machiavellismo del risultato è vista come anomalia , snaturamento dunque rottura
del suo spazio simbolico definito come mito fondamentale .
Indubbiamente sussiste una polarità fortemente contraddittoria;da un lato chi è
permeato permeati degli schemi cognitivi , etici , estetici , e conativi propri della
pratica sportiva tende ad offrire una visione carnale e sensuale della propria attività
come mestiere del corpo , dall’altra chi alieno a tale contesto tende ad ascrivere
concettualmente la pratica sportiva in un universo privilegiato ,quello del “non
lavoro”, prettamente antitetico alla comune nozione di “ lavoro”.
In fondo parlando di sport produciamo leggende; quando privilegiamo
l’immagine dello sportivo a quella dell’impiegato opponiamo la visione di
un’esistenza diversa da quella di tutti i giorni ben programmata e senza rischi , ci
inscriviamo a pieno titolo nella trasformazione in eroe di un individuo che si
svincola dal suo stato comune.
Non è l’eroe della mitologia classica , l’individuo eccezionale delle culture
aristocratiche dove l’uomo di umili origini ,attraverso i gloriosi successi rivela la
sua origine nobile o divina , disvelando in atto ciò che è gia in potenza , parte di un
destino o una natura già scritti e presenti , ma l’eroe popolare espressione di un
eroismo sociale , più che politico , l’uomo comune che si fa individuo per la sua
eccellenza che deriva dall’esser niente in origine.
Il frame , la cornice simbolica , di riferimento che rende praticabile
l’assunzione dell’uomo comune ad eroe non è un mondo soprannaturale o fantastico
, ma una finzione realistica ;il meccanismo competitivo evoca infatti la grammatica
dell’egalitarismo democratico .
Il mito però non sta nella natura delle cose che esso descrive ma nel processo
selettivo che trasforma storie in fatti naturali; la conoscenza contenuta nel campo
simbolico è conoscenza diffusa impregnata di associazioni a volte labili fortemente
caratterizzate emotivamente.
In questa chiave l’apparente contraddittorietà può probabilmente trovare la sua
sintesi nella constatazione che la pratica sportiva moderna coinvolge dimensioni
diverse dell’esistenza individuale e collettiva ; prendendo in considerazione i profili
II
inerenti le modalità di pratica sportiva , lo sport contemporaneo può esser infatti
assunto quale un “sistema aperto” ossia come un sistema complesso e poliedrico
Il modello sportivo tradizionale di matrice ottocentesco tendeva a configurare
lo sport come attività con caratteri omogenei ed autonomi associati ad obiettivi
nettamente definiti nell’ambito di regolamentazioni perfettamente chiare.
Sport significava esclusivamente competizione o tensione verso un traguardo ,
un risultato ;la sostanziale uniformità di valori dominanti, in cui l’esperienza
sportiva è inseparabilmente legata all’agonismo competitivo ;l’ambiente ,
l’organizzazione di riferimento dava origine ad un processo selettivo e di
emarginazione .
Tale modello si perpetua nello sport agonistico; ne conserva il sistema rigido
di norme , di valori condivisi , il sistema organizzativo di base , il tendenzialmente
orientatamento a perseguire risultati precisi (vittoria , progressione dei risultati
sportivi ), salvo , in un processo di differenziazione , “arricchire ”la propria
assiologia funzionalizzando la competizione all’”entertainment”, alla produzione di
spettacoli sportivi.
L’atleta è “attore “ principe nella duplice veste di competitore , con tutta la
iconografia di riferimento ,e di essenziale fattore della produzione legittimando in
tal modo la collocazione in ambito giuslavoristico delle problematiche inerenti il
rapporto tra atleti e società sportive.
Questo lavoro , senza alcuna presunzione di esaustività, intende esplicitare il
processo di evoluzione del rapporto tra società ed atleti,assumendo come
microcosmo di riferimento l’universo calcistico ,nell’ambito delle strutture (
anch’esse soggette a radicali modificazioni) organizzative dell’agonismo
programmatico.
Non si accolgono in tal senso le correnti definizioni di sport , quali ad
esempio quella contenuta nella Carta Sportiva Europea del Consiglio D’Europa ai
sensi della quale :”Per sport si intende qualsiasi forma di attività fisica che attraverso
una partecipazione organizzata o meno , abbia per obiettivo l’espressione e il
miglioramento della condizione fisica e mentale , con la promozione della
socializzazione e/o il perseguimento di risultati in competizioni a tutti i livelli”, non
III
tanto dubitandosi in ordine alla validità descrittiva delle stesse , quanto in funzione
meramente della nostra analisi , limitandosi il campo di osservazione alla pratica
sportiva svolta nell’ambito delle organizzazioni federali , con finalità agonistiche .
Nell’ambito del Capitolo I viene brevemente sunteggiato il caratteristico
processo che attraverso la rideclinazione-rottura di pregresse pratiche ludiche , in
correlazione con le radicali modificazioni culturali della società ottocentesca
,determina l’affermazione del peculiare modello sportivo agonistico-competitivo;
non tralasciando le pur rilevanti diverse applicazioni e funzioni della pratica sportiva
,viene sottolineata la centralità del fenomeno dell’associazionismo sportivo a fini
competitivi , tracciandone gli assetti originari e la sua evoluzione nei primi lustri del
Novecento.
L’analisi dello sviluppo dell’associazionismo sportivo di primo grado (
istituzione di club, associazioni di base) e successivamente di secondo grado (
associazioni di associazioni su scala nazionale ed internazionale) , aldilà del sua
intrinseca rilevanza , giova ai fini dell’inquadramento giuridico del fenomeno.
Se non altro infatti per coincidenza temporale , infatti le organizzazioni
nazionali ed internazionali sportive si pongono come oggetto di verifica ed
applicazione delle teorie pluralistico-ordinamentali miranti ad offrire una
ricostruzione giuridico-sociologica del fenomeno .
Vengono in tal senso analizzate le intuizioni di Cesarini Sforza e soprattutto
la riflessione sistematica , in un mutato contesto normativo di riferimento con
l’entrata in vigore della L.16 Febbraio 1942 n. 426 “Costituzione ed ordinamento del
Comitato Olimpico Nazionale Italiano” , di Massimo Saverio Giannini.
Pur non negando la validità di un approccio metodologico mirante a superare
il pregiudizio in ordine alla riserva monopolista statuale in relazione alla produzione
normativa , si sottolinea la sterilità , sotto il profilo del diritto positivo ,rectius il
carattere meramente descrittivo ,di ricostruzioni tendenti ad analizzare
l’ordinamento sportivo come fenomeno a sé stante .
Il Capitolo 2 in tal senso mira ad analizzare in un ottica prettamente
“statualistica” ,ossia valutando le organizzazioni sportive alla luce dei dati normativi
IV
di fonte statale , i c.d. soggetti dell’ordinamento sportivo (Comitato Olimpico
Nazionale Italiano , Federazioni Sportive Nazionali , associazioni e società sportive)
In particolare viene, attraverso l’analisi delle principali posizioni dottrinali e
giurisprudenziali sul tema e dei principali riferimenti normativi (da ultimo D.Lgs. 23
luglio 1999 n. 242), affrontata la vexata questio della natura giuridica delle
Federazioni Sportive ,dei regolamenti federali e dell’inquadramento della c.d.
Giustizia Sportiva alla luce del recente intervento legislativo in materia (L.17 ottobre
2003 n.280), nonché del processo evolutivo del modello organizzativo di base (da
associazioni con finalità non lucrative a società di capitale con finalità lucrative-).
Lo scopo di tali passaggi argomentativi è quello di evidenziare non solo la
complessità dell’organizzazione sportiva federale , ma soprattutto quello di indagare
circa la natura giuridica di attività, atti e comportamenti delle Federazioni .
Non è di secondaria importanza notare come , vigente la L.16 febbraio 1942
n.426, giuridicamente l’ordinamento sportivo avesse trovato unanimemente almeno
fino ai primi anni 70’ una costruzione sostanzialmente di diritto pubblico,
adottandosi lo strumento amministrativo nella prospettiva della disparità dei piani su
cui i vari soggetti agivano.
Per quanto ai nostri fini rileva il quadro ricostruttivo tutto orientato nella
prospettiva amministrativistica attraverso il meccanismo imperniato sul collegamento
tesseramento –vincolo e dietro il rilievo civilistico attribuito non già alla persona
dell’atleta quanto alla res commerciabile rappresentata dal c.d. cartellino quale
espressione documentale del vincolo , che celava sul piano sociologico una visione
essenzialmente “paternalistica” del rapporto tra società sportive ed atleti , per taluni
aspetti rendeva particolarmente difficoltosa la riconduzione del rapporto tra società
ed atleti nell’ambito degli schemi giuslavoristici.
Il Capitolo 3 in questo senso è dedicato inizialmente alla disanima della natura
giuridica del tesseramento e del vincolo sportivo .
Superando le letture tese ad enfatizzare la portata pubblicistica del
tesseramento in aderenza alla origine storica dell’istituto ed anticipando parzialmente
le conclusioni sul punto, viene sottolineata la natura privatistica di negozio
associativo del tesseramento e la correlata natura del c.d. vincolo sportivo quale
V
clausola del contratto associativo tesa a vietare il recesso unilaterale dell’atleta ai fini
di tutelare gli interessi tecnici ed economici delle associazioni sportive
Sotto un altro profilo viene esaltata la natura “autonoma “ del vincolo stesso
rispetto ad ulteriori rapporti intercorrenti tra società ed atleti nel quadro della
progressiva affermazione del professionismo sportivo che delinea il declino della
figura dello” sportsmen “ quale atleta-socio legato all’associazione da un comune
scopo ideale soppiantata da quella dell’atleta-lavoratore portatore di interessi
conflittuali.
L’intervento legislativo (L.23 marzo 1981 n.91) che pur positivamente ha
statuito la abolizione del vincolo a tempo indeterminato nel ristretto ambito
professionistico , ambito nel quale l’attività sportiva è tutelata quale attività
lavorativa , ha affrontato però solo parzialmente la problematica del vincolo ,
cogliendone non tanto la natura dello stesso quanto gli effetti ( limitazione della
libertà contrattuale degli atleti) .
Rimettendo al Coni ed alle Federazioni sportive l’individuazione del
discrimine tra dilettantismo e professionismo attraverso il meccanismo della
“qualificazione” , il legislatore ha da un lato ,sostanzialmente manifestato l’intento
di perpetuare la tendenziale demarcazione tra dilettantismo e professionismo fondata
più che su riscontri fattuali su circostanze formali e valutazioni di opportunità , e
dall’altro implicitamente ha avallato i “regimi vincolistici” in ambito dilettantistico.
In tal senso la seconda parte del Capitolo 3 è dedicata alla problematica
definizione del rapporto tra atleti dilettanti e i sodalizi sportivi.
In primo luogo si analizzano , salvo sottolineare una parziale apertura degli
organismi federali tese al superamento del c.d. “vincolo a vita”,i profili di
contrarietà a norme imperative e di ordine pubblico dell’istituto del vincolo a tempo
indeterminato ;in secondo luogo l’attenzione è dedicata al fenomeno del
“professionismo di fatto”ossia alle dinamiche dei rapporti tra atleti formalmente
dilettanti e associazioni sportive dilettantistiche al fine di valutare la potenziale
ricorrenza di rapporti di lavoro prescindendo dalla qualificazione federale in senso
professionistico dell’attività svolta attraverso la esegesi delle principali posizioni
dottrinarie e giurisprudenziali ( soprattutto comunitarie ) sul tema.
VI
Il Capitolo 4 è interamente dedicato alla disciplina positiva del rapporto tra
sportivi professionisti e società sportive alla luce della L.23 marzo 1981 n.91.
In via preliminare si menzionano i principali e contrastanti orientamenti
dottrinari e giurisprudenziali circa la qualificazione del rapporto tra atleti e società
sportiva nonché quelli relativi alla disciplina applicabile anteriormente all’intervento
legislatoiv ,e si rende conto ,a testimonianza della problematicità delle questione
,della scarsa linearità dell’iter parlamentare di approvazione del testo legislativo.
Viene analizzato in particolare la “filosofia “ complessiva del testo e le
“tecniche” utilizzate dal legislatore ;dall’analisi del campo di applicazione ( l’area
del professionismo sportivo) in senso soggettivo (atleti , allenatori, preparatori
atletici, direttori tecnico-sportivi) ed oggettivo , anche in alcuni problematici
passaggi, emerge infatti nitidamente il carattere estremamente “specialistico” delle
norme contenute nel Capo I della L. n.91 del 1981 .
Aspetto fondamentale è quello della qualificazione del rapporto tra atleti e
società sportive e della peculiare tecnica legislativa adottata.
In parte discostandosi dalle risultanze della dottrina dominante nell’ambito
della quale il disposto dell’art. 3 della L.n.91 n.81 viene interpretato come norma
sanzionante una presunzione giuridica circa la natura subordinata del rapporto , o da
parte di altri quale atto a configurare la creazione di un nuovo modello legale di
subordinazione in funzione sostitutivo-integrativa della fattispecie codicistica , la
peculiare normativa ex art.3 viene interpretata alla luce della sua collocazione
sistematica .
Emerge la peculiare scelta legislativa di garantire da una sostanziale
estensione delle tutele lavoristiche in un campo ove si erano manifestate profonde
incertezze qualificatorie , attraverso una sorta di assimilazione degli atleti ai
lavoratori subordinati per mezzo della limitazione dell’autonomia privata imponendo
alle parti contraenti un modello negoziale predeterminato e delineato nell’ambito
dell’art.4 della L.n.91 1981 salvo garantire la piena autonomia negoziale nelle ipotesi
previste dall’art. 3 comma 2 nelle quali potrà esser stipulato un contratto di lavoro
autonomo e dall’altro la necessità di far salvi taluni meccanismi di “coordinamento”
con le esigenze dell’organizzazioni sportive .
VII
Da qui la rilevanza non solo del principio dell’assunzione diretta e della forma
scritta ad substantiam , ma altresì della conformità dei contratti individuali ad un
contratto-tipo predisposto conformemente ad accordi collettivi , della prescrizione di
specifici contenuti negoziali negativi e positivi e dell’istituto del deposito del
contratto di lavoro e dell’approvazione da parte della federazione sportiva
competente.
Tali aspetti sono oggetto di specifica trattazione , nei loro profili teorici ed
applicativi , con peculiare attenzione rivolta al ruolo dell’autonomia collettiva, salvo
sottolineare sul piano generale la natura “complessa “ e dunque intrinsecamente
unitaria dell’”iter procedimentale” per la conclusione del contratto di lavoro sportivo
culminante nell’approvazione federale ed il suo collegamento con il negozio del
tesseramento .
Alla trattazione degli aspetti inerenti la costituzione ,di per sé già dotata di un
nucleo di disciplina “speciale ” rispetto alla fattispecie tipica del rapporto di lavoro
subordinato , si accompagna quella inerente la disciplina dello stesso caratterizzatesi
per un elevato tasso di specialità- disapplicazione , ed alle problematiche relative al
coordinamento in sede applicativa rispetto alla normativa di “diritto comune”.
A tale riflessioni segue l’analisi degli ulteriori contenuti del contratto di lavoro,
con ampi riferimenti alla disciplina collettiva, con particolare attenzione rivolta ai
profili inerenti la pattuizione di clausole di non concorrenza o comunque limitative
della libertà contrattuale ; attenzione viene posta inoltre ai profili inerenti il peculiare
atteggiarsi dell’obbligo di fedeltà ex art.2105 c.c. nell’ambito del rapporto di lavoro
sportivo subordinato , ed a quelli incentrati sullo sfruttamento commerciale
dell’immagine degli sportivi.
Una ulteriore analisi è dedicata alla risoluzione delle controversie concernenti
l’attuazione del contratto insorte tra società e sportivi mediante deferimento a
Collegio arbitrale ( con particolare riferimento al Collegio arbitrale ex art. 25
dell’Accordo Collettivo FIGC-AIC) con analisi del singolare modello procedurale di
applicazione di sanzioni disciplinari .
Altro aspetto affrontato è quello dell’estinzione del contratto ,nell’intreccio tra
normativa comune , normativa collettiva e regolamentazione federale che
VIII
idealmente , registrandosi su tali aspetti ed in particolare in ordine al riconoscimento
del diritto di recesso ante tempus non sorretto da giusta causa forti spinte innovativa
da parte degli organi comunitari , fa da ponte alla discussione della incidenza delle
politiche e della giurisprudenza comunitaria sulle tematiche del rapporto di lavoro
sportivo.
Il capitolo 4 si chiude infine con alcuni cenni alle problematiche inerenti la
tutela della salute dello sportivo- lavoratore ed ai profili più strettamente legati al
regime della sicurezza sociale .
Il Capitolo 5 è quasi nella sua interezza dedicato all’incidenza delle norme
comunitarie nell’ambito dell’organizzazione sportiva internazionale e nazionale da
un lato analizzando la crescente rilevanza assunta dallo sport nelle politiche
comunitarie e dall’altra ripercorrendo i principali interventi in via “pretoria” da parte
della Corte di Giustizia .
La celebre sentenza “Bosman” , in tale contesto , più come momento di rottura
è vista come “naturale “ evoluzione della giurisprudenza comunitaria in ordine alla
compatibilità delle norme federali con i principi comunitari in tema di divieto di
discriminazione e libera circolazione dei lavoratori ed ideale spartiacque in relazione
alle politiche comunitarie in materia sportiva.
Vengono , a tal fine ,ripercorsi i più significativi interventi della Corte di
Giustizia anteriormente alla sentenza Bosman a cui specifici contenuti (contrarietà di
prassi e discipline adottate da organismi sportivi alle norme comunitarie in tema di
divieto di discriminazione , al principio di libera circolazione e libera prestazione di
servizi ) alle cui conseguenze , eversive per taluni aspetti di consolidati assetti
organizzativi dello sport professionistico, è dedicata una particolare attenzione.
Aldilà dei suoi contenuti la sentenza “Bosman” rappresenta fino al 1995 la
punta più avanzata dell’intervento comunitario in materia sportiva ma altresì la
occasione di una più ampia riflessione sulla tematica dei rapporti tra organismi
sportivi ed Unione Europea.
La fase post-Bosman viene a caratterizzarsi infatti per una netta inversione di
tendenza nella politica comunitaria; pur infatti senza concedere alcuna esenzione
nell’applicazione delle normative comunitarie in ambito sportivo , si manifesta una
IX
chiara opzione sotto il profilo del metodo verso forme “ concertative” di
adeguamento delle regolamentazioni sportive ai principi comunitari , e sotto altro
profilo , la tendenza a “filtrare” l’applicazione delle norme comunitarie alla luce del
c.d. principio di specificità dello sport”.
In tal senso vengono analizzati da un lato i contenuti degli interventi della
Corte di Giustizia successivi alla sentenza “Bosman”ove emerge chiaramente nella
pur costante affermazione del primato del diritto comunitario( particolarmente per
ciò che attiene i principi di non discriminazione) , il riconoscimento del ruolo degli
organismi sportivi internazionali e nazionali quali enti dotati di un potere di
autoregolamentazione e la legittimità di talune normative o prassi sportive che pur
“oggettivamente “ configuranti ostacoli o restrizioni alla libera circolazione dei
lavoratori od alla libera prestazione di servizi attengano alla stessa natura e
all’organizzazione della specifica disciplina , dall’altro il “modus operandi” degli
organi comunitari (la Commissione in particolare ) teso a innescare , nel rispetto
della autoregolamentazione sportiva ,un processo di “accelerazione “
dell’adeguamento delle normative sportive ai principi comunitari ( come nel caso
dell’adozione del nuovo Regolamento FIFA sullo Status ed il Trasferimento dei
calciatori).
L’ultima parte del Capitolo 5 riconduce parzialmente l’analisi a profili di
diritto interno essendo incentrata sullo studio della condizione giuridica degli sportivi
professionisti extracomunitari nell’ordinamento nazionale ed in particolare della
tutela del diretto a non esser discriminato nell’accesso all’attività lavorativa in
ambito sportivo ed al trattamento paritario quanto alle condizioni di lavoro.
Si ripercorrono in tal senso alcune significative vicende giudiziarie sul tema e
la parallela evoluzione legislativa (dalla Legge “Turco-Napolitano” alla “ Bossi –
Fini”, fino ai più recenti Disegni di Legge in materia ).
Una conclusiva riflessione, riconducendo il discorso in un ottica comunitaria, è
inoltre dedicata alla tematica della tutela dell’accesso alla pratica sportiva
“puramente “dilettantistica dei cittadini comunitari.
X
Dal gioco all’organizzazione sportiva Capitolo Primo
1
CAPITOLO PRIMO:
DAL GIOCO ALL’ORGANIZZAZIONE SPORTIVA
Sommario: 1. 1 Il gioco 1. 2 Un modello esemplare: il Football da gioco a sport 1. 3 Sport e
società 1. 3. 1 Le funzioni dello sport 1. 3. 2 Le applicazioni dello sport 1. 4 L’agonismo
programmatico e l’organizzazione sportiva 1. 4. 1 La teoria istituzionale ed il fenomeno sportivo 1. 4.
2 La rielaborazione delle teorie pluralistico-ordinamentali e le sue applicazioni 1. 4. 2 …Segue Gli
elementi degli ordinamenti giuridici sportivi 1. 5 Rapporti tra normativa sportiva ed normativa
statuale 1. 6 Ordinamenti sportivi ed Ordinamento statuale
1. 1 Il gioco
É un dato linguistico comune, nel riferirsi alle varie pratiche sportive, associare
il termine gioco al sostantivo individuante la specifica specialità, così come pure
qualificare il competitore come “giocatore”.
Nel linguaggio corrente dunque si avverte una traslitterazioni di senso e
significato tra due aree semantiche, quella del “gioco” e quella dello “sport” invero
caratterizzatesi storicamente come categorie concettuali distinte.
Se difatti è di empirica percezione che lo sport sia essenzialmente un “sistema
di comportamenti umani collegati tra loro dalla fondamentale idea del giuoco”
1
ciò
non comporta la riconduzione di attività di carattere ludico, presenti in tutte le forme
di civiltà, indipendentemente dal tipo di cultura, dalla collocazione geografica, alla
moderna nozione di sport.
1
A. BARBARITO MARANI-TORO, voce Sport, in Noviss. Dig. it., XVIII, Utet, 1971, pag. 47 nota
1.
Dal gioco all’organizzazione sportiva Capitolo Primo
2
La tendenza ad una valutazione “astorica” della nozione di sport è in certo
senso fortemente influenzata da studi di carattere filosofico-antropologico miranti ad
evidenziare la centralità dell’elemento ludico nello sviluppo delle civiltà.
A riguardo ad esempio scriveva Johan Huizinga: “ (…) la cultura sorge in
forma ludica, la cultura è dapprima giocata. Anche quelle attività che sono
indirizzate alla soddisfazione dei bisogni vitali, come ad esempio la caccia, nelle
società arcaiche assumono di preferenza forme ludiche: nei giochi e con i giochi la
vita sociale si riveste di forme sovrabiologiche che le conferiscono maggior valore.”
2
La centralità dell’elemento ludico nelle civiltà pregresse induce ad una
rimeditazione in ordine all’elemento ludico nella cultura odierna sottolineando la
alienità, in termine di valore simbolico, delle pratiche sportive moderne rispetto alle
pratiche ludiche antecedenti.
In quest’ottica afferma Huizinga: “A poco a poco nella società moderna lo
sport si allontana dalla pura sfera del gioco, e diventa un elemento sui generis, non
più gioco, ma nemmeno serietà. (…) ”.
Inclementemente l’Autore sottolinea come: “lo sport è assai più una
manifestazione di istinti agonali che un fattore di fertile coscienza sociale. (…) pur
essendo importantissimo per partecipanti e spettatori esso rimane una funzione sterile
in cui è morto il tradizionale fattore ludico”
3
.
Pur assumendo come valido il collegamento meramente descrittivo tra le
nozioni di “gioco” e quelle di “sport”, il citato passaggio non evidenzia alcun
interesse da parte dell’Autore riguardo la possibilità che la sociogenesi del fenomeno
sportivo nelle odierne società possa considerarsi in termini di alterità, o al limite di
rideclinazione, rispetto a pratiche ludiche diverse, o comunque, non si spinge ad
un’analisi delle cause che hanno eventualmente portato alla “atrofizzazione”
dell’elemento ludico implicitamente legittimando un approccio delle interrelazione
2
J. HUIZINGA, Homo Ludens, Il Saggiatore, 1967, pag 78.
3
J. HUIZINGA, op. cit., pag. 281-282.
Dal gioco all’organizzazione sportiva Capitolo Primo
3
“gioco-sport” in termini di “frattura-divisione” piuttosto che ricercando tratti
universalmente comuni.
4
Ciò non deve indurre a negare la centralità dell’opera di Huizinga, la quale
rappresenta un indubbio punto di riferimento negli studi intorno al gioco.
“Homo Ludens” per ampiezza prospettica e potenza suggestiva conduce a
superare una sorta di scetticismo e superficialità degli studi accademici che
storicamente hanno relegato l’analisi dei fenomeni ludici ad ambiti di ricerca triviali
o periferici.
L’idea centrale dell’Autore è che rispetto alle diverse e susseguenti civiltà
umane, il gioco rappresenti una invariabile culturale, cioè un fenomeno comune nella
sostanza e caratteristico nella forme assunte, capace di legittimare e giustificare i più
disparati comportamenti culturali, dal linguaggio al diritto, dalla guerra al mito, dal
sapere all’arte.
Si percepisce di fondo una premessa in ordine alla rilevanza del concetto di
gioco; come scrive lo stesso Autore: “ (…) per me non si trattava di domandare quale
posto occupi il gioco tra i rimanenti fenomeni culturali, ma in quale misura la cultura
stessa abbia carattere di gioco: per me si trattava, e si tratta d’integrare per così dire il
concetto di gioco in quello di cultura.”
5
Il gioco è un fenomeno, sia nelle forme semplici sia in quelle più complesse
6
,
che travalica l’ambito puramente biologico, ad esso partecipa qualcosa che oltrepassa
l’immediatezza degli istinti vitali per proiettarsi in una dimensione immateriale
ultrafisiologica che l’Autore definisce come “funzione che contiene senso”
7
.
Le interpretazioni delle scienze sociali che cercano di definire il gioco e di
collocarlo in un ideale ordine vitale sono da considerarsi insufficienti e parziali nella
4
Significative a riguardo alcune notazioni di ordine semantico di L. WITTGENSTEIN, Ricerche
filosofiche, Einaudi, 2000, pag. 46-47 ove si sottolinea la prossimità, la somiglianza ma non l’identità
tra gioco e sport. “Considera ad esempio i processi che chiamiamo giochi. Intendo giochi di carte, di
scacchiera, giochi di palla, gare sportive e via discorrendo.. Cosa è comune a tutti questi giochi? Se
osservi non vedrai sicuramente qualcosa che sia comune a tutti, ma vedrai somiglianze, parentele, anzi
ne vedrai tutta una serie.”
5
J. HUIZINGA, op. cit., pag. 14.
6
Sottolinea JOHAN HUIZINGA: “Il gioco è più antico della cultura, perché il concetto di cultura,
presuppone in ogni modo la convivenza umana, e gli animali non hanno aspettato che gli uomini
insegnassero loro a giocare.”
7
J. HUIZINGA, op. cit., pag. 18.
Dal gioco all’organizzazione sportiva Capitolo Primo
4
misura in cui presuppongono una necessaria utilità biologica, non cogliendo la
inafferrabile essenza in quanto espressione di una primaria attività dello spirito
irriducibile e non collocabile nelle grandi antitesi categoriche bene-male, saggezza-
follia, verità falsità.
Huizinga infatti individua le caratteristiche del gioco nell’essere un atto libero,
laddove sia comandato evidentemente non sarà più un gioco ma una mera
riproduzione di esso, e nel porsi “in una sfera temporanea di attività con finalità sue
proprie.”
8
Carattere circoscritto spazialmente e temporalmente, autotelismo di cui il
giocatore è pienamente consapevole
9
, così come lo è del carattere necessario della
regola che presiede il gioco, realizzando una forma di libertà Autoregolata, in cui i
vicoli autoimposti procurano la gioia derivante dalla coscienza di non assoggettarsi
alla coazione di norme eteroimposte, ma a norme liberamente create.
Il mondo ludico, un universo separato dalla vita ordinaria, crolla non appena si
trasgrediscono le regole.
10
Emerge così il carattere sociale del gioco; la comunità che gioca tende
perpetuarsi, crea legami ed interrelazioni stabili e durature, la cui funzione è
eminemente culturale, creativa di un mondo parallelo caratterizzato da una tensione
gioiosa alla riuscita perfetta del gioco stesso.
Nelle sue forme più evolute “la funzione del gioco è riducibile a due aspetti
essenziali: “ (…) può rappresentare una lotta per qualcosa, oppure è una gara tra chi
meglio rappresenti qualcosa.”
11
Il carattere agonale, la contesa, la rappresentazione di un conflitto, la vittoria
sono espressione della tensione ludica che caratterizza la primitiva fase culturale
nell’ambito della quale sono indistinguibili forme ludiche e forme rituali religiose.
8
J. HUIZINGA, op. cit., pag 27.
9
“Il gioco comincia ed ad certo momento è finito (…) il gioco si muove in un ambito il quale è
delimitato in anticipo (…) ”. J. HUIZINGA, op. cit., pag. 29.
10
Huizinga sottolinea ripetutamente la centralità del concetto di lealtà, individuando nella figura del
“guastafeste” il giocatore che non riconoscendo e delegittimando le regole del gioco, determina la
rottura del cerchio magico, manifestando il carattere fragile e transitorio del mondo ludico. Come tale
il “guastafeste” dovrà essere allontanato dalla comunità che gioca.
11
J. HUIZINGA, op. cit., pag. 34.
Dal gioco all’organizzazione sportiva Capitolo Primo
5
Lo sport moderno rappresenterebbe null’altro che una forma di compensazione
legata alla recessività dello spirito ludico nelle civiltà moderne.
Gare di abilità forza resistenza che hanno da sempre caratterizzato ogni cultura
sia in rapporto al culto che allo svago occasionale, assumono nelle moderne società
un carattere diverso ed ulteriore, diviene “ (…) un’attività, coscia e riconosciuta
come gioco, ma portata ad un tale grado di organizzazione tecnica, d’attrezzamento
sportivo e di ponderazione scientifica, che nel suo esercizio pubblico e collettivo
minaccia di andar perduta la vera sfera di gioco (…) il gioco tende a convertirsi a
serietà.”
12
L’ambiziosa ricostruzione teorica di Huizinga fa presumibilmente difetto nel
fondamento stesso su cui l’intera argomentazione dovrebbe reggersi.
La sua nozione di gioco è per alcuni aspetti impressionistica, riduttiva nella
misura in cui “la sua opera non è uno studio sui giochi ma una ricerca sulla fecondità
dello spirito ludico che presiede una determinata specie di giochi: i giochi di
competizione regolata.”
13
La parzialità dell’approccio è oggetto della critica mossagli da Roger Callois,
critica stringente e risolutiva nell’ imputare ad Huizinga l’aver ignorato la sussistenza
di giochi che non sono competizioni. Sotto un altro aspetto, rovesciando l’ottica
visuale di Huizinga, di grande rilevanza è il contributo di Callois nella percezione dei
giochi come elementi altamente caratteristici di una particolare cultura, e
specificamente di un determinato ordine sociale.
I giochi complessamente strutturati saranno manifestazione di società
strutturate complessamente
14
e pertanto come tali classificabili realizzata entro due
poli che rappresentano non categorie di gioco quanto piuttosto modi di giocare: la
“paideia” (il gioco spontaneo, libero) ed il “ludus” (il gioco vincolato da norme)
15
.
12
J. HUIZINGA, op. cit., pag. 284.
13
R. CALLOIS, I giochi e gli uomini, Bompiani, 1981, pag. 19.
14
Il progetto di Callois è quello invero imponente di costruire non una “sociologie des jeux” quanto
piuttosto una “sociologie a partir des jeux”
15
L’Autore sembra rifarsi alla ben nota distinzione propria degli idiomi anglosassoni tra il “play” ed il
“game” ove con il primo termine si identifica il gioco spontaneo (con indubbie affinità etimologiche
con il significato di “rappresentare”, “recitare” come d’altra parte il francese “juoer”), con l’altro il
gioco regolato.