Luca DAVINI –- Profili di riorganizzazione del sistema bancario nell’area dell’euro VII
Alla luce dell’esperienza del mezzo secolo che ci separa dalla fine
della guerra e dalle prime, concrete decisioni di integrazione, dobbiamo
riconoscere che la scelta dei padri fondatori di procedere “a macchia di
leopardo”, iniziando là dove più agevole appariva il cammino, si è rivelata un
successo. Essa ha consentito, nel tempo, di aprire l’Europa agli scambi di
merci e servizi, a quelli di capitali, fino alla costituzione del mercato unico; ha
consentito una legislazione comune in settori come quelli dell’attività bancaria
e finanziaria e della tutela della concorrenza; ha aperto le frontiere ai cittadini,
creando nuove opportunità di studio, di conoscenza, di lavoro; ha unito i Paesi
membri con vincoli giuridici e con patti politici riguardanti le politiche di
bilancio; ha sviluppato una consuetudine di civile confronto che ha evitato
rotture traumatiche, anche in occasione di crisi acute; ora ha dato vita
all’Unione monetaria e con essa alla Banca centrale europea; attraverso il
nostro “viaggio” cercheremo di scoprire quali compiti, quali obiettivi e quali
mezzi siano stati attribuiti a questa istituzione, quale sia la sua struttura ed il
suo apparato organizzativo nonché quale sia il grado di discrezionalità del
potere esecutivo di cui essa gode e a quali controlli sia sottoposta la sua
attività.
Restano, certo, diversità, conflitti di interesse, diffidenze. Ma
sussistono anche gli ideali di unità europea, le aspirazioni alla libertà, alla
pace, al benessere diffuso. Su questi, abbiamo costruito in Europa un apparato
giuridico e istituzionale sui generis ma forte, caratterizzato da ampie cessioni
di sovranità in settori importanti della vita pubblica. Sul piano più strettamente
economico l’euro sta già potentemente influendo sulla struttura, non solo
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finanziaria, dell’economia europea: il sistema bancario sta vivendo un intenso
processo di razionalizzazione, il mercato dei capitali si sta arricchendo ed
approfondendo, la concorrenza, fonte del progresso economico, si sta facendo
più intensa, il controllo delle imprese è sempre più oggetto di uno scrutinio
attento da parte degli investitori.
Più in generale, l’Europa vive un processo di trasformazione di civiltà.
Il suo sbocco, come per ogni grande mutamento storico, dipenderà dai cittadini
europei e dalla classe politica e dirigente che essi sapranno esprimere. Se è vero
che la storia non è finita, l’euro non è un punto d’arrivo, ma di partenza.
Luca DAVINI –Profili di riorganizzazione del sistema bancario nell’area dell’euro
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Capitolo primo
DAL MERCATO COMUNE ALLA UNIONE ECONOMICA E
MONETARIA: LE ORIGINI DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA
Sommario: §1. Dai primi esperimenti di unione monetaria al Trattato di
Roma sulla Comunità economica europea. §2. Il Piano Werner e la creazione
dello SME. §3. Il Rapporto Delors. Prima fase dell’Unione economica e
monetaria. §4. L’istituzione dell’Istituto monetario europeo e della Banca centrale
europea. Seconda fase dell’Unione economica e monetaria. §5. L’introduzione
dell’euro. Terza fase dell’Unione economica e monetaria. §6. Lo scenario attuale..
§1. Dai primi esperimenti di unione monetaria al Trattato di Roma
sulla Comunità economica europea
La creazione della Banca centrale europea rappresenta senza dubbio una
tappa storica sulla via dell’integrazione dell’Europa e riveste un’importanza che
valica i confini del vecchio continente. L’obiettivo del raggiungimento di
un’unione monetaria europea è passato attraverso un percorso lungo e per certi
versi discontinuo, segnato dalla non immediata percezione della necessità di
fondare l’intero impianto dell’unione monetaria sulle basi di una istituzione forte,
quale una banca centrale
1
.
1
Sull’argomento vedi P.B. Kenen, Economic and monetary union in Europe, Cambridge,
Cambridge University Press, 1995 che svolge una descrizione completa, attraverso un taglio
storico-istituzionale nonché analitico-economico di unificazione monetaria.
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2
Già a partire dalla metà del diciannovesimo secolo si segnalano i primi
esperimenti di unione monetaria con la cosiddetta Unione latina, un sistema
bimetallico oro-argento improntato al perseguimento della massima armonia
monetaria. L’esperimento durò fino all’avvento del gold standard, che fino alla
prima guerra mondiale garantì un sistema monetario sufficientemente stabile a
tutto il mondo economicamente evoluto. Il periodo tra le due guerre fu
inevitabilmente caratterizzato da un’autarchia economica che non consentì in
sostanza nessuna forma di cooperazione tra gli Stati.
Fu dal secondo dopoguerra che negli Stati europei riemerse un
sentimento di rinascita economica, sentimento che portò nel 1950 all’istituzione
dell’Unione europea dei pagamenti, destinata a durare fino al 1958. Nell’arco di
questo periodo ripresero gli scambi tra Europa e Stati Uniti e fu introdotta la
convertibilità delle monete europee, tra loro e in relazione al dollaro, rendendo di
fatto operativo il sistema disegnato dagli Accordi di Bretton Woods del 1944. Il
sistema di Bretton Woods era fondato su tassi di cambio stabili, sul Fondo
monetario internazionale e soprattutto sulla leadership degli Stati Uniti, che rese
superflua per molti anni la ricerca di uno specifico ordine monetario europeo.
Nel 1955 con la Risoluzione di Messina si annuncia l’obiettivo di creare
un mercato comune, istituzioni comuni e di armonizzare le politiche sociali degli
Stati europei.
Il Trattato di Roma istitutivo della Comunità economica europea, firmato
nel 1957, introduceva due strumenti fondamentali per la realizzazione dei fini
della Comunità: l’instaurazione di un mercato comune e il graduale
riavvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri. Tutto questo
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emergeva già dalla formulazione dell’articolo 2 che, nella sua versione originaria,
poneva il mercato comune e il coordinamento delle politiche economiche sul
medesimo piano, quali strumenti ugualmente necessari per l’azione comunitaria.
Alle enunciazioni generali e di principio non faceva seguito peraltro una
specificazione normativa ugualmente dettagliata e precisa per entrambi i fattori.
Per quanto riguarda il mercato comune, con ciò intendendo le quattro libertà
fondamentali relative a merci, persone, servizi e capitali, i suoi elementi costitutivi
erano definiti nel successivo articolo 3 e poi ulteriormente regolati in singoli
capitoli del Trattato, tanto da potersi ritenere potenzialmente idonee a conseguire
l’obiettivo desiderato, ovvero l’eliminazione degli ostacoli alle citate libertà entro
il periodo transitorio stabilito.
Ben diversa si delineava la situazione a proposito del coordinamento
delle politiche economiche. Per la verità l’articolo 3 lettera g) evidenziava la
necessità di dar vita a procedure idonee alla sua realizzazione, procedure che, nel
titolo del Trattato riguardante la politica economica, facevano quasi del tutto
difetto. Così l’articolo 105 si limitava a prevedere in merito al coordinamento
delle politiche nazionali in materia economica una “collaborazione” tra le
amministrazioni degli Stati membri e tra i loro istituti bancari centrali e,
nell’ambito della politica monetaria, la creazione di un comitato monetario a
carattere meramente consultivo. A sua volta l’articolo 107 qualificava la politica
di ciascuno Stato membro in materia di cambi come “problema di interesse
comune” ma , sul piano normativo, si imitava a stabilire che, nel caso di
svalutazioni “competitive” da parte di uno Stato membro, la commissione avrebbe
potuto autorizzare gli altri Stati ad adottare le necessarie contromisure. Inoltre va
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notato che l’articolo 107 costituiva l’unica disposizione del Trattato in materia di
tassi di cambio: ciò si spiega con il fatto che la stabilità dei cambi era allora
assicurata dal Fondo monetario internazionale, operante in un contesto mondiale
più ampio; tuttavia l’assenza di norme specifiche in materia costituiva una grave
debolezza per la Comunità così come si sarebbe dimostrato agli inizi degli anni
settanta con la crisi del sistema di Bretton Woods.
Il quadro è completato dalle vicende relative alle clausole di
salvaguardia, vigenti ai sensi degli articoli 108 e 109 del Trattato: gli Stati membri
erano autorizzati ad adottare misure di salvaguardia, in deroga agli obblighi del
Trattato, peraltro nel rispetto di limiti assai stringenti quali la presenza di gravi
squilibri nella bilancia dei pagamenti, di un inefficace funzionamento del
meccanismo del concorso reciproco, previa autorizzazione degli organi comunitari
ovvero un rigoroso controllo ex post di iniziative unilaterali, dato il carattere
temporaneo e limitato delle misure consentite.
Nel corso degli anni settanta gli Stati membri hanno fatto un uso
improprio di tali strumenti che hanno svolto una funzione di conservazione
dell’ordine comunitario in attesa di tempi migliori, non originariamente prevista.
Dei due pilastri della costruzione comunitaria, ai sensi dell’art. 2, il
secondo appariva dunque fin dall’inizio più debole, al di là delle enunciazioni di
principio. La sovranità degli Stati non subiva di fatto limitazioni venendo così a
delineare un sistema di rapporti economici contraddittorio e squilibrato sul piano
economico ancora prima che sul piano giuridico e istituzionale.
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Il Trattato CEE nasceva dunque nel segno della profonda contraddizione
di voler creare un mercato comune in assenza di un efficace coordinamento delle
politiche economiche degli Stati partecipanti.
La principale ragione del disinteresse dimostrato dagli Stati europei
durante i negoziati per la stipulazione del Trattato di Roma in materia monetaria
va ricercata nell’ottica con cui, ancora nella metà degli anni ’50, veniva affrontata
la disciplina dei rapporti monetari internazionali. L’indiscusso predominio degli
Stati Uniti privilegiava soluzioni a dimensione mondiale piuttosto che regionale.
Nella dialettica universalismo-regionalismo era il primo a prevalere, soprattutto
nel settore monetario ove la solidità del dollaro e la sua piena e libera
convertibilità in oro ad un prezzo fisso (35 dollari) attribuiva al governo degli
Stati Uniti una leadership mondiale.
Il primo decennio di vita della Comunità, tuttavia, si è sviluppato in
maniera conforme alle aspettative dei suoi fondatori: si è completata l’attuazione
dell’unione doganale, si sono istituite organizzazioni comuni, sono state adottate
misure idonee a rendere effettiva la libera circolazione dei lavoratori ed è stato
avviato il processo di attuazione delle altre libertà fondamentali: il mercato
comune è divenuto in questo periodo una realtà significativa con una incidenza
crescente sulle strategie degli operatori economici.
In parallelo alla progressiva integrazione dei mercati nazionali, si è
assistito ad un naturale allineamento delle politiche economiche e monetarie degli
Stati membri oltre che ad una generale convergenza delle loro economie.
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Alla fine degli anni sessanta tornò a farsi sentire la necessità, auspicata da
più parti, di dotare la Comunità di uno specifico assetto istituzionale in grado di
mantenere la stabilità economica in Europa.
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§2. Il Piano Werner e la creazione dello SME.
Nel dicembre del 1969 i Capi di Stato e di Governo dei Paesi CEE
affidano ad un gruppo di lavoro, presieduto da Pierre Werner, Primo ministro del
Lussemburgo, la predisposizione di un progetto per raggiungere l’Unione
economica e monetaria. Nel Piano Werner, presentato nel mese di ottobre del
1970 e approvato l’anno successivo, è abbozzata per la prima volta l’idea della
necessità di una banca centrale unica, è attribuita la massima importanza alla
stabilizzazione dei cambi tra le monete partecipanti, ma non vi è alcuna traccia in
merito alla politica monetaria da perseguire
2
. Un punto importante è rappresentato
dalla manifestazione da parte degli Stati della volontà di trasferire a livello
comunitario la responsabilità in ambito di politica di bilancio. L’obiettivo è di
raggiungere l’unione monetaria entro il 1980. Il Piano Werner non fu in grado di
raggiungere questo obiettivo a causa anche di una fase congiunturale non
particolarmente favorevole caratterizzata dal progressivo abbandono del sistema
di Bretton Woods, tra il 1971 e il 1973, dallo shock petrolifero del 1974, da un
irrigidimento del sistema dei controlli sui movimenti dei capitali, da burrascose
quanto improvvise variazioni dei cambi e dall’aumento e dai divari dei tassi di
inflazione.
Il Piano Werner ebbe tuttavia il merito di raggiungere alcuni risultati
importanti come l’introduzione di un meccanismo di stabilizzazione dei cambi
intraeuropei, nonché la creazione nel 1972 del cosiddetto serpente monetario cui
2
In argomento A. Steinherr, 30 Years of European Monetary Integration,. From Warner Plan to
Emu, London, Longman, 1994 fornisce un approccio interessante per comprendere storia,
problemi e prospettive dell’Unione monetaria.
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aderirono Germania, Italia, Belgio, Francia, Paesi Bassi, Norvegia, Danimarca e
Regno Unito con lo scopo di limitare le variazioni dei tassi di cambio. L’adesione
e la partecipazione si ridussero tuttavia in breve tempo agli Stati del Benelux, alla
Germania e alla Danimarca, pur mantenendo viva l’idea e la pratica di una
cooperazione monetaria europea anche nei periodi di massima incertezza.
Nel 1973 il Consiglio dei ministri cercò invano di dare una qualche base
istituzionale al “serpente” con la creazione del Fondo europeo di cooperazione,
una istituzione che rimase tuttavia sempre priva di una qualsivoglia funzione
sostanziale.
Nel 1975 nasce un altro protagonista delle futura unione monetaria:
l’ECU, Unità di conto europea, sotto forma di paniere, composto dalle valute di
tutti gli Stati della Comunità. L’ECU è il precursore dell’euro.
Nel 1978, su iniziativa del Presidente della Repubblica francese Valery
Giscard d’Estaing e del Cancelliere tedesco Helmut Schmidt, nacque il Sistema
monetario europeo (SME) con il dichiarato intento di rafforzare la cooperazione
europea sui tassi di cambio. Vi parteciparono, oltre agli Stati che avevano già
partecipato al serpente monetario, la Francia, l’Italia, l’Irlanda, la Germania, il
Belgio, i Paesi Bassi e Danimarca. Il sistema era improntato a un meccanismo di
cambio volto a limitare le variazioni di valore di ogni moneta nei confronti di
ciascuna altra, prevedendo per ogni coppia di valuta un tasso di cambio di
riferimento detto parità centrale, e stabilendo dei margini di oscillazione verso
l’alto o verso il basso inferiori al 2,25%. In caso di superamento di questi limiti,
ad esempio verso il basso, di una delle due monete, la soluzione consisteva nella
vendita della moneta forte e nell’acquisto di quella debole, ad opera delle due
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banche centrali dei Paesi interessati, per impedirne la discesa al di sotto del
margine inferiore, il tutto sulla base di accordi di finanziamento reciproco tra
banche centrali. Questo tipo di sistema finì per non sopravvivere ai limiti che lo
caratterizzavano, legati innanzitutto ad una eccessiva responsabilità di rispettare i
margini di oscillazione, che ricadeva sempre sulla moneta più debole, e alla
mancanza di una base istituzionale
3
. Notevole importanza rivestì tuttavia
l’instaurarsi di un reciproco sostegno tra la leadership della Bundesbank e il
Sistema monetario stesso, utile alla Germania per rinforzare e stabilizzare il valore
del marco e alle altre valute per recuperare una certa stabilità. Va da sé che la
Bundesbank non avrebbe potuto sopportare a lungo questo peso e trasformarsi con
il passare del tempo in una vera e propria banca centrale europea per i numerosi
oneri che questo passaggio avrebbe comportato
4
.
Tuttavia la necessità della realizzazione di un’istituzione, che fosse al
centro del sistema di controllo della politica monetaria, si avvertì in maggior
misura sul finire degli anni ottanta, in specie nel 1986, anno in cui l’Atto unico
europeo sanciva formalmente la nascita di un mercato comune di capitali, con la
scadenza del 1992 per il suo completamento.
La fragile stabilità dei cambi unita ad una sempre più crescente spinta
verso l’integrazione e una forte voglia di rilancio dell’economia europea
ispirarono nel Consiglio europeo di Hannover del 1988 il cancelliere della
Germania federale Helmut Kohl, che promosse una risoluzione istituiva di un
3
In argomento R. Masera, L’unificazione monetaria e lo SME, Bologna, Il Mulino, 1978.
4
Padoa-Schioppa, L’Europa verso l’Unione monetaria. Dallo SME al Trattato di Maastricht,
Torino, Einaudi, 1992.
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comitato presieduto dall’allora Presidente della Commissione Jaques Delors e
composto dai Governatori delle dodici banche centrali nazionali, oltre che da tre
esperti in materia, con il mandato di elaborare un progetto concreto volto alla
realizzazione dell’Unione economica e monetaria: emergeva già da quella
risoluzione il ruolo primario e di supremazia che la moneta avrebbe rivestito nei
confronti dell’intera economia
5
.
5
Guarino e Mammarella inquadrano questo processo in quello più ampio dell’unificazione
europea. G. Guarino, Verso l’Europa ovvero la fine della politica, Milano, Mondatori, 1997 e G.
Mammarella-P. Cacace, Storia e politica dell’Unione europea (1926-1997), Roma-Bari, Laterza,
1998.
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§3. Il Rapporto Delors. Prima fase dell’Unione economica e
monetaria.
Il Rapporto Delors, redatto a conclusione dei lavori, proponeva di
articolare la realizzazione dell'Unione economica e monetaria in tre fasi distinte.
Attenendosi alle raccomandazioni del Rapporto Delors, nel giugno 1989 il
Consiglio europeo decise che la Prima fase della realizzazione dell'Unione
economica e monetaria sarebbe iniziata il 1° luglio 1990. A partire da tale data,
infatti, sarebbero state abolite tutte le restrizioni alla circolazione dei capitali tra
gli Stati membri. Il Consiglio, con decisione del 12 marzo 1990, ha inoltre
conferito al Comitato dei Governatori delle banche centrali degli Stati membri
della Comunità economica europea maggiori responsabilità relative allo
svolgimento di consultazioni sulle politiche monetarie degli Stati membri e alla
promozione di un coordinamento in tale ambito volto a conseguire la stabilità dei
prezzi.
Nella Prima fase sono state individuate tutte le questioni che andavano
esaminate in via preliminare; successivamente sono stati definiti i mandati dei
sottocomitati e dei gruppi di lavoro istituiti a tale scopo.
Il Comitato Delors ebbe il merito di redigere in poco meno di un anno un
rapporto che conteneva tutti gli elementi che sarebbero stati propri della futura
Unione economica e monetaria, ma il suo maggior merito fu quello di intuire che
essa non poteva fondarsi su una dimensione esterna improntata sui tassi di
cambio, ma prendendo in considerazione l’unione monetaria come un sistema
nazionale bisognevole di una base istituzionale forte: nel Rapporto Delors trovano
origine la Banca centrale europea e l’euro.
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Tra il 1989 e il 1990 il Rapporto Delors fu accettato dal Consiglio
europeo che decise contestualmente la convocazione di una Conferenza
intergovernativa al fine di creare la necessaria infrastruttura istituzionale e di
preparare le modifiche al Trattato di Roma, necessarie per la realizzazione della
Seconda e della Terza fase di attuazione dell’Unione economica e monetaria,
superando in questo modo l’obiezione britannica che proponeva un sistema di
affiancamento dell’ECU alle monete nazionali, con la successiva eventuale
affermazione del primo, qualora nel tempo i cittadini dell’Unione ne avessero
manifestato il favore.
I negoziati della Conferenza intergovernativa sulla Unione economica e
monetaria, tenutasi nel 1991 in concomitanza con la Conferenza intergovernativa
sull’Unione politica, si sono conclusi con la stesura del Trattato sull’Unione
europea. Approvato nel dicembre 1991 e firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992,
esso emendava il Trattato che istituisce la Comunità economica europea (il cui
nome è stato poi modificato in Trattato che istituisce la Comunità europea), e
conteneva, fra l’altro, il Protocollo sullo statuto del Sistema europeo di banche
centrali e della Banca centrale europea elaborato dal Comitato dei Governatori,
sulla base dei propositi del Rapporto Delors, e il Protocollo sullo statuto
dell’Istituto monetario europeo, una istituzione ad hoc di carattere temporaneo
creata con il compito di preparare il percorso per il raggiungimento dell’Unione
economica e monetaria, presupponendo che la Banca centrale europea sarebbe
nata solo poco prima della fase finale dell’Unione, che sarebbe culminata con
l’introduzione della moneta unica.