7
drasticamente all’entusiasmo di Lévy
8
e di Negroponte
9
, autori che rientrano
nella seconda tipologia. Pur essendo tesi antitetiche, hanno un punto in comune:
il concetto di comunità.
E’ nel timore che si perda il senso di comunità che i primi lamentano il
potere dispersivo e disancorante della rete.
10
L’individuo, chiuso nella sua
postazione elettronica, da dove può tutto, non si accorge più del suo prossimo,
non ha più legami col suo vicino. Costruisce la sua identità come un puzzle,
prendendo le tessere da culture lontane, ma perde di vista e dal cuore la sua
appartenenza al luogo d’origine, anzi ignora il suo passato vivendo come rapito
in un continuo presente. Comunica con gli altri ma senza creare legami, magari
sotto un’identità fittizia, un nick name o un avatar. Entrando in una sorta di
parentesi provvisoria, gli individui attraversano la rete, che diventa così un luogo
di transito e come tale un non- luogo.
11
Ne consegue che lì dove non si crea
legame né sociale, né di lingua, né di territorio non può esserci comunità; per cui
anche quelle che chiamano comunità virtuali non sono altro che surrogati di
quelle reali.
12
Ne deriva uno scenario antropologico desolante!
Per i secondi invece c’è la speranza che gli uomini progrediscano proprio
collaborando in rete e unendo le loro capacità in una intelligenza collettiva.
13
Questa diventa una risposta fattiva alla crescente complessità della realtà, alla
aumentata disponibilità del sapere, provocata dalle nuove tecnologie. Infatti, si è
attuata una svolta verso un mondo di bit, dove il sapere non è più legato alla
materialità del suo supporto.
14
Un mondo raggiungibilissimo, dove la
comunicazione realizzerà quella esigenza etica che è, secondo Apel, la
trasparenza.
15
7
M. Augé, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Eleuthera, Milano
1993.
8
P. Lévy, L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano
1996.
9
N. Negroponte, Essere digitali, Sperling &Kupfer, Milano 1995
10
A. Giddens, Le conseguenze della modernità, Il Mulino, Bologna 1994.
11
M. Augé, op.cit.
12
Sul dibattito tra comunità virtuali e reali: F. Casalegno (a cura di), Memoria quotidiana.
Comunità e comunicazione nell’era delle reti, Le Vespe, Milano 2001
13
P. Lévy, op. cit.
14
N. Negroponte, op.cit.
15
K. O. Apel, Comunità e comunicazione, Rosemberg & Sellier, Torino 1977.
8
La forza di questi due filoni porta la nostra riflessione ad un bivio: avremo
una comunità che si sgretola o che si rinsalda? La risposta può uscire dal campo
filosofico e vestirsi di pragmatismo: la comunità trova in rete una nuova risorsa
che la farà tornare ai confini nazionali, regionali e civici, ed è la Pubblica
Amministrazione con i suoi servizi di e-government. In questa prospettiva
troverebbero luogo anche le utopie di Lévy e di Apel e verrebbero smentite le
tesi dei tecnopessimisti: i siti istituzionali offrono quel legame al territorio che
altre communities non hanno. Si tratta di un legame concreto realizzato con le
finestre sulla storia e sulla cultura del luogo, con i servizi di news, con i forum di
discussione, con l’invio di e-mail al cittadino. Ovunque si trovi l’utente,
collegandosi al sito della propria regione o città, può sentirsi come a casa e
rimanere aggiornato sui fatti locali, non perdendo di vista il faro del suo luogo
natio.
Si potrebbe a questo punto avanzare l’ipotesi che i siti istituzionali possano
servire da vero e proprio riancoraggio
16
per le comunità virtuali a rischio
dispersione. Infatti la PA in rete riesce a far emergere la località senza sfociare
nel campanilismo, dandole visibilità in un tessuto globale quale è Internet. Come
dire che dà vita ad una realtà locale non chiusa in se stessa, ma aperta a tutti i
possibili scambi.
Guardando più lontano però si potrebbe paventare un’altra situazione: se il
tempo di permanenza in rete da parte dei navigatori andasse diminuendo,
restringendosi al tempo necessario per prendere le informazioni che si vogliono,
forse anche i siti della PA potrebbero diventare non-luoghi, ossia luoghi di
transito, sfruttati unicamente per richiedere certificati e non per trattenersi ai fini
della conoscenza o delle relazioni sociali. Questo è un rischio, ma neanche del
tutto nuovo: già altri media, come la stampa o la tv, assolvono al compito di
arricchire la conoscenza collettiva e nel contempo offrono dei servizi.
Nei siti della PA i navigatori sono i cittadini quindi la comunità che vi si
riunirebbe è la cittadinanza virtuale, ben diversa dalle altre per un aspetto
fondamentale: l’identità. Chiunque in una chat o in un forum può nascondere la
16
D. Salzano, Lo sguardo disancorato. Società globale e comunicazione, Ed. Scientifica,
Napoli 2003.
9
propria identità con un nick name rimanendo nell’anonimato. Invece, con il
prossimo ingresso delle Carte Nazionali dei Servizi e delle Carte d’Identità
Elettroniche, il navigatore inserendo il suo codice, verrebbe riconosciuto
univocamente. Non si tratta di violazione della privacy ma della tutela dei dati
presenti nel sito, facile preda di pirati informatici.
Se tutto questo costituisce una rivoluzione per i navigatori, anche dalla
parte degli Enti il cambiamento è notevole: la comunicazione entra tra gli
interessi dei soggetti pubblici e questi entrano nel mondo della comunicazione.
Anzi c’è di più: adottando le strategie di comunicazione delle imprese, il nome
di una Regione, Provincia o Comune può diventare facilmente un brand, un
marchio, un prodotto da scegliere, rendendo il territorio appetibile per gli
investitori esterni.
Come si vede l’uso di Internet sovverte anche il rapporto tra media e
politica: i media tradizionali come stampa e televisione si ricordano per un
rapporto burrascoso, dove le une influivano sull’altra e viceversa.
17
I new media,
che forse non parlano di ideologie, sono divenuti invece lo strumento con cui un
governo si realizza in trasparenza ed efficienza e con cui adempie ad una
importante missione politica: la collaborazione fattiva degli uomini, come nel
senso proposto da Lévy. E la politica altro non è che il buon governo del
territorio, dove per territorio si intende una rete di comunicazione.
18
Le potenzialità di Internet non possono sfuggire all’attenzione
dell’amministrazione pubblica, la sola in grado di garantire a tutti i cittadini i
numerosi vantaggi. Una comunità che si rispetti deve avere a cuore la
partecipazione di tutti e ridurre al minimo il rischio di esclusione, che
coinvolgerebbe coloro che non hanno accesso alle nuove tecnologie per motivi
economici o culturali. Quindi la PA in rete non rappresenterebbe solo il
rincoraggio per le comunità virtuali ma anche quel garante che nella realtà
assicuri che i benefici del progresso tecnologico siano democraticamente alla
portata di tutti.
17
G. Sartori, Homo videns, Laterza, Bari 1999.
18
A. Abruzzese, Media e politica, in A. Abruzzese- A. Miconi, Zapping. Sociologia
dell’esperienza televisiva, Liguori, Napoli 1999.
10
1. LA SOCIETA’ DELL’INFORMAZIONE
SOMMARIO: 1.1 La storia; 1.2 e-Europe; 1.3 e-Quality: per uno sviluppo sostenibile
di Internet.
In una società dove la velocità con cui viaggiano le informazioni ha un alto
valore economico, dove la conoscenza, intesa come sapere e come competenza
professionale, è una discriminante, il rischio di emarginazione per chi ne resta
fuori è di conseguenza molto alto. Per questo l’Unione Europea nei suoi trattati
ha inteso specificare il diritto di tutti a partecipare della Società
dell’Informazione. Concretamente poi si dovrà operare per uno sviluppo
sostenibile di Internet, inteso sia come impatto umano che ambientale.
1.1 La storia
Il fenomeno della Società dell’Informazione è stato fatto risalire perfino al
XIX sec. all’epoca della Rivoluzione industriale
19
, l’espressione si usava già
negli anni ’70
20
quando questa nuova forma di società non era ancora nel suo
vigore. Si tratta di studi interessanti ma che non hanno potuto contemplare l’era
di Internet né l’interesse dei governi nazionali per le tecnologie informatiche.
Infatti si deve aspettare il 1993 quando è stato formulato dalla Commissione
Europea il Libro Bianco di Jacques Delors: Crescita, competitività e impiego
21
.
Era la prima volta che il termine Società dell’Informazione (d’ora in poi S.I.)
veniva usato con precisione e pienezza di significato. Ma soprattutto veniva
proposto come risposta al problema dell’occupazione e della competitività delle
imprese europee, dal momento che il progresso nelle nuove tecnologie avrebbe
19
J. R. Beniger, Le origini della società dell’informazione. La rivoluzione del controllo, Utet,
Torino 1995.
20
M. Porat, Information Economy, U.S. Department of Commerce, Washington, D.C., 1977;
D. Bell, The Coming of Post Industrial Society, Basic Books, New York 1976.
21
Commissione Europea, Crescita, competitività e impiego, Bruxelles 1993.
11
portato alla nascita di nuovi mercati e nuovi lavori. Delors suggeriva inoltre di
usare questa espressione in cambio di quella statunitense di “autostrade
dell’informazione”, coniata da Bill Clinton e Al Gore in un loro proclama nello
stesso 1993. Già si profilava la differenza tra la visione europea da quella
americana, ossia il netto rifiuto del determinismo tecnologico e la piena
consapevolezza dei bisogni della popolazione e del suo coinvolgimento. Dunque
una visione prettamente sociale mirata allo sviluppo sostenibile delle tecnologie.
Sul rapporto Delors si instaurò un gruppo di studio che approfondì
l’argomento e che ebbe come frutto il Rapporto Bangemann: L’Europa e la
Società dell’Informazione globale
22
. Questo lavoro confermò l’utilità che i nuovi
media avrebbero avuto per le imprese e dimostrò in dieci punti quali potevano
essere le applicazioni: il telelavoro, la formazione a distanza, l’ammodernamento
del sistema sanitario e della pubblica amministrazione, gli scambi culturali tra
università e centri di ricerca, l’interconnessione tra le amministrazioni dei vari
paesi. Ricadute queste che potevano realizzarsi solo dopo una liberalizzazione
del mercato delle telecomunicazioni. Il Rapporto Bangemann ebbe inoltre il
merito di spronare la Commissione e di dissipare i dubbi che circolavano sulla
S.I., specie sul telelavoro, che si pensava avrebbe fatto perdere la dimensione
interpersonale e provocato l’isolamento fisico e sociale
23
, mentre, come
dimostrava l’esempio statunitense, avrebbe aumentato i posti di lavoro. Circa un
mese dopo seguì il primo piano d’azione: Europe’s way to Information Society:
An Action Plan
24
, dove si puntualizzò su temi come l’interconnessione,
l’interoperabilità, i diritti di proprietà intellettuale.
22
Commissione Europea, L’Europa e la Società dell’Informazione globale. Suggerimenti al
Consiglio Europeo, Bruxelles 1994.
23
Intervista a J. Wenzel sul Rapporto Bangemann su www.mediamente.rai.it
24
www.europa.eu.int/comm/information_society
12
Da allora si stabilirono diversi osservatori e gruppi di studio per monitorare
l’impatto della S.I. nella vita pubblica e privata e per fornire le necessarie basi
scientifiche e tecnologiche alle iniziative politiche:
- l’ISPO, Information Society Project Office istituito nel dicembre 1994;
- il Forum sulla S.I., nel febbraio 1995, poi esteso presso ogni paese
membro;
- il programma tematico IST (tecnologie per la S.I.) nel V Programma
Quadro di Ricerca e Sviluppo Tecnologico nel 1998.
Secondo l’istituzione europea, la Società dell’Informazione deve essere
sostenuta da aggiornati studi scientifici sulle tecnologie e sul loro riflesso sulla
società, al fine di essere pienamente compatibile con il sostrato economico,
culturale e sociale di ogni paese. Inoltre essa ha un alto valore sociale
25
, che può
essere coltivato soltanto se non si tralascia la specificità di ogni territorio. E’ in
questo contesto che essa chiamerà in causa le singole amministrazioni pubbliche,
le sole in grado di essere motore dell’innovazione nella propria località e di
promuoverne il patrimonio culturale. Il dictat è quindi: l’attenzione ai cittadini
ed alle comunità locali. Verso i primi ci si muoverà con l’alfabetizzazione
informatica e la convenienza economica delle tecnologie; verso le seconde si
metteranno a disposizione strumenti e conoscenze globali. Solo con questa
strategia glocale, ossia di sintesi tra globale e locale, si potrà offrire la garanzia
della sostenibilità, evitare il divario digitale, integrare le minoranze, coinvolgere
i cittadini nei processi decisionali delle loro amministrazioni, migliorare la
qualità della vita.
25
e-Government, e-governance: l’evoluzione riparte, Pubblicazione della Project srl, Roma
2003.
13
1.2 e-Europe
La prima iniziativa che si possa dire sistematica e completa sulla Società
dell’Informazione è il programma e-Europe
26
lanciato dal pres. Prodi nel
dicembre del 1999, dove si metteva a punto un concetto basilare: l’estensione
capillare e democratica dei benefici della S.I. a tutti i cittadini europei. Una
svolta epocale dal sapore un pò velleitario; eppure i risultai di oggi confermano
la lungimiranza di quell’impostazione. Da e-Europe in poi tutte le iniziative
comunitarie sulla S.I. porteranno il suffisso e- di electronic, a sottolineare che in
qualsiasi campo lavorativo e sociale l’applicazione delle tecnologie porta ad un
reale progresso. Una sfida per la crescita economica, l’occupazione e il
miglioramento della qualità della vita. Tra i primi aspetti toccati vi erano
l’accesso facile ed economico ad Internet e l’attenzione per il consumatore. Si
rimarcava il bisogno di accelerare l’ingresso dell’Europa nell’era digitale e
recuperare il gap con gli Usa, prendendo coscienza di quali fossero le debolezze
e quali le forze della società europea. Tra le prime infatti risultava lo scarso
sviluppo di Internet e del commercio elettronico, la poca dimestichezza degli
utenti con i nuovi media, la mancanza di una cultura orientata ai servizi, il
settore pubblico ancora legato alla burocrazia e lontano dal dinamismo
tecnologico. Tra i punti di forza il settore della telefonia mobile e della
televisione digitale.
Per garantire a tutti la promessa principale dell’accesso a Internet erano
necessarie però due cose: 1) l’alfabetizzazione informatica e l’acquisizione delle
competenze tecniche, le quali non potevano non partire dalla scuola,
dall’istruzione delle nuove generazioni, da cui nasceranno i professionisti di
domani; 2) la cultura dei servizi on-line da parte delle imprese e delle istituzioni.
A questo importante progetto seguì il Piano d’Azione, approvato a Feira nel
giugno 2000: e-Europe 2002- Un Piano d’Azione
27
, dove sono stati puntualizzati
gli obiettivi da raggiungere entro il 2002, al fine di far diventare l’Europa
26
Commissione Europea, e-Europe: una società dell’informazione per tutti, 1999, reperibile su
www.europa.eu.int/information-society/eeurope ,oppure su www.innovazione.gov.it.
27
Il testo è reperibile nei siti citati nella nota 22.
14
l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo entro
il 2010
28
. Tali obiettivi sono stati divisi in tre grandi aree d’azione: 1)l’accesso
rapido, sicuro ed economico ad Internet; 2)gli investimenti sulla formazione; 3)la
promozione dell’uso di Internet.
I risultati di e-Europe 2002
29
sono stati resi noti nel febbraio 2003 e
attestano l’andamento positivo dell’iniziativa. Al 2002 il 90% delle scuole e
delle imprese erano collegate in rete; più della metà degli europei navigava su
Internet; il 43% delle famiglie aveva un collegamento da casa. I prezzi dei
servizi di telecomunicazione sono diminuiti e la concorrenza è aumentata.
Questi risultati danno credito alle nuove disposizioni presenti nell’ultimo
Piano d’Azione: e-Europe 2005: una società dell’informazione per tutti
30
, varato
a Siviglia nel giugno 2002. Questa seconda fase prosegue il lavoro iniziato e
fissa nuovi obiettivi da realizzare entro il 2005, tra cui quello centrale del
potenziamento dei servizi attivati. Infatti se e-Europe 2002 mirava ad aumentare
il numero delle connessioni, e-Europe 2005 le vorrà trasformare in maggiore
produttività economica. Punterà quindi sulla diffusione della banda larga nelle
scuole, nelle imprese, negli Enti ed anche presso le famiglie, ovunque e con un
prezzo più concorrenziale. Si lavorerà per aumentare e migliorare i servizi
pubblici on-line (di e-government, e-learning, e-health) e rendere più dinamico
l’e-commerce, garantendo con le leggi e gli standards la sicurezza delle
transazioni e la protezione dei dati. Approfondisce infine la tematica dell’e-
inclusion, o e-partecipazione, al fine di non creare disuguaglianze sociali,
rendendo Internet accessibile anche ai portatori di handicap e agli anziani e
agevolando chi non ha dimestichezza con il computer con la redazione di siti
facili da navigare.
Anche i risultati di e-Europe 2005 verranno confrontati con gli obiettivi che sono
stati prefissati; così come pure i risultati parziali dei vari paesi membri verranno
raffrontati tra di loro, seguendo il metodo della valutazione comparativa.
28
Questo traguardo è stato fissato durante il Consiglio Europeo di Lisbona del 23/24 marzo
2000.
29
La Relazione definitiva di e-Europe 2002 del febbraio 2003 è reperibile su
www.europa.eu.int/information_society/eeuope
30
Testo disponibile anche su www.europamica.it
15
Allo stato attuale l’Europa ha raggiunto risultati ragguardevoli anche in
rapporto agli Stati Uniti: da una ricerca e-Marketer del giugno 2003
31
la
popolazione connessa stabilmente nel vecchio continente è del 30,5% a fronte
del 28,7% di quella nordamericana. L’aumento dell’utenza di Internet è
consequenziale alla crescita dei servizi offerti, soprattutto quelli della PA. Tra
l’ottobre del 2001 e l’ottobre 2002, la percentuale di crescita europea
dell’efficienza dei servizi è stata del 13%. I dati sono del gruppo Cap Gemini
Ernest & Young
32
e sono riportati in una classifica che vede la Danimarca in
testa con la totalità dei servizi in rete:
Danimarca 100%
Germania, Paesi Bassi 98%
Regno Unito 97%
Lussemburgo 95%
Finlandia, Norvegia e Svezia 92%
Irlanda 91%
Belgio 89%
Austria 87%
Svizzera 86%
Portogallo 78%
Spagna 77%
Islanda 74%
Italia 73%
Grecia 70%
Francia 68%
Tuttavia, per quanto riguarda l’Italia, il ritardo è stato superato nel corso del
2002: il ministro Stanca, commentando alcuni dati dell’Unione Europea,
sottolineava che il nostro Paese è passato dal dodicesimo al nono posto nella
classifica
33
, riportando un +18%, rispetto al +12% del Regno Unito e il +8%
della Germania.
C’è da dire però che il dato pur essendo positivo, non può essere confrontato con
la crescita di Paesi che hanno già raggiunto la totalità dei servizi in rete. Questa,
come le altre statistiche esistenti, offrono dei quadri molto precisi, ma
31
Notizia riportata sul sito www.innovazone.gov.it.
32
Ibidem.
33
Notizia riportata sul sito www.smau.it.
16
inevitabilmente ci sono incongruenze sui risultati poiché i parametri adottati
sono diversi.
Un altro importante punto di riferimento è il Rapporto EITO 2003
34
,
dell’Osservatorio Europeo sulle Tecnologie dell’Informazione, presentato a
febbraio 2003. Dopo il decennio degli anni ’90 in cui Internet ha avuto una
crescita vertiginosa, il biennio 2001/2002 ha mostrato una crisi nel settore
dell’Ict, dove si è registrata una crescita zero. Per il prossimo futuro sarà bene
puntare su alcuni fattori, quali le politiche governative, le partnership con i
privati, gli investimenti sulle risorse umane; e attraverso un quadro legislativo
stabile, gli incentivi statali alla banda larga e i servizi di e-government, si
raggiungerà una crescita dell’ICT in Europa pari al 2,5% e un’utenza Internet
pari al 66%. E non è che una prospettiva molto cauta: con l’impegno del settore
pubblico, infatti, verrà facilmente superata
35
.
34
Media Duemila, Anno XXI, 2/03/2003; www.smau.it.
35
Si rimanda al paragrafo 3.3.