblea, non fu inserito nella stesura definitiva dell’art.59.
7
paese: divisione del mondo in sfere di influenza, condizionamento
esercitato sull’Italia dagli Alleati, tendenza alla costituzione di uno
schieramento anticomunista, iniziativa condotta dalla monarchia, punto
di riferimento per lo schieramento conservatore, e dal Vaticano, in
funzione palesemente anticomunista.
In un simile contesto, la CGIL estese al Nord la propria azione,
trasformandosi in una grande forza nazionale, e si impegnò non solo nel
trovare una soluzione dei problemi economici e rivendicativi, ma anche
sul piano prevalentemente politico, a sostenere la ricostruzione e la
formazione di un governo democratico.
Oreste Lizzadri, responsabile della corrente socialista, definì in questi
termini la necessità, per il paese, di un governo democratico, in
un’intervista rilasciata a L’Unità del 26 maggio:
“L’esistenza di un governo democratico è fondamentale per
l’azione sindacale dei lavoratori. ma oggi, dopo la lotta condotta in
ogni parte d’Italia dai lavoratori che hanno realizzato la gloriosa
insurrezione nazionale nel Nord, le esigenze della classe
lavoratrice si identificano con quelle di tutta la nazione. Sarebbe
perciò inconcepibile un governo italiano che non traesse la sua
autorità dalle masse lavoratrici”
12
.
Il 20 giugno, dopo una lunga e difficile trattativa, durante la quale furono
scartate le candidature di De Gasperi e Nenni per mancanza di accordo,
si formò un governo con a capo Ferruccio Parri, azionista ed esponente
di spicco della Resistenza. In questo governo, Nenni rivestì l’incarico di
Ministro degli Esteri, mentre a Palmiro Togliatti fu affidato il Ministero
della Giustizia.
12
LIZZADRI, Oreste, “Sei milioni di lavoratori nella CGIL con la liberazione del Nord”, Intervista
rilasciata a L’Unità, 26.5.1945.
8
La linea adottata dalla CGIL, fu di sostegno e collaborazione con il
governo Parri, per difenderlo, come disse Di Vittorio, dalla reazione e
sostenerlo nello sviluppo democratico
13
.
In un memoriale consegnato dalla CGIL al presidente del consiglio
venivano indicati i punti fondamentali per un primo intervento urgente
per fronteggiare la gravità della situazione: inizio dei lavori pubblici,
blocco dei licenziamenti regolamentazione degli sfratti, controllo sulla
politica di emigrazione
14
.
Le critiche della CGIL al governo Parri iniziarono a farsi sentire già nel
settembre del 1945, soprattutto per quanto riguardava l’aumento del
costo della vita e la carenza d’impegno nei confronti della lotta alla
disoccupazione. Nel corso della riunione del Comitato direttivo del 21
settembre, alla quale parteciparono per la prima volta anche i
rappresentanti sindacali delle regioni settentrionali, Giuseppe Di Vittorio
disse, riferendosi alla necessità di contenere i prezzi e riuscire a
controllare meglio il mercato nero:
“Ogni controllo presuppone la scelta di due vie: o il governo è
forte ed ha una polizia efficiente per esercitare il controllo o è
debole ed allora deve appoggiarsi sulle forze popolari. Abbiamo il
diritto di chiedere al governo democratico di scegliere la seconda
via suscitando lo entusiasmo e le iniziative popolari, sia pure
disciplinate dalle forze del governo. Senza di ciò non si otterranno
risultati concreti”.
15
13
DI VITTORIO, Giuseppe, “Intervento al Comitato Direttivo della CGIL”, 25.7.1945, Archivio della
CGIL, Roma, 1945, citato in PISTILLO, Michele, op. cit., p. 82.
14
Cfr. L’Unità, 29.6.1945.
15
DI VITTORIO, Giuseppe, Intervento al Comitato direttivo del 21.9.1945, Archivio della CGIL,
Roma, 1945, citato in PISTILLO, Michele, op. cit., p. 83.
9
Insistendo, poi, sulla necessità di procedere sulla strada della
ricostruzione e della lotta alla disoccupazione, impegnando tutte le
risorse disponibili e auspicando che lo Stato agisse con maggiore audacia
in questo campo, appoggiando la CGIL, Di Vittorio disse:
“Per far fronte alla disoccupazione è necessario utilizzare tutte le
possibilità produttive del paese. Nel campo dei lavori pubblici si è
fatto qualche progresso, tuttavia insufficiente. Ancora maggiore
audacia. Oltre alle difficoltà oggettive c’è un fatto che limita
artificialmente le possibilità di lavoro ed ostacola la ricostruzione.
Non si intraprende nulla che non assicuri preventivamente un
determinato profitto. Lo Stato democratico appoggi la CGIL perché
tutte le risorse del paese siano mobilitate ed utilizzate anche
quando non sia certo un alto profitto. Poggiare sulle masse
popolari. […] Soltanto con maggior lavoro si risana l’economia
del paese”.
16
Da parte democristiana e liberale, invece, la linea politico – economica
del governo fu giudicata troppo sbilanciata a sinistra, cosicché, i liberali,
sostenuti dai democristiani, decisero di ritirarsi dal governo,
determinandone la caduta il 24 novembre 1945, con l’appoggio degli
Alleati, i quali avrebbero preferito un governo più moderato.
Comunisti e socialisti accettarono la caduta del governo, convinti della
possibilità di una candidatura di Nenni. Le speranze della sinistra
sfumarono e nel dicembre del 1945 si formò il primo ministero
presieduto da Alcide De Gasperi, il quale attuò una svolta in senso
moderato.
16
DI VITTORIO, Giuseppe, Intervento al Comitato direttivo del 21.9.1945, Archivio della CGIL,
Roma, 1945, citato in PISTILLO, Michele, op. cit., p. 83.
10
In questo contesto, dal 29 dicembre 1945 al 7 gennaio 1946, ebbe luogo
a Roma, nell’aula magna dell’Università, il V Congresso nazionale del
Partito comunista italiano.
Si trattò della prima assise nazionale dei comunisti italiani dalla caduta
del fascismo e la liberazione del paese, la quale si svolse mentre in Italia
dovevano ancora farsi sentire li effetti della ricostruzione.
Palmiro Togliatti, in un articolo pubblicato sul numero di dicembre di
Rinascita, non firmato, ma sicuramente attribuibile a lui
17
, delineò con
queste parole l’importanza del quinto congresso per i comunisti, i partiti
operai e quanti avevano a cuore lo sviluppo democratico del paese:
“Il V Congresso del Partito comunista rappresenta oggi un
avvenimento che h carattere ed importanza nazionale. È perciò che
l’attesa e l’interesse dei circoli politici italiani e stranieri sono
tanto vivi ed accentuati. Le discussioni e le decisioni di questo
Congresso – ognuno lo sente – non sono destinate a trovare i
propri limiti nella cerchia sia pur vasta delle organizzazioni del
partito, ma, investendo i problemi fondamentali del popolo italiano,
ad estendersi a tutta la vita della nazione. Aspro, difficile, ma pur
luminoso e ricco di insegnamenti è il cammino percorso dal nostro
partito”.
18
Il discorso di apertura del Congresso fu affidato a Fabrizio Maffi,
esponente socialista. Dopo di lui presero la parola Edoardo D’Onofrio,
segretario della federazione provinciale di Roma, Li Causi, il quale lesse
un telegramma inviato da Stalin all’assemblea e Roveda, che espose un
ordine del giorno articolato in tre punti: costruzione di un’Italia
17
Cfr. MARTINELLI, Renzo, Storia del Partito comunista italiano. Il “partito nuovo” dalla
Liberazione al 18 aprile. Torino, Einaudi, 1995, p. 37
18
TOGLIATTI, Palmiro, Quinto Congresso, in Rinascita, a. II, n. 12, dicembre 1945.
11
democratica; creazione del partito nuovo della classe operaia e dei
lavoratori italiani; elezione del Comitato Centrale del Partito.
La prima relazione presentata fu quella di Togliatti
19
. Nel suo rapporto, il
segretario del partito non nascose le proprie preoccupazioni riguardo la
situazione internazionale e soprattutto per quella nazionale le sue parole
si fecero pesanti e il giudizio fu pessimista. Disse, infatti, Togliatti:
“L’indipendenza del nostro paese di fatto oggi non esiste più.
Siamo stati respinti indietro, in questo campo, di parecchie
generazioni. Ancora una volta l’Italia è stata corsa da un capo
all’altro da eserciti stranieri […]. Nel campo economico, non
abbiamo di fatto nessuna autonomia nei rapporti con l’estero […].
C’è qualcuno che arriva a pensare che l’Italia dovrebbe diventare
sfera di influenza di non so quale potenza o gruppo si potenze
straniere e determinati gruppi interni sembrano disposti perfino ad
accettare questa posizione[…]”
20
.
Il rapporto di Togliatti si concluse, relativamente alla situazione politica
del paese, con un severo giudizio sulla DC e con una scelta
inequivocabile a favore della democrazia parlamentare.
Nel corso del dibattito ci fu un importante intervento di Giuseppe Di
Vittorio, il quale, sostenne la necessità, per la Confederazione sindacale,
di provvedere ad un rinnovamento delle strutture, in modo da poter
essere in grado di rispondere al ruolo che la classe operaia rivestiva nella
società e rivolse alla stessa un invito, quello di impegnarsi affinché si
potesse verificare un aumento della produzione e una diminuzione dei
costi, per riuscire a consolidare gli aumenti salariali.
19
Il testo integrale della relazione di Togliatti è pubblicato in SANTOMASSIMO, Gianpasquale [a
cura di] Palmiro Togliatti, Opere scelte, Editori Riuniti, Roma, 1974, pp. 402-455. Gli atti ufficiali del
congresso non sono mai stati pubblicati.
20
TOGLIATTI, Palmiro, Rapporto al V Congresso del PCI, Ibidem.
12
Il sindacato, nell’intervento di Di Vittorio, assunse i connotati di
un’organizzazione alla quale la popolazione avrebbe potuto rivolgersi
per tutte le necessità, un organismo che avrebbe portato a termine
compiti che sarebbero andati al di là delle semplici rivendicazioni
economiche salariali. Nelle parole del dirigente comunista possiamo
cogliere l’importanza di tali compiti:
“Noi dobbiamo far sì che il movimento sindacale possa avere
questa fierezza, di essere non soltanto lo strumento delle
rivendicazioni di carattere economico dei lavoratori ma di essere
anche la speranza di tutta la popolazione, l’organismo al quale
tutti coloro che nella popolazione subiscono una ingiustizia, tutti
coloro che hanno un affronto, tutti coloro che hanno un bisogno
urgente ed impellente si rivolgono alla Camera del lavoro. E la
Camera del lavoro deve saper difendere con gli interessi specifici
sindacali del lavoratore gli interessi generali di tutta la
popolazione della città e della campagna”
21
.
Per realizzare completamente una simile riforma, secondo Di Vittorio,
diventava assolutamente necessario che i lavoratori partecipassero in
prima persona all’opera di ricostruzione del paese:
“Nella nuova situazione, noi operai, noi lavoratori in generale,
dobbiamo ritenerci i maggiori responsabili per la riorganizzazione
economica del paese e quindi del risanamento dell’apparato
produttivo del paese. Noi dobbiamo oggi tendere ad impedire che
le forze reazionarie ostacolino e rendano più difficile, più lungo,
più doloroso il risanamento dell’economia del paese”
22
.
21
DI VITTORIO, Giuseppe, “Intervento al V Congresso del PCI”, citato in PISTILLO, Michele, op.
cit., pp. 97 e sg .
22
Ibidem.