sociali o culturali. Il senso di smarrimento, di precarietà e di incertezza
angosciosa avvertito per il presente e per il futuro può generare la credenza che
una immane catastrofe si stia inesorabilmente avvicinando, comportando la totale
dissoluzione e l’annullamento del mondo; a questa idea di fine si accompagnano
stati di ansia, sconforto, terrore, ma anche sentimenti di tensione verso un
cambiamento repentino, radicale ed irreversibile dell’ordine esistente, verso un
mondo nuovo, più giusto e più armonioso. Sono questi i tratti distintivi
dell’apocalisse, immagine biblica di ascendenza giudaico-cristiana, che
dall’antichità fino ad oggi, ha permeato la cultura e la mentalità collettiva
occidentale.
Al paradigma apocalittico quale metafora di fine e nuovo inizio, morte e
rinascita, distruzione e salvezza, si intreccia il mito millenaristico di un’era di
pace e prosperità, beatitudine e giustizia, che dovrà seguire alla Seconda Venuta
di Cristo: quest’ultimo, secondo le profezie apocalittiche di Giovanni ( dal Libro
dell’Apocalisse), scenderà “presto” sulla terra per instaurarvi il suo regno celeste
della durata di mille anni. L’attesa del Millennio, così come quella apocalittica, è
caratterizzata da segni, sventure e catastrofi preannuncianti l’ultima, definitiva
catastrofe globale che sancirà la fine ineluttabile di tutti i tempi; tale fine,
accompagnata dal Giudizio divino di dannazione o di salvezza per ciascuno, sarà
il preludio di un nuovo inizio per i santi e per i giusti. Per questo motivo, il
Millennio ha riscosso un successo crescente fra gli umili, gli afflitti e gli oppressi
di luoghi ed epoche storiche diverse e lontane, accomunati dal desiderio e dalla
certezza di un riscatto finale che li liberasse definitivamente dall’angoscia
presente.
L’apocalisse ha rappresentato un modello per le dottrine rivoluzionarie: Michael
Walzer vede in essa le origini del radicalismo puritano inglese e del radicalismo
politico in genere. In effetti, il pensiero millenaristico ha supportato ideali di
4
giustizia e di uguaglianza, concretizzandosi, spesso, in progetti politici
sovversivi: sappiamo come l’intera età medievale abbia visto il succedersi di una
moltitudine di ribellioni, stragi e massacri condotti contro i ‘nemici di Dio’ da
masse di disperati che, sotto la guida di capi carismatici o sedicenti profeti, erano
disposte a battersi fino alla morte per eliminare gli infedeli dalla faccia della
terra, condizione indispensabile per l’avvento di Cristo e per l’instaurazione della
nuova “Gerusalemme celeste”.
Dopo aver tentato di ricostruire le origini del paradigma apocalittico, ne ho
seguito gli sviluppi e le trasformazioni. Inizialmente, sono stati gli ebrei della
diaspora e i primi cristiani perseguitati a trovare conforto nella fiducia di
un’imminente fine e rigenerazione del mondo voluta da Dio. Da un’attesa
puramente spirituale la prospettiva apocalittica, che pervade l’intera escatologia
messianica medievale, viene sempre più ad assumere una precisa connotazione
politica e sociale; mentre agli inizi dell’età moderna essa si trasforma,
mescolandosi con un’altra immagine, quella di utopia, e scontrandosi con la
sempre più accentuata laicizzazione della cultura. L’attesa di una catastrofe
incombente e inevitabile si assopisce gradualmente fra il Sette e l’Ottocento,
quando è l’idea di progresso a prevalere, seppur tra mille opposizioni, dubbi ed
equivoci, risultando vincente nell’ambito del pensiero illuministico e positivista.
L’ottimismo apportato dal progresso scientifico e tecnologico veniva, infatti, a
dissipare gli antichi timori apocalittici, confidando nelle illimitate capacità degli
esseri umani. Questa nuova visione del mondo e della storia non tarda, però, a
mostrare i suoi limiti e le sue contraddizioni interne conseguenti alla rapida
industrializzazione e urbanizzazione, all’avvento della società di massa, al
crescente distacco dell’individuo da un mondo sempre più automatizzato,
anonimo e indifferente. Il paradigma apocalittico riemerge, rivelando come,
nonostante l’esplicito rifiuto di ogni messianismo escatologico, non abbia mai
5
cessato di influenzare il pensiero e la cultura occidentali: possiamo, infatti,
rintracciare impliciti elementi escatologici e millenaristici perfino nell’ideologia
rivoluzionaria dell’Ottocento e nel marxismo (ricordiamo che per Walzer l’idea
di rivoluzione presenta dei caratteri comuni con il mito dell’apocalisse).
Saranno soprattutto le tragiche vicende che hanno drammaticamente
sconvolto il XX secolo a far riaffiorare voci ‘apocalittiche’ che denunciano
l’avvenuta catastrofe. In effetti, la Grande guerra è stata davvero percepita come
la catastrofe reale, concreta e tangibile, in quanto è stata la prima che ha seminato
morte e distruzione diffusa. A partire da questo effettivo sconvolgente evento,
l’immagine dell’apocalisse muta di segno: essa non è più istanza di riscatto
ultraterreno, ma solo minaccia di un annientamento completo e definitivo,
annuncio e profezia di fine del mondo. Dopo aver approfondito queste tematiche
attraverso le riflessioni di vari autori, rappresentanti di una cultura della crisi
emersa nel primo dopoguerra, ho tentato di indagare il rapporto esistente tra i
movimenti totalitari ( nazista e sovietico) del XX secolo e i millenarismi del
medioevo, scoprendo nei primi la permanenza di evidenti tracce millenaristiche e
individuando nell’antica tradizione apocalittica popolare la loro comune radice:
pensiamo, ad esempio, alla concezione che vede il mondo radicalmente diviso in
due parti contrapposte, alla presunta necessità di sconfiggere ed eliminare i
nemici ( gli ebrei o la classe borghese, a seconda del caso) che si frappongono
all’instaurazione di una nuova e perfetta società, alla convinzione di essere il
popolo prescelto, incaricato di compiere tale missione, attraverso un grande,
spietato conflitto su scala mondiale.
Negli anni del secondo dopoguerra, l’immagine dell’apocalisse si esplicita
ancora in una reale minaccia di morte coinvolgente il mondo intero, la natura e
la stessa specie umana; dalla bomba di Hiroshima in poi, incombe, in maniera
sempre più incalzante, il terrore atomico della fine, accompagnato dal suo
6
carattere tragicamente paradossale: l’umanità ha ora acquisito, come mai prima
nella storia, la possibilità di autodistruggersi mediante l’impiego della potenza
tecnica che essa stessa ha generato.
L’ottimismo diffusosi in seguito al crollo del regime sovietico e alla fine della
guerra fredda, espresso da Francis Fukuyama nel notissimo La fine della storia e
l’ultimo uomo, viene smentito dalle tesi di Samuel P. Huntington che sembrano
trovare conferma nel settembre 2001: non a caso la fortuna del suo libro in Italia
ha inizio proprio in quella data. Nel suo Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine
mondiale l’autore sostiene, infatti, che la rivalità politico-ideologica fra le
superpotenze “è stata soppiantata dallo scontro di civiltà.”
Speranze e timori si sono ripresentati con l’approssimarsi dell’anno Duemila
che si è creduto, avrebbe potuto costituire una svolta, non solo di secolo o di
millennio, ma una svolta nella storia umana, un traguardo da raggiungere e nello
stesso tempo un nuovo punto di partenza, una fine e un riinizio; come se da
quella data si potesse cominciare a pensare tutto diversamente e ad agire in modo
da porre rimedio ad alcuni terribili e sempre più inquietanti mali che minacciano
l’umanità: disastri ecologici e gravi rischi ambientali legati all’inquinamento;
crescente divario fra Paesi ricchi e Paesi poveri; terrorismo e potenziali guerre
nucleari, ecc. La sensazione di incertezza e di vulnerabilità derivante da
fenomeni e pericoli tanto allarmanti determina il riemergere di ansie e tremori
apocalittici.
Riflettendo sull’attuale rinascita religiosa, mi sono soffermata sull’esame dei
fondamentalismi, riscontrando in essi la presenza di evidenti elementi di
continuità con l’ideologia millenaristica medievale: in particolare, si rintraccia
nell’islamismo fondamentalista la distinzione drammatizzata fra forze del bene e
forze del male; l’individuazione nell’Occidente del principale nemico da
abbattere, la cui eliminazione costituisce l’indispensabile presupposto per la
7
costruzione di uno “stato etico” islamico, santo e perfetto; la giustificazione della
violenza e del terrore nella lotta contro il Male e per la difesa dell’autentica fede.
Oggi, in seguito ai tragici fatti dell’11 settembre e a quelli che si sono succeduti,
abbiamo crudamente sperimentato la ferocia e la spietatezza dell’estremismo
islamico, constatando la nostra debolezza e fragilità di fronte ad un avversario
che sconvolge e distrugge le premesse della nostra normale vita quotidiana, dei
nostri rapporti sociali e della nostra convivenza ‘civile’. E’ soprattutto innanzi a
questa dura realtà che le angoscianti aspettative rispetto al futuro si colorano di
accesi toni apocalittici annuncianti l’imminenza di possibili catastrofi: ancora
dunque, profezie, premonizioni o previsioni apocalittiche che non promettono
più, però, alcuna speranza di salvezza.
E’ divenuto, quindi, quasi inevitabile confrontarsi con le visioni definite
“catastrofiste” dei sociologi Ulrich Beck e Zygmunt Bauman. Questi, infatti,
analizzano le conseguenze dei processi di globalizzazione, mettendo in evidenza
il diffuso senso di precarietà e di indeterminatezza che caratterizza tutte le
dimensioni della vita e dell’agire umani. Viviamo in un’era densa di ambivalenze
e di crisi profonde che riguardano le sfere più diverse, da quella etica e personale,
a quella sociale e politica. La perdita di senso, di identità, di significati, di punti
di riferimento comuni e stabili ci immerge in uno stato di confusione,
disorientamento ed insicurezza da cui emergono ansie e attese millenaristiche
che, se un tempo erano legate ad una valenza religiosa e simbolica, sono oggi
strettamente connesse alla vita quotidiana, spogliate di qualsiasi carattere
trascendentale; allontanatosi da Dio, il cittadino globale, apparentemente forte e
sicuro di sé in un mondo sempre più unito e interdipendente, si sente, in realtà,
insicuro, triste, spaventato e profondamente solo.
La visione ‘catastrofista’ sostenuta dai due sociologi ci permette di cogliere
le peculiarità dell’attuale prospettiva apocalittica, la quale sembra aver mantenuto
8
esclusivamente la dimensione minacciosa e terrificante, mentre sembra aver
decisamente perduto il momento successivo, quello della speranza in una
rigenerazione prossima del mondo. L’apocalisse si attesta oggi alla fatale
previsione di una catastrofe incombente, ineluttabile, definitiva, senza prospettare
più alcuna rinascita o possibilità di redenzione. Il termine «apocalisse» che
letteralmente significa «rivelazione» ( ovvero, predizione del futuro svelata da
Dio), assume pertanto un’accezione esclusivamente negativa divenendo
sinonimo di rovina, sfacelo, disastro improvviso, tragico, irreversibile; uno
spostamento di significato che riflette certamente il venir meno della dimensione
religiosa nella vita individuale e collettiva. Non più, dunque, rivelazione divina o
profezia di fine accompagnata dalla fiducia in un nuovo inizio di pace e di
serenità per i ‘buoni’, ma solo minaccia di annientamento e di morte.
Non tutti, però, intendono arrendersi e rassegnarsi a ciò che sembra
imminente e inevitabile; vi sono, infatti, alcuni movimenti che non sembrano
voler rinunciare alla speranza in un domani migliore: attraverso una dura e accesa
critica nei confronti dell’ordine esistente, essi manifestano l’aspirazione ad un
concreto, quanto radicale rinnovamento del mondo.
Il ‘nuovo mondo’ non deve, però, essere atteso fatalisticamente, ma costruito
congiuntamente e attivamente, passo dopo passo, con impegno costante e senso
di responsabilità. Michael Walzer ci suggerisce allora che non l’apocalisse, ma
l’Esodo ( altra immagine biblica di derivazione giudaico-cristiana) sembrerebbe
più appropriato a rappresentare metaforicamente gli ideali e il messaggio centrale
espressi dagli attuali movimenti progressisti: la liberazione dalla “schiavitù
d’Egitto”, ovvero la liberazione dall’angoscia e dalla paura del presente, è
possibile; la strada che porta alla “terra promessa” passa attraverso il deserto e
l’unico modo per raggiungerla è unirsi e camminare insieme. La trasformazione e
il rinnovamento dell’esistente potrà quindi realizzarsi, non tramite un passaggio
9
catastrofico, ma attraverso la volontà e gli sforzi congiunti di ciascuno, diretti ad
evitare, o almeno ad allontanare, la tanto profetata, tragica e inesorabile, ‘fine del
mondo’.
10
I.
LE ORIGINI DEL PARADIGMA APOCALITTICO
E IL MILLENARISMO MEDIEVALE.
E’ ancora oggi molto vivo nella coscienza collettiva del mondo occidentale un
paradigma antichissimo, quello dell’apocalisse, sviluppatosi nell’ambito della
visione del mondo e della storia di ascendenza giudaico-cristiana, che ha
caratterizzato la cultura e la mentalità popolare dell’Europa. Originariamente
l’apocalittica si lega al mondo ebraico, agli scritti profetici testamentari e a quelli
apocrifi (che non hanno, cioè, spazio nella dottrina canonica), in cui si parla di
visioni terrificanti, di mostruose, temibili, bestie selvagge, di angeli decaduti, di
un probabile tempo della fine.
1
Tali visioni si accompagnano, di regola, a tempi
difficili: guerre, cataclismi naturali o anche determinati dall’uomo, rovesci e
persecuzioni storiche che determinano l’attesa di tempi migliori e la speranza di
un mondo rinnovato.
2
L’apocalisse è, dunque, uno scritto che contiene profezie e
rivelazioni intorno alla fine del mondo e ai destini ultimi dell’umanità.
3
Le radici della letteratura apocalittica vanno ricercate nell’Antico Testamento
dove appaiono numerose profezie di fine del mondo ( si vedano, ad esempio i
1
Tra le numerose apocalissi giudaiche ricordiamo il Libro di Henoch, il Libro dei segreti di
Henoch, l’Assunzione diMosé, il Quarto Libro di Esdra, l’Apocalisse di Abramo e quella di Baruch. Cfr.
Apocalisse in Grande enciclopedia universale Atlantica, diretta da Di Marco G., European Book, Milano,
1985.
2
Macioti M.I. ( a cura di), Attese apocalittiche alle soglie del Millennio, Liguori, Napoli, 1996,
pp. 6-7.
3
Si veda la voce Apocalisse nel Grande dizionario della lingua italiana, a cura di Battaglia S.,
Utet, Torino, 2002, vol. I.
11
seguenti passi biblici: Is 13 e 24-27; Ez 38-39; Sof 1,14-18); essa fu
particolarmente diffusa nel giudaismo fra il 200 a.C. e il 200 d.C.
4
Come è noto, gli Ebrei erano convinti di avere la missione di portare la salvezza
divina all’intera umanità. Certo del suo ruolo nella storia del mondo, Israele ha
acquisito, insieme ad una forte connotazione nazionalista, la tendenza a reagire al
pericolo, alle oppressioni e alle sconfitte con la certezza profonda del trionfo
finale di Jahvè, il quale, dopo una catastrofe cosmica inviata per punire i
peccatori, avrebbe ricostruito un nuovo eden di pace e di prosperità. Secondo le
profezie, però, prima del compimento del disegno divino, gli ebrei avrebbero
dovuto affrontare guerre, castighi e pestilenze, alle quali solo alcuni, gli eletti,
sarebbero sopravvissuti raccogliendosi in Palestina.
5
Qui già si riconosce il paradigma che sarà al centro di ogni escatologia
rivoluzionaria: il mondo è dominato da una potenza malvagia, demoniaca, la cui
tirannia diverrà sempre più atroce e le sofferenze inflitte alle sue vittime sempre
più intollerabili fino a che i santi di Dio insorgeranno e la rovesceranno, e il
popolo prescelto, prima oppresso, acquisterà il dominio su tutta la terra. Questo
evento rappresenterà il culmine della storia umana.
6
Grazie a questa visione
fantastica l’apocalittica ebraica ha esercitato un profondo fascino sugli scontenti
e delusi di tutte le età posteriori.
Dalla tradizione ebraica il paradigma passa a quella cristiana in cui si
rintraccia una vasta letteratura profetica: pure qui troviamo l’inevitabile
accostamento alle catastrofi naturali, storiche, cosmologiche e la stessa fede
nell’imminenza di un nuovo regno che permise ai cristiani, allo stesso modo
degli ebrei, di reagire all’oppressione subita attendendo l’era messianica in cui i
4
Si veda la voce Apocalittica, letteratura, nel Dizionario biblico di McKenzie J.L., ed. it. a cura
di Maggioni B., Cittadella, Assisi, 1973.
5
Cohn N., The Pursuit of the Millennium, Martin Secker and Warburg, London, 1957, trad. It.
I fanatici dell’Apocalisse, Edizioni di Comunità, Milano, 1965, pp. 22-27
6
Walzer M., Exodus and revolution, Basic Books, New York, 1985, trad. It. a cura di
D’Alessandro M., Esodo e rivoluzione, Feltrinelli, Milano, 1986.
12
nemici sarebbero stati abbattuti.
7
“L’Apocalisse- infatti- vuole essere una risposta
alle crisi di fede suscitate dalla persecuzione: nella fede e nella speranza si deve
attendere la salvezza ed il giudizio di Dio, convinti che il persecutore cadrà prima
di riuscire a distruggere il popolo di Dio”.
8
«Apocalisse» ( dal greco apokalypsis) significa «rivelazione», ovvero
«annuncio segreto svelato da Dio»: il termine designa, dunque, una predizione
del futuro, rivelata da Dio, che si manifesta sotto forma di visioni, simboli,
immagini mitiche e numeri.
9
Tale termine si è successivamente discostato dalla
sua accezione originaria per assumere quella corrente di «fine del mondo»,
estrapolata dal nucleo simbolico che lo sottende: l’apocalisse, quindi, è venuta a
designare la catastrofe definitiva, totale, terribile, la rovina cosmica che segnerà
la fine della storia e dell’umanità.
10
L’apocalisse per antonomasia è l’ultimo libro del Nuovo Testamento attribuito
all’apostolo Giovanni ( l’Evangelista), che l’avrebbe scritto intorno al 95 d.C.
nell’isola di Patmo, dove era stato esiliato dalla persecuzione di Domiziano.
Attraverso un linguaggio simbolico-allegorico l’autore descrive le vicende, che
Gesù stesso gli ha svelato, relative alla fine del mondo, alla venuta
dell’Anticristo e al giudizio universale.
11
Giovanni presenta le sue visioni in
serie di settenari ( sette sigilli, sette trombe, sette coppe), in cui espone la
7
Macioti M.I. ( a cura di), Attese apocalittiche alle soglie del Millennio, cit., pp. 6-7.
8
Cfr. la voce Apocalisse nel Dizionario biblico di McKenzie J.L., op. cit.
9
Cfr. la voce Apocalittica in Dizionario comparato delle religioni monoteistiche. Ebraismo,
Cristianesimo, Islamismo, Ed. Piemme, Casal Monferrato, 1991 ( ed. or. Verlag Styria, Graz-Wien-Köln,
a cura di Khouri A.T.).
10
Tale definizione si trova nel Grande dizionario della lingua italiana, a cura di Battaglia S., op.
cit.
11
Nell’Intestazione dell’Apocalisse leggiamo: “Rivelazione di Gesù Cristo, che gli fu data da
Dio affinché mostrasse ai suoi servi le cose che debbono accadere fra breve, e che gli comunicò con
l’invio del suo angelo, al suo servo Giovanni…”. Il Libro si compone di due parti: una sezione pastorale
(cc. 2-3), cioè “le cose riguardanti il presente”, con le lettere alle sette chiese ( che si trovano nella
provincia romana dell’Asia minore), e la sezione propriamente apocalittica ( 4,1-22,5), cioè “le cose che
accadranno dopo”, nelle quali non si devono necessariamente cercare avvenimenti futuri, ma vedere la
condizione della chiesa in ogni tempo.
13
situazione della chiesa perseguitata e i giudizi di Dio sui persecutori, fino al
giudizio finale che annienterà ogni forza ostile ai suoi fedeli e donerà loro la
piena felicità. L’apostolo descrive una tremenda catastrofe cosmica ed altri
terribili eventi che si abbattono sull’umanità portando dolore, lutto, guerre,
devastazioni e la distruzione di una Grande città, definita Babilonia la Grande.
12
In seguito egli vede tre entità malvagie, il dragone, la bestia che sale dal mare e
la bestia che sale dalla terra, personificanti rispettivamente Satana, il potere
politico corrotto e il potere religioso corrotto.
13
Questi tre condottieri organizzano
l’umanità e muovono l’assalto contro la divinità, ma Cristo scende dal cielo e li
sconfigge in una grande battaglia; poi dà inizio al suo regno millenario (della
durata di mille anni), durante il quale Satana rimane legato. Al termine dei mille
anni, Satana, lasciato libero, esce “ad ingannare le genti dei quattro angoli della
terra, cioè Gog e Magog, convocandoli per la guerra”;
14
c’è, quindi, una nuova
definitiva battaglia in cui Cristo vince le potenze del male ed instaura sulla terra
un nuovo ordine di pace e di serenità, che Giovanni chiama con il nome di
“Gerusalemme celeste”.
Gesù è la figura dominante del libro, è il redentore e il vincitore del
combattimento escatologico. Tutte le interpretazioni avanzate concordano nel
ritenere che l’autore intendesse predire, prefigurare, preannunziare la seconda
venuta di Cristo in terra, in concomitanza con la fine del mondo.
15
L’Apocalisse, come anche altri testi biblici, unisce storia ed escatologia usando
l’immagine del processo finale per descrivere fatti contemporanei: nella lotta fra
12
Non si tratta certamente della Babilonia storica poiché a quel tempo era già distrutta. Si veda
Corsini E., Conferenza sul tema Attualità dell’Apocalisse, Perugia, Biblioteca Augusta, 2 aprile 1981, p.
6.
13
L’archetipo costante di incarnazione del male, come nemico assoluto del Verbo di Dio, è
senz’altro la bestia; nell’età pagana, infatti, i mostri erano ritenuti i custodi di caverne e sentieri che
portavano agli Inferi. Secondo la lettura che David H. Lawrence dà dell’Apocalisse, le forze del male
sarebbero in realtà divinità benefiche che, trascurate o ignorate, si rivoltano contro l’umanità; Lawrence
D.H., Apocalisse, Il Saggiatore, Milano, 1996.
14
Ap 20,8.
15
Corsini E., Conferenza sul tema Attualità dell’Apocalisse, cit., p.7.
14
la chiesa e l’impero romano, l’autore vede la lotta decisiva fra Dio e Satana che
termina con la vittoria di Dio e l’annientamento di tutte le forze a lui contrarie.
Poiché sono valide in tutti i tempi sia la realtà della minaccia del male, sia le
promesse di Dio di conservare la sua chiesa, l’apocalisse ha assunto
un’importanza eccezionale per i cristiani di ogni tempo.
16
Augusto Placanica, autore noto per la sua analisi particolarmente interessante
ed approfondita del modello apocalittico, rappresenta un punto di riferimento
essenziale nella definizione e ricostruzione di questo affascinante paradigma, di
cui è possibile rintracciare un’influenza costante sulla mentalità e sul pensiero
occidentali.
La nostra cultura è fortemente tributaria della visione biblico-cristiana della
storia, unilineare e movente verso un traguardo finale ineluttabile. Tale
concezione del mondo e della storia, dominata dall’ansia dell’éschaton – il
termine ultimo, il destino finale di ogni essere e di ogni divenire - è stata
tramandata dalle Scritture, convalidata dalla patristica e dalla scolastica, diffusa
grazie alla quotidiana predicazione dei sacerdoti e penetrata nella coscienza degli
individui, quale prospettiva di punizione e premio, attesa e tremore. L’intima e
diffusa adesione ad essa, fa notare Placanica, ha determinato una forte coesione
ideologica e una solida omogeneità nella percezione del reale, non solo in termini
di convincimenti ed atteggiamenti religiosi, ma anche in termini di riflessione sul
destino dei singoli, della collettività e dell’intero mondo.
17
Nella tradizione cristiana la realtà terrena è vista come peccato ed imperfezione,
frutto della caduta da un originario stato di perfezione e di armonica amicizia con
Dio. La possibilità di redenzione non è comunque preclusa all’umanità, anzi le
viene offerta grazie alla venuta di un Salvatore: la nascita di Gesù segna l’inizio
16
Si veda ancora la voce Apocalisse nel Dizionario biblico di McKenzie J.L., op. cit.
17
Placanica A., Segni dei tempi. Il modello apocalittico nella tradizione occidentale,
Marsilio,Venezia, 1990, pp. XI-XIII.
15
della ri-nascita del mondo, l’avvento di un nuovo mondo. Il suo sacrificio,
tuttavia, non riesce ad estirpare la peccaminosità umana, aggravata dal fatto che
pur avendo conosciuto il Cristo-Figlio, l’umanità non ha conseguentemente
operato per riavvicinarsi al Dio-Padre. Da qui l’inevitabilità della parusìa: alla
fine dei tempi Cristo farà ritorno sulla terra per giudicare tutti gli uomini ed
instaurare il Regno di Dio. Proprio in questa prospettiva rientrano i frequenti
avvisi di Dio agli uomini attraverso segni da valutarsi come indizi della sua ira, o
come premonizioni dell’imminente Venuta di Cristo.
Da questa tradizione biblico-evangelica, sostiene Placanica, scaturisce il
paradigma dell’epoca-catastrofe, il quale consta di due facce fra loro speculari e
complementari: da un lato c’è l’idea della fine della storia nell’imminenza di un
grande fatto storico, rappresentato dalla nascita di Gesù; dall’altro c’è il
sovvertimento del mondo costituito dalla Passione e morte di
Cristo.
18
L’«epoca», infatti, è riferita al termine greco epoché, che indica la sospensione,
il fermarsi in un punto, l’istantanea immobilità del tempo e della storia, l’arresto
epocale, dunque, figuralmente riprodotto nella fissità del presepe. La catastrofe,
concetto dinamico e, quindi, diametralmente opposto a quello di epoca, indica
invece il capovolgimento: il terremoto e l’eclisse che accompagnano la morte di
Gesù sono il segno del rovesciamento dei principi sui quali si regge l’ordine
mondano; da quel momento questi due fenomeni naturali hanno rivestito nei
secoli una fortissima pregnanza segnica nell’ambito dell’universo spirituale
cristiano.
19
L’epoca è, dunque, il preludio della catastrofe, ossia di un nuovo
mondo, fatto di valori nuovi, che il Figlio di Dio viene ad instaurare: se per un
istante il mondo si è fermato è perché a partire da quel momento avrà inizio il
capovolgimento e l’umanità non sarà più la stessa. Questo rinnovamento,
18
Ivi, pp. 31-33.
19
Sul significato segnico delle eclissi si veda anche Duby G., L’anno Mille. Storia religiosa e
psicologia collettiva, Torino, Einaudi, 1976, pp. 85-88.
16
innestato sull’attesa della civiltà giudaico-cristiana, si palesa, soprattutto, come
riscatto sociale, come esaltazione degli umili e umiliazione dei potenti. L’epoca,
come mito di una svolta suprema, ha acquisito un tale potere di persuasione che
la nozione di «momento epocale», evocata ancora oggi di frequente per
evidenziare la straordinarietà di un evento o di una fase storica di passaggio,
poggia su quell’antica idea di sospensione della storia come prologo del riscatto.
La percezione apocalittico-catastrofica, dunque, si fonda sull’idea che la storia si
realizzi attraverso crisi traumatiche, le quali distruggerebbero il vecchio mondo,
precipitato nel male, dalla cui ceneri ne emergerebbe uno nuovo, che si presume
migliore. L’apocalisse, dunque, è il trauma, ma soprattutto è il disvelamento di
un futuro inesauribile che si realizza traumaticamente e che può essere letto nel
linguaggio dei segni: ogni fatto, umano o naturale, che esuli dalla normalità
quotidiana, e che sia anche solo parzialmente assimilabile agli arcani scritturali, è
certamente un segno, premonitore di imminenze sociali, in quanto tutto ciò che
accade, in noi o fuori di noi, rientra nell’universale disegno di Dio.
20
In effetti,
tutta la letteratura apocalittica o genericamente escatologica si alimenta di una
moltitudine di catastrofi preannunciate, culminanti in un supremo
sconvolgimento, in cui tutto il mondo con la sua storia dovrà necessariamente
morire per poter risorgere successivamente in un’altra dimensione. Questa
tensione verso la fine dei tempi, morte e resurrezione dell’essere, è il cardine
della concezione apocalittica; in linea con la tradizione giudaico-cristiana,
trasfusa nella società occidentale, sia la cultura dotta che quella popolare hanno
ravvisato nelle calamità naturali, che hanno effettivamente assunto proporzioni
grandiose, il segno di un imminente rivolgimento storico, sia esso di natura
sociale, politica o religiosa. Per converso, l’attesa, o il timore, di una
trasformazione radicale, di un grande fatto storico, finiva con l’essere
20
Stefani P., Dies irae. Immagini della fine, Il Mulino, Bologna, 2001, pp.110-114.
17