Introduzione
IX
La mancanza di un articolo di tale portata è risultata particolarmente grave alla
luce del parere 1/94, che, in ultima analisi, stabilisce che la competenza a stipulare gli
accordi GATS e TRIPs è ripartita tra Comunità e Stati membri, mentre è
esclusivavamente comunitaria per l’accordo GATT: numerosi sono stati i problemi
aperti da una siffatta statuizione, il più importante tra i quali è quello
relativo all’esigenza dell’unità di rappresentanza all’esterno e dell’unità di azione della
Comunità; necessità riconosciuta dalla stessa Corte, come a voler compensare, in un
certo senso, le conclusioni a cui è giunta.
L’obbligo di cooperazione che ne deriva conferma le preoccupazioni della Corte:
un obbligo, che pur nella sua genericità, stabilisce uno stretto coordinamento tra Stati
membri e istituzioni comunitarie. Le difficoltà nel gestire e delimitare le relazioni tra le
due parti – Stati membri e istituzioni comunitarie – nell’ambito delle competenze
ripartite, si sono rese evidenti anche dalla gestazione lunga e laboriosa di un codice di
condotta, mai giunto a maturazione.
Il problema di una competenza congiunta tra Comunità e Stati membri rileva sia
durante i negoziati in seno all’OMC, creando le premesse per un indebolimento del
potere negoziale della Comunità, sia nel meccanismo di “ritorsione incrociata” previsto
dall’art. 22 dell’“Intesa relativa alla soluzione delle controversie”: in assenza di
accordo, la Comunità e/o gli Stati membri non potrebbero esercitare il diritto di
ritorsione nei settori a competenza mista.
Altre questioni affiorano dall’esistenza della competenza ripartita:
- nei settori a competenza mista sussisterebbe un vero e proprio potere di veto
spettante alla Comunità e agli Stati membri, che potrebbe portare a una paralisi del
processo decisionale;
- non vi sono clausole sulla competenza, sicché la ripartizione delle competenze
avrebbe solo valenza interna con la conseguenza che, di un eventuale inadempimento
dell’Accordo OMC, gli Stati Membri e la Comunità potrebbero essere ritenuti
egualmente responsabili nei confronti degli Stati terzi;
- la divisione delle competenze prospettata dalla Corte può produrre incertezze
negli Stati terzi, che potrebbero percepire rischioso il negoziare con la Comunità;
- la stessa divisione delle competenze potrebbe minare l’unità della Comunità, di
cui si potrebbero avvantaggiare i Paesi terzi come qualche contenzioso ha mostrato;
Introduzione
X
- infine, non si comprende quale sia l’estensione del potere interpretativo della
Corte di Giustizia sull’Accordo OMC: la sua competenza pregiudiziale potrebbe essere
considerata indispensabile per garantire l’uniformità di interpretazione e attuazione
dell’accordo all’interno della Comunità, impedendo che alla stessa vengano imputate da
Stati terzi responsabilità in caso di violazioni commesse dai suoi Membri.
Il parere 1/94 è stato sicuramente un’occasione persa per la Comunità per poter
estendere in modo naturale le proprie competenze, come già la Corte aveva operato
nell’innovativa sentenza Aets in cui riconosceva alla Comunità poteri impliciti,
stabilendo il principio del parallelismo tra competenza interna e competenza esterna.
La Corte aveva inoltre esteso, nel parere 1/78, la nozione di politica commerciale
comune, stabilendo che «l’enumerazione, nell’art. 113, degli scopi della politica
commerciale … [fosse] concepita come non limitativa la quale non [doveva], in quanto
tale, escludere il ricorso, nell’ambito comunitario, a qualsiasi altro procedimento
destinato a disciplinare gli scambi esterni».
Non si può comprendere, quindi, l’atteggiamento assunto dalla Corte nel parere
1/94 se non alla luce di fattori politici che hanno condizionato profondamente le scelte
compiute dalla Corte, desiderosa di non scontentare nessuno – la Commissione europea
da una parte e il Consiglio, il Parlamento e gli Stati membri dall’altra –, confezionando
un documento in molti punti ambiguo.
La politica commerciale comune ha continuato ad essere terreno di scontro negli
anni successivi: il problema cardine è stata la tenace difesa da parte degli Stati membri
delle loro prerogative, del loro ultimo brandello di sovranità nel delicato e prestigioso
campo delle relazioni economiche esterne.
Nel Consiglio europeo di Amsterdam (1996), che ha dato origine a un nuovo
Trattato, è prevalsa una linea di basso profilo, mentre il Trattato concluso al Consiglio
europeo di Nizza (2000) genera preoccupazioni sulla futura tenuta e coesione della
Comunità nel settore esterno, costituendo la codificazione del parere 1/94.
Attualmente è in atto un processo di revisione dei Trattati in seno alla
Convenzione europea: grandi e legittime sono le aspettative, ma l’orientamento generale
della Convenzione non sembra rivolto verso una profonda e necessaria revisitazione
dell’intero impianto delle competenze esterne dell’Unione/Comunità.
Introduzione
XI
L’attuale sistema della politica commerciale comune non garantisce dai rischi di
una possibile frantumazione del blocco comunitario poiché mantiene – e, in parte,
reintroduce con il Trattato di Nizza – le prerogative degli Stati membri e, di
conseguenza, il voto all’unanimità in diversi settori del commercio.
La necessità dell’estensione della politica commerciale comune ai “nuovi” settori
dei servizi e della proprietà intellettuale è divenuta un’esigenza imprescindibile per
garantire solidità ed efficacia al più grande esportatore di beni del mondo: gli accordi
commerciali internazionali non riguardano ormai un settore in particolare nel quale la
Comunità gode della più ampia autonomia d’azione, ma sono sempre più
frequentemente intersettoriali e “interpilastri” con la conseguente partecipazione attiva
degli Stati membri.
La politica commerciale comune rischia di divenire un’“arma spuntata” nelle mani
della Commissione se non si provvederà a riformare l’intero assetto delle competenze
esterne dell’Unione/Comunità.
Nelle conclusioni alla tesi si tenterà di dare una risposta alle esitazioni politiche
nell’affrontare una riforma della politica commerciale comune e, più in generale, delle
competenze esterne, giustificando in parte il comportamento politico sulla base
dell’attuale configurazione del sistema combinato Unione/Comunità/Stati membri.
CAPITOLO PRIMO
IL PARERE 1/94: UN ERRORE DI PROSPETTIVA
PREMESSA
Prima di affrontare il tema oggetto di questo lavoro, è doverosa un’osservazione di
carattere semantico. Spesso il termine “Unione europea” è utilizzato nel contesto delle
relazioni economiche internazionali non solo da giornalisti e politici, ma anche dalle
stesse istituzioni europee.
La competenza ad agire in questo settore ricade esclusivamente sulla Comunità
europea e non sull’Unione. La Comunità è certamente parte dell’Unione, ma
quest’ultima non ha personalità internazionale, anche se parte della dottrina sostiene il
contrario
1
: l’Unione europea non potrebbe, perciò, negoziare e concludere accordi con
paesi extraeuropei o essere membro di organizzazioni internazionali. Questo tema è
attualmente oggetto di dibattito nel processo di riforma in atto, la cui evoluzione sembra
delineare un’Unione europea dotata della personalità giuridica. Riferirsi all’Unione
europea piuttosto che alla Comunità europea come un “attore” nel contesto esterno
potrebbe essere politicamente conveniente, ma non del tutto corretto giuridicamente
2
.
L’Unione europea non è uno Stato federale, ma neanche uno Stato.
Gran parte dei problemi relativi alla gestione e al funzionamento di questa
organizzazione sovranazionale
3
possono essere ricondotti alla mancanza del requisito
essenziale perché questo singolare fenomeno chiamato “Comunità europea” possa
1
Sul tema della personalità giuridica dell’Unione europea e sugli sviluppi della Convenzione europea, v.
paragrafo V.2.2.
2
Di diverso avviso è A. TIZZANO, La personalità internazionale dell’Unione europea, DUE, 1998, pp.
377-406, secondo il quale anche gli accordi della Comunità europea devono essere considerati come
accordi dell’Unione europea, unico vero soggetto che emerge dai Trattati. L’Autore citato (ivi, p. 404),
rileva conseguentemente che «nel caso delle Comunità europee, in particolare, l’Unione eserciterà
tramite tali strutture le competenze esterne ad esse spettanti; e gli accordi relativi, per quanto continuino
a presentarsi come accordi delle Comunità europee, saranno in realtà accordi dell’Unione, dato che è
questo il vero soggetto cui imputarli. […] Vista dall’esterno è l’Unione nel suo complesso e nella sua
unitarietà che viene in rilievo ed è ad essa che vanno in ultima analisi imputate le diverse situazioni
giuridiche».
3
Secondo una prassi ormai consolidata, l’espressione organizzazione sovranazionale viene riferita a quel
particolare fenomeno delle organizzazioni internazionali caratterizzate da un più intenso vincolo
associativo quale elemento “di qualificazione peculiare e di distinzione specifica”; la semplice
«cooperazione» internazionale cede allora il passo ad una più compiuta «integrazione» normativa e
istituzionale. Si veda in proposito M. PANEBIANCO, voce Organizzazioni Internazionali, Profili
generali, in Enc. Giur., 1980, p. 4 ss.
CAPITOLO PRIMO Il parere 1/94: l’errore di prospettiva
2
essere definito come Stato: una costituzione che ne sancisca l’esistenza e i principi
ispiratori da un lato e i poteri a esso connessi dall’altro.
Nei trattati che istituiscono la Comunità e l’Unione europea non viene utilizzato
neanche il termine “poteri”, ma si preferisce quello di “competenze”
4
, in omaggio al
principio cosiddetto di attribuzione
5
sancito dall’art. 5 CE, in base al quale i poteri
comunitari esistono non in quanto originari, ma in quanto “concessi” dagli Stati
membri. Tali competenze non sono elencate in un apposito catalogo, né è prevista una
loro precisa ripartizione tra Comunità e Stati membri, sul modello di alcune costituzioni
federali.
Al contrario, esse sono attribuite all’organizzazione in modo settoriale e specifico
con incertezze quanto alla loro estensione e a quella delle materie che ne sono oggetto:
incertezze accresciute dai continui sviluppi politici, normativi e giurisprudenziali.
Questo principio comporta due conseguenze fondamentali: le competenze
comunitarie sono limitate e, implicitamente, si conferma che la Comunità non è dotata
di una competenza legislativa generale.
A distanza di più di mezzo secolo dalla sua nascita, la Comunità, per conoscere e
far conoscere i limiti delle sue competenze anche nell’ambito della materia in cui gode
di ampi poteri decisionali come la politica commerciale comune, deve ancora far ricorso
alla giurisprudenza della Corte di Giustizia che viene così ad assumere una valenza e
una portata politica notevole.
Nell’affrontare, in particolare, il tema della definizione dei rapporti tra le norme
OMC con le norme comunitarie non si può prescindere dall’esaminare tale
giurisprudenza sulla quale si sono aperte in passato, come nel presente, discussioni in
dottrina.
Nel corso del lungo e non ancora ultimato processo di integrazione europea, la
Corte ha giocato un ruolo fondamentale nell’espansione delle competenze economiche
esterne della Comunità, che ha sovente trovato in essa il motore e lo stimolo necessari
4
Al riguardo, si veda MACLEOD, HENDRY e HYETT, The external relations of the european
communities, Oxford: Clarendon Press, 1996, p. 38, dove gli Autori affermano che questa espressione
«has to be handled with care»; N. NEUWAHL, Joint participation in international treaties and the
exercise of power by the EEC and its member states: mixed agreements, CMLR, 1991, pp. 717-740, p.
718; TRIDIMAS e EECKHOUT, The external competence of the Community and the case-law of the
Court of Justice: principle versus pragmatism, YEL, 1994, pp. 143-177, a p. 144.
5
In tal senso da ultimo il parere 2/94, par. 24, della Corte di Giustizia del 28 marzo 1996, in Racc., p. I-
1759, dove si afferma che l’art. 5 (ex art. 3B) CE comporta che la Comunità dispone, anche sul piano
delle relazioni esterne, unicamente di poteri attribuiti.
CAPITOLO PRIMO Il parere 1/94: l’errore di prospettiva
3
per affrontare con più compattezza e unità le sfide poste dall’essere la Comunità un
soggetto di diritto internazionale e non soltanto una mera somma di Stati sovrani.
Gli attori di questo processo si fronteggiano incarnando interessi tra loro
apparentemente inconciliabili: sommariamente, da un lato si situa l’interesse
comunitario di cui la Commissione europea è la genuina portatrice, dall’altro vi sono gli
Stati membri che, allarmati del grande potere reclamato e acquisito dalla Commissione
a loro detrimento, per il principio di auto-conservazione tendono a limitare le
prerogative al livello centrale in un vano tentativo di mantenere la loro sovranità.
La Corte si inserisce prepotentemente nell’“eterna” lotta tra questi due interessi
assumendo a volte la funzione di calmiere, a volte recependo in modo più o meno
esplicito le tesi dell’una o dell’altra parte, interpretando comunque le disposizioni del
Trattato della Comunità europea, avendo sempre come riferimento la loro enunciazione
e gli obiettivi del Trattato stesso.
La Corte esplica le sue funzioni anche nel campo degli accordi internazionali, in
cui risalta la sua prerogativa di formulare pareri su un dato accordo previsto su richiesta
del Consiglio, della Commissione o di uno Stato membro. Il parere fornito dalla Corte è
vincolante in quanto se dovesse risultare negativo, l’accordo in questione potrebbe
entrare in vigore solo in seguito a una revisione del Trattato.
In questo capitolo si tenterà di fornire una visione d’insieme del parere 1/94
6
che
ha tentato, senza successo, di tracciare una linea divisoria tra le competenze della
Comunità e quelle degli Stati membri in seno all’Organizzazione Mondiale del
Commercio
7
, facendo emergere, quando se ne presenterà l’occasione, le contraddizioni
in cui è caduta la Corte e la debolezza delle conclusioni a cui è giunta.
In particolare, si cercherà di dimostrare l’errata interpretazione della Corte nel
valutare i risultati dell’Uruguay round, il ciclo dei negoziati commerciali definiti “i più
lungi e complessi della storia dell’umanità” conclusosi con la nascita dell’OMC,
esclusivamente dal punto di vista delle disposizioni che regolano il funzionamento del
mercato interno della CE, invece di inquadrarli nella prospettiva di un concetto di
“politica commerciale” in un senso più ampio come è usato nel contesto internazionale,
tema che sarà l’oggetto centrale del quarto paragrafo.
6
Parere della Corte di Giustizia del 15 novembre 1994, in Racc., I, 5267 ss.
7
Lo statuto dell’OMC si trova in GUCE, n. L. 336 del 23.12.1994, p. 3 ss. o, con la legge italiana di
ratifica 29.12.1994, n. 747 in GURI, suppl. ord. n. 1 del 7.1.1995
CAPITOLO PRIMO Il parere 1/94: l’errore di prospettiva
4
Nel primo paragrafo si ricostruirà il contesto in cui è stato elaborato il parere 1/94,
un clima non particolarmente propizio per una interpretazione ampia delle competenze
della Comunità, e si mostrerà come, questa volta, a soccombere sia stato l’interesse
comunitario rappresentato dalla Commissione europea, l’unico organo genuinamente
autonomo rispetto agli interessi nazionali di cui il Consiglio dell’Unione europea è
rappresentante.
Nel secondo paragrafo si cercherà di ricostruire l’Accordo OMC avendo riguardo
ai profondi cambiamenti intervenuti nel commercio mondiale nel corso dell’Uruguay
round e si analizzerà lo status della CE nella nuova organizzazione e viceversa.
La Corte non è stata capace di cogliere l’aspetto saliente del mutamento che ha
preso corpo con la nascita dell’OMC. A differenza del GATT, l’accordo di Marrakech
del 1994, con cui si chiude l’Uruguay Round iniziato nel 1986, attribuisce al sistema
delle relazioni commerciali internazionali un assetto istituzionale permanente e si
configura come un accordo multilaterale commerciale ad “approccio unico”: chi ne
diviene parte, accetta automaticamente anche tutti gli altri accordi a esso allegati, tra cui
i servizi (General Agreement on Trade in Services, in breve GATS) e gli aspetti dei
diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (Trade-Related Aspects of
Intellectual Property Rights, in breve TRIPs).
Nel terzo paragrafo si analizzerà la politica commerciale comune. Il Trattato di
Roma non ne definisce il concetto e perciò gli scopi dell’art. 133 CE sono sempre stati
oggetto di controversie .
In particolare si ricostruirà la definizione e l’interpretazione che di essa ha dato la
Corte in passate pronunce fino a giungere al parere 1/94, all’interno del quale si
analizzeranno le disposizioni riguardanti l’Accordo sul commercio dei servizi, il GATS,
e l’Accordo sugli aspetti del commercio riguardanti i diritti di proprietà intellettuale, il
TRIPs.
Da un attento esame di queste disposizioni non si comprende come questi accordi
commerciali non siano stati considerati tali e, in tal modo, rientranti nella competenza
esclusiva della Comunità (la politica commerciale comune), determinando la
partecipazione congiunta all’Accordo OMC della CE e degli Stati membri: settori che
ormai sono considerati “commercio” nel resto del mondo, non lo sono secondo la
visione della Corte.
CAPITOLO PRIMO Il parere 1/94: l’errore di prospettiva
5
Un taglio critico più approfondito sul parere in esame sarà l’elemento
caratterizzante il quarto paragrafo: le conclusioni del parere saranno passate al vaglio e
si metteranno in luce le possibili incongruenze del ragionamento della Corte. Inoltre,
punto fondamentale, si esaminerà l’errore sostanziale compiuto dalla Corte, l’errore di
prospettiva nel considerare l’Accordo OMC dal punto di vista del mercato interno. Ma
si vedrà che, forse, qualche responsabilità è addebitabile anche alla Commissione, la
quale avrebbe potuto formulare i quesiti del parere 1/94 in modo più convincente.
I.1 – LA FORMULAZIONE DEL PARERE 1/94
I.1.1 – Il contesto storico-politico-economico
Il processo di integrazione europea non è stato sempre lineare: a fasi in cui era
prevalente l’“europessimismo” e l’“eurosclerosi” sono succedute fasi caratterizzate da
vivaci dibattiti e cambiamenti nella struttura e nelle politiche della CE.
L’inizio della fase che più interessa ai fini del nostro ragionamento può essere
collocata verso la metà degli anni Ottanta, quando la CE cercava faticosamente di uscire
dalla lunga fase di recessione apertasi con la crisi petrolifera degli anni 1978-79; crisi
che colpiva in particolar modo gli scambi commerciali all’interno della stessa Comunità
e la quota da questa posseduta nel commercio mondiale dei prodotti finiti.
Il rilancio del processo d’integrazione fu preceduto da lunghi e difficili negoziati
riguardanti la riforma sia delle politiche comunitarie, la politica agricola comune e la
questione delle eccedenze in particolare
8
, sia delle istituzioni e l’identificazione di
nuove aree di azione comune.
Questo secondo aspetto era giustificato dalla lentezza del meccanismo decisionale
della Comunità, bloccato, allora come oggi, dalla ricerca dell’unanimità nell’ambito del
Consiglio dei ministri e dal “deficit democratico”
9
della Comunità dovuto a un
insufficiente potere di controllo democratico del Parlamento europeo.
8
Il Consiglio europeo di Fontainebleu del giugno 1984 sbloccò il paralizzante problema del contributo
britannico al bilancio comunitario e fornì un’indicazione chiara sul corso che le riforme politiche
avrebbero preso nel settore dell’agricoltura: venne esclusa la soluzione di mercato mentre si favorì il
ricorso crescente ad altre misure come le quote di produzione e le «imposte di corresponsabilità».
9
Tema ricorrente nel dibattito politico europeo e mai affrontato con decisione.
CAPITOLO PRIMO Il parere 1/94: l’errore di prospettiva
6
L’iniziativa più importante in questo ambito fu senza dubbio
10
il “Trattato
Spinelli” adottato dal Parlamento europeo nel febbraio del 1984. Questo progetto, che
deve il nome al suo ideatore nonché fondatore del Movimento Federalista Europeo,
Altiero Spinelli, non ebbe seguito immediato, ma molte delle idee che lo avevano
ispirato hanno poi influenzato lo stesso Trattato di Maastricht.
Esso rimane peraltro la testimonianza di un atto storico coerente e completo, di
un’architettura all’altezza del tempo e dell’Europa, «un’opera d’arte distrutta
dall’ignavia della storia»
11
.
Negli stessi anni iniziavano ad affermarsi anche in Europa politiche economiche
incentrate sui programmi dal lato dell’offerta e sulla deregolamentazione economica
adottati inizialmente dal presidente americano Reagan e che avevano avuto come
principale interprete europeo la signora Thatcher in Inghilterra.
Proprio questa crescente popolarità verso iniziative dal lato dell’offerta, insieme
all’annoso problema della stagnazione degli scambi commerciali all’interno della
Comunità, furono gli stimoli necessari per far accettare ai governi europei la proposta
della nuova Commissione
12
avente come programma il completamento del mercato
interno
13
intorno alla data obiettivo del 1992.
Se questa operazione si rivelò un successo
14
(anche perché è stata in grado di
canalizzare l’attenzione dei governanti europei verso la strada dell’integrazione per un
periodo di sette anni), bisogna rilevare che in nessun passo del Libro bianco si alludeva
alle implicazioni di politica esterna del programma di liberalizzazione interna. Questa
grave lacuna si è protratta, purtroppo, fino a tempi molto recenti e rivelava il tentativo di
aggirare una questione potenzialmente controversa in un periodo di rilancio dei
negoziati intra-CE: la questione della competenza esterna dalla Comunità.
Ancora una volta l’integrazione regionale europea, così come è successo nella fase
post-bellica, è coincisa con il nuovo processo di liberalizzazione internazionale degli
10
Nel 1981 vi fu anche la proposta di Genscher-Colombo relativa ad un nuovo trattato europeo che
avrebbe dovuto sostituire quelli precedenti, ma tale iniziativa ebbe un impatto minore.
11
Bino OLIVI, L’Europa difficile - Storia politica dell’integrazione europea 1948-1998, Il Mulino, 1998,
p. 252.
12
Commissione presieduta da Jacques Delors e insediatasi nel marzo del 1985.
13
La proposta era contenuta nel Libro bianco intitolato Completare il mercato interno. In esso si ribadiva
con chiarezza la volontà di eliminare le restanti barriere al commercio intra-CE. Vi erano inclusi una
lunga lista di misure ed uno scadenzario che arrivava fino al 31 dicembre 1992.
14
Al 1° gennaio 1993 il 95% circa delle misure elencate nel libro bianco era stato adottato.
CAPITOLO PRIMO Il parere 1/94: l’errore di prospettiva
7
scambi inaugurato a Punta del Este nel settembre 1986
15
, noto con il nome di Uruguay
Round e che si prolungò ben oltre le aspettative a causa delle difficili mediazioni tra le
parti partecipanti al negoziato.
Già negli intenti degli organizzatori del round vi era la volontà di estendere la
giurisdizione del “General Agreement on Tariffs and Trade”
16
(GATT) verso nuove aree
come i servizi e i diritti di proprietà intellettuale legati agli scambi commerciali
17
e di
fondere in un complesso coerente le regole attinenti a questi nuovi ambiti del
commercio, dimostrando così la stretta relazione tra questi campi.
La Comunità, che al via del round non sembrava essersi resa conto
dell’importanza del cambiamento avvenuto nel commercio mondiale, si è trovata, nel
corso dei negoziati, frequentemente in una posizione difensiva a causa della sua
resistenza nel concedere la liberalizzazione del mercato agricolo tanto auspicata dagli
USA e dal Gruppo di Cairns
18
.
Proseguivano, intanto, i lavori per giungere a una revisione dei trattati sotto
l’impulso della proposta di Trattato di Spinelli: il risultato conclusivo di questi sforzi fu
l’Atto unico europeo (AUE) sottoscritto nel febbraio 1986 ed entrato in vigore nel luglio
1987. Fu il risultato di un compromesso fra i dodici membri della Comunità e come in
tutti compromessi in cui si cerca di avvicinare posizioni diametralmente opposte, la
soluzione finale risulta di basso profilo, almeno in relazione alle intenzioni dei
riformatori.
Se da un punto di vista istituzionale e politico può essere considerato una
delusione
19
, l’AUE ha fornito la struttura legale per il pacchetto di misure adottato dalla
Commisione Delors per il completamento del mercato interno da conseguire entro il 31
15
Il ciclo dei negoziati è stato ufficialmente aperto con la “Dichiarazione di Punta del Este” del 20
settembre 1986, approvata nel “Progetto di processo verbale” della 1104ª riunione del Consiglio, doc.
9205/86.
16
L’accordo GATT venne firmato il 30 ottobre 1947 a Ginevra. Dal 1948 al 1994, esso ha fornito le
regole del commercio internazionale in base ai principi cardine del sistema, e cioè la reciprocità e la non
discriminazione tra i partner tramite la clausola della “nazione più favorita” di cui all’art. I del GATT, ed
ha raggiunto risultati di enorme importanza nel liberalizzare gli scambi.
17
Dichiarazione di Punta del Este, v. nota 15.
18
Il Gruppo di Cairns prendeva il nome dall’incontro svoltosi il 25-27 agosto 1986 a Cairns in Australia.
Al suo interno figuravano quattordici paesi, tra cui Argentina, Australia, Brasile, Canada Ungheria e
Uruguay.
19
Per comprendere la portata di tale atto dal punto di vista istituzionale, risultano illuminanti le parole
della signora Thatcher, allora primo ministro britannico: «[P]er tutto il tempo, parte del nostro sforzo è
stato di ridimensionare le loro aspettative tirandoli giù dalle nuvole per riportarli alle questioni
pratiche» (“The Times”, 6 dicembre 1985).
CAPITOLO PRIMO Il parere 1/94: l’errore di prospettiva
8
dicembre 1992 e ha favorito il processo decisionale della Comunità, estendendo il voto
a maggioranza qualificata.
I negoziati e la firma dell’Atto unico coincisero con un costante miglioramento
dell’ambito economico: durante la seconda metà degli anni Ottanta, l’Europa
occidentale sperimentò uno dei più lungi periodi di boom economico del periodo post-
bellico. Fu proprio questo clima favorevole a far accettare agli Stati membri i costi di
aggiustamento del mercato interno.
Il clima favorevole al processo integrativo, così già fortemente influenzato
dall’obiettivo del 1992, venne ulteriormente ravvivato dagli straordinari eventi del
1989, l’annus mirabilis
20
dell’Europa occidentale: la caduta dei regimi comunisti
dell’Europa dell’Est. Ma all’euforia iniziale subentrarono presto l’ansia e le
preoccupazioni per una Germania unita con conseguente spostamento degli equilibri di
potere all’interno della Comunità.
Proprio in seguito a questi nuovi sconvolgimenti si ricollega la stesura del Trattato
sull’Unione europea firmato a Maastricht nel febbraio 1992: per la prima volta venne
posto in primo piano il tema dell’unione politica, anche se le soluzioni adottate non
hanno certamente definito la questione. Ma il fatto importante rimane la volontà di
creare un cammino comune e l’insistenza nel Trattato di Maastricht sulla qualificazione
dell’UE come “tappa” verso la creazione di un’unione “sempre più” stretta tra i popoli
d’Europa ne è la dimostrazione.
L’Unione europea scritta a Maastricht non si configura come entità federale, anche
se determinate politiche come quella monetaria e quella commerciale vengono
successivamente assorbite tra le competenze esclusive dell’Unione. Per quanto concerne
la politica commerciale comune così come modificata a Maastricht, i risultati restano
insoddisfacenti dal momento che non fanno chiarezza sul concetto e sull’estensione
della competenza in questione.
Numerose erano state le proposte della Commissione
21
e persino della presidenza
lussemburghese
22
in preparazione al vertice di Maastricht, tutte egualmente disattese
20
L. TSOUKALIS, La nuova economia europea, Bologna: Il Mulino, 1994, pag. 22.
21
Parere della Commissione del 21 ottobre 1990 sulla proposta di modifica del Trattato istituente la
Comunità Economica Europea, testo in Intergovernmental Conferences: Contributions by the
Commission, Bollettino CE – Supplemento 2/91, p. 65.
22
Progetto di Trattato del 20 giugno 1991, Agence Europe, Europe Documents, n. 1722/1723 del 5 luglio
1991.
CAPITOLO PRIMO Il parere 1/94: l’errore di prospettiva
9
dall’organo politico della Comunità, il Consiglio europeo. In particolare, nel nuovo
Trattato sull’Unione europea non vengono recepite le proposte di includere parte dei
“servizi” nella nozione di politica commerciale comune
23
e, cosa ancor più importante,
non viene neanche consolidato “costituzionalmente” l’approccio concettuale della Corte
di Giustizia riguardo all’esclusiva competenza implicita nelle relazioni esterne della
Comunità (i cosiddetti “poteri impliciti”), come espresso nella nodale sentenza Aets
24
.
Da ultimo, ma non meno importante, occorre rilevare l’abolizione dell’art. 116
25
del Trattato CE operata a Maastricht che assicurava l’unità d’azione degli Stati membri
in seno alle organizzazioni internazionali a carattere commerciale. Una delle ragioni di
avversione a questo articolo da parte degli Stati membri consisteva nel fatto che gli Stati
CE, in una materia nella quale godono di una competenza essenzialmente esclusiva,
avrebbero dovuto attenersi a una decisione adottata dal Consiglio a maggioranza
qualificata anche nel caso in cui l’unanimità fosse stata richiesta per un’azione della
Comunità nello stesso campo (per esempio, ex art. 130S CE)
26
.
Queste semplici considerazioni dovrebbero essere sufficienti per mostrare quanto
sia stata ed è ancora delicata l’intera materia delle relazioni economiche esterne per gli
Stati membri della Comunità.
Il Trattato di Maastricht riflette in modo esemplare la tendenze contraddittorie del
processo integrativo europeo: da una parte vi è la necessità storica e il comune sentire di
dover proseguire un cammino da tanti giudicato irreversibile, dall’altro vi sono le
resistenze delle élite politiche nazionali sempre guardinghe e diffidenti nell’affrontare la
loro tematica più cara, la sovranità.
Il Trattato sull’Unione europea ribadisce in modo chiaro la logica dei piccoli
passi, del gradualismo alla Monnet, ma lascia aperte numerose questioni sulle quali
regna l’incertezza. È sulle disposizioni di questo Trattato che si basa – ma non solo – la
formulazione del parere 1/94
27
intervenuto a conclusione dell’Uruguay Round.
23
V. nota 13.
24
Sentenza del 31 marzo 1971, C-22/70, Accordo europeo trasporti su strada, in Racc., 1971, p. 263. V.
paragrafo II.1.1.
25
V. paragrafo III.2.2.1.
26
V. Editorial Comment, The Aftermath of Opinion 1/94 or how to ensure unity of representation for joint
competences, CMLR, 1995, pp. 385-390.
27
Parere della Corte di Giustizia del 15 novembre 1994, in Racc., 1994, p. I-5267 ss.
CAPITOLO PRIMO Il parere 1/94: l’errore di prospettiva
10
La situazione economica generale, intanto, era profondamente mutata: nella tarda
estate del 1992 si scatenò un fortissimo attacco speculativo contro le monete più deboli
– lira e sterlina – facendo subire allo SME un duro colpo alla sua credibilità.
Nel frattempo giungeva a termine, il 15 aprile 1994, l’Uruguay Round dopo ben
otto anni di lunghi e difficili negoziati: se l’Europa poteva definirsi una vincitrice del
round in termini commerciali
28
, non altrettanto poteva dirsi per la chiarezza con cui si è
presentata al mondo esterno in sede di ratifica. La difficoltà nel porsi come soggetto
unico in ambito internazionale e l’esigenza degli Stati terzi a veder impegnata in modo
esplicito la responsabilità di tutti gli Stati membri della Comunità nella nascente
Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), hanno spinto gli Stati europei a
firmare congiuntamente alla Comunità, l’Accordo OMC
29
.
La vicenda dell’Uruguay Round e la sua conclusione mostrano magnificamente le
potenzialità e insieme i limiti della Comunità europea: quando essa agisce, come nel
corso dei negoziati, come blocco unico affidando alla Commissione l’intera
responsabilità delle trattative, si riappropria in pieno del peso e dell’importanza che
compete a una grande potenza commerciale quale è la Comunità. Ma quando in sede di
ratifica, nell’ambito quindi delle relazioni politiche internazionali, si deve apporre la
firma che suggella l’assunzione di responsabilità e la volontà delle parti di addivenire
all’accordo, emerge autoritariamente la voglia di differenziazione, un segno che
manifesti al mondo intero l’esistenza e la piena capacità degli Stati membri di essere, di
agire.
I.1.2 – Lo scontro tra interessi contrapposti
L’affascinante storia dell’integrazione europea, come da altri rilevato
30
, è stata un
ininterrotto esercizio di ingegneria istituzionale, volto a definire le forme giuridiche
possibili per lo sviluppo di un processo d’integrazione tra Stati che condividono una
parte sempre più importante della loro sovranità in una struttura fortemente integrata,
28
V. C. SECCHI, Le Prospettive derivanti dall’Uruguay Round del GATT, in Atti Finali dell’Uruguay
Round, Camera dei Deputati, p. 98 ss.
29
L’Accordo OMC è stato approvato dal Consiglio con decisione 94/800/CE del 22 dicembre 1994, in
GUCE n. L 336 del 23 dicembre 1994, p. 1, mentre la Repubblica italiana lo ha ratificato con legge n. 747
del 29 dicembre 1994, in GURI del 10 gennaio 1995, serie gen., suppl. ord. n. 7.
30
A. TIZZANO, Note in tema di relazioni esterne dell’Unione europea, DUE, 1999, pp. 465-492, p. 491.
CAPITOLO PRIMO Il parere 1/94: l’errore di prospettiva
11
ma che al tempo stesso non vogliono perdere la loro individualità in un “Superstato
federale”.
L’originalità dell’esperienza comunitaria consiste proprio in questa sorta di
paradosso che costringe gli attori del processo a sforzi ingenti per adattare le proprie
esigenze con quelle proprie di un’entità unica e in costruzione.
Gli interessi che si fronteggiano pongono i soggetti che ne sono interpreti in una
situazione di perenne conflitto: da un lato gli Stati che promuovono e che animano
l’esperienza comunitaria vogliono restare tali, conservando la specifica identità e la
piena sovranità, dall’altro gli stessi Stati sono consapevoli che il processo
d’integrazione risponde a esigenze imprescindibili e oggettive e in più conferisce a
ciascuno, proprio per il fatto di stare insieme, più forza e più peso.
Questo conflitto può, in determinati periodi, piegare verso una condizione di
latenza, per poi esplodere drammaticamente quando la situazione e l’approssimarsi di
scelte importanti impongono un ripensamento delle prerogative della Comunità, come è
avvenuto nel corso dell’istruttoria del parere 1/94.
Già da alcuni anni la Commissione
31
tentava di inserire nel Trattato istitutivo della
CEE un nuovo Titolo dal nome “Politica estera e di sicurezza comune”
32
comprendente
le disposizioni sulla politica commerciale comune (artt. 110-116 del Trattato CEE)
modificati per rispondere a una estensiva definizione del concetto di “politica
economica esterna comune”. Questa nozione copriva da una parte il commercio in beni,
includendo i crediti alle esportazioni, e dall’altra misure comprendenti i servizi, il
capitale, la proprietà intellettuale, gli investimenti, lo stabilimento e la competizione
33
.
Secondo la Commissione, questa vasta enumerazione di aree in cui la Comunità avrebbe
avuto esclusiva competenza, era la logica conseguenza di «una codificazione legislativa
dei principi stabiliti dalle decisioni della Corte di Giustizia già applicati nella pratica
in numerose occasioni»
34
.
31
Sul ruolo della Commissione nelle relazioni esterne della Comunità si veda M. SMITH, The
Commission and external relations, in G. EDWARDS e D. SPENCE (eds.), The European Commission,
II edizione, Cartemill London, 1997, pp. 264-289.
32
Parere della Commissione del 21 ottobre 1990 sulla proposta di modifica del Trattato istituente la
Comunità Economica Europea col proposito di un’unione politica, testo in Intergovernmental
Conferences: Contributions by the Commission, Bollettino CE – supplemento 2/91, p. 65.
33
Supplemento 2/91 – Bollettino CE, p. 92.
34
Vedere Commentario della Commissione, Supplemento 2/91 – Bollettino CE, p. 109.