a favore di un interventismo statale che si faccia carico delle problematiche emergenti e venga
incontro ai bisogni conseguenti. La struttura organizzativa che ne scaturisce, pur nelle affatto
irrilevanti differenze territoriali, è nota con il nome di Welfare State: al di là dei diversi caratteri il
tratto saliente che lo contraddistingue rispetto alle precedenti configurazioni statali è il dichiarato
obiettivo di promuovere il benessere dei propri cittadini varando una serie di misure sociali
preventive e protettive che implicavano una predisposizione ed erogazione routinaria e
razionalizzata di beni e servizi.
Con lo scopo di scongiurare i rischi connessi ad eventi nefasti, accidentalmente, come malattia,
infortunio, perdita del lavoro, o inesorabilmente, come la vecchiaia, sono varate forme assicurative
obbligatorie a carattere universalistico, tratto che le distingue dalle prime esperienze solidaristiche
di stampo cetuale e professionale fondate su criteri di esclusività.
Nel ripercorrere brevemente le dinamiche storiche e sociali che hanno catalizzato l’avvio di
ampie riforme sociali, accanto al ruolo svolto dagli Stati moderni è doveroso dare il giusto risalto
alla trasformazione dei presupposti scientifici che hanno indirizzato l’azione medica e con essa il
complesso dei provvedimenti igienico-sanitari promossi dall’amministrazione pubblica
54
.
Risultati positivi nei termini di una riduzione della mortalità e della frequenza delle malattie
sono stati raggiunti dalla sanità pubblica a partire dal XVIII sec. grazie all’applicazione del metodo
e delle analisi quantitative proprie della scienza sperimentale che hanno segnato una cesura rispetto
ai principi teorici sino ad allora dominanti d’ispirazione aristotelica e galeniana noti come teoria dei
quattro umori (flemma, sangue, bile gialla e bile nera); l’origine delle malattie era imputata ad una
perturbazione dell’equilibrio assicurato da tali umori, secondo una spiegazione intraspecifica delle
patologie che scoraggiava forme di prevenzione e cure esterne.
Il mutamento di prospettiva apportato dagli studi e dalle scoperte galileiane, di notevole impatto
nella scienza medica fu quella del microscopio, e, in un periodo successivo, l’importanza attribuita
ai fattori ambientali dal positivismo, permisero di accordare la giusta considerazione a quegli agenti
patogeni invisibili all’occhio umano ma già sospettati come possibile causa dalle felici quanto
ignorate intuizioni di alcuni luminari romani.
La teoria della contagiosità delle malattie e le devastanti conseguenze del tifo e della peste nel
seicento, del vaiolo nel secolo successivo insieme alla diffusa convinzione dell’efficacia offerta dal
vaccino e allo sviluppo degli studi epidemiologici avvalorano la tesi che la salute sia un bene della
società e non solo del privato cittadino, legittimando in tal modo la formazione di strutture sanitarie
adibite all’assistenza medica.
54
Eva Buiatti [et. al.], Trattato di sanità pubblica, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1993.
Movimenti di opinione favorevoli ad un’assistenza ospedaliera estesa all’intera popolazione
trovano una concreta realizzazione dei propositi manifestati in seguito ai problemi sanitari posti
dalla rivoluzione industriale, che rende visibili e di urgente risoluzione ai fini del mantenimento
dell’ordine sociale, le carenze igieniche e le condizioni abitative e lavorative malsane in cui versano
masse di lavoratori addensati nelle città industriali.
La nascita dei servizi sanitari statali rappresenta una risposta volta ad arginare il peggioramento
delle condizioni di vita delle persone e l’insorgenza di nuove patologie, quali il colera e la
tubercolosi. Considerevole risonanza viene tributata a livello accademico agli studi sull’igiene, con
l’istituzione di pertinenti cattedre universitarie, sulle condizioni insalubri di taluni lavori o ambienti
lavorativi nonché sui regimi alimentari più equilibrati.
Si apre in definitiva un clima favorevole all’istituzione di servizi sanitari nazionali sulla base di
una legislazione organica e consapevole.
6. 2 L’evoluzione della politica sanitaria in Italia.
L’Italia liberale, dotata di una legislazione sociale avanzata in materia di assicurazioni
pensionistiche e a tutela dei disoccupati, manifesta gravi ritardi rispetto ai maggiori Paersi europei
sul piano dell’istituzionalizzazione di un sistema sanitario moderno, carenze e rimandi che si
trascineranno ben oltre la prima fase post-unitaria
55
.
In precedenza, nelle maggiori città-stato del Trecento si sviluppano i primi Istituti sanitari, come
la Magistratura permanente di Milano alla quale erano delegati compiti preventivi, ispettivi e
repressivi in ordine a problemi igienico-sanitari. Le prime esperienze di controllo sanitario
dall’alto, seppur circoscritto territorialmente alle configurazioni politico-amministrative del tempo
rappresentarono un precedente significativo che, scomparse nel Settecento in seguito
all’affermazioni di principi ostili alle interferenze istituzionali nella vita della società, furono
riproposte con convinzione dopo la falcidia di vite umane causata dal colera nel XIX sec.
Nel periodo pre-unitario i differenti Stati italiani varano numerosi provvedimenti sanitari ed i
successivi tentativi da parte dello Stato unitario di dare luogo ad una legislazione sanitaria organica
caddero nel vuoto fino alla legge n. 5849 per la “ Tutela dell’Igiene e la sanità pubblica” del 1888
55
Giovanna Vicarelli, op.cit.
approvata dal governo Crispi e completata l’anno successivo dalla riforma delle Opere Pie
finalizzata a diversificare ospedali e istituzioni di beneficienza.
Né questa né le successive riforme precedenti al periodo repubblicano sortirono effettivi
miglioramenti nello stato di salute della popolazione, dati gli elevati tassi di mortalità che
distanziavano l’Italia dalla maggioranza dei Paesi Occidentali.
Le ragioni di questo triste primato sono prevalentemente dovute a responsabilità pubbliche; le
principali cause di morte erano infatte dovute ad epidemie sociali come la malaria, il colera, la
dissenteria, il tifo, tutte strettamente connesse a carenze alimentari, assenza di adeguati impianti
idraulici e fognari, insalubrità degli ambienti lavorativi nonché disinformazione diffusa in materia
di igiene. Non trascurabile è stato il peso esercitato dal blocco finanziario e agrario, interessato a
conservare un potere di controllo tanto pieno quanto discrezionale sul luogo di lavoro e sui
lavoratori, che premeva sulle scelte governative per contrastare qualsiasi velleità di riformismo
sociale; le inadempienze dello Stato hanno così consolidato il ruolo centrale della famiglia e della
parentale come uniche forme di solidarietà sociale.
Sulle motivazioni alle quali ricondurre quella che viene considerata l’“asocialità” del
capitalismo italiano intendendo con tale espressione la discrasia, più volte ripresentatasi nella storia
italiana, tra fasi di celere sviluppo economico e l’assenza di corrispettivi ammortizzatori sociali
finalizzati ad attutire gli effetti dei drastici mutamenti, prevale la spiegazione del disinteresse da
parte dei ceti imprenditoriali italiani nei riguardi di problematiche sociali; la ragione è da attribuire
alla propensione manifestata nei confronti di un modello di crescita economica non fondato
sull’innovazione tecnologica, con la conseguente convenienza all’introduzione di nuove macchine,
bensì sulla possibilità di attingere ad un ampio bacino di manodopera, dalla cui svalutazione
economica è possibile ricavare un risparmio sui costi di produzione. Proprio la continuità tra mondo
agricolo ed industriale con il persistere di sistemi tradizionali di protezione insieme ad un
paternalismo caritativo di matrice cattolica interiorizzato nelle mentalità del mondo contadino e
riproposto nelle nascenti fabbriche rende inutili ed indesiderabili per il padronato industriale
interventi pubblici di sostegno e tutela della forza lavoro.
Benché numerose inchieste, ed in particolare l’indagine condotta da Bertani
56
, avessero con
insistenza sottolineato il nesso tra salute, precarie condizioni lavorative ed altri fattori sociali, solo
l’aprirsi di una fase d’emergenza a seguito della propagazione del colera nell’ultimo ventennio del
XIX sec. e l’influenza esercitata dal positivismo su di un ceto medico in progressiva crescita
numerica, conferisce vigore all’azione statale che si adopera nel tentare di prevenire i potenziali
conflitti sociali sviluppando un sistema pubblico sanitario e assistenziale.
56
La ricerca citata è riportata presso gli Atti della Giunta per l’inchiesta agraria sulle condizioni della classe agricola,
Volume X, ottava circoscrizione, Bertrani Agostino, Roma, Tip. Senato, 1883-1 V..
Tuttavia, proprio le resistenze dei medici, contrari alla prospettiva di rinunciare del tutto alla ben
più remunerativa libera professione limitano notevolmente gli interventi pubblici nella sanità
favorendo il prevalere di rapporti privatizzati medico-paziente.
Il periodo bellico si caratterizza per l’intensificarsi dell’azione statale nei settori economici e
sociali tra i quali l’ambito sanitario, senza che tutto ciò comporti rilevanti novità rispetto
all’impianto mutualistico su base volontaria preesistente.
Neppure l’esperienza fascista apporta salti di qualità strutturali sul piano dell’organizzazione
sanitaria; unica novità di rilievo è l’introduzione dell’assicurazione obbligatoria riferita a particolari
tipologie morbose ma restano irrisolte le contraddizioni e le incoerenze dovute all’oscillazione del
regime tra adesione a principi liberisti e attitudini corporativiste che si traducono nel sostegno a
sistemi di assicurazione obbligatoria per alcune classi lavoratrici mantenendo forme mutualistiche
per altri. In modo più accentuato ed ideologizzato del passato si affida alla famiglia il compito di
provvedere alla salute dei propri membri, adeguando la legislazione sociale di conseguenza,
perpetrando e sostenendo inoltre l’imposizione nelle fabbriche di una disciplina padronale, lasciata
libera di sfruttare la manodopera retribuendola con bassi salari.
L’esigenza di accrescere il consenso verso il regime da parte di strati sempre più ampi della
popolazione si traduce in un maggiore accentramento del controllo sociale statale, con l’estensione
delle assicurazioni sanitarie obbligatorie, l’aumento delle elargizioni sociali ed una fitta rete
organizzativa destinata a monopolizzare le attività del tempo libero. Considerevole spazio in ambito
solidaristico e pedagogico riacquista, dopo il processo di laicizzazione assistenziale promosso dallo
Stato liberale, la Chiesa, come contropartita del suo appoggio al regime sugellato a seguito dei Patti
Lateranensi.
Dal dopoguerra al 1979 l’assistenza ospedaliera ruotava intorno a quella che può essere definita
come la “galassia delle mutue”; tra le maggiori, istituite a partire dagli anni quaranta vi era l’Inam
per i lavoratori dipendenti del privato, l’Enpas per i dipendenti statali, Inadel per i dipendenti degli
enti locali, Enpals dello spettacolo che, uniti alla miriade di casse degli artigiani, commercianti,
coltivatori diretti, liberi professionisti ed ogni sorta di categoria sociale come sacerdoti, invalidi
civili, cassintegrati costituitesi successivamente, superavano la soglia dei trecento enti censiti a
livello nazionale.
La difficoltà di contenere crescenti disavanzi a fronte della proliferazione di nuove categorie
senza un corrispondente aumento dei contributi, innescarono una profonda e perdurante crisi
finanziaria, chiamata insistentemente in causa per motivare l’urgenza e la necessarietà delle riforme
successive.
6. 3 La riforma sanitaria del 1978: l’istituzione del Servizio sanitario nazionale.
Nel secondo dopoguerra la legislazione in materia sanitaria cerca di conformarsi al diritto
fondamentale della tutela della salute individuale indipendentemente dalle condizioni economiche
sancito dall’articolo 32 della Costituzione
57
.
Eccetto l’istituzione dell’Alto commissiariato per l’igiene e la sanità pubblica nel 1947 e la
fondazione del ministero della Sanità nel 1958 con l’intento di ampliare il carattere pubblico e
centrale del servizio sanitario, non si assiste ad una riforma di ampio respiro in grado di recepire le
istanze costituzionali e porre fine alle disparità di trattamento generate dalla moltitudine di enti
mutualistico-assistenziali, sino all’approvazione della legge n. 833 che avvia il Servizio sanitario
nazionale. La riforma stabilisce tre livelli di competenza: nazionale, regionale, enti locali
assegnando competenze orientative allo Stato, legislative alle Regioni, amministrative ai Comuni ed
alle Province. Il nucleo operativo dei Comuni è costituito dalle Usl (unità sanitarie locali), a sua
volta strutturata in distretti sanitari di base, che adempie alle proprie funzioni all’interno di
determinati ambiti territoriali. Il principale compito delle Usl è la gestione degli ospedali e dei
servizi a livello territoriale.
Rispetto al precedente sistema mutualistico si stabilisce una copertura universale, indipendente
dal reddito e si sancisce l’importanza della prevenzione, della cura e della riabilitazione.
Programmazione, unicità nella gestione dei servizi, uniformità di trattamento costituiscono gli altri
aspetti fondamentali della riforma.
Carenze infrastrutturali (personale infiermeristico e figure specialistiche quali l’epidemiologo, il
medico di comunità) e l’assenza di linee programmatiche (dovuti a mancanze tanto a livello centrale
che periferico) coerenti volte ad individuare precisi obiettivi e le necessarie risorse, in linea con
quanto previsto nella legge 833/1978, finiscono col vanificare in buona parte i propositi di
efficienza, efficacia ed equità manifestati nella legge. Gli interventi successivi sono così orientati ad
introdurre maggiore snellezza amministrativa e contenimenti nella spesa attraverso apportando
elementi di managerialità che consentissero una maggiore autonomia dal potere politico.
Alcune innovazioni senza tuttavia creare particolari stravolgimenti sono state previste nel
decreto legislativo di “ riordino della disciplina in materia sanitaria” n. 502 del 1992 che accresce il
57
Per un più accurato esame dei temi trattati vedere Eva Buiatti [et. al.], op. cit.
ruolo gestionale in ambito diagnostico e terapeutico del privato nell’assistenza sanitaria per cercare
di tamponare, secondo discutibili modalità, gli sprechi e le inefficienze del sistema pubblico.
Gli aspetti qualificanti della riforma sono rappresentati dalla costituzione delle Asl (Aziende
sanitarie locali) improntate su criteri aziendalistici, che determinano una netta separazione tra
funzione gestionale e programmatoria; rafforzamento del peso regionale per quanto attinente alla
fase programmatoria a discapito degli Enti locali.
Si accentua il ruolo del privato nell’erogazione dei servizi lasciando libertà di scelta al cittadino,
purché la struttura privata sia in possesso di adeguati “accreditamenti”.
6. 4 Legge 419/1998: principi, implicazioni e recenti sviluppi della terza riforma sanitaria.
La riforma
58
tenta di risolvere i problemi cumulatesi nel sistema sanitario nazionale (in primis
deficit ed inefficienze), senza comprometterne i punti di forza che risiedono nell’adozione dei
principi di equità ed imparzialità.
Le preferenze della riforma sono saldamente orientate ad un servizio sanitario nazionale che,
alla luce dei dati disponibili sul versante delle spese secondo comparazioni internazionali, si rivela
finanziariamente più sostenibile delle altre alternative.
E’necessario perciò introdurre, nei limiti posti dal principio di sussidiarità, correttivi di tipo
regolativo ed organizzativo senza dover avviare uno smantellamento dell’intero sistema ma, anzi,
optando per una convinta scelta per il pubblico tanto nel finanziamento quanto nella produzione dei
servizi sanitari.
In quanto diritto inalienabile e costitutivo della dignità umana nonché risorsa per la collettività,
la tutela della salute non può essere affidata alle dinamiche del mercato nel quale gli operatori
agiscono con l’obiettivo di massimizzare le remunerazioni, né d’altra parte la promozione della
salute è garantita lasciandone la gestione alle istituzioni pubbliche se non si interviene per prevenire
e scardinare privilegi e posizioni di rendita che spesso si cristallizzano all’interno di sistemi statici e
rigidi.
58
Eva Buiatti [et. al.], op. cit.
La proposta è quella di un sistema in cui privato e pubblico concorrono per accrescere l’offerta e
la qualità dei servizi nell’ambito di precise regole e standard qualitativi stabiliti dallo Stato. Il
coinvolgimento, la responsabilizzazione e l’integrazione tra i diversi livelli funzionali interni alla
sanità assume un ruolo determinante all’interno di un quadro di coordinamento e condivisione degli
obiettivi.
Questi rappresentano dunque i principi ispiratori della riforma, la cui concreta realizzazione
dipende da conformi proposte operative.
Tra di esse particolare rilevanza hanno l’istituzione di fondi integrativi; esclusività del rapporto
medico-servizio pubblico; temporaneità degli incarichi dirigenziali, verifica e valutazione dei
risultati, formazione continua; centralità del cittadino assistito costantemente dalla fase preventiva a
quella terapeutica attraverso servizi dentro e fuori le strutture ospedaliere. Prioritaria è la funzione
del Piano sanitario regionale predisposto centralmente in modo da assicurare omogeneità
nell’offerta e nelle prestazioni, superando differenze sociali e territoriali.
Alcune brevi coordinate sono necessarie per chiarire la configurazione sistemica della sanità
italiana in rapporto alle possibili forme di assistenza sanitaria (Fig.6.1)
59
.
59
Mapelli Vittorio, Il sistema sanitario italiano, Bologna, Il Mulino, 1999.
FIG 6.1: TIPI E CARATTERI DEI SISTEMI SANITARI
SISTEMA
SANITARIO
FINANZIAMENTO PAGATORE
PRINCIPIO
COSTITUTIVO
FALLIMENTI BENEFICI
MUTUALISTICO
Contributi sanitari
Enti
mutualistici
Solidarietà
Azzardo morale;
esclusione non
lavoratori; assenza
di prevenzione
Allargameto
delle categorie
sociali e delle
malattie
coperte; costo
premi ridotto;
parziale
redistribuzione
PUBBLICO Imposte Enti pubblici Bisogno
Azzardo morale;
problemi di
razionamento;
inefficienza; costi
eccessivi
Universalità;
uniformità;
prevenzione;
redistribuzione
Prezzi
Asimmetria
informativa; assenza
beni pubblici;
discrezionalità e
selettività
Assenza di rischio
morale; rapidità e
differenziazione
servizi
MERCATO
Premi assicurativi
Assicurazione Profitto
Rischio morale;
penalizzazione
soggetti ad alto
rischio
Tutela
rispetto ai rischi e
imprevedibilità
malattie
CARITATIVO Donazioni
Fondazioni,
istituti religiosi
Beneficienza
Assistenzialismo;
assenza prevenzione
e pianificazione;
parzialità
Gratuità
prestazioni
CONCORRENZA
CONTROLLATA
Contributi sociali
e imposte
Stato e datori di
lavoro
Qualità ed efficienza
Aumento costo
lavoro; difficoltà di
contenimento costi;
penalizzazione
lavoratori marginali
Beni pubblici;
universalità;
incentivi di
mercato;
riduzione
comportamento
sleale
Fonte: Adattato da Mapelli V. (1999).
La figura 6.1 illustra le principali differenze tra le possibili tipologie di assistenza sanitaria; la
classificazione è operata in relazione alle loro modalità di finanziamento che convenzionalmente
costituisce il tratto connotativo nella definizione di un sistema sanitario come pubblico, privato o
misto.
La posizione di debolezza di coloro che esercitano una domanda rispetto all’offerta di beni e
servizi sanitari, data l’ignoranza del malato sulla gravità del suo stato e sulle cure più adeguate, la
possibilità di conseguire esternalità positive, come la prevenzione, lo sviluppo della ricerca
scientifica o la lotta alla diffusione di malattie, rappresentano le principali motivazioni a sostegno di
un sistema sanitario pubblico che alla luce delle considerazioni esposte offre maggiori garanzie in
termini di tutela della salute di quanto sia possibile attendersi da un servizio sanitario incentrato sul
mercato.
Se da una parte il servizio sanitario pubblico, accrescendo lo stato di salute della popolazione,
genera risvolti economici e sociali benefici contribuendo ad un’incremento della produttività e del
benessere, dall’altra l’assenza di meccanismi razionalizzatori della domanda, quali sono i prezzi nel
sistema di mercato, è causa di inefficienze e disincentivi che si traducono spesso in lunghe attese,
scarsa qualità, incapacità nel contenimento dei costi.
Il caso italiano è esemplificativo dei vantaggi e degli svantaggi connessi all’adozione di un
sistema sanitario nazionale: nell’ordine dei benefici rientrano certamente le variazioni in positivo
dei principali indicatori della salute
60
(speranza di vita, tasso di mortalità, mortalità evitabile) ad un
livello superiore alla media europea nei dieci anni successivi alla sua istituzione, segno evidente
della sua efficacia; un costo inferiore rispetto alla media dell’Unione europea per quanto attiene alla
spesa sanitaria; una notevole capacità redistributiva sul piano sociale e territoriale.
Dinamiche contestuali, precedentemente considerate e specifiche disfunzioni interne (in
particolare bassa qualità delle prestazioni, inefficienze, scarsa produttività) hanno oggi messo
all’ordine del giorno l’urgenza di riforme strutturali nell’organizzazione sanitaria a livello nazionale
ed europeo.
Prima di entrare nel merito dei problemi che il mondo sanitario italiano si trova ad affrontare, è
opportuno procedere ad un breve esame comparativo in riferimento ad alcuni dei parametri
precedentemente considerati.
Il modello italiano è prevalentemente pubblico per quanto concerne la fonte di finanziamento
(70%) e le modalità di erogazione dei servizi (24%), misto con una leggera prevalenza del privato
in riferimento alla produzione di beni e servizi (53% privati contro 47% pubblici).
60
Mapelli V., op. cit.
Tuttavia, benché la quota di ricchezza nazionale devoluta alla Sanità si attesti in Italia (7,6% del
Pil) a livelli inferiori rispetto la media Ue(8%) e Ocse (7.8%), la quota di finanziamento privato è
tra le più elevate (30%)
61
.
L’insoddisfazione crescente nei riguardi delle prestazioni offerte dal settore pubblico risulta
determinante nella sempre più frequente richiesta di un’assistenza sanitaria alternativa. Problemi
come le modalità di finanziamento, il livello di qualità dei servizi, il miglioramento dell’efficienza,
sono tra i problemi con i quali il sistema sanitario dovrà misurarsi in modo sempre più stringente.
6. 5 Salute, equità e politiche sanitarie.
Ragionando in termini di parità nelle condizioni di accesso, non vi è alcun dubbio che il sistema
sanitario pubblico garantisca una maggiore equità rispetto al carattere fortemente selettivo che
connota un sistema sanitario il cui accesso è regolato sulla base della disponibilità finanziaria degli
utenti. E’ vero che in assenza del prezzo quale meccanismo razionalizzatore della domanda la
lungaggine dei tempi di attesa diventa un effetto mal sopportato e spesso deleterio tanto che molti
sono disposti a rivolgersi alle strutture private per ottenere un immediato (o quasi) soddisfacimento
della domanda dietro pagamento della prestazione. Si tratta però di richieste specifiche(in
particolare visite mediche specialistiche, accertamenti diagnostici, esami di laboratorio) e non
consuetudinarie e nell’ambito di un rapporto integrato e non alternativo tra pubblico e privato, dove
il primo ricopre ancora un importante funzione di supporto finanziario, poiché se tutte le prestazioni
sanitarie fossero erogate privatamente o comunque si affermasse un sistema sanitario di tipo
dualistico basato su un criterio censitario le controindicazioni sul piano dello stato di salute
complessivo non tarderebbero a farsi sentire.
Le principali ragioni di critica rivolte al sistema sanitario pubblico non possono chiamare in
causa né gli eccessivi livelli di spesa né l’efficacia poiché studi comparati effettuati a livello
internazionale
62
hanno mostrato come i più elevati livelli di spesa sanitaria nonché i peggiori
risultati sanitari (utilizzando tra gli indicatori salutistici la durata media di vita, la mortalità infantile,
61
Ibid.
62
World Health Report 2000 dell’OMS.
analfabetismo medio) siano di gran lunga appannaggio dei Paesi (Stati Uniti in primis) nei quali la
sanità è dominata dal settore privato.
La riduzione dei tempi di attesa e i famigerati casi di malasanità fanno capo a un problema di
efficienza la cui soluzione non risiede nel semplicistico ricorso al mercato seguendo tappe forzate,
ma in complesse ed integrate azioni di politica sanitaria nelle quali il privato costituisce un
elemento di stimolo e di concorrenza rispetto alle strutture pubbliche senza sostituirsi o separarsi
nettamente da esso generando una dicotomizzazione tra fasce di utenza facoltose e fasce più
disagiate che segnerebbe il dissolvimento del principio universalistico nell’assistenza sanitaria.
Oltre che nelle condizioni di accesso, la sanità pubblica garantisce un’altra forma di equità,
quella redistributiva: la compresenza del principio del bisogno di salute e della capacità
contributiva, riferendo il primo ai benefici ricevuti sotto forma di prestazioni, il secondo alla quota
di finanziamento elargita, rende possibile un trasferimento di risorse a vantaggio di alcune fasce
sociali come anziani e ragazzi senza una necessaria corrispondenza con i tributi versati.
L’istituzione del Fondo Sanitario Nazionale e la possibilità da parte delle regioni di acquisire
risorse sanitarie aggiuntive a quelle assegnate centralisticamente, ha consentito il raggiungimento di
un ulteriore obiettivo; l’equità territoriale, definita nei termini di un eguale ammontare di spesa
media pro capite tra le differenti regioni.
Indubbiamente, dunque, la sanità pubblica rappresenta una risorsa irrinunciabile riguardo alla
prevenzione e soluzione di problematiche quali l’accesso alle cure sanitarie, ai farmaci, alle
politiche educative ed informative che contribuiscono in maniera congiunta ad incrementare il
benessere sanitario della popolazione.
Senza mettere in discussione l’importanza dell’intervento pubblico in ambito sanitario è
necessario anche fornire una risposta adeguata ai problemi, in parte radicati ed in parte emergenti
del sistema sanitario. Le recenti modifiche legislative nel settore che a partire dal 1992 tentano di
apportare validi correttivi al sistema, seguono un percorso riformatore che ha gradualmente
accentuato i caratteri di decentramento e responsabilizzazione, ritenute le politiche più adeguate a
fronte di un incremento del bisogno sanitario e di una pressante esigenza al contenimento della
spesa.
La maggiore domanda di prestazioni sanitarie va inquadrata nell’orizzonte tanto di una
maggiore informazione e competenza dell’utenza rispetto al tema della salute che in molti casi si
traduce in una maggiore autonomia e presa di responsabilità nella cura del proprio corpo (attraverso
l’adozione di stili di vita sani ed un frequente ricorso ad accertamenti preventivi), quanto dai
progressi scientifici e tecnologici conseguiti dalla medicina che hanno avuto tra gli effetti quello di
aprire e allargare nuovi settori di offerta (farmaceutica e medico-chirurgica) in grado di soddisfare
le crescenti istanze di funzionalità fisica ed perfettibilità estetica
63
.
La questione del contenimento della spesa sanitarie (pur attestandosi in Italia al di sotto della
media europea) assume una certa rilevanza se considerato in una prospettiva di medio periodo, in
ragione delle previsioni sugli andamenti demografici e sulla tenuta finanziaria della contabilità
nazionale.
La principale ragione della disinvoltura finanziaria imputata alle regioni e alle Usl è conseguente
all’impostazione contraddittoria sul piano finanziario della prima riforma partita negli anni ’70 che
assegnava allo Stato centrale il ruolo di finanziatore mentre, in linea con un modello di finanza
decentrata, lasciava alle singole regioni piena licenza di spendere. I tentativi di limitare le politiche
di disavanzo hanno puntato essenzialmente sull’attribuzione alle regioni di autonomia impositiva
accampagnata dall’eliminazione dei vincoli di destinazione e di modalità d’uso della spesa in modo
da ottenere una maggiore responsabilizzazione finanziaria da parte delle regione e delle singole
aziende sanitarie che, organizzandosi intorno a più marcati principi di managerialità dovrebbero
conseguire risultati apprezzabili anche in termini di efficienza.
Accanto ai mutamenti nelle politiche di controllo sul lato del budget, importanti innovazioni
sono state introdotte dal lato della domanda, in riferimento alla politica di compartecipazione alla
spesa farmaceutica, diagnostica e specialistica. Le novità attengono all’abolizione dei ticket sui
farmaci (già in essere da luglio 2001) e gradualmente dall’annullamento della franchigia sulla
diagnostica e specialistica (introdotti come strumento di controllo sui consumi sanitari, rivelatesi
tuttavia sistemi per addossare parte dei finanziamenti agli utenti), provvedimenti motivati da scopi
perequativi, ed, in contrappeso, l’apertura di credito concessa ai farmaci generici (equivalenti
farmaceutici e terapeutici dei medicinali già autorizzati), messi in commercio alla scadenza del
brevetto senza un marchio distintivo cioè con l’obiettivo di ridurre gli esborsi pubblici destinati alle
cure sanitarie
64
.
63
Salute e sistema sanitario in Italia negli anni ’90. Risposte integrate ai bisogni di salute. Cittadini e nuove sanità,
Università di Bologna, 1 Dicembre 2000.
64
Gianluca Fiorentini, acura di, I servizi sanitari in Italia, Bologna, Il Mulino, 2001.
6. 7 Salute: un bene pubblico.
Nella figura 6.2 sono schematicamente riassunte le principali connessioni sussistenti tra le
dimensioni oggetto di questo e dei precedenti capitoli. Le frecce in rosso che segnalano una
relazione positiva tra una grandezza e l’altra rendono evidente il circolo virtuoso che lega una
condizione di equità, garantita dalla presenza di un sistema sanitario prevalentemente pubblico, con
miglioramenti nello stato di salute complessivo e di conseguenza nel livello di benessere generale, a
sua volta fattore favoreggiante di più elevate condizioni di salute (la teoria alla quale è possibile
ricondurre tali interdipendenze fa leva sull’idea di capitale umano ritenuto il principale fattore
esplicativo dell’aumento concomitante di una pluralità di aspetti quali salute, istruzione, qualifica
professionale, tutti elementi recanti contributi significativi tanto al benessere individuale quanto al
benessere comunitario).
Meno netta, a livello empirico, è l’immediatezza del rapporto tra progressi raggiunti nello stato
di salute e rilevati mediante indicatori oggettivi, la cui stima non necessita l’interpellanza dei
soggetti assunti a unità iniziale di rilevazione, e l’autopercezione dichiarata dai medesimi
assumibile come indicatore del benessere individuale. Dai dati analizzati nei capitoli che seguiranno
non è infatti riscontrabile una correlazione diretta tra i due livelli di benessere (individuale e
collettivo), discrepanza riconducibile o all’inadeguatezza degli indicatori utilizzati oppure ad una
dinamica relazionale più complessa sussistente tra i termini oggetto dell’analisi.
Partendo da una riformulazione più generalizzabile delle categorie in questione si cercherà di
esporre un modello analitico in grado di supplire alle difformità osservate tra formulazioni teoriche
e dati empirici, sulla base di un un sistema metodologico capace di integrare il livello di analisi
macro con quello micro.
6. 7 Conclusioni
Le precedenti considerazioni, hanno mostrato come l’assenza di uno Stato sociale, che provveda
attivamente all’attuazione sostanziale dei diritti sociali riconosciuti, sia causa di una crisi della
salute e la debolezza delle motivazioni che propendono verso il passaggio ad un sistema sanitario
privatistico che si è dimostrato finanziariamente ben più oneroso, tanto a livello pro-capite quanto
in rapporto al Pil. Dunque non ci sono ragioni convincenti né socialmente né economicamente a
favore di un sistema sanitario privato. D’altra parte, al di là di un piano meramente disquisitorio,
non esistono prove incontrovertibili a sostegno della tesi di maggiore efficienza ed efficacia di una
gestione privatistica della sanità; al contrario, da alcune ricerche effettuate a livello comparativo sui
costi sostenuti dal sistema sanitario, il più alto rapporto tra spesa sanitaria e Pil (14%), è stato
riscontrato nel sistema privato statunitense
65
.
Piuttosto si tratta di studiare il modo di ridurre i motivi di insoddisfazione diminuendo gli
sprechi e accrescendo la validità delle prestazioni, puntando su misure di tipo preventivo che
garantiscono un maggiore egualitarismo senza intaccare la difesa di diritti sociali, al di là delle
contrapposizioni ideologiche tra libertari ed egualitari (fautori rispettivamente di un assistenza
sanitaria privata e pubblica) che si ripropongono anche in ambito sanitario
65
.
Inoltre sono già tangibili i rischi e le conseguenze deleterie che derivano da un invadenza del
mercato nella sfera sanitaria; considerare la salute alla stregua di una merce e assoggettarla alle
leggi della domanda e dell’offerta spianerebbe la strada e renderebbe legittimo il commercio degli
organi che oggi imperversa già clandestinamente.
Sul piano teorico e metodologico vi è poi la necessità di integrare e riformulare in modo più
convincente teorizzazioni e modelli esplicativi che appaiono piuttosto incompleti e lacunosi anche
sul piano della rilevazione empirica.
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Sofio Amalia Donia, Invecchiamento della popolazione e riforma del programma Medicare negli Usa, Politiche
sanitarie, Vol. 2, N. 2, Marzo-Aprile 2001.
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Williams Alan, Ideologia e mix pubblico e privato in sanità, Politiche sanitarie, Vol. 2, N. 1, Gennaio-Febbraio 2001.