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indipendenti dall’uomo (il movimento dei pianeti, la gravità terrestre, il
moto rettilineo e uniforme, etc.), che possano essere codificate e
studiate, e se non lo sono è solo questione di mezzi, non di impossibilità
del compito, approccio proprio dei “positivisti”. Se vi siano – invece –
delle variabili dipendenti dall’uomo, frutto del suo pensare ed agire nel
cosmo (i sentimenti, le passioni, le attività umane), uniche e vere
variabili irrazionali in cui si possa imbattere l’individuo, pensiero
proprio dei “relativisti”.
Il cervello umano è l’organo più importante del corpo, da esso
dipendono tutte le funzioni vitali ed intellettive dell’uomo. Per capire e
comprendere il comportamento umano è necessario partire dal
funzionamento dell’encefalo e delle sue funzioni. L’uomo prima di
ricevere il “soffio” della vita non è altro che un insieme di materia e non
può prescindere da ciò che è nel suo agire. Se le discipline umanistiche
tentano di capire come l’uomo si comporta, la scienza cerca di capire
cosa gli consente di fare la natura del quale egli è figlio; non c’è
conflitto di indagine, ma complementarietà. I risultati al quale giungono
tali discipline non sono in contrasto, ma contribuiscono ad una visione
globale dell’uomo. E’ un principio che facilmente bisogna traslare alla
scienza che forse più di altre fonde in sé le due anime diverse
dell’indagare l’essenza umana: l’economia. Essa si avvale di tutti i
contributi possibili delle discipline di qualsiasi campo: la matematica, la
psicologia, la scienza, la statistica, etc., è quindi probabilmente il punto
più alto dell’analisi dell’uomo. Scremando l’economia da quelle che
sono le possibili applicazioni a scopo di lucro – che ne rappresentano
sicuramente una componente fondamentale, ma non l’unica – il senso
dell’economia si può assumere come punto d’unione fra le diverse
indagini. Appare ovvio, dunque, che il progresso tecnologico e
scientifico si trascini l’evoluzione delle teorie economiche, anche se
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queste sono legate – comunque – ad un bagaglio molto forte di teorie ed
applicazioni “classiche” delle quali non si libera mai.
Lo scopo di questo lavoro è proprio quello di individuare come
l’economia, ed il consumer behavior, si siano evoluti in seguito ad
alcuni importanti progressi tecnologici e scientifici, con particolare
attenzione al “bagaglio” preservato nell’inseguire il futuro, poiché – in
economia – il cambiamento non è una rivoluzione, bensì un’evoluzione
(almeno per quanto riguarda le dottrine economiche moderne). L’aspetto
approfondito in questa opera è l’analisi delle nuove tecniche di
neuroimaging cerebrale applicate all’indagine in campo economico
(teoria dei giochi e delle utilità attese) ed in ambito del marketing,
soprattutto dal punto di vista del consumer behavior (valutazione degli
impatti neuronali di brand e messaggi pubblicitari).
Il lavoro nel primo capitolo analizza le origini della
neuroeconomia. Partendo dal filosofo che più di altri aveva intuito
l’importanza e la centralità del distinguere – nell’uomo – il cervello
come organo fisico e la mente come entità pensante, in relazione
all’anima: Cartesio. Fondatore della filosofia moderna, egli per primo
ha cercato di motivare su basi scientifiche il processo cognitivo umano.
Il suo grande intuito lo porta molto vicino a scoperte anatomiche
cerebrali, che solo in seguito saranno effettivamente considerate.
Cartesio – quindi – è stato solo il punto di partenza, in seguito altre
indagini sono partite alla conquista del cervello umano o della mente: la
neurofilosofia, con la missione di fondere al suo interno campi di
indagine molto distanti tra loro, ma intimamente connessi, la
neuroscienza e la filosofia: l’impulso elettrico neuronale e l’idea.
Operazione possibile grazie al progresso scientifico nell’indagine delle
funzioni cerebrali dettato dal neuroimaging. E’ proprio grazie ai
progressi in campo medico che il cervello non risulta più essere la
“scatola nera” inviolabile, come sembrava fino a pochi anni fa, ma si
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apre all’indagine tramite tecniche innovative quali la tomografia ad
emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica funzionale
(fMRI).
Il capitolo secondo applica i concetti e le scoperte neurologiche al
campo economico. Spiega la nascita di una nuova disciplina: la
neuroeconomia. Partendo da quelli che sono i concetti di base della
teoria economica classica (funzioni di utilità ed avversione al rischio),
assunti fondamentali dai quali partire per sviluppare qualsiasi
speculazione di innovazione, si passa all’analisi di come possa la
neuroscienza ispirare le dottrine economiche e come le possa
influenzare. Si analizzano come fisicamente le tecniche di imaging
possano far distinguere – nell’agire umano – processi automatici o
controllati e come questi coinvolgano in maniera molto evidente aree
cerebrali diverse. Si è sempre pensato che l’uomo agisse in maniera
razionale o comunque cercando di ottimizzare la propria utilità, la
neuroscienza contrasta tale punto di vista e avverte gli economisti della
non verità dell’assunto. L’uomo non è animale razionale, bensì agisce
sotto l’impulso di processi neuronali automatici e molto spesso
inconsci, quindi indipendenti dalla propria volontà. Più precisamente, il
comportamento economico umano non si basa su valutazioni razionali,
ma è frutto di un conflitto neuronale tra razionalità ed emotività,
automatismo e consapevolezza. Tutte funzioni implicanti aree cerebrali
che la neuroscienza – tramite il neuroimaging – è in grado di
visualizzare.
Una volta poste le basi concettuali dell’argomento affrontato, si
analizzano due esperimenti neuroeconomici, uno sull’impatto di un
contesto di certezza nel processo decisionale, l’altro sulle basi neuronali
del processo decisionale nel gioco dell’ultimatum, due studi molto
famosi nel campo neuroeconomico.
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Il capitolo terzo affronta l’approccio neuronale legato
maggiormente al consumer behavior nel marketing. Il punto di partenza
è rappresentato dalle teorie classiche di studio e previsione del
consumer behavior (focus group, interviste individuali, questionari,
esperimenti, etc.); si cerca di individuarne in sostanza quali sono i punti
deboli e le forzature, dati i molti anni passati dalla loro teorizzazione. Il
consumatore è cambiato molto negli ultimi anni, è mutato il contesto in
cui vive e si muove, ma anche le proprie inclinazioni personali e il
modo di concepire il consumo. Le teorie classiche di consumer behavior
appaiono un po’ in affanno nel loro tentativo di intercettare le intenzioni
d’acquisto dei consumatori. Per questo si prendono in considerazione
tecniche alternative, più moderne, che fanno uso degli apporti forniti
dalla psicologia da un lato e dalla neuroscienza dall’altro. La psicologia
aiuta nel riuscire ad estrinsecare le emozioni del consumatore non
verbalizzabili: capita spesso di provare qualcosa, ma di non riuscire ad
estrinsecarlo a parole; l’ambito psicologico si inserisce nell’ambito di
questo tentativo. Metodi innovativi basati sulla metafora, il cosiddetto
ZMET, consentono di andare oltre ciò che il consumatore crede di
pensare o vuol far credere, tenta di scoprire i sentimenti e le
associazioni nascoste durante un messaggio pubblicitario o la semplice
osservazione di un brand. Il neuromarketing compie un passo
successivo: accantonate le tecniche tradizionali di analisi del consumer
behavior ed acquisite come utili le informazioni fornite dal campo di
indagine psicologico, esso si sposta verso un’altra frontiera dell’analisi
del comportamento del consumatore: non conta più solo ciò che dice il
consumatore quando intervistato o sapere a cosa pensa un soggetto
sottoposto ad un determinato stimolo, importanza fondamentale è
affidata all’attivazione cerebrale dell’individuo e successivamente –
fase allo stesso modo importante – si cerca di valutare gli aspetti
emozionali dei soggetti: l’associazione fra emozione e ricordo è molto
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importante. Partendo dal presupposto che diverse aree funzionali del
cervello siano disposte a determinate funzioni, analizzando gli impatti
che hanno le immagini di un brand o di un messaggio pubblicitario sulla
corteccia cerebrale di un individuo si è in grado di rivelare la preferenza
individuale. Vengono riportati i principali sviluppi che potrebbe avere
tale tecnica soprattutto in relazione col brand e sono stati analizzati
anche i primi risultati di alcune ricerche condotte per conto di società
private come Daimler-Chrysler, Coca-Cola, Chevrolet. Sono –
ovviamente – studi di cui sono stati pubblicati i risultati, ma non le
metodologie precise di esecuzione, in quanto nella tecnica risiede il
segreto dell’efficienza del risultato.
Il capitolo quarto è stato dedicato alla valutazione dei metodi di
neuroeconomia e neuromarketing. Per assumere una posizione il più
possibile distaccata e critica sull’oggetto d’indagine del lavoro,
l’apporto fondamentale proviene da alcuni illustri personaggi del
panorama scientifico ed economico mondiale. Per quanto riguarda il
campo neurologico, l’intervista al Prof. Paolo Gerundini Gherardi
primario del Dipartimento di scienze radiologiche, e pioniere nell’uso
della PET in Italia, ed al medico fisico Dott.sa Felicia Zito, ha permesso
l’analisi e la valutazione dei punti di debolezza del metodo in
riferimento esplicito alle carenze o inosservanze mediche dei risultati
ottenibili. Per quanto riguarda la neuroeconomia il punto di vista di uno
dei più famosi studiosi in ambito neuroeconomico, il Professor Aldo
Rustichini del Department of Economics dell’University of Minnesota,
permette di assumere un punto di vista molto originale ed esclusivo
delle tecniche neuroeconomiche ed una valutazione realistica di quelle
che potrebbero essere le eventuali applicazioni future. Oltre ad
esplicitare le eventuali perplessità, si tenta comunque di giungere ad una
conclusione valutativa del metodo. Nell’ultima parte di questo ultimo
capitolo – infatti – vengono riportati gli spunti di riflessione, le critiche,
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i vantaggi dell’oggetto in discussione. Critica che si fonda sull’analisi di
tre problematiche principali: il problema medico-psicologico, quello
economico e quello etico, che appaiono sicuramente i tre campi
implicati in un approccio così innovativo in campo economico e di
consumer behavior.
In conclusione, il lavoro appare in grado di fornire un’idea generale
dei metodi neuroeconomici e di neuromarketing, in questo mondo
appena scoperto ed in evoluzione costante; al momento si possono,
infatti, solamente intuire le potenzialità e le eventuali applicazioni del
metodo. Ciò che appare certo è che non sarà una rivoluzione
copernicana nell’ambito dello studio del comportamento del
consumatore, fornirà piuttosto un grande apporto alle teorie tradizionali
meno “estreme”. Il metodo non appare in grado di riuscire in tutti i suoi
obiettivi ed intenti, ma ciò non costituisce motivazione valida
all’accantonamento totale dell’approccio, così come esposto nell’ultima
parte del capitolo finale.
Il presente lavoro si pone come il primo che affronta l’argomento
in Italia, essendo – comunque – tecniche sperimentate prevalentemente
negli Stati Uniti ed in Germania; nel panorama nazionale la
neuroeconomia ed il neuromarketing non sono state ancora affrontate. Il
tipo di materiale esaminato nella redazione del lavoro è prevalentemente
costituito da articoli di riviste specializzate, ma soprattutto lavori di
ricerca di università straniere.
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Capitolo 1
Le origini della Neuroeconomia
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1.1 Cartesio: conoscenza semplice, conoscenza
complessa, l’anima
Capire come si forma la conoscenza e come la mente umana elabori
le immagini percepite dall’esterno è un argomento che ha sempre
affascinato l’uomo e soprattutto coloro che nella natura umana hanno
cercato il senso del cosmo: i filosofi. Fra tanti personaggi illustri del
pensiero filosofico colui che – nella prima metà del Seicento – ha
intuito ciò a cui in seguito la scienza approderà è stato sicuramente
René Descartes, comunemente chiamato Cartesio. Egli è stato
l’iniziatore della filosofia moderna, di una nuova età del pensiero
filosofico, andando alla radice del problema esistenziale dell’uomo: la
verità della conoscenza. Il momento più alto e sublime del pensiero
cartesiano si esprime attraverso la concettualizzazione del “dualismo”
fra esistenza dell’uomo in quanto essere pensante (res cogitans),
sostanza inestesa e libera, contrapposta all’essenza esterna al pensiero
(res extensa), materia estesa, spaziale, inconsapevolmente determinata
dall’altra; una contrapposizione dalla quale nasce la ricerca del valore
della verità. L’orientamento ed il criterio che Cartesio cerca è
contemporaneamente teoretico e pratico, il suo obiettivo è saper
distinguere il vero dal falso, una filosofia pratica e non meramente
speculativa per concedere all’uomo di essere padrone e possessore della
natura. Nell’opera “Discorso sul metodo”, l’autore afferma che esiste –
dunque – un solo e semplice criterio di orientamento che serve all’uomo
in ogni campo teoretico e pratico: il metodo. Nel formulare le regole del
metodo, il filosofo si avvale prevalentemente delle scienze matematiche
di «quelle lunghe catene di ragionamenti, semplici e facili, di cui i
geometri si servono per giungere alle loro più difficili dimostrazioni, mi
dettero motivo a supporre che tutte le cose di cui l’uomo può avere
13
conoscenza si seguono nello stesso modo» (Cartesio, 1637). Le
matematiche sono perciò già pervenute in possesso del metodo, bisogna
però prenderne coscienza e applicare tali procedimenti anche alle altre
branche del sapere. Il problema del filosofo diviene la giustificazione di
quanto affermato. Cartesio deve formulare delle regole partendo dal
procedimento matematico, con una ricerca metafisica fondare il valore
assoluto e universale del metodo e mostrarne l’utilità nelle varie
discipline del sapere. Le regole sono quattro: la prima, non accogliere
mai nulla per vero se non del tutto evidente, evitare la preoccupazione e
la prevenzione. L’evidenza – dunque – come chiara intuizione degli
oggetti del pensiero, escludendo ogni elemento sul quale il dubbio sia
possibile. Altra regola consiste nel dividere ogni difficoltà da esaminare
nel maggior numero di parti possibili per poterla risolvere al meglio,
l’analisi. Terza, partendo dagli oggetti più semplici, risalire per gradi
alle conoscenze più complesse, la sintesi. Ultima regola è compiere
enumerazioni complete e revisioni generali in modo tale da non
omettere nulla; l’enumerazione a controllo dell’analisi, mentre la
revisione come verifica della sintesi.
Dall’osservazione sul modo di procedere del filosofo risulta
chiaro come un simile metodo induca inevitabilmente a dubitare di tutto
il sapere già consolidato. La teorizzazione del dubbio metodico parte
dalla presa di coscienza che le cognizioni dei sensi possono ingannare:
durante i sogni si hanno conoscenze sensibili molto simili a quelle che
si hanno durante la veglia, senza poter avere un criterio per distinguere
le une dalle altre. La conoscenza che risulta vera sia nel sonno sia
nell’esser svegli è quella matematica: due più tre è sempre uguale a
cinque, che si dorma o meno. «In Cartesio la verità originaria si
costituisce proprio nell’atto in cui ci si rende conto che non si può
affermare immediatamente che il contenuto della certezza (cioè della
convinzione soggettiva) sia la verità (ossia il contenuto di uno stato di
14
cose indipendente dal soggetto)» (Severino E.,1991). Secondo il
filosofo neanche le verità matematiche potrebbero essere vere in
assoluto, un Dio ingannatore – che induce all’errore – non consente la
distinzione fra l’essere e l’apparire, da questa ulteriore diffidenza nasce
una certezza: per essere ingannato da un Essere superiore vuol dire che
Io – in quanto essenza – esisto. L’unica cosa certa per Cartesio è
l’esistere, ormai storica è la sua affermazione “Cogito ergo sum”
(“penso, dunque sono”), mettere in dubbio tutto tranne l’esistenza stessa
dell’uomo in quanto entità pensante. Res cogitans e res extensa, concetti
duali che se uniti all’osservazione dei meccanismi duplici con i quali
l’uomo interagisce con l’ambiente: due occhi, due orecchie, due narici,
due mani, etc. inducono Cartesio a teorizzare l’esistenza all’interno del
cervello umano di due realtà diverse ed a capire che il vero problema
sorge quando il corpo deve fondere insieme sensazioni doppie e
trasmetterle all’animo, elemento imprescindibilmente congiunto al
fisico. Il filosofo ritiene di aver individuato una particolare zona del
cervello in cui risiederebbe l’anima dell’uomo, una piccola ghiandola
posta all’interno della massa cerebrale, la ghiandola pineale, quella che
oggi la scienza chiama epifisi. La scelta di tale organo non è casuale,
esso è unico – non è doppio come gli altri organi di senso – è dunque
tramite ideale fra la coscienza e le funzioni corporee: «Dato che la
nostra anima non è duplice, ma una e indivisibile, mi sembra che la
parte del corpo alla quale è unita più immediatamente debba essere
anch’essa una e non divisibile in due simili, e non riesco a trovare
niente del genere in tutto il cervello all’infuori di questa ghiandola»
(Cartesio,1640, Lettera a Mersenne, AT III, 127). Siccome dagli organi
percettori giungono due immagini distinte (tramite nervi e sangue),
nella ghiandola entrambe le proiezioni si devono unificare al fine di
giungere all’anima in modo unitario; secondo Cartesio tale zona
cerebrale viene irradiata in maniera che ogni punto delle due figure
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converga nella medesima zona di tale organo ed immediatamente agire
sull’animo facendogli vedere una figura unitaria.
Per quanto riguarda la reazione dell’animo a ciò che percepisce,
l’autore distingue nell’anima le azioni dalle affezioni: le azioni
dipendono dalla volontà, mentre le affezioni sono involontarie e
vengono costituite da percezioni, sentimenti o emozioni causate
nell’animo dagli spiriti vitali, ovvero le forze meccaniche che agiscono
sul corpo. Il ruolo e la forza dell’anima consiste nel vincere l’emotività,
arrestare l’agire del corpo che tende ad accompagnare le passioni.
Queste – poi – vengono ordinate dall’autore a seconda del tempo che
esse costringono l’uomo a guardare, prevalentemente l’avvenire
piuttosto che il presente o il passato, iniziando dal desiderio: «Infatti
non solo quando si desidera acquistare un bene che ancora non si
possiede, oppure evitare un male che si ritiene possa sopraggiungere,
ma anche quando non ci si augura che la conservazione di un bene, o
l’assenza di un male, che è tutto ciò a cui questa passione può
estendersi: è evidente che essa guarda sempre al futuro.» (Cartesio,
1649).
La debolezza dell’anima consiste nel lasciarsi dominare dalle
emozioni, le quali – essendo spesso in contrapposizione tra di loro –
sollecitano l’animo in sensi opposti, portandolo a combattere contro se
stesso ed inducendolo ad uno stato deplorevole; anche se l’autore – poi
– considera nessun animo talmente debole da non poter, se ben educato
e guidato, acquisire un controllo assoluto sulle proprie passioni.
Secondo Cartesio, la tristezza e la gioia sono i sentimenti fondamentali:
da una nasce l’odio nei confronti di ciò che l’anima reputa nocivo,
dall’altra sorge invece l’amore ed il desiderio di acquisire o conservare
ciò che è utile al corpo. A causa delle emozioni – tuttavia – l’uomo
versa in uno stato di servitù dalla quale deve liberarsi. Lo strumento per
non essere schiavo dell’emotività e delle pulsioni è la saggezza, la
16
ragione e quindi l’apprendimento, solo così si è in grado di distinguere
il bene dal male ed evitare gli eccessi.
Alle passioni – comunque – Cartesio assegna chiaramente un
valore primario nel determinare le condizioni di una felice esistenza,
egli ritiene infatti che una corretta utilizzazione dei sentimenti sia
possibile e da dover conseguire, ponendola accanto alle quattro verità
che devono riguardare ogni comportamento umano, e cioè: servirsi
sempre nel modo migliore della propria ragione, aver come proposito
fare ciò che essa dirà, ritenere fuori dal proprio potere – e dunque da
non desiderare – tutti i beni che non si possiedono, considerarsi sempre
una fra le tanti parti della terra, della società, della famiglia, etc.
anteponendo sempre i vantaggi della collettività ai propri interessi
personali.
Al di là della pretesa di rendere scientifico un concetto come
quello dell’anima, l’apporto del filosofo è considerevole soprattutto alla
luce delle successive scoperte in campo neurologico, ciò dimostra
quanto Cartesio non sia andato molto lontano dalla verità. Geniale è
l’intuizione della distinzione tra “vedere” un oggetto, operazione
possibile grazie ad una collaborazione fisico-chimica di organi
sensoriali, distintamente dal “capire”, frutto dell’insieme delle
percezioni e delle sensazioni da cui nascono i concetti. L’operazione di
comprensione, successiva alla visione, non è più compito fisico del
corpo umano, ma esso appartiene all’anima.
Passaggio successivo – ovviamente – è poi considerare quali
sensazioni genera la visione e comprensione dell’oggetto o comunque
della realtà in generale. In una evoluzione puramente di tipo lessicale, e
non certo concettuale, si potrebbe dividere la conoscenza cartesiana in
due tipi: la conoscenza semplice e quella complessa. Una caratterizzata
dall’attività motoria automatica ad un evento percettivo; l’altra come
risultato tra lo stimolo e la risposta di ciò che il filosofo chiama anima
17
ed oggi viene chiamata dagli scienziati cognizione o volontà
1
.
E’ presumibile che qualsiasi analisi sull’essenza dell’uomo e sui
suoi meccanismi di comprensione e comportamento non possa
prescindere dall’analisi della dottrina cartesiana, che prima ancora
dell’avvento delle psicologia freudiana, ha posto le fondamenta per una
fertile indagine sui meccanismi di apprendimento umani. Il grande
tentativo compiuto dall’autore è stato quello di delineare un nuovo
paradigma esplicativo delle passioni.
Uno scopo raggiunto dal filosofo è sicuramente quello di aver
distolto l’attenzione sulla visione del mondo affettivo di tipo magica e
chiromantica, elemento preponderante nel XVI secolo, a favore – invece
– di una visuale razionale, nella quale ogni moto dell’animo ha una
propria precisa ragione d’essere, imprescindibilmente legata al mondo
fisico e spiegabile in termini puramente scientifici. E’ naturale che la
dottrina cartesiana sia stata poi filosoficamente superata negli anni
(Spinoza, Kant, Hegel, Freud, Husserl, etc.), ma la grandezza di
Cartesio non è tanto quella di aver delineato dei concetti, bensì di aver
posto – appunto – delle basi metodiche dalle quali sviluppare nozioni
sempre nuove ed evolute.
L’indagine scientifica si è ovviamente sviluppata molto negli ultimi
anni, ciononostante l’uomo è una macchina talmente complessa che
solamente un concorso di discipline può contribuire ad avere una
visione unitaria del suo comportamento: filosofia, psicologia e
neurologia sono tutti scientifici piani di una stessa figura dalla quale
l’economia attinge per poter meglio comprendere
ciò che l’uomo desidera, per teorizzare l’impulso d’azione che
scaturisce dal desiderare un bene.
1
Per approfondimenti Cartesio, 1649.
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La risposta di Cartesio è sicuramente rudimentale, tanto che i suoi
contemporanei giudicarono la sua teoria alquanto ridicola, tuttavia i
recenti progressi della neurologia la rendono meno superficiale: la
ghiandola pineale esiste davvero, la scienza afferma che essa serve a
regolare i cicli del sonno e della veglia, proprio i due stati che
consentono – secondo il filosofo – di discernere tra realtà e fantasia o
più semplicemente il momento in cui l’anima si eleva dal corpo e riesce
a provare sensazioni fisiche pur essendo lontano dalla materia.