Il nostro amico giapponese: Hayao Miyazaki e le culture dell’animazione tra Oriente e Occidente
Le caratteristiche principali dell’opera di Hayao Miyazaki
Il cartone animato giapponese come lo conosciamo noi nasce principalmente per la televisione. E il televisore, negli anni Sessanta, non è più un elemento di aggregazione, lo stesso che riuniva in una sola casa famiglie diverse.
Presto diventa un prodotto indispensabile per ogni abitazione, ogni famiglia, ogni individupo. Sempre più spesso diventa uno spettacolo domestico per spettatori soli. Il gruppo non c’è! «Il cartone giapponese lo sa e sceglie di rivolgersi in particolare al pubblico dei bambini che guardano la televisione in solitudine: ai figli unici e ai figli di separati, di divorziati, di genitori che lavorano.
In Giappone come nel resto del mondo. I giapponesi parlano di orfani e di robot ai bambini soli, ma non soltanto: anche di sport. Di pallavolo, tennis, calcio e baseball, lo sport nazionale nipponico. Per quanto riguarda i cartoni sportivi si potrebbe pensare che sia ovvio parlare di squadra, quindi di un gruppo. E invece no.
Quasi a rappresentare proprio i problemi individuali all’interno di una nazione-squadra, i cartoni sportivi puntano l’attenzione su un giocatore, un singolo componente della squadra in crisi. Magari un tempo era il migliore, ma adesso non riesce ad esprimersi al meglio: eppure sa che deve dare il massimo, sa che la squadra ha bisogno di lui!
Gli schemi narrativi dei vari anime sportivi sono molto simili tra loro, e spesso, naturalmente, si concludono con il riscatto del giocatore in crisi. Ma qualche volta, anche per non essere troppo ovvi, basta, dopo una sconfitta, la voglia di rifarsi, la speranza nel futuro. Certe volte la crisi è fisica, altre volte psicologica o inspiegabile, oppure caratterizzata da presenze maligne e ossessive.
Quasi sempre si tratta di sofferenze che è difficile comunicare a qualcuno: e poi il rapporto con gli altri è macchiato dal senso di colpa per i propri fallimenti. A differenza di Hanna & Barbera, che hanno inventato il continuo dialogo tra i personaggi per sopperire alla mancanza delle azioni, troppo costose, l’anime ha creato il dialogo con se stessi!
E non si tratta di un ripiego, perché le sequenze sono di straordinaria efficacia. Al contrario gli eroi televisivi giapponesi decidono di esporre i propri grandi sentimenti. Così, nei consueti momenti di batticuore, aprono la loro enorme bocca, dilatano gli occhi luccicanti, si avvicinano in primo piano per mostrare l’intimità delle emozioni, controcorrente rispetto al modello di comportamento
giapponese (e non solo). Sono reazioni esagerate anche perché mancano i disegni intermedi.»
Difatti un personaggio della Disney ha diversi disegni a disposizione per poter cambiare di continuo il proprio atteggiamento. I giapponesi invece rimangono spesso immobilizzati nella paura e nella gioia. Non possono darsi contegno e fingere: un po’ perché non ci sono i soldi (i disegni costano) e un po’ per scelta.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Il nostro amico giapponese: Hayao Miyazaki e le culture dell’animazione tra Oriente e Occidente
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Informazioni tesi
Autore: | Andrea De Gennaro |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2007-08 |
Università: | Università degli Studi di Salerno |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Scienze della comunicazione |
Relatore: | Luigi Frezza |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 71 |
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