4
Questo lavoro, ed è chiaro quando si tratta delle lotte
operaie degli Anni Settanta, è un modo per ripercorrere la
storia d’Italia attraverso la vita di un’azienda dal
passato particolarmente avventuroso e dal futuro certo.
Abbiamo anche voluto tentare di tracciare le linee di
lavoro che la nuova dirigenza americana sta seguendo per
creare un “mondo Ducati”. Essendosi la proprietà insediata
da soli otto anni il tema resta scarsamente trattato nelle
precedenti opere.
5
I – LA NASCITA DELLA DUCATI E I PRIMI PASSI
I.1 - La fase pre-embrionale
E’ nella città dell’Università più antica d’Europa,
letteralmente elettrizzata dagli esperimenti di Augusto
Righi e inorgoglita dalla fama di Guglielmo Marconi che
inizia la storia Ducati.
Comincia con una trasmissione ad onde corte Bologna – Stati
Uniti, realizzata il 15 Gennaio 1924
1
dal ventunenne
Adriano Cavalieri Ducati. Ancora non lo sa, ma sta
iniziando l’avventura che porterà il nome di famiglia da
uno scantinato all’apice dell’industria italiana, poi al
fallimento, alla scissione, dalla polvere dei circuiti
cittadini alle strade di tutto il mondo, fino a Dow Jones.
L’importantissima applicazione delle onde corte (100-110
metri) alle comunicazioni fra natanti in mezzo all’oceano e
terra ferma gli portò fama e considerazione, oltre
all’insignimento a Cavaliere d’Italia: il più giovane fino
ad allora.
2
Fra il 1925 e il 1926 Adriano Cavalieri Ducati
spostò la sua attenzione sull’utilizzo delle onde
cortissime (5-6 metri), ma fu la realizzazione del primo
condensatore fisso che spinse i fratelli Ducati (Bruno,
Adriano e Marcello), assieme a Carlo Crespi, a istituire –
nel 1925 – la “Società Scientifica Radio”, con sede nella
residenza di famiglia, in via Garibaldi 3 a Bologna.
3
1
BRUNO CAVALIERI DUCATI, Storia della Ducati, Rastignano, Editografica, 1991, p. 14.
2
B. C. DUCATI, Storia della..., pp. 15-17.
3
Ibidem, p. 29.
6
I.2 – Il parto
Lo scopo di questa Società era quello di valorizzare
commercialmente la geniale ricerca del fratello maggiore
Adriano, producendo innanzitutto il nuovo condensatore
fisso a mica “Manens”. L’idea fu sostenuta dal padre dei
tre, Antonio, che investì nella fondazione di una Società
per Azioni, la “Società Scientifica Radio Brevetti Ducati”
di cui risultarono sottoscrittori: On. Cav. avv. Attilio
Loero, Conte ing. Adolfo Aria Branca, Gr. Uff. avv. Attilio
Scotti, Rag. Renzo Ficcarelli, Gr. Uff. dott. Roberto
Villetti, Comm. Dott. Tito Francia Comi, Cav. Temistocle
Tito Pasquini, Gr. Uff. dott. Lodovico Bertani.
4
Del condensatore Manens fu inviata copia in visione e
campionamento a tutti i radiotecnici del Mondo, ed ottenne
riscontri molto positivi. La prima ordinazione arrivò
nell’Ottobre del 1926, quando l’argentino Mario Argento,
titolare di un emporio per la vendita di parti radio a
Buenos Aires, chiese personalmente 3000 condensatori
presentandosi nella nuova sede di Via Collegio di Spagna 9.
Fu una spinta decisiva per la giovane Società che – una
volta divenuta grande produttrice mondiale – seppe essere
riconoscente ad Argento nominandolo Presidente della
Società Ducati Argentina.
5
In un breve volgere di tempo la fama e la qualità dei
condensatori Ducati avevano convinto anche vari esperti
stranieri ad utilizzare i prodotti bolognesi, che presto
videro arricchita la famiglia con i condensatori variabili
“201”, nel 1928.
4
DECIO GIULIO RICCARDO CARUGATI, Ducati – Design nel segno dell’emozione, Milano, Electa,
2001, pp. 14-16.
5
B. C. DUCATI, Storia della..., p. 31.
7
Era “a dielettrico aria – con armature in lega di alluminio
– fresate da un solo blocco – con telaio fuso e movimento
su speciali boccole di bronzo a compensazione automatica
dell’usura – albero sfilabile – serrafili a morsetto”
6
: un
lavoro evidentemente ben progettato e riuscito, se è stato
venduto in tutto il mondo, inalterato dalla nascita, per 45
anni.
Nello stesso anno Bruno Cavalieri Ducati si recò in Olanda,
ad Eindhoven, in visita alla Philips. Anche quella che oggi
è società leader mondiale nel campo degli apparecchi radio-
elettrico-ottico-meccanici allora era una recente attività
iniziata in due capannoni in aperta campagna. Le due
giovani imprese, destinate ad un futuro tanto diverso
quanto prestigioso, si strinsero la mano: Philips acquistò
i condensatori variabili SSR 102
7
prodotti al numero 51 di
Viale Guidotti a Bologna, villetta in cui la famiglia s’era
appena trasferita, e con essa l’attività. Partiti dagli
scantinati di Villa Lydia, la residenza familiare, nel giro
di un paio d’anni era sorta una sede di maggior prestigio
ed efficienza proprio a fianco della casa. Successivamente
venne acquistato anche l’edificio al numero 53 di Viale
Guidotti, fornito di garage e giardino. Con l’espandersi
dell’attività tutti i locali a disposizione nelle due
palazzine furono occupati dall’attività della Società.
8
Due anni più tardi, frutto di un meticoloso studio sulle
interferenze radio in ricezione, nacque il “Radiostilo”,
un’antenna unificata antidisturbo. Fu utilizzato anche
sulle navi, non ultima la Corazzata dell’Esercito Regio
“Vittorio Veneto” che si dotò, prima in assoluto, di
un’unica antenna radio.
6
Ibidem, Appendice p. VII.
7
B. C. DUCATI, Storia della..., p. 35.
8
Ibidem, p. 34.
8
Nel 1932 venne lanciato il condensatore elettrolitico, che
“crebbe” nel 1935 diventando “Manens serbatoio”, un
condensatore da applicare agli apparecchi radio per il
quale Ducati creò una serie di radiotecnici autorizzati
all’installazione.
9
L’enorme successo della produzione di precisione Ducati
suggerì l’ampliamento dell’attività: da lì a poco i locali
bolognesi non sarebbero più bastati, e il nome Ducati si
sarebbe indissolubilmente legato a quello di Borgo
Panigale.
9
Ibidem., Appendice pp. VIII-IX-X-XI.
9
II – LA DUCATI A BORGO PANIGALE
II.1 – La situazione a Borgo Panigale
<<Durante gli ultimi anni Venti e fino al 1937, un intenso
dibattito sui problemi dell’inurbamento è aperto e
riproposto dai gruppi dirigenti del Comune di Bologna,
coinvolgendo il suo hinterland e, direttamente, il Comune
di Borgo Panigale [Borgo Panigale non faceva ancora parte
del Comune di Bologna, ma aveva un Sindaco proprio, NdR]
perché il suo insediamento, e anche quello di Casalecchio
di Reno, sono “pressoché saldati a Bologna per le
propaggini allungate in continuità ed in frequente serie
lungo la Via Emilia e la Porrettana”>>.
10
La volontà dell’amministrazione bolognese era quella di
ampliare l’area del Comune per soddisfare le ambizioni di
grandezza politica del capoluogo; ma non mancava un forte
intento di controllo politico nei confronti di un paese dal
passato socialista e comunista, che lo squadrismo fascista
aveva fatto molta fatica a piegare. E l’attività di
opposizione al regime non era mai stata completamente
sopita, nonostante il risultato menzognero del plebiscito
fascista del 24 Marzo 1929.
11
I tentativi di inglobamento
della periferia da parte del Podestà di Bologna (seconda
proposta il 1° Settembre 1931) si infransero contro lo
stesso Podestà fascista Cesarino Pellizzoni che, in
ossequio al nuovo orientamento del regime contrario alla
<<grande città accentratrice e caotica>>, respinse
10
LUIGI ARBIZZANI, Borgo Panigale dopo l’Unità d’Italia, in COMUNE di BOLOGNA – Quartiere
Borgo Panigale, Borgo Panigale nella storia, Testi di: Luigi Arbizzani, Giancarlo Bondi, Armide
Broccoli, Patrizia Von Elen Masi, Manuela Iodice, Giuliana Staffé, Roberta Tamburini, Carla Venturi,
Bologna, Banca Popolare dell’Emilia, Labanti&Nanni, S.I.D. […], p. 32.
11
Ibidem, pp. 32-33.
10
l’unificazione. E non fu il solo, perché anche San Lazzaro
di Savena e Casalecchio di Reno si opposero.
Il processo aggregativo, nonostante lo spalleggiamento
degli industriali e l’affiancamento nell’opera di
persuasione del Prefetto del Capoluogo, non decollò. Ci
volle l’insediamento del Podestà Angelo Manaresi per
spingerlo ad una concreta accelerazione. Manaresi era il
fautore della “grande Bologna” del 1926, ed era legato a
doppio filo all’ambiente degli industriali. Nel 1934 disse
ben chiaro che <<è assolutamente assurdo pensare che la
città possa limitare il suo sviluppo alla vecchia cerchia
comunale già superata da numerosissime costruzioni
disordinatamente nate, senza alcun piano organico, sicché
la periferia di Bologna appare, anche oggi, in uno stato
caotico>>.
12
II.2 – La nuova casa
L’ambizioso progetto originario dei tre fratelli -
costruire tutte le parti di un apparecchio radio per
giungere all’assemblaggio definitivo – stava prendendo
forma. Per portarlo avanti in grande stile era diventato
necessario migliorare la capienza e la razionalità degli
impianti di produzione. La scelta fu radicale: la
costruzione ex novo di un impianto grande e modernissimo
sulla superficie di 120.000 mq acquistata dalla Società nel
1935. Il terreno scelto era alle porte di Bologna, giusto a
fianco della secolare via Emilia, in un paese chiamato
Borgo Panigale. Posizione favorevolissima, crocevia fra
Milano e la Romagna, prossima alla strada che – attraverso
gli Appennini – conduce a Firenze e a Genova. La situazione
12
Dalla Relazione dell’On. Podestà sul bilancio preventivo del 1934, in L. ARBIZZANI, Borgo Panigale
dopo…, p. 33.
11
in cui la decisione fu presa era quindi quella appena
descritta. Ovviamente la dirigenza spalleggiò il Podestà
nel suo intento “unificatore”: il 24 Dicembre 1934 Bruno
Ducati scrisse a Manaresi, manifestandogli l’intenzione di
costruire nuovi e moderni stabilimenti nel territorio di
Borgo Panigale.
13
Il 19 Gennaio 1935 il Podestà bolognese
inviò una delibera al governo di Roma, convinto che S.
Lazzaro, Casalecchio e Borgo fossero disposti a farsi
annettere. Ma ben presto dovette disilludersi: i Podestà
dei primi due Comuni deliberarono contro la richiesta del
Capoluogo, rispettivamente il 15 e il 23 Febbraio. Gli
abitanti di Borgo Panigale erano i meno restii
all’annessione, vedendo l’unione alla città come una
possibilità per eludere il potere di controllo e di
repressione di piccole gerarchie e “signori” locali.
14
La scelta dei Ducati era comunque già stata presa, il
terreno acquistato, il progetto pronto: <<Progettammo uno
stabilimento modernissimo e il 1° Giugno di quell’anno,
alla presenza delle autorità della Provincia, della città
di Bologna e di Borgo Panigale, fu posata la prima pietra.
In un tubo di bronzo fu racchiusa una pergamena con la
firma di tutti i presenti e con la scritta augurale: Avanti
al popolo laborioso e fedele delle campagne e delle
officine, - i fondatori della Società Ducati Scientifica
Radio Brevetti Ducati – posero oggi la prima pietra del
loro nuovo stabilimento – Che Iddio benedica sempre la loro
attività – 1° giugno 1935>>.
15
Nell’Agosto 1935 Manaresi si dimise, e gli subentrò Cesare
Colliva il quale, nel 1937, avanzò una nuova richiesta di
13
L. ARBIZZANI, Borgo Panigale dopo…, p. 33.
14
Ibidem, p. 33.
15
B. C. DUCATI, Storia della..., p. 49 (in corsivo nel testo).
12
ampliamento del Comune di Bologna, stavolta per il solo
Comune di Borgo Panigale. Il 5 Novembre 1937, con procedura
d’urgenza, il Comune autonomo cessò d’esistere. Non c’è
dubbio che sulla decisione abbia avuto un peso rilevante la
recente inaugurazione (1936) e il grande richiamo economico
portato dagli stabilimenti Ducati. Presto – infatti – i
dipendenti salirono a quota 1.100, in prevalenza donne.
16
La seconda parte dello stabilimento verrà completata
all’inizio della Seconda Guerra Mondiale.
16
Ducati, officine (L.Ar.), in Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza, vol. II, D-G, Milano, La
Pietra, 1971, pp. 146-147.
13
III – IL PERIODO 1936 - 1945
III.1 – Un clima non facile
La crescita di una simile industria, in un contesto
particolarissimo come quello degli anni Trenta italiani,
non poteva che essere velocissima. Quasi esponenziale. Il
potere degli operai era praticamente nullo; non c’era –
ovviamente - protezione sindacale. L’Italia era impegnata
in una politica estera aggressiva in Africa, e lo sfoggio
di potenza, non solo militare ma anche industriale, era una
priorità. Sostanzialmente per l’industriale non esistevano
vincoli o limitazioni all’espansione, a maggior ragione
quando – come nel caso della Ducati – la produzione era
“interessante” dal punto di vista tecnologico, e gli operai
così “deboli” (maggioritaria presenza di donne e giovani
sotto i vent’anni). E’ confermato che <<quando, nel
settembre 1936, gli impianti furono totalmente trasferiti
nel nuovo complesso di Borgo Panigale, quasi tutti i
capireparto non superavano i 22 anni e nel '38 la
manodopera giovanile raggiunse il 40% della totale. Il
fatto di ricorrere in prevalenza all'assunzione di giovani,
provenienti soprattutto dalla campagna, derivava dalla
necessità dei Ducati di perseguire “un disegno di politica
sindacale teso alla ricerca del consenso operaio e alla
normalizzazione del rapporto di sfruttamento”>>.
17
Una
pratica per la verità piuttosto logica, e diffusa, non solo
negli anni Trenta. Dal punto di vista dell’imprenditore le
conseguenze del servirsi di operai di primo pelo sono
chiare e si possono riassumere: maggiore controllo,
17
(Tesi di Laurea) di PAOLO RONCHETTI, La ristrutturazione industriale a Bologna: il caso Ducati,
1945-1955, Università degli Studi di Bologna, a.a. 1981-1982, Facoltà di Scienze Politiche, indirizzo
Storico – Politico, p. 6.
14
maggiore potere. Ciò non toglie che la parola che ricorre
più spesso nella descrizione dei metodi di lavoro imposti
agli operai sembra proprio questa: sfruttamento. <<Allo
sfruttamento più accentuato si accompagna un regime interno
rigidissimo: in un solo mese, in un solo reparto, ai
lavoratori e alle lavoratrici sono elevate ben 557
multe>>.
18
Ancora Paolo Ronchetti, nella sua Tesi di
Laurea, non manca di sottolineare come i sistemi di
controllo e repressione si facessero sempre più severi, e
le punizioni gravi e ripetute: <<Divenuto il maggiore dei
tre fratelli Ducati, Bruno, genero del Ministro
dell'Agricoltura del governo fascista On. Marescalchi, che
era anche uno degli azionisti dell'azienda, all'interno
della fabbrica la situazione peggiorò ulteriormente: si
instaurò un ortodosso metodo di direzione fascista, che si
esprimeva con ritmi di produzione sempre più accelerati,
con un duro regime di multe e con l'immediato spostamento
in reparti più disagiati per coloro che manifestavano la
minima resistenza contro simili metodi>>.
19
Pratiche
lavorative piuttosto comuni nell’Italia fascista, comunque
non desuete nell’industria privata anche in anni
recentissimi.
Secondo Riccardo Terzaghi, allora fattorino in Ducati, <<a
quei tempi c’era una disciplina ferrea, perché naturalmente
eravamo in un periodo fascista e dunque c’era questa
disciplina che doveva essere rispettata. Non dico che fosse
un bene o un male, comunque ci ha aiutato a temprarci, a
farci anche degli uomini>>.
20
18
L. ARBIZZANI, Borgo Panigale dopo…, p. 34.
19
P. RONCHETTI, La ristrutturazione industriale a Bologna: il caso…, p. 4.
20
Intervista a Riccardo Terzaghi realizzata da Roberto Ferretti il 6 Agosto 1998.
15
Furono anni di lotte interne ma anche di un grande balzo
economico per l’azienda. Si raccolsero fondi, fra le
maestranze, da inviare in aiuto della Spagna Repubblicana
aggredita dall’insurrezione franchista o da ripartire fra
le famiglie dei volontari partiti per la penisola iberica.
<<Sul piano organizzativo furono introdotti fin dalla fine
degli anni Trenta metodi razionali di organizzazione del
lavoro, mentre la dirigenza seppe accompagnare lo sviluppo
produttivo dell’azienda con un’oculata politica di
penetrazione nei mercati internazionali, sviluppando una
rete capillare di filiali e reti distributive in ogni parte
del mondo>>.
21
Lo conferma lo stesso Terzaghi, che già
prima della guerra ricorda di aver visto delle “rudimentali
tabelle di Gun” per l’avanzamento programmato della
lavorazione in alcuni reparti di Borgo Panigale.
22
III.2 – La produzione bellica
Poco prima di essere avviata ad una produzione direttamente
collegata allo sforzo bellico, l’azienda aveva dato
importanti segni di vivacità nella progettazione e nella
produzione di alternative ai “soliti” condensatori. La
gamma dei variabili spinse la dirigenza ad acquistare la
Genevois, una macchina di estrema precisione per la cui
installazione fu necessario dotare il locale di aria
condizionata. La macchina, di produzione svizzera,
produceva parti di condensatori variabili che non
necessitavano di rettifica dopo le prime lavorazioni, e per
questo non tollerava ambienti polverosi.
21
ROBERTO FERRETTI, Reti di imprese e sistema economico locale. Industria meccanica e comparto
motoristico a Bologna (1919-1971), in “Comunità di imprese”, Bologna, Il Mulino, 2000, p. 506.
22
Intervista a Riccardo Terzaghi realizzata da Roberto Ferretti il 6 Agosto 1998.
16
Erano anche gli anni del Dufono, un sistema di
comunicazione interna per aziende a viva voce, del Raselet
(il primo rasoio elettrico italiano), della microcamera
fotografica, del proiettore a passo ridotto da 16 mm.,
degli apparecchi radio musicali (finalmente!), della mai
distribuita calcolatrice elettrica scrivente Duconta.
Alcuni di questi prodotti rimasero in essere, altri vennero
bloccati dall’avviamento della produzione di guerra, altri
ancora riapparvero, ripresi e migliorati, a partire dal
1945.
Come tutte le industrie elettromeccaniche la Ducati, dopo
anni di commesse dirette ed indirette dalla Forze Armate,
si vide – nel 1938 – avviata al “Commissariato per le
fabbricazioni di guerra”. Proprio in quegli anni era stata
aperta <<la Sezione Ottica, sotto gli auspici dell’Istituto
Ottico di Firenze e del suo Direttore prof. Vasco
Ronchi>>.
23
Fu realizzato il Bimar, versione italiana del
binocolo marino tedesco per visione notturna della Zeiss.
Gli stessi tecnici germanici si congratularono con quelli
bolognesi per l’elevatissima qualità della produzione,
perfino superiore all’originale. Grazie alla rinomata
precisione che la rendeva affidabilissima per le commesse
dell’esercito e all’efficienza dei suoi operai la Ducati
continuò incrementando la produzione, il numero degli
operai (allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale erano
2.300) e la superficie dei suoi stabilimenti. Non
disdegnando la dislocazione: <<oltre ai due stabilimenti
decentrati a Crespellano e Bazzano, la Ducati ne costruì
uno nuovo a Salsomaggiore per la sezione Tungsteno-
molibdeno anche per utilizzare il metano quale fonte di
23
B. C. DUCATI, Storia della..., p. 80.
17
energia. Infine ne acquistò uno a Parona di Valpolicella,
Verona>>.
24
Nei vari distaccamenti erano impegnati sotto l’egida Ducati
11.000 persone.
25
La cifra è parecchio discussa: Ferretti
stima in 7.000 i dipendenti Ducati totali, e ammette che –
seguendo altre fonti – il numero potrebbe lievitare fino a
10.000.
26
Le disquisizioni sui numeri, in questo caso, non
sono essenziali: è chiaro che l’attività avesse
immensamente goduto del volano economico portato dalla
guerra, anche se ciò aveva significato sacrificare i
reparti esportazione, tradizionalmente importanti per
l’azienda (<<Ducati has always been an export-house. Our
first product, manufactured in Bologna, was sold in the
U.S.A.>>
27
). In realtà, come ricorda lo stesso Bruno
Ducati, il loro primo acquirente fu un argentino, il signor
Mario Argento, che si “innamorò” dei Manens.
28
Ma la
sostanza non cambia. La gamma dei prodotti era stata
indirizzata verso la produzione di precisione bellica:
spolette ad orologeria per bombe, binocoli prismatici,
telecomandi per aerei, stazioni telegrafiche. Le commesse
dell’esercito garantivano profitti altissimi. Ma la manna
era destinata a finire ben presto, e la storia avrebbe
presentato un conto molto salato.
24
Ibidem, p. 81.
25
Ibidem.
26
R. FERRETTI, Reti di imprese…, p. 506.
27
Trad.: “La Ducati è sempre stata una casa di esportazione. Il nostro primo prodotto, manufatto a
Bologna, fu venduto negli USA”. Da “Our great work is achieved”, documento conservato al Washington
Nationals Records Center, Suitland Reference Branch, Washington D.C. USA, n° 4565.
28
B. C. DUCATI, Storia della...,p. 30.