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differenti stili, il simbolismo ed i significati, partendo dalle
popolazioni che hanno fatto del tatuaggio la loro tradizione, come gli
Ainu in Giappone, gli Indiani d’America, i Maori in Nuova Zelanda,
fino ad arrivare alle trasformazioni e al peso che il tatuaggio ha nel
contesto contemporaneo.
La seconda parte si basa sulla somministrazione di due test di
personalità, il Minnesota Multiphasic Personality Inventory e
l’Eysench Personality Inventory ad un campione di soggetti con
tatuaggio (N=39) ed a un gruppo di controllo costituito da soggetti
senza tatuaggi (N=39) raccolti nello stesso ambiente di provenienza. I
dati ottenuti sono sottoposti ad un’analisi multivariata della varianza
per scoprire eventuali aspetti di personalità significativi nei soggetti
con tatuaggi rispetto al controllo dei non tatuati.
L’obiettivo del presente studio è di esplorare le differenze
individuali a livello di tratti temperamentali e sintomi psicopatologici
in soggetti che presentano tatuaggi, valutando la possibilità di trovare
elementi che possano supportare la scelta di tatuarsi.
Le indicazioni e i dati emersi dall’analisi psicometrica offrono la
possibilità di riflettere su un fenomeno del nostro tempo ancora poco
studiato, soprattutto in Italia, e potrebbero essere ampliati ed
utilizzate in ricerche future più estese.
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Parte Prima
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1. LA STORIA DEL TATUAGGIO
1.1 Origini
Come riporta I. De Rosa il “Tatuaggio è una traccia indelebile che
conduce ad un ostinato segreto ed è talmente remoto da non aver
lasciato impronta nella nostra memoria”.
Nonostante le origini così remote alcuni reperti sono riaffiorati dal
passato con la scoperta nella prima metà del nostro secolo, avvenuta
in Siberia, di un corpo ibernato di uno sciita, popolazione guerriera
esistita nel V secolo a.C., la cui conservazione a reso possibile la
visione di una pelle interamente tatuata con scene di lotte tra animali
mitologici. L’esistenza di altri reperti in Egitto, come la mummia
della sacerdotessa della dea Hator, tatuata sul ventre con tatuaggi
simbolo di fertilità, o le statue femminile del 1200a.C aventi semplici
tatuaggi al collo, esposte nel museo egizio del Cairo, rimandano ad
un’epoca ancora più antica. (Castellani 1995, Fercioni 1994,
Marenko,1997)
La ricerca antropologica del De Rosa fa anche riferimento a
ritrovamenti di utensili primitivi in osso o in legno appuntiti in modo
tale da poter introdurre un pigmento sotto la cute, legati alla pratica
del tatuaggio e testimonianza di un’usanza già esistente nel neolitico
europeo. Ancora oggi nelle regioni della Melanesia, della Polinesia e
della Micronesia, la pratica del tatuaggio è estremamente diffusa ed
esprime un notevole livello estetico costituendo,
contemporaneamente, un forte elemento di coesione sociale e di
appartenenza ad una civiltà e ad una cultura.
E’ probabile quindi affermare che ancor prima di disegnare sulla
roccia, l’uomo primitivo in qualche modo e per qualche oscura
ragione abbia segnato la sua pelle con incisioni che lasciassero
cicatrici o marchi colorati da pigmenti inseriti sotto la pelle. Del
resto all’alba della civiltà umana Caino non fu marchiato a fuoco da
Dio in segno di condanna
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?
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Riferimento alla Bibbia, libro della Genesi
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1.2 Come avvenne la diffusione
Il termine tatuaggio deriva dal vocabolo tahitiano “Tau” che
significa “ferita, disegno battuto” facendo riferimento al suono
prodotto dalle bacchette sui tronchi cavi, utilizzate come primitivi
strumenti a percussione nel corso del cerimoniale vero e proprio del
tatuaggio nell’isola di Tahiti.
Fu l’esploratore James Cook che al rientro da viaggi nei mari del
Sud nel luglio del 1769 introdusse tale termine in Europa, quindi
traslato nei diversi idiomi europei (Tattowierung, in tedesco,
Tatuaggio in italiano, Tatouage in francese, Tattooing nell’inglese
moderno). Avendo egli descritto per primo tale usanza e avendola per
primo localizzata a Tahiti il termine tatuaggio e rimasto fino ai giorni
nostri, nonostante come ho già esplicitamente riferito non nacque
precisamente in quel luogo e in quel periodo. Peraltro nei suoi
Giornali di bordo, il capitano Cook descrive con ricchezza di
particolari il cerimoniale del “tatu” dell’isola di Tahiti:”…..Uomini e
donne si pitturano il corpo, essi marcano il loro corpo incidendo o
pungendo la pelle con piccoli strumenti fatti di osso, intagliati da
denti non molto lunghi; poi riempiono queste incisioni della pelle con
un pigmento ottenuto mescolando la fuliggine di una noce
oleosa…”dimostrandone la forte curiosità suscitata in tutti gli uomini
dell’equipaggio.
Ritornando indietro nel tempo, l’antico Egitto nell’epoca attorno
al 2700a.C. (la più remota civiltà alla quale facciamo riferimento per
risalire alle origini del tatuaggio) esportò sicuramente questa usanza
nell’ambito dei frequenti scambi commerciali e politici intrattenuti
con l’Arabia, la Persia, la Grecia e l’isola di Creta. Circa nel
200a.C. ritroviamo questa affascinante tecnica ornamentale diramata
nella zona sud dell’Asia, fino a gran parte della Cina. In seguito
l’abitudine del tatuaggio venne introdotta anche in Giappone
(sicuramente tramite i collegamenti marittimi col resto del
continente asiatico), ed è qui che conobbe un’enorme diffusione, che
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implicò per altro il raggiungimento di livelli tecnici, coloristici ed
interpretativi di straordinaria qualità.
All’incirca attorno al 1100a.C., l’arte dell’incisione della pelle
emigrò ulteriormente verso il Sud, espandendosi fino al Borneo, a
Formosa e alle isolette dell’Oceano Pacifico. I polinesiani, narrati da
Cook più di altri popoli responsabile della diffusione del tatuaggio
appresero e svilupparono queste tecniche per portarle nella loro terra
d’approdo, la Nuova Zelanda. Qui venne elaborata dal futuro popolo
Maori una forma di tatuaggio molto distante dagli stili preesistenti
eseguito secondo regole e cerimoniali molto severi: parliamo del “
Moko”, una tecnica che consisteva nel dipingere ed incidere su varie
zone cutanee disegni e scene attinenti alla ritualità religiosa. Esso è
caratterizzato da un disegno facciale simmetrico, che segue in spirali
doppie (caso unico nei tatuaggi polinesiani) le linee del viso. Il moko
–forse il nome deriva da mo’o che in hawaiano significa “serpenti” –
riprende sinuosamente la struttura della faccia mettendone in risalto
le fattezze. I Maori si annerivano la pelle del volto incidendola in
linee a spirale sovrapposte a volte per fini religiosi, ma anche per
scopi bellici, cioè per impaurire i nemici durante i combattimenti; in
altre varianti del “Moko” veniva tatuato tutto il corpo, e comunque
ogni componente della popolazione a seconda della classe sociale di
appartenenza, al nucleo familiare e alla distinzione soggettiva veniva
identificato tramite una particolare tipologia di tatuaggio.
La differenza tra il tatuaggio Tahitiano e quello maori sta nel
genere di disegno e di funzione sociale e individuale che esso
assumeva all’interno della società. Inoltre presso i maori differivano
le tecniche di tatuaggio. In Nuova Zelanda infatti l’incisione veniva
fatta con una specie di scalpellino d’osso, mentre a Tahiti venivano
utilizzati gli aghi. In seguito dopo l’arrivo degli Europei in Nuova
Zelanda, lo scalpellino diventa di Metallo. L’esecuzione dei tatuaggi
tradizionali con la tecnica dello scalpellino scompare intorno al 1865.
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Solamente le donne, che hanno un tatuaggio tradizionale nella
regione tra il labbro inferiore e il mento, continuano fino agli inizi
del Novecento a farsi tatuare disegni tradizionali, eseguiti con gli
aghi, tecnica non praticata tradizionalmente dai Maori.
Sulla funzione sociale del tatuaggio tra i Maori, è forse
semplicistico affermare che esso fosse qualcosa di relativo allo status
di un individuo; è probabile che la funzione variasse nel corso del
tempo e nelle singole realtà territoriali. Se la particolarità del
tatuaggio fosse stata connessa solo allo status, non si spiegherebbero
molte scelte culturali dei maori come il commercio di teste tatuate e
mummificate vendute dagli stessi maori agli Occidentali, commercio
tanto fiorente da venir proibito con una apposita legge nel 1831; è
lecito pensare che se il tatuaggio fosse stato correlato esclusivamente
allo status, sarebbe stato avvolto da una serie di tabù che avrebbero
impedito la vendita delle teste tatuate. Lo stesso Melville autore di
Moby Dick nel 1850 narra nel suo romanzo di un fantomatico
personaggio di una immaginaria isola del Sud, completamente tatuato
che commerciava nei porti americani in teste umane della Nuova
Zelanda; anche se il personaggio narrato non sia realmente esistito
nulla toglie che l’autore abbia preso spunto dal noto commercio di
teste tatuate dell’epoca.
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1.2.1. In America
Dalle ricerche condotte dagli antropologi e riportate da L. Fercioni
in Tatuaggi la scrittura del corpo restano ancora numerose ipotesi
sulla diffusione del tatuaggio in America (stesso paese dove oggi si
ha la più alta concentrazione di ricerche sul fenomeno determinate dal
proliferare in maniera esponenziale di tatuati). Alcuni studiosi
sostengono che vi fu introdotto dai Polinesiani durante le loro
migrazioni, altri invece ritengono che il popolo siberiano dei
Chukchee dopo aver imparato a tatuare da una popolazione asiatica,
gli Ainu, emigrata in Alaska, diffuse la pratica in tutto il Nord
America. Sembra che i Maya, gli Incas e gli Aztechi e gli indiani
della costa Nord del Pacifico utilizzassero già il tatuaggio nei rituali
religiosi. Con l’avvento della colonizzazione del quindicesimo secolo
le caratteristiche di tale usanza in parte andarono perse e modificate
dalle ideologie dei conquistatori che ne apprezzarono la bellezza, ma
ne tralasciarono il vero significato.(Castellani, 1995)
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1.2.2. In Europa
Se a Cook va la paternità dell’introduzione del termine tattoo in
Europa è un altro inglese, William Dampier, grande marinaio,
esploratore e pirata che condusse a Londra nel 1691, al ritorno da un
viaggio dai mari del Sud, Giolo, “il Principe dipinto un uomo
bellissimo, proveniente da un’isola a 152 gradi di latitudine sotto
l’Equatore, interamente tatuato tranne mani, faccia e piedi, con
rappresentazioni di un quarto di mondo dietro la schiena e il circolo
polare artico è raffigurato dietro il collo; tutte le linee i cerchi e i
personaggi sono eseguiti con una tale precisione simmetrica che
supera tutto quello che fino ad ora si è visto.
All’epoca la bellezza di quest’uomo suscitò molto scalpore tanto
che l’avvenimento venne pubblicizzato in un manifesto”
(Fercioni,1994). Il Principe tatuato fu il primo di una lunga serie di
tatuati ad essere esposto in fiere, mercati e circhi e si riscoprì quel
genere di decorazione del corpo per secoli dimenticata e ignorata.
Sembra che una delle preoccupazioni implicite o esplicite nelle
descrizioni dei primi esploratori sia di capire se i tatuaggi dei popoli
lontani siano una grafia celeste o un marchio infernale, infatti essi
finiscono per descrivere gli incontri con tali popoli tatuati in base a
una specifica cultura di appartenenze con quei pregiudizi che
finiscono per trasformare le più ospitali delle popolazioni in selvaggi
dipinti e mascherati con segni demoniaci. E’ necessario a questo
punto fare una precisazione in quanto in Europa già parecchi secoli
prima di Cook e degli altri esploratori il tatuaggio era praticato
soltanto che non veniva chiamato con tale termine e con funzione le
funzioni finora descritte. In Europa il tatuaggio era diffuso già i
epoca preistorica e sembra che la sua funzione fosse soprattutto
terapeutica e curativa. Fu utilizzato anche dai Greci e dai Romani per
indicare l’appartenenza ad una classe bassa o ad alcune categorie
sociali: schiavi, prigionieri, stranieri.