Rischio chimico e tossicologico - Prevenzione e gestione dei potenziali rischi di incidenti rilevanti all'esterno dell'area industriale di Brindisi
La nascita del polo chimico di Brindisi e il tragico incidente
La maggiore industria chimica italiana, la Montecatini, avviò alla fine degli anni ‘50 l'operazione Monteshell e la costruzione a Brindisi dell'impianto Montecatini - Polymer, per risolvere, principalmente, le difficoltà finanziarie in cui si trovava utilizzando i forti incentivi previsti dallo Stato per gli interventi nel Mezzogiorno.
Per il polo industriale di Brindisi la Montecatini previde 180 miliardi di lire di investimento, l'occupazione di oltre 800 ettari di terreno agricolo e 3.800 addetti con lo stabilimento a pieno regime di funzionamento. L'impianto avrebbe prodotto materie plastiche, tra le quali il polipropilene, polietilene, elastomeri, polimeri per fibre sintetiche, aldeidi, alcoli, solventi organici, per complessivi 700.000 tonnellate all'anno di derivati dal petrolio.
Le infrastrutture furono progettate prevedendo uno sviluppo industriale dell'agglomerato di Brindisi in grado di dare lavoro, nel 1975, a ben 15-18.000 addetti. Fu costruita, in quel periodo, la grande centrale termoelettrica (quella attualmente denominata "Brindisi Nord"), in grado di sviluppare allora una potenza di 130.000 kW; l'energia prodotta veniva distribuita a tutto lo stabilimento utilizzando 400 km di cavi.
Nel polo di Brindisi venivano lavorate, nel primo anno di funzionamento, 1.500.000 tonnellate di petrolio. Dal "cracking" si ottenevano prodotti quali il propilene, l'etilene, il butadiene, ecc. Per completare il ciclo produttivo venivano sottoposte ad elettrolisi 200.000 tonnellate annue di salgemma provenienti dalle miniere siciliane, da cui si ricavavano cloro e soda caustica, mentre dal mare veniva estratto il bromo. Il complesso Polymer utilizzava l'etilene per produrre una fibra tessile artificiale.
Si pensava che la presenza di un simile colosso della chimica avrebbe generato un fiorente indotto. Lo sviluppo dell'indotto, con le imprese che dovevano ottenere prodotti di elevato valore aggiunto derivati dalle materie di base, si dimostrò insoddisfacente e molto inferiore alle ottimistiche previsioni dei primi anni.
Mezz’ora dopo la mezzanotte del 8 dicembre 1977 esplodeva il reparto P2T del Petrolchimico Montedison di Brindisi, provocando una tragedia che non ha precedenti nella storia della città del Grande Salento. Vetri infranti, sirene di sicurezza attivate automaticamente ed un boato sentito per oltre 50 Km. Tragico il bilancio delle vittime coinvolte nell’incidente: 52 feriti e 3 vittime.
Erano circa le 22 quando il reparto P2T, produttore di etilene, veniva posto in fase di preavviamento, dopo nove giorni di fermo, per intraprendere urgentissimi interventi di manutenzione. Lavori durati fino alle 00.30, quando nella “zona fredda” (il punto dell’impianto dove il liquido viene consolidato e trasformato in prodotto finito) avveniva lo scoppio.
La fuga di gas invadeva i forni, nell’aria l’acre presenza del gas anticipava la nube che, a sua volta, ne testimoniava la mortale presenza. Proprio l’odore del gas diventava la salvezza degli operai rimasti nei reparti limitrofi dello stabilimento, i quali si davano alla fuga dopo l’esplosione.
Nel frattempo il panico invadeva la città brindisina. Scene di devastazione si susseguivano incessantemente, mentre orde di sciacalli invadevano il centro abitato, approfittando delle vetrate distrutte dei negozi dall’onda d’urto generata dall’esplosione. Alle 4 era un’emittente locale ad aumentare la confusione della già provata e impaurita popolazione brindisina, invitandola ad evacuare a causa dell’arrivo di una nube tossica generata dai gas dell’impianto industriale.
Notizia clamorosamente falsa e immediatamente smentita. Nel reparto P2T nel frattempo arrivavano i soccorsi e si succedevano gli accertamenti delle vittime che venivano accertati essere tre. Arrivavano le 7 di mattina e l’incendio non era ancora del tutto domato: bruciavano ancora i gas residui contenuti ancora all’interno delle tubature. Avrebbe dovuto albeggiare, ma il cielo era ancora scuro: la fitta coltre di fumo nero si elevava verso l’alto, sovrastando tutto e tutti. Il giorno seguente veniva proclamato il lutto cittadino e la chiusura delle scuole e dei pubblici esercizi veniva accompagnato dallo sciopero dei dipendenti di tutti gli stabilimenti del gruppo Montedison.
Al funerale delle vittime, cui prese parte anche un commosso Sandro Pertini (che pochi mesi dopo diventò Presidente della Repubblica), insieme a tutta l’opinione pubblica, chiese a gran voce: “è necessaria la sicurezza sul lavoro, se questo dramma ha un significato è proprio quello di dire che non siamo abbastanza saggi e la morte di questi tre fratelli per noi deve essere una lezione”.
Questo brano è tratto dalla tesi:
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Informazioni tesi
Autore: | Giampiero Campo |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Bari |
Facoltà: | Medicina e Chirurgia |
Corso: | Scienze delle professioni sanitarie della prevenzione |
Relatore: | Marina Musti |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 193 |
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