7
Nel capitolo 1 si descrivono i rischi dell’attività bancaria e le motivazioni che
portano ad una gestione unitaria dei rischi, per poi approfondire le
caratteristiche del rischio di credito e i suoi recenti cambiamenti regolamentari
per la determinazione dei requisiti minimi di capitale.
Le nuove regole prevedono meccanismi per incentivare l’uso di metodi
avanzati (rating interni) per la misurazione ed il controllo del rischio di credito.
Le Autorità di Vigilanza ritengono che il metodo basato sui rating interni
presenti motivi d’interesse: sotto il profilo qualitativo i rating interni possono
costituire il risultato sintetico dell’analisi di un’ampia gamma di informazioni
direttamente disponibili presso le banche in ragione dell’ampiezza e della
continuità dei loro rapporti con la clientela
3
. Per cui possono essere preferibili
le valutazioni dei rating interni rispetto a quelle espresse dalle agenzie di rating
specializzate, particolarmente in termini di sensibilità e prontezza di eventuali
revisioni peggiorative di giudizi precedenti
4
; inoltre, i sistemi interni per la
valutazione dell’affidabilità creditizia sono utilizzabili per attribuire un rating
anche a soggetti non esaminati dalle agenzie di rating, quali le imprese di
piccole e medie dimensioni e la clientela individuale.
Nel capitolo 2 si analizzano in modo sintetico le caratteristiche del rating
mettendo anche in evidenza i diversi approcci concretamente utilizzati per la
realizzazione di un sistema di rating: i giudizi sulla clientela possono derivare
interamente da modelli statistici, oppure, essere integrati con le valutazioni
espresse dagli analisti di settore e dagli addetti fidi; in questo capitolo, inoltre,
si descrivono le principali metodologie, proposte in letteratura, per la
misurazione del rischio di credito delle singole posizioni e del portafoglio
attività di una banca.
Al momento, l’utilizzo di modelli interni ai fini della stima del rischio di
credito presenta alcuni problemi in termini di reperibilità e affidabilità dei dati
di input (specialmente per la stima delle correlazioni fra prestiti di un
portafoglio bancario), di eterogeneità dei modelli utilizzati, di disponibilità di
3
Cfr. Banca d’Italia (2000).
4
Cfr. Banca d’Italia (2000).
8
soddisfacenti modalità di validazione e controllo delle performance;
attualmente un grande impegno deve essere rivolto al perfezionamento delle
metodologie e delle basi dati utilizzate nei sistemi di rating interni, per arrivare
in futuro, all’utilizzo di modelli di portafoglio.
I modelli che stimano la probabilità d’insolvenza proposti in letteratura
considerano dati storici, principalmente indici di bilancio e, in alcuni casi,
indici calcolati sul flusso di ritorno della Centrale dei Rischi. E’ evidente,
quindi, che la loro efficacia sia condizionata all’attendibilità dei dati contabili e
dalla possibilità che i valori storici siano realmente indicativi delle prospettive
future dell’impresa. La disponibilità di valori di mercato sarebbe
particolarmente importante al fine di valutare la rischiosità di una impresa: se i
mercati finanziari sono efficienti, i prezzi che essi esprimono risentono
correttamente di tutte le informazioni disponibili agli operatori, quindi,
incorporano le attese sulla dinamica futura dell’impresa. Tuttavia, per la
maggior parte dei crediti delle banche italiane, la mancanza dei valori delle
azioni o dei titoli obbligazionari emessi dalle imprese rende impossibile una
stima diretta del rischio di credito sulla base dei valori di mercato, ciò rende
però estremamente interessante l’integrazione dei dati di bilancio con
informazioni di tipo macroeconomico, al fine di prendere in considerazione le
attese sulla dinamica futura dell’impresa nella valutazione creditizia
dell’affidato.
Nel capitolo 3, dopo aver esaminato quali sono i fattori che causano la
correlazione fra le perdite inattese dei prestiti di un portafoglio bancario,
vengono considerati gli studi empirici che hanno esaminato l’effetto
dell’andamento generale dell’economia di un Paese sul tasso di insolvenza dei
prestiti. In particolare vengono esposti alcuni lavori che evidenziano l’effetto di
variabili macroeconomiche sulla dinamica del tassi di insolvenza e i modelli
per la misurazione del rischio di credito che utilizzano variabili
macroeconomiche al fine di stimare il rischio di credito della singola posizione
e di un portafoglio di attività creditizie.
9
Attualmente vista l’opportunità di integrare ai dati di bilancio anche
informazioni di tipo previsionale, si sta considerando la possibilità di
individuare l’effetto di variabili macroeconomiche sul tasso di ingresso in
sofferenza, per implementare queste informazioni all’interno dei sistemi di
rating interni; la ciclicità dell’economia, infatti, potrebbe mettere in dubbio la
validità di un modello basato su dati storici.
Ai risultati derivanti dalla stima delle correlazioni fra variabili
macroeconomiche e i tassi di default, è possibile attribuire validità statistica
solo se le serie storiche dei tassi di default dei prestiti sono sufficientemente
lunghe e i gruppi di prestiti sufficientemente numerosi; ciò purtroppo non si
riscontra frequentemente all’interno delle banche. Tuttavia, grazie alle
informazioni pubblicate dalla Banca d’Italia sui tassi di insolvenza dei prestiti
dell’intero sistema finanziario, è possibile utilizzare serie storiche adeguate per
la stima di queste correlazioni.
L’analisi empirica effettuata in questa tesi, esposta nel capitolo 4, cerca di
individuare quali siano le variabili macroeconomiche in grado di spiegare i
differenti tassi d’insolvenza delle imprese italiane nelle differenti fasi del ciclo
economico: in pratica si sono stimati i coefficienti di elasticità (β) fra variabili
macroeconomiche e gruppi omogenei di prestito. Per effettuare questa analisi
empirica si sono utilizzati le seguenti quattro serie storiche (di fonte Banca
d’Italia) relative all’intero sistema creditizio:
ξ tassi di decadimento annuali dal 1985 al 2000 delle imprese non finanziarie
suddivise in 15 branche di attività economica (più il totale branche) e 5 aree
geografiche (più il totale dell’Italia); quindi, si è effettuata l’analisi
empirica utilizzando il massimo grado di disaggregazione dei prestiti,
ottenendo 96 gruppi di prestito (cluster).
ξ Tassi di decadimento trimestrali dal 1990 al 2002 delle imprese non
finanziarie suddivise in 15 branche di attività economica (più il totale
branche) e 5 aree geografiche (più il totale dell’Italia); si è effettuata
l’analisi empirica utilizzando il massimo grado di disaggregazione dei
prestiti, ottenendo 96 gruppi di prestito (cluster).
10
ξ Tassi di decadimento annuali (calcolati sui tassi trimestrali del punto
precedente) dal 1990 al 2002 delle imprese non finanziarie suddivise in 15
branche di attività economica (più il totale branche) e 5 aree geografiche
(più il totale dell’Italia); anche in questo caso si è effettuata l’analisi
empirica utilizzando il massimo grado di disaggregazione dei prestiti,
ottenendo 96 gruppi di prestito (cluster).
ξ Tassi di decadimento trimestrali dal 1990 al 2002 delle imprese non
finanziarie e famiglie produttrici (insieme)
5
suddivise in 15 branche di
attività economica (più il totale branche), in 5 aree geografiche (più il totale
dell’Italia) e in 3 classi di grandezza del fido; si è effettuata l’analisi
empirica utilizzando il massimo grado di disaggregazione dei prestiti,
ottenendo 288 gruppi di prestito (cluster).
Per i tassi di decadimento annuali si era pensato di effettuare un’analisi
aggregando le due fonti di dati per ottenere un periodo di riferimento più
ampio: cioè aggregare ai dati dal 1985 al 2000 i tassi di decadimento dell’anno
2001 e 2002; purtroppo a causa di incongruenze fra le due serie storiche si è
deciso di effettuare due analisi separate al fine di evitare distorsioni nella stima
delle correlazioni fra tassi di default e fattori sistematici.
Le serie storiche relative alle variabili macroeconomiche sono state raccolte da
3 fonti differenti: dal sito internet dell’Istat sono state prese, in particolare,
variabili relative all’economia reale, da DataStream variabili relative ai mercati
finanziari e dal sito internet di Confindustria sia variabili relative all’economia
reale, sia ai mercati finanziari; successivamente sono state eliminate le serie
storiche che coprivano periodi limitati di tempo e sono state eliminate anche
alcune serie storiche ridondanti, cioè che presentavano una elevata correlazione
rispetto ad altre serie storiche. Alla fine di tutti questi processi di selezione
sono state utilizzate nell’analisi empirica 327 serie storiche di variabili
macroeconomiche.
5
Non sono disponibili i dati separati per imprese non finanziarie e famiglie produttrici quando
si considera anche la classe di grandezza del fido.
11
Per ragioni di sintesi nel capitolo 4 sono stati esposti alcuni risultati relativi
all’analisi effettuata sui tassi di decadimento trimestrali. I risultati dell’analisi
empirica potrebbero essere utilizzati per condizionare, data la dinamica attesa
del ciclo economico, la funzione che trasforma lo score ottenuto da un modello
di misurazione del rischio di credito in probabilità di default, integrando
all’interno dei sistemi di rating interni informazioni che considerano le attese
sulla dinamica futura dell’impresa. Tuttavia in questa sede ci si è occupati di
una sola parte del problema, cioè attraverso un’analisi univariata si è cercato di
individuare quali variabili macroeconomiche siano maggiormente correlate ai
tassi di decadimento delle imprese italiane, quindi, in questa tesi, non si è
considerato se esiste una concreta opportunità di poter migliorare la stima del
rischio di credito di un modello di rating interno basato su dati storici, grazie
all’utilizzo di dati macroeconomici.
12
CAPITOLO 1:
I RISCHI E LA REGOLAMENTAZIONE
13
1 I RISCHI DELL’ATTIVITA’ BANCARIA
Il rischio esiste sempre nel momento in cui esiste incertezza su quale stato di
natura si manifesterà in un dato momento futuro; il concetto di rischio è
normalmente riconducibile ad eventuali scostamenti dei risultati ottenuti
rispetto ai valori attesi causato dall’impatto di fattori aleatori sulle variabili in
oggetto
1
. La complessità dei rapporti e delle interrelazioni che si stabiliscono
tra gli agenti economici, nonché la casualità con cui si manifestano gli eventi
esogeni, rendono impossibile la previsione dell’evolversi della realtà
economica.
L’attività bancaria sta andando sempre più decisamente verso un diverso
modello di intermediazione: il modello tradizionale basato sull’intermediazione
delle risorse finanziarie, viene gradualmente assorbito in un modello più
ampio, basato sull’intermediazione dei rischi finanziari
2
. Le operazioni di
intermediazione del rischio sono svolte sia attraverso la gestione del
portafoglio di attività e passività finanziarie comprese nello stato patrimoniale
e delle posizioni su derivati, sia con l’erogazione dei servizi di gestione del
risparmio, che prevedono la gestione di posizioni di rischio per conto terzi.
Alla fine degli anni ‘90
3
vi è stata una significativa accelerazione nel dibattito
sulla gestione dei rischi bancari e sugli strumenti di governo e controllo,
stimolati dalle proposte avanzate dal Comitato di Basilea.
1
Si può ragionare in termini di variabilità dell’utile netto atteso (o dei cash flow attesi per
azione) oppure in termini di variabili stock, cioè di variabilità del valore di mercato del
patrimonio.
2
Il nuovo modello prevede l’offerta di un servizio di integrazione non solo quantitativa ma
anche qualitativa delle posizione finanziaria degli operatori economici. In altri termini la banca
non si limita a trasferire risorse finanziarie dalle unità in surplus alle unità in deficit
(integrazione quantitativa). L’attività precedente è affiancata da una serie di servizi erogati sia
congiuntamente, sia disgiuntamente dai servizi di intermediazione creditizia, che consentono
agli operatori economici di trasformare, nella direzione e nella misura desiderata, le proprie
posizioni di rischio (integrazione qualitativa). Si veda D.Drago (2001).
3
Con l’introduzione della nuova normativa sui requisiti patrimoniali per il rischio di mercato
nel 1996, e la proposta sui requisiti patrimoniali per gli altri rischi nel 1999.
14
L’obiettivo della nuova regolamentazione è che gli intermediari finanziari
possano pervenire ad una efficiente allocazione del capitale alle diverse linee
di business e quindi ad un governo attivo e dinamico dei rischi bancari. E’ in
questo contesto che il ruolo del governo dei rischi bancari assume una
importanza sempre maggiore: da un lato è funzionale allo sviluppo degli
intermediari, dall’altro è strumento indispensabile per affrontare un contesto
finanziario più volatile e competitivo.
In questo paragrafo si analizzeranno le principali tipologie di rischio,
sottolineando i legami che si stabiliscono tra le diverse macrocategorie (in
particolare rischio di mercato e rischio di credito) e le potenziali ripercussioni
che si possono avere sull’intero sistema della gestione del rischio.
La nuova operatività degli intermediari bancari
4
ha avuto riflessi sulle diverse
tipologie di rischio; le due macrocategorie di rischio, delle quali la letteratura è
solita discernere, identificano in primo luogo la componente creditizia e quella
di mercato, anche se attualmente il dibattito si è esteso al rischio operativo e
alla categoria denominata “altri rischi”
5
. Una rassegna delle categorie di
rischio deve tuttavia evitare di ricadere nelle distinzioni tradizionali, che
suggeriscono la presenza di insiemi disgiunti.
4
La nuova operatività degli intermediari è stata indotta ad esempio dall’affermazione delle
forme di gestione del risparmio, dall’innovazione finanziaria (come ad esempio quella
riguardante gli strumenti derivati), dalla liberalizzazione su scala mondiale dei movimenti di
capitale e, inoltre, lo sviluppo della tecnologia nei computer e nelle telecomunicazioni ha
indotto mutamenti radicali nel sistema finanziario globale.
5
Si veda la classificazione di seguito riportata, par. 1.1, 1.2, 1.3.
15
1.1 IL RISCHIO DI CREDITO
La prima categoria di rischio in cui una banca incorre è rappresentata dal
rischio di credito, ossia dalla possibilità di fluttuazione del valore di mercato
del portafoglio creditizio connesso all’insolvenza delle controparti delle
operazioni di impiego o posizioni fuori bilancio. Rientrano in tale categoria di
rischio sia il tradizionale rischio di insolvenza connesso alle operazioni di
prestito nei confronti di controparti residenti, sia il rischio connesso a
deterioramenti del merito creditizio degli emittenti dei valori mobiliari detenuti
in portafoglio, sia il rischio connesso all’insolvenza di controparti non residenti
(rischio Paese), sia ancora il rischio di regolamento e di pre-regolamento
connesso alle posizioni in strumenti derivati.
Questa tipologia di rischi è collegata alla struttura e alla qualità dell’attivo in
bilancio e fuori bilancio. L’affidabilità delle controparti può essere valutata
anche sulla base di informazioni commerciali e di rating elaborati da operatori
specializzati, ma in ogni caso richiede una attività di analisi che rimane
funzione tipica degli intermediari finanziari. Peraltro nella valutazione del
merito creditizio si ritiene che gli intermediari dispongano di rilevanti
asimmetrie informative rispetto ai mercati; alcuni sostengono che gli
intermediari finanziari non possano prudentemente affidarsi a valutazioni
espresse da agenzie “indipendenti” che non rischiano il proprio capitale; per
queste agenzie può avere più importanza produrre essenzialmente le stesse
valutazioni dei concorrenti, che essere accurate nelle previsioni
6
.
6
Un errore compiuto quando i concorrenti sono nel giusto può creare un danno superiore ai
benefici derivanti da una previsione accurata quando la concorrenza è in errore.
16
1.2 IL RISCHIO DI MERCATO
Il rischio finanziario (o rischio di mercato) è invece, nella definizione proposta
dalla Banca dei Regolamenti Internazionali (BIS), costituito dalla riduzione del
valore delle poste di bilancio determinato da variazioni inattese dei tassi di
cambio e di interesse o del valore delle azioni
7
. A differenza del rischio
creditizio, il rischio finanziario è collegato solo con la variabilità del prezzo di
attività e passività, che esiste a prescindere dalla condizione finanziaria del
singolo debitore e dalla natura di un particolare accordo contrattuale.
a) Il rischio di tasso di cambio si manifesta con riferimento sia ai flussi di
operazioni svolte dall’intermediario sia all’entità complessiva delle poste di
bilancio denominate in valuta estera. Nel primo caso, qualora le uscite
finanziarie in una data valuta straniera non siano perfettamente coperte da
entrate nella stessa valuta, si crea una posizione sensibile a movimenti nel tasso
di cambio della valuta considerata (transaction risk). Nel secondo, movimenti
nel tasso di cambio possono mutare la valutazione complessiva di posizioni
attive e passive in valuta (translation risk).
b) Il rischio di tasso di interesse si manifesta ogni qualvolta la struttura per
scadenze e per date di revisione dei tassi non è perfettamente bilanciata: in
queste condizioni, una variazione dei tassi di interesse produce impatti diversi
sul valore delle poste attive e passive, causando un’alterazione del valore del
patrimonio netto o del margine di interesse dell’intermediario. Tale tipologia di
rischio è legata alla differenza fra l’entità delle poste attive e passive che sono
sensibili alle variazioni del tasso di interesse (in relazione ad un determinato
7
Occorre infine osservare come i rischi di mercato possano essere analizzati nelle due
componenti del “rischio di prezzo” e del “rischio di liquidità del mercato”. Il primo è
determinato dalle variazioni inattese dei prezzi teorici (definiti come media tra quotazioni
denaro e lettera), mentre il secondo è determinato dalle variazioni inattese del differenziale
denaro-lettera (bid-ask spread). A parità di prezzi teorici, condizioni di minore liquidità dei
mercati, misurate dall'ampliamento dei bid-ask spread, si traducono in un più basso valore
corrente dell’impresa, dal momento che le attività sono valutate al prezzo bid e le passività al
prezzo ask, e viceversa.
17
periodo di tempo). Nel caso in cui le poste attive sensibili ai tassi di interesse
siano superiori a quelle passive (gap positivo) e non vengano immediatamente
a scadere, l’intermediario trae vantaggio da riduzioni dei tassi di interesse e
svantaggio da aumenti; effetti analoghi , ma di segno opposto, qualora il gap
risulti negativo.
c) Il rischio azionario è originato dalla detenzione di titoli azionari in
portafoglio e dalle posizioni in contratti derivati aventi per attività sottostanti
azioni o indici azionari. Tale rischio è in genere rappresentabile da una
componente di rischio sistematico ed una di rischio specifico. La componente
di rischio sistematico è riferita al mutamento delle condizioni generali di
mercato ed ha un impatto su tutte le azioni simultaneamente, mentre quella di
rischio specifico dipende dalle caratteristiche di ogni singola impresa e può
essere ridotta mediante la diversificazione del portafoglio.
d) Un’ultima tipologia tradizionalmente inclusa in quella più ampia dei rischi
di mercato, è costituita dal rischio di liquidità. Tale rischio è determinato dalla
eventualità che l’intermediario non sia in grado, alle scadenze convenute, di far
fronte ai propri impegni con fondi procurati a condizioni efficienti sul piano dei
costi. Si distingue, in linea di principio, dal rischio di insolvenza, in quanto si
sostanzia in una situazione temporanea di inadempienza contrattuale, sanabile a
breve termine; i confini sono in realtà labili. Questa tipologia di rischio è in
primo luogo connessa con la composizione per scadenza delle poste attive e
passive, nonché con la qualità dei sistemi di gestione dei flussi di cassa. In
particolare, la necessità di disporre di ampie riserve di liquidità si pone in
misura più sensibile per gli intermediari maggiormente coinvolti in attività
connesse a strumenti derivati: a seguito di cambiamenti nelle condizioni di
mercato, fabbisogni di mezzi liquidi possono insorgere in maniera improvvisa
e in misura consistente al fine, ad esempio, di adeguare i margini su posizioni
aperte su futures o assicurare la copertura di posizioni in strategie di hedging.
18
1.3 IL RISCHIO OPERATIVO E “ALTRI RISCHI”
La categoria dei rischi operativi ha conosciuto recenti sviluppi analitici.
Secondo una prima caratterizzazione, venivano raccolti in tale categoria tutti i
rischi che non potevano essere identificati come rischi di credito o di mercato.
Questo è stato peraltro anche l’approccio formulato dal Comitato di Basilea
nella prima proposta di revisione dell’ Accordo sul Capitale (1988), presentata
nel giugno del 1999, infatti, in quel documento questa tipologia veniva definita
come “altri rischi”. L’ampio dibattito che è seguito a quella proposta ha
permesso di inserire nel Nuovo Accordo sui requisiti di capitale, la distinzione
tra rischi operativi e altri rischi
8
:
ξ Per i rischi operativi è stata ripresa la definizione riferita ai soli rischi di
evento (errori, frodi, eventi disastrosi esterni, inefficienza dei sistemi
informatici); tra di essi il Comitato ha incluso anche i rischi “legali”, cioè i
rischi di incorrere in perdite a causa del mancato rispetto di leggi, regolamenti,
normative internazionali o standard etici.
ξ Tra gli “altri rischi” vengono inclusi ed esplicitamente citati nel Nuovo
Accordo sul Capitale (anche se non considerati per ora ai fini dei requisiti
patrimoniali), i rischi di business, di reputazione e strategici. Il rischio di
business consiste negli effetti avversi inattesi, generati da eventi esterni di
carattere macroeconomico, di mercato, di contesto concorrenziale, di
regolamentazione fiscale. Il rischio strategico è legato a errate decisioni di
conduzione aziendale o da lentezze nel processo decisionale di adeguamento al
mercato, tanto più rilevanti quanto più impegnativi e irreversibili sono i
processi di investimento. Il rischio di reputazione è connesso alla ripercussione
di eventi sfavorevoli che incidono negativamente sull’immagine dell’azienda e
sulla fiducia riscossa dall’intermediario presso la clientela, condizionandone i
risultati economici.
8
Cfr. Comitato di Basilea (Giugno 2004).
19
1.4 INTERDIPENDENZE TRA LE DIVERSE TIPOLOGIE DI RISCHIO
Come si è detto, la distinzione fra rischi di credito e rischi finanziari non deve
indurre a ritenere che le diverse tipologie siano tra loro indipendenti. Al
contrario, esistono pregnanti interrelazioni e commistioni, delle quali si
possono fornire significativi esempi, al di là di quelle già poste in evidenza.
Sotto un primo profilo, avverse condizioni dei mercati possono incidere
negativamente sulla qualità dell’attivo e quindi sulla solvibilità
dell’intermediario, determinando di conseguenza un aumento del rischio a
questo associato.
Se è vero che il rischio finanziario può influenzare il rischio creditizio, non è
sempre vero il contrario cioè che il rischio creditizio influenza quello
finanziario. Variazione nei tassi di interesse dei BOT possono modificare la
probabilità di insolvenza di un operatore, mentre cambiamenti nella solvibilità
dell’intermediario non determinano variazioni in quei tassi di interesse
9
.
Pertanto i rischi di interesse possono essere esaminati, senza perdite di
generalità, indipendentemente dai rischi creditizi mentre questi ultimi non
possono essere esaminati disgiuntamente dai primi.
Inoltre, il modificarsi delle condizioni di mercato può determinare il sorgere di
una attività finanziaria e quindi il rischio di una sua inesigibilità: le
commistioni fra rischi di credito e rischi finanziari sono particolarmente
significative nei prodotti derivati
10
. Anche quando sono utilizzati in funzione di
copertura rispetto a posizioni su attività o passività finanziarie sottostanti ed
operano in effetti una diminuzione (o annullamento) del rischio finanziario, si
9
Anche se per esempio variazioni della solvibilità di un operatore naturalmente provocano
variazioni del prezzo delle azioni quotate.
10
Si consideri, ad esempio, un contratto forward: il suo valore corrente all’atto della stipula è
nullo in quanto il prezzo a termine viene fissato proprio in modo da evitare pagamenti
compensativi immediati. Al momento non esiste quindi né una passività né un’attività.
Tuttavia, se le condizioni di mercato evolvono favorevolmente il valore di mercato diventa
positivo e si determina un’attività finanziaria: fin dalla stipula esiste latente un rischio di
credito.
20
determina la nascita, seppure di entità limitata
11
, del rischio di credito (o
controparte)
12
. Gli strumenti derivati offrono, in linea di principio, la possibilità
di separare i rischi finanziari da quelli di credito e di trasferirli ad altri
intermediari che possono avere rischi finanziari contrapposti. In questo modo,
si producono due ordini di benefici: a livello microeconomico, gli intermediari
possono adeguare la propria esposizione a variazioni delle grandezze
finanziarie fino al grado desiderato; a livello di sistema, le transazioni non
creano nuovi rischi finanziari, ma li riallocano fra gli operatori in maniera più
efficace
13
.
Tuttavia, come abbiamo visto negli esempi precedenti, deve essere ben
presente che le transazioni, pur non creando nuovi rischi finanziari, possono
generano nuovi rischi di credito, considerato che le due controparti di un
prodotto derivato si trovano contrattualmente legate e le condizioni finanziarie
dell’una si riversano su quelle dell’altra.
Peraltro, la valutazione del rischio controparte risulta difficile per l’assenza di
informazioni sull’esposizione complessiva di quest’ultima verso altri soggetti.
Dal punto di vista macroeconomico, la crescita dei volumi di transazioni in
prodotti derivati ha generato preoccupazioni, soprattutto se rapportata alla
crescita delle dotazioni di capitale degli intermediari in particolare
considerando la tendenza alla concentrazione dei rischi presso un numero
relativamente ristretto operatori; per queste motivazioni il Comitato di Basilea
ha modificato la normativa internazionale, per assicurare una dotazione
11
Grazie anche alla diffusione dei mercati regolamentati per la trattazione degli strumenti
derivati.
12
Ad esempio, uno swap utilizzato per coprire il rischio di cambio connesso ad una data
posizione in valuta trasferisce tale rischio ad altri soggetti (in cambio di un premio
corrispondente); in questo caso, l’intermediario si copre dal rischio di cambio, ma si espone al
rischio che alla scadenza del contratto la controparte non sia in grado di far fronte ai propri
impegni.
13
Anche se esistono alcuni tipi di contratti derivati, per esempio, su indici o quotazioni per i
quali i rischi non possono compensarsi nella somma delle operazioni di segno contrario,
risolvendosi in una variazione patrimoniale a livello complessivo di operatori e di mercato.
Anche se il volume trattato in borsa di questi strumenti derivati è notevolmente inferiore a
quelli che comportano una compensazione a livello aggregato dei rischi. Si veda R. Masera
(2001).