2
ξ Ore 07.58 a Boston decollano, nel giro di un minuto, i due
Boeing che i terroristi hanno deciso di utilizzare come bombe
contro il World Trade Center. A bordo si trovano
complessivamente 157 persone.
ξ Ore 08.01 a Newark decolla un Boeing con 45 passeggeri:
destinazione San Francisco; verso le 10.00 precipita vicino
Pittsburgh.
ξ Ore 08.10 all’aeroporto Dulles di Washington decolla un Boeing
757 con 58 passeggeri: la sua destinazione è Los Angeles.
ξ Ore 08.45 il Boeing 767 dell’American Airlines, volo AA11
sperona la torre Nord del World Trade Center alta 400 metri.
ξ Ore 09.03 il Boeing 767 della United Airlines, volo UA175, si
schianta sulla seconda delle torri gemelli del World Trade
Center.
ξ Ore 09.43 l’aereo diretto a Los Angeles viene fatto precipitare
dai dirottatori sul Pentagono, il Ministero della Difesa
americano.
ξ Ore 10.05 una gigantesca esplosione scuote la torre sud del
World Trade Center che crolla lentamente su se stessa.
3
ξ Ore 10.28 cade rovinosamente anche la torre Nord. La prima
torre implode e la seconda fonde. Migliaia di persone vengono
seppellite sotto le macerie senza possibilità di scampo.
Cronologia scandita da minuti: il tempo nella seconda modernità subisce
un’accelerazione esagerata; la storia non procede più per secoli o anni.
Il destino dell’umanità è legato ad un susseguirsi di istanti, di momenti che
incidono profondamente sull’avvenire.
Con la globalizzazione le dimensioni del tempo e dello spazio vengono
ridisegnate in “istantaneità” e “non luogo” e il “tempo reale” surclassa lo
“spazio reale”.
L’attentato di martedì 11 settembre è stato una tragedia trasmessa in diretta
TV in tutto il mondo.
Sembrava di assistere a qualcosa di incredibile, un trucco cinematografico
estremamente veritiero che avrebbe potuto far pensare ad un trailer di
qualche film made in Usa.
In realtà stavamo assistendo in diretta mondiale ad una catastrofe che non
sarebbe potuta venire in mente a nessun fantasioso regista in nessun luogo
del mondo, perché era impensabile e al contempo assurda.
4
Lo sgomento che ha colpito tutti i telespettatori del mondo nello stesso
momento è stato procurato dall’assurdità dell’evento e dal fatto che non
fosse pensabile.
Non rientrava nell’immaginario collettivo che un attentato terroristico
potesse raggiungere tale crudeltà e precisione, vigliaccheria e perfetto
tempismo, disumanità e organizzazione, spietatezza e intensità.
L’unica certezza è che il terrorismo internazionale ha oltrepassato i limiti
conosciuti per entrare in una nuova dimensione dell’orrore, del terrore e del
disorientamento.
Il primo effetto è stato quello di dare consistenza e realtà al concetto di
“società mondiale”.
La “società globale” è unificata nelle emozioni e nelle reazioni per mezzo
dei mass media che hanno diffuso le immagini, i suoni e la disperazione
della catastrofe.
La società globale, in questo caso, è composta da individui accumunati dal
possesso di un televisore o di una radio e dalla consapevolezza che nessuno
può vivere al riparo da questa terrificante possibilità.
5
La società globale si fa “società mondiale del rischio”
3
e la società mondiale
del rischio assume sempre più i contorni di uno scenario plausibile,
possibile.
L’occidente industrializzato piomba nel terrore di altri possibili attentati e di
una possibile guerra batteriologica e chimica. Le borse mondiali crollano.
La stessa sorte colpisce i settori (mondiali) dei trasporti aerei e delle
compagnie assicurative. Le misure di sicurezza raggiungono livelli mai
toccati neanche nel periodo più buio della guerra fredda. Infine, i governi
della maggior parte degli Stati del mondo si stringono attorno agli Stati
Uniti e forniscono il loro appoggio tanto simbolico (molti) quanto pratico
(pochi, tra i quali l’Italia).
Nel frattempo si cercano i colpevoli e vengono individuati (senza certezza)
nei terroristi che si riconoscono nel gruppo di Al-Qaida e nel loro leader
Osama Bin Laden.
Questi ultimi devono pagare per il colpo inferto all’umanità.
Da qui, all’attacco all’Afganistan, reo di ospitare e di non voler consegnare
l’accusato e ricercato numero uno, il passo è stato breve.
3
Beck U. Che cos’è la globalizzazione, Milano, Carocci, 2001
6
Non è mancato chi ha gioito e chi ha festeggiato per l’accaduto
interpretando l’attentato come la giusta punizione per i crimini commessi
dall’occidente, dall’America in particolare, nei confronti dell’Islam.
Accanto alla disperazione troviamo la consolazione di coloro che imputano
all’occidente tout court le disgrazie e i problemi che li affliggono.
Diffuse e trasmesse dalle TV di tutto il mondo, le manifestazioni di giubilo
e di gioia si sono tutte concluse con una duplice azione distruttiva. Mi
riferisco al fatto che fossero puntualmente bruciate sia la bandiera degli Stati
Uniti d’America sia il fantoccio del Presidente degli USA.
Possono, senz’altro, essere considerati gesti simbolici tesi a sottolineare
tanto l’appoggio ideologico agli attentatori quanto l’azione purificatrice
degli stessi; il fuoco è un elemento distruttivo e purificatore allo stesso
tempo.
Il giorno dell’attentato è stato definito da molti osservatori, in modi diversi
ma ugualmente suggestivi.
“Attacco all’America e alla Civiltà” titolava il “corriere della sera” del 12
settembre. I titoli degli altri giornali recitavano “Apocalisse a Manhattan”,
“Attacco all’America”, e “una Pearl Harbor in piena New York”.
7
Mentre l’edizione straordinaria di Panorama del 20 settembre ha titolato
“Sarà la terza guerra mondiale?”, quella de L’espresso, invece, “Guerra” e il
sottotitolo “le fiamme di New York incendiano il mondo”.
Questi commenti a caldo mettono in evidenza il clima che si è subito
instaurato: uno stato d’animo generalizzato proiettato al futuro, non
certamente pacifico, rivolto alle conseguenze future sicuramente negative.
Per ogni attacco, per definizione, c’è un contrattacco.
Cosa è stato attaccato?
È stato attaccato e purtroppo, colpito e affondato, il simbolo dell’occidente
industrializzato: il potere, nella triplice veste di potere economico, politico e
militare. Ma si potrebbe dire anche che è stata colpita l’ideologia
occidentale con il suo stile di vita, il suo pensiero, le sue certezze e
sicurezze.
L’attentato alle Twin Towers e al Pentagono, con le sue vittime, con i suoi
eroi e con i suoi carnefici ha cambiato nell’homo globalizzatus, sia esso
preda o predatore all’interno del processo di globalizzazione in atto, la
percezione della realtà, la percezione del mondo e la percezione
dell’avvenire.
Ha trasformato l’ordine mondiale e fatto tornare in auge il problema, in
realtà sempre presente, del mantenimento dello stesso.
8
Dalla seconda guerra mondiale al 1989 l’equilibrio mondiale è stato
garantito da un gioco di pesi e contrappesi tra le due super potenze, USA e
URSS, e dalla “reciproca minaccia” di “distruzione reciproca”.
La fine della guerra fredda e del bipolarismo non ha prodotto quello che
molti si aspettavano ossia il “naturale” dominio del globo da parte dell’unica
superpotenza rimasta in piedi.
Una sorta di conflitto a somma zero che avrebbe garantito un lungo
periodo di pace..
Al contrario, diviene sempre più possibile e plausibile lo scenario dipinto
da quell’insieme di letture, che fino a pochi mesi fa avremmo bollato come
millenaristiche e prefigurano “la fine della storia”
4
, “lo scontro tra civiltà”
5
,
“la crisi irreversibile dello Stato Nazione”
6
, “la balcanizzazione del
pianeta”
7
, “l’etnicizzazione della politica mondiale”
8
.
Oggi si riparte da zero.
L’ordine mondiale è stato irrimediabilmente compromesso dall’attentato
alle Torri Gemelle e al Pentagono. Il Presidente G. W. Bush il giorno stesso
ha ricordato a tutto il mondo: “gli attentati terroristici possono scuotere le
fondamenta dei più grandi edifici, ma non possono raggiungere le
4
Fukuyama F. La fine della staria e l’ultimo uomo, Milano, Rizzoli, 1992.
5
Huntington Samuel P., Lo scontro delle civiltà, Milano, Garzanti, 2001.
6
Omahe K., La fine dello stato nazione, Milano, Baldini e Castaldi, 1996.
7
Morin E., Kern A.B., Terra-Patria, Milano, Cortina Editore, 1994, p. 66
8
Moynihan P., Pandaemonium. Ethnicy in International Polis, Oxford, OUP, 1993.
9
fondamenta dell’America”
9
. Dopo aver dichiarato guerra al terrorismo
internazionale e dettato l’ultimatum all’Afganistan talebano per
l’estradizione del sospettato numero uno, gli ha mosso guerra.
Qui sono due gli aspetti che vanno evidenziati:
1. La guerra al terrorismo internazionale,
2. La guerra all’Afganistan talebano e a qualsiasi Stato che appoggi
il terrorismo.
Riguardo al primo aspetto c’è da rilevare che si diffonde la consapevolezza
secondo cui per risolvere i problemi mondiali servono dei provvedimenti a
livello mondiale.
In altre parole si tratta della “gestione mondiale dei problemi mondiali”
10
.
Tutti i Paesi dell’occidente industrializzato e quasi tutti i paesi islamici del
Medio Oriente e del Nord Africa hanno condannato gli attentati a
Washington e a New York.
Con la differenza che mentre i primi hanno accolto l’appello del presidente
degli USA alla lotta al terrorismo internazionale, i secondi hanno assunto
posizioni sostanzialmente diverse. Specialmente è avvertibile l’imbarazzo di
9
Supplemento del n° 40 di Panorama, Per non scordare, Milano, Mondatori, 04/10/2001, p.
4
10
Morin E., Kern A. B., Terra-patria, Milano, Cortina Editore, 1994, p. 59 ss.
10
quei paesi all’interno dei quali cresce un opinione pubblica attratta dalle
posizioni, se non dalle azioni di Osama Bin Laden.
Questi si trovano tra l’incudine di disordini civili e il martello della
ritorsione USA, sia nel primo che nel secondo caso perderebbero,
comunque, il potere.
L’appoggio popolare al gruppo terroristico di Al-Qaida arriva dopo la
reazione degli USA ma il terreno su cui attecchisce è stato ben arato dai
movimenti fondamentalisti negli ultimi trent’anni.
Si diffonde la percezione che si può cambiare lo stato di cose.
Se un gruppo esiguo, ma ben organizzato e finanziato, può mettere in
ginocchio il mondo, figuriamoci una moltitudine di persone e per eccesso
tutto il mondo islamico come può ridisegnare la mappa geopolitica (e
religiosa) del globo?
Riguardo al secondo aspetto la questione risulta più complessa.
L’Afganistan talebano, paese di frontiera, è l’esempio concreto della
chiusura, del rifiuto della modernità, del potere dell’ideologia, della
perversione che l’ideale può raggiungere, dell’unione tra religione e stato, e
di molto altro ancora che la nostra ideologia non può accettare perché l’ha
vissuto sulle proprie spalle e lo ha sconfitto.
11
Con ciò non ho alcuna intenzione di dipingere l’occidente industrializzato
come l’eden, né come il migliore dei mondi possibili, anzi la pretesa di
creare o di vivere nel migliore dei mondi possibili ha ormai da secoli perso
il suo fascino ad opera dello stesso Homo sapiens-demens che lo ha forgiato.
Qui non si vuole muovere accuse a nessuno né tanto meno tesserne le lodi
ma piuttosto si vuole riflettere sul fatto che la posta in gioco è molto alta.
Domenica 7 ottobre 2001 parte l’operazione “Libertà duratura”, aerei
americani e inglesi lanciano attacchi contro le principali città afgane e
contro le postazioni dei Talebani.
Dieci anni dopo la Guerra del Golfo una nuova coalizione internazionale
lancia un’offensiva militare nella regione più instabile del mondo.
Il governo Talebano, isolato dalla diplomazia internazionale, fronteggia da
solo l’attacco anglo-americano e quello dell’alleanza del Nord. Nel
frattempo si svolge il dramma del popolo afgano: milioni di persone sono in
fuga da una nuova guerra, senza cibo né assistenza, verso i paesi confinanti
che sono restii ad accoglierli.
Il popolo afgano si colloca ai margini del “sistema mondo” e ha visto
abbattersi su di esso, come una “violenta mannaia”, il cosiddetto “mondo
civile”.
12
La globalizzazione li ha invasi e in cambio della libertà, della civiltà e della
ricchezza, per ora distribuisce solo terrore e morte.
Ma questo rappresenta anche la possibilità una volta per tutte di “pacificare”
la zona più calda del mondo e di far capire loro, chi comanda. Magari
muovendo guerra ad ogni stato che presumibilmente può appoggiare i
terroristi per collocarvi alla guida governi amici.
Forse è questo il motivo per il quale durante gli attacchi all’Afganistan non
sono state bombardate le piantagioni d’oppio. La giustificazione è che non
si può turbare il rapporto con l’Alleanza del Nord.
Non dimentichiamoci che i due terzi dell’eroina consumata in occidente
proviene dall’Afganistan.
A proposito dell’Alleanza del Nord, David Letterman, conduttore del David
Letterman Show, ha detto “chi è l’Alleanza del Nord? ….quelli a cui faremo
guerra l’anno prossimo!”
11
A cosa possiamo ricondurre questo stato di cose? Esiste una relazione tra il
processo di globalizzazione in atto e l’attentato all’America? Esiste una
relazione tra il processo di globalizzazione in atto e il terrorismo
internazionale? Come è cambiato il terrorismo internazionale? E in cosa è
11
Estratto della puntata del David Letterman Show trasmessa da “RaiShow” il 20/09/01
13
cambiato? Può essere concepito come una risposta alla globalizzazione? E
come sono cambiate le reazioni agli attentati?
Globalizzazione del terrorismo o terrorismo della globalizzazione? Oppure,
l’uno e l’altro?
Quale responsabilità ha l’occidente dello stato in cui versano le popolazioni
del medio oriente?
Fornire alcune possibili risposte a queste domande è il proposito del mio
lavoro.
14
“(l’indagine è) la trasformazione controllata o
diretta di una situazione indeterminata in un’altra che
sia determinata”
12
J. Dewey
Introduzione
Prima di andare avanti voglio soffermarmi sul gioco di parole
“globalizzazione del terrorismo” e “terrorismo della globalizzazione” che dà
il titolo alla mia tesi.
Con “globalizzazione del terrorismo” mi riferisco sia
all’internazionalizzazione del terrorismo e quindi al terrorismo
internazionale, il quale non è certo un fenomeno preistorico, sia all’ultima
versione del terrorismo internazionale. Essa si scaglia contro i simboli della
globalizzazione, con i mezzi propri della globalizzazione.
12
Dewey J. Logica, teoria dell’indagine, Torino, Einaudi, 1949, p. 135
15
Inoltre aggiunge alla lista dei suoi possibili bersagli l’intero mondo
occidentale e quegli Stati che non sostengono la “causa”, pur se
condividono l’ombra sotto l’ombrello dell’Islam.
Con “terrorismo della globalizzazione” mi riferisco alle condizioni che
hanno condotto a dover discutere e preoccuparsi dell’instabilità che affligge
il globo.
L’ipotesi che sostengo riguarda la possibilità che il terrorismo internazionale
a matrice islamica come l’anti-terrorismo, sia evoluto in conseguenza del
processo di globalizzazione in atto.
Il terrorismo internazionale a matrice islamica è evoluto in riferimento ad
elementi estremamente connessi:
il supporto ideologico,
la rappresentazione del nemico,
gli obiettivi da raggiungere,
l’organizzazione,
le possibilità di azione e distruzione,
la spettacolarizzazione e l’utilizzo dei mass media.
Come procediamo?
16
Inizialmente ci concentreremo sull’esigenza di fornire una definizione
univoca di terrorismo per arrivare a costruire una tipologia delle varie forme
in cui si presenta il fenomeno.
Definizione che si deve prestare altrettanto bene a incorniciare l’anti-
terrorismo globale e il terrorismo di stato.
È necessaria, inoltre, una definizione del processo di globalizzazione capace
di descrivere-interpretare lo stato di cose in atto. Essa dovrà considerare gli
effetti contraddittori del processo.
Sgomberato il campo da possibili fraintendimenti e confusioni di carattere
linguistico-analitico e ideologico, l’attenzione verterà sull’evoluzione del
terrorismo internazionale a matrice islamica, sul gruppo terroristico al-
Qaeda e sulle collusioni con le varie fasi del fondamentalismo islamico da
cui trae tanto il supporto ideologico (religioso) quanto la motivazione
all’agire.
In altre parole ci concentreremo su come il nuovo terrorismo interpreta il
mondo attraverso una lettura integralista del Corano e degli hadith e in che
modo, attraverso quella, conferisce significato alle proprie azioni e alle
proprie distruzioni.