2
anche in questi casi non subiranno restrizioni dei loro diritti all’infuori di
quelli che la legge medesima stabilisce. Questo principio viene
considerato come il palladio delle libertà politiche il che spiega la sua
inclusione nelle Carte Costituzionali e nella maggior parte dei codici penali
degli Stati moderni
3
.
Il principio di legalità ha come destinatari, sia il legislatore sia il giudice
e si articola in quattro sottoprincipi che sarà necessario analizzare
separatamente. Questi sottoprincipi sono:
1. riserva di legge;
2. tassatività e determinatezza;
3. divieto di analogia;
4. irretroattività della legge penale
4
.
Volendo operare un excursus di tipo storico sull’evoluzione del
principio, non sembra contestabile la tesi secondo cui, presso i Romani,
un divieto rigoroso come quello proprio dei diritti contemporanei non abbia
avuto seguito. Non solo la coercitio, attività pubblica di polizia avente fini
preventivi, non fu mai vincolata alla legge; ma nell’ambito della stessa
poenitio, attività pubblica penale repressiva, i magistrati potevano
provvedere secondo la loro libera convinzione e cioè anche al di là delle
figure delittuose fondamentali fissate per legge. Nel Medioevo il principio
di legalità fu riconosciuto in un senso assai meno rigoroso di quello
3
Antolisei , Manuale di diritto penale, parte generale, IX ed., Milano, 1986, 56 ss.
4
Pagliaro, Principi di diritto penale, parte generale IV ed., Milano, 1996, 57 ss.
3
moderno, ammettendosi in larga misura il ricorso alla analogia in materia
di delitti e di pene.
Cosicchè l’antico diritto germanico, come in genere tutto il diritto
dell’alto medioevo, appare in gran parte dominato dalla consuetudine
5
.
Bisognerà attendere il 1215 perché il principio appaia nell’art. 39 della
Magna Charta Libertatum emanata in Inghilterra da re Giovanni.
L’espressione di allora non escludeva espressamente l’uso dell’analogia e
neppure del diritto consuetudinario, che è sempre stato parte
fondamentale del diritto anglosassone; essa si avvicina, tuttavia, nelle sue
ragioni intime, al principio moderno
6
.
Fu poi introdotta nella Petition of Rights degli Stati Uniti d’America
(1774), fu formulata come disposizione legislativa nel codice austriaco di
Giuseppe II (1787) e quindi, dopo poco tempo nell’art. 7 della
Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789.
La formulazione del divieto con i noti aforismi latini, ricorre però per la
prima volta nel Lehrbuch di Feuerbach
7
: il quale, nello stesso periodo in
cui il divieto di analogia si diffondeva per il mondo come principio politico e
costituzionale, dava ad esso un fondamento giuridico-penale,
ricollegandolo alla funzione intimidatrice o di coazione psicologica della
5
Vassalli, voce Nullum crimen sine lege, op. cit., 495.
6
Espressioni analoghe a quella della Magna Charta inglese, talora anche più rigorose e
specificatamente contrarie all’analogia in materia penale, si ritrovano nel codice dello zar
serbo Douchan (1349) e nelle costituzioni dei re polacchi Jagelloni nei secoli XV e XVI.
7
Feuerbach, Lehrbuch des gemeinen in Deutscland gultigen peiulichen Rech, XIV ed.
1847.
4
pena, funzione che intanto si può esercitare in quanto la minaccia si
accompagna a precise formulazioni legali dei delitti contro cui la stessa è
comminata.
2. LA RISERVA DI LEGGE IN MATERIA PENALE.
Il principio di riserva di legge, secondo cui reati, pene e misure di
sicurezza non possono avere altra fonte che non sia la legge, rappresenta
la determinazione più evidente del principio di legalità considerato nel suo
aspetto formale
8
.
La ratio della riserva consiste nell’attribuire il monopolio della
criminalizzazione al potere legislativo con lo scopo di evitare l’arbitrio dei
poteri esecutivo e giudiziario
9
.
La prima problematica da affrontare riguardo alla riserva di legge è
determinare il significato che il termine “legge” assume nell’art. 25, 2° co.,
Cost. Si tratta di stabilire:
1. se nella sua nozione rientrino solo le leggi dello Stato o anche le
leggi regionali e, in particolare gli atti legislativi delle Regioni;
8
Fiore, Diritto penale, parte generale, Torino, 1989, 61 ss.
9
Mantovani, Diritto penale, parte generale, Padova, 1989, 81 ss.
5
2. se, nel riferirsi alla legge l’art: 25 2°co., Cost., intenda solo la
legge formale, cioè quella formata e promulgata secondo i
procedimenti di cui agli artt: 70-74 Cost., o anche lle leggi
delegate (art. 76 Cost.) e gli atti avente forza di legge (decreti
legge ex art. 77 Cost.).
2.1. LA QUESTIONE DELLE LEGGi REGIONALI.
La questione dell’eventuale potestà legislativa delle Regioni in materia
penale, si può ormai ritenere risolta in senso negativo. La più diffusa
dottrina
10
infatti, e la giurisprudenza
11
, sono concordi nel negare una
competenza regionale “primaria” in materia penale; così come è
dimostrato, da alcuni interventi del legislatore costituzionale, il quale,
anche di recente, quando ha voluto occuparsi della questione attribuendo
una confusa competenza penale a talune Regioni, lo ha fatto
espressamente
12
.
10
Vinciguerra, Le leggi penali regionali, Milano, 1974, 4 ss.; Bricola, Legalità e crisi, in La
questione crim., 1980, 204 ss.
11
In questo senso, C. Cost., sent. 12/5/1977 n. 79, che ha escluso la competenza della
Regione Toscana ad emanare disposizioni con carattere abrogativo di norme penali
statali in materia di caccia.
12
.In riferimento, Vinciguerra, op. cit., 15.
6
La spiegazione di questo atteggiamento è piuttosto intuitiva: specie in
materia penale, la possibilità di una diversa considerazione in termini di
illiceità dello stesso fatto da parte dei singoli ordinamenti regionali
inciderebbe sui beni ritenuti dal legislatore particolarmente importanti,
ledendo l’esigenza di uguaglianza accettata e voluta dall’art. 3 Cost.
13
.
Nel divieto rientra non solo la possibilità per le Regioni di creare
norme penali ma anche solo di abrogarle o di limitarne l’ambito di
applicazione
14
. L’unica eccezione ammissibile solo se la stessa legge
penale statuale preveda la diversificazione di trattamento demandando la
relativa potestà alle singole legislazioni regionali
15
.
In questo caso la legge regionale si configurerebbe come integrativa
nel precetto penale statuale.
13
Marini, voce Nullum crimen, nulla poena sine lege, op. cit., 953.
14
In questo senso C. Cost., sent.. 23/10/89 n. 487 che ha sancito l’illegittimità dell’art. 3,
1° e 2° co., della Legge regionale siciliana, 15/5/86 n. 26, che aveva esteso i limiti di
applicabilità del condono edilizio, di cui alla L. n. 47/85.
15
Fiandaca-Musco, Diritto penale, op.cit., 62 ss.
7
2.2. LEGGI DELEGATE E DECRETI LEGGE.
La questione riguardante invece, le leggi delegate (artt. 76 e 77, 1°co.
Cost.) e i decreti legge (art. 77, 2° e 3° co. Cost.) è stata risolta
positivamente, ritenendo valido il novero di tali atti nella categoria più
generale di legge prevista dal 2° co. dell’art. 25 Cost., in quanto fonti
normative alle quali, sia pure con particolari limitazioni, la Costituzione
riconosce la stessa efficacia degli atti normativi a cui compete la qualifica
di legge in senso formale.
Sono ritenute così fonti legittime di produzione di norme penali
16
.
Non tutta la dottrina
17
, però, si trova d’accordo.
Per alcuni infatti sono le stesse caratteristiche degli atti aventi forza di
legge ad essere poco compatibili con la ratio della riserva di legge.
La legge delegata infatti si porrebbe con la legge delega nello stesso
rapporto in cui si porrebbero le fonti normative secondarie nei confronti di
una legge che si limitasse a preveder il precetto sostanziale rinviando poi
per la sua concretizzazione a fonti subordinate.
Risulterebbero perciò eluse, o quanto meno attenuate, le garanzie
consistenti nel permettere alle minoranze di sindacare le scelte di
criminalizzazione operate dal legislatore.
16
Fiore, Diritto penale, op. cit., 64 ss.
17
Fiandaca-Musco, Diritto penale, op. cit., 72.
8
Tali garanzie si attenuerebbero ancora di più con i decreti legge, in
quanto le stesse ragioni di necessità e di urgenza, che giustificano il
ricorso a tali fonti normative, si scontrerebbero con le esigenze di
ponderazione che non possono essere eluse in sede di criminalizzazione
delle condotte umane
18
.
In realtà, quanto alle leggi delegate, il rigoroso rispetto dell’art. 76
Cost. (“l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato dal
Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto
per tempo limitato e per oggetti definiti”) dovrebbero garantire il controllo
delle minoranze sulla produzione di norme penali. Per quanto attiene
invece ai decreti legge, è senza limiti il controllo che le Camere esercitano
dopo la loro emanazione, mentre i problemi connessi alla provvisoria
vigenza del decreto legge prima della sua conversione sono stati
ridimensionati, come vedremo, dalla sentenza n. 51/85.
18
Sostiene l’illegittimità costituzionale del ricorso ai decreti legislativi e ai decreti di
urgenza in materia penale, Carboni, L’inosservanza dei provvedimenti dell’autorità,
Milano, 1970, 4 ss.; Id., Profili e strutture del reato valutario, Milano, 1979, 2 ss.
9
2.3. CONSUETUDINE COME FONTE DI DIRITTO.
La consuetudine consiste nella ripetizione generale, costante ed
uniforme, di un comportamento nella convinzione di adempiere ad un
obbligo o di esercitare un potere giuridico
19
.
In diritto penale è assolutamente pacifica, proprio in forza del principio
della riserva di legge, l’inattitudine della consuetudine a svolgere una
funzione incriminatrice o aggravatrice del trattamento punitivo
20
.
Tale inefficacia discende dal principio della gerarchia delle fonti, per il
quale un atto normativo superiore non può cessare di avere vigore
all’emanazione di un atto di rango inferiore
21
.
Nell’ordinamento italiano (art. 1 e 8 disp. prel.) la consuetudine occupa
infatti l’ultimo posto nella gerarchia delle fonti e le viene riconosciuta solo
la funzione integratrice secundum o praeter legem
22
.
Con l’esclusione della consuetudine dalle fonti del diritto penale non
hanno niente a che vedere altri fenomeni tra cui i casi in cui la legge fa
espressamente rinvio a criteri di valutazione morali, sociali, consuetudinari
19
Mantovani, Diritto Penale, op. cit., 81 ss.
20
Fiandaca-Musco, Diritto Penale, op. cit., 64 ss.
21
Romano, Commentario sistematico del codice penale, Milano, 1987, 12 ss.
22
Sui limiti della funzione integratrice, Marinucci, voce Consuetudine (dir. pen ) in Enc.
Dir., 1961, 506-510.
10
nella definizione di un comportamento vietato
23
o nell’ambito di
applicazione di un precetto.
Unico punto controverso è quello circa la possibilità di accordare alla
consuetudine una funzione scriminante.
Presupposto che un fatto costituisca reato, ci si chiede se possa
attribuirsi efficacia giustificativa all’uso instauratosi con il tempo ed
accompagnato dalla opinione sulla sua liceità, di tollerare il compimento
del fatto medesimo in particolari luoghi ed occasioni.
La risposta è deducibile dall’art. 8 disp. prel.: non in forza del principio
della riserva di legge che si esprime nel senso di vietare norme a sfavore,
consentendo norme a favore del cittadino, ma piuttosto in forza di quello
della gerarchia delle fonti, le cause di giustificazione devono essere
regolate dalla legge, pertanto per l’art. 8 disp. prel. la consuetudine ha
efficacia solo in quanto da essa richiamata.
23
L’esempio è quello fornito dagli artt. 527 e 529 c.p., il primo dei quali punisce la
condotta di “atti osceni”, e cioè quelli che a norma dell’art. 529, secondo il comune
sentimento, offendono il pudore.
11
3. TASSATIVITA’ E DETERMINATEZZA.
Il principio di legalità sarebbe rispettato nella forma, ma eluso nella
sostanza, se la legge che eleva a reato un dato fatto lo configurasse in
termini così generici da non lasciare individuare con sufficiente precisione
il comportamento penalmente sanzionato; pertanto il legislatore ha il
dovere di procedere al momento della creazione della norma, ad una
precisa determinazione della fattispecie legale, affinché risulti
tassativamente indicato ciò che è penalmente illecito e ciò che è
penalmente lecito.
La norma penale dunque, deve fornire una descrizione più o meno
dettagliata del fatto punibile, mediante la previsione astratta e generale de
suoi caratteri essenziali: così da delineare una fattispecie immediatamente
riconoscibile quando si verifichi nella realtà
24
.
Per condurre una corretta analisi del principio ora citato, è necessario
operare una precisazione di ordine terminologico.
Nonostante tassatività e determinatezza vengano di solito usati come
sinonimi, è possibile una loro distinzione concettuale.
24
Fiandaca-Musco, Diritto Penale, op. cit., 70 ss.
12
La determinatezza, rappresenta una caratteristica della redazione
della fattispecie, mentre la tassatività riguarda il momento dinamico
dell’applicazione della norma.
Naturalmente,quanto più precisa è la descrizione della fattispecie,
tanto più netta sarà la differenza tra i termini
25
, tuttavia, essendo aspetti
strettamente connessi tra di loro, non ci sembra di sbagliare operando un
riferimento contestuale ad entrambi i termini.
26
La determinatezza/tassatività, all’interno del principio di legalità,
contribuisce al raggiungimento di un duplice scopo, come fu chiaramente
indicato da Gaetano Filangieri
27
.
Il primo si realizza nella certezza della norma, implicando il dovere
della formulazione chiara e precisa della fattispecie realizzata dal
legislatore all’atto della produzione della norma stessa; il secondo si
riferisce alla limitazione dell’arbitrio giudiziale, che si realizza ponendo le
condizioni perché siano limitate le eccessive oscillazioni interpretative da
parte del giudice, fino a rendere più rigida l’attività di estensione analogica
di questo
28
.
25
Bricola, La discrezionalità, op. cit., 290 ss.;Palazzo, Il principio di determinatezza nel
diritto penale, Padova, 1979, 51 ss.
26
Vassalli, Nullum crimen, sine lege, in Dig. Disc. Pen., VIII, Torino, 1994, 307-308.
27
Filangieri, Scienza della legislazione, Parigi, 1863, 176.
28
Moccia, La promessa non mantenuta.Ruolo e prospettive del principio di
tassatività/determinatezza nel s istema penale italiano, Napoli, 2001, 13-17.
13
3.1. LA DETERMINAZIONE DELLA FATTISPECIE.
Il problema cruciale della tassatività è quello di stabilire il grado di
determinatezza necessario e sufficiente perché tale principio possa dirsi
soddisfatto.
Secondo parte della dottrina
29
, l’avvenire della legge dovrebbe essere
quello della enunciazione di norme più flessibili e generiche tali da
permettere al giudice di spaziare secondo le esigenze del caso concreto,
così da rendere possibile una giurisprudenza che sia libera di utilizzare
valutazioni e concezioni di vita di comune esperienza
30
.
La prevalente dottrina italiana, si orienta invece come quella tedesca,
verso un’interpretazione più rigorosa del principio considerando
incostituzionale le fattispecie indeterminate.
È con lei pure la giurisprudenza di merito che con più frequenza
solleva eccezioni di incostituzionalità per difetto di tassatività
31
.
Benchè il concetto di “determinatezza sia esso stesso indeterminato e
la fattispecie tassativa” sia una direttrice di politica legislativa e oltre certi
29
Bricola, Legalità e crisi, in Quest. Crim., 1980, 179 ss.
30
Così Hassemer, Tabestand und Typus, Koln, 1968. Per una legislazione penale “per
principi“ e per il carattere utopistico della tassatività come criterio ermeneutico, v. Spasari,
Appunti sulla discrezionalità del giudice penale, in Riv. It., 1976, 51; id. Oggetto e metodo
della dommatica criminale e della criminologia, in Giur. It., 1990, IV, 516.
31
Sulla posizione della giurisprudenza v. Bricola Teoria generale del reato, in NN. Dig.
IT., 1974, 46 ss.; Palazzo, Orientamenti dottrinali ed effettività del principio di tassatività e
determinatezza in materia penale, in Riv. It., 1990, 327.
14
limiti, un ideale, è pur sempre compito della dottrina della giurisprudenza
approfondirne il significato.
Infatti, rispondente alle esigenze di chiarezza legislativa espressa dal
principio di tassatività e determinatezza è la c.d. tecnica di legiferazione.
Le principali tecniche di legiferazione sono quelle di “normazione
descrittiva” e di “normazione sintetica”.
La prima descrive il fatto criminoso mediante l’impiego di termini che si
riferiscono alla realtà empirica.
Per ovviare poi agli eventuali inconvenienti di un eccesso casistico, il
legislatore ricorre ad una seconda tecnica, quella appunto sintetica: cioè
adotta una qualificazione di sintesi mediante l’impiego di elementi
normativi (ad es. atti osceni), rinviando ad una fonte esterna alla
fattispecie incriminatrice (ad es. buon costume in materia sessuale) come
parametro per la regola di giudizio da applicare nel caso concreto
32
.
Gli strumenti di tecnica legislativa che garantiscono la tassatività della
fattispecie sono:
1) elementi descrittivi che traggono il loro significato dalla realtà della
esperienza sensibile;
2) elementi normativi che necessitano per la determinazione del loro
contenuto di una integrazione mediante rinvio ad una norma diversa da
quella incriminatrice.
32
Cfr. Pagliaro, Principi di diritto penale, parte generale, Milano, Giuffrè, 1996, 64 ss.; Più
in generale su tali concetti, nella dottrina italiana, Ruggiero, Gli elementi normativi della
fattispecie penale, Napoli, 1965, 5 ss.