Geopolitica del crimine organizzato messicano
La guerra contro i narcos: la presidenza di Felipe Calderon
Nel 2006, mentre gli omicidi commessi dal crimine organizzato ammontavano a circa 2.200 morti1, saliva alla presidenza del Messico Felipe Calderon.
Durante la campagna elettorale, il candidato del Partito d’Azione Nazionale (PAN), come il suo predecessore V. Fox, aveva fatto della lotta al narcotraffico uno dei cardini della propria azione di governo. Nel dicembre del 2006 il nuovo presidente messicano lanciò un’offensiva militare contro i cartelli della droga, impiegando più di ventimila militari, maggiormente negli Stati messicani al confine con gli USA, dove la violenza aveva raggiunto livelli impressionanti. Questo aumento di violenza aveva le sue ripercussioni anche sulle principali città americane vicine al confine messicano: in città come Phoenix, Atlanta ed El Paso i rapimenti e gli omicidi collegati al traffico di droga erano all’ordine del giorno.
Per capire meglio la gravità della situazione, bisogna soffermarci per un momento su due città strategiche per il commercio di droga: Ciudad Juarez (Messico) e la sua città “gemella”, El Paso (USA). I due centri, vicinissimi tra loro e in posizione strategica, proprio al ridosso del confine americano-messicano, favoriscono il commercio di ogni tipo di sostanza stupefacente. La sanguinosa guerra tra cartelli rivali, che dura ancora oggi, iniziò 3 anni fa per aggiudicarsi il controllo di questo territorio. La frontiera, infatti, è una striscia di terra unica al mondo: il confine più trafficato del mondo, un territorio a se stante, chiuso e poroso. Il controllo di esso da parte delle forze di polizia messicane e statunitensi era e rimane tuttora complicato. […]
La guerra che devasta il Messico dal dicembre 2006 ha tre ragioni principali: innanzitutto, è una risposta alla decisione del presidente Calderon di inviare l’esercito nella zona di frontiera: la prima vera offensiva di un governo messicano contro i cartelli; in secondo luogo è una reazione alla rottura della pax mafiosa da parte del cartello di Sinaloa, guidato da Joaquin “el Chapo” Guzman, che ha voltato le spalle ai fratelli Arellano Felix (cartello di Tijuana) e gli ha dichiarato guerra per conquistare il confine; La terza ragione delle violenze preoccupa non poco gli Stati Uniti ed è quasi un tabù in Messico: nella zona di frontiera le droghe pesanti sono un vero e proprio flagello.
I tossicodipendenti sui due lati della frontiera sono in continuo aumento e né in Messico né in Usa sono previsti progetti di recupero adeguati per queste persone; inoltre, c’è una carenza di cliniche e strutture ospedaliere pronte ad affrontare quest’emergenza. La guerra di strada per la conquista di questo corridoio interno è feroce come quella per il traffico internazionale. […]
Ogni indagine sul traffico di droga porta alla luce quanto il confine tra Messico e Usa sia attraversato in molti casi con estrema facilità dai trafficanti, nonostante il muro costruito lungo la maggior parte della frontiera e l’installazione di centinaia di telecamere e di sofisticati sensori di movimento. La corruzione dei funzionari messicani e americani di frontiera non sempre basta per far passare gli ingenti carichi di droga; pertanto, i narcos messicani hanno costruito, sotto alcuni tratti del muro di frontiera, tunnel sotterranei per aggirare senza difficoltà i controlli della polizia. In questo modo le quantità di sostanze stupefacenti da poter commerciare aumentano senza limiti e di conseguenza la scoperta di qualche carico in superficie non influisce più di tanto sui guadagni dei cartelli messicani.[...]
La stampa e i giornalisti messicani sono, insieme ai poliziotti, gli obiettivi principali degli omicidi compiuti dai cartelli messicani. Secondo il World Journalists’ Report on Press Freedom, nel 2008 sono stati uccisi in Messico quaranta giornalisti, otto sono scomparsi e sono innumerevoli gli atti intimidatori contro le sedi dei giornali. Il paese americano detiene il triste primato mondiale del maggior numero di giornalisti uccisi in un anno, superando di gran lunga paesi come l’Iraq e l’Afghanistan. La maggior parte delle indagini ufficiali su questi crimini hanno fatto registrare scarsi progressi, se non nessuno. La stampa è perennemente sotto tiro e non è libera di svolgere il proprio lavoro; le sistematiche aggressioni nei confronti dei giornalisti hanno portato ad una crescente autocensura ponendo a rischio la libertà d’espressione.[...]
Le questioni principali di cui hanno discusso Obama e Calderon nel loro ultimo incontro sono le seguenti: il contrabbando delle armi dagli Usa verso il Messico, l’immigrazione clandestina, il rafforzamento dei controlli alla frontiera e la lotta per contrastare il traffico di droga. I due presidenti hanno preso atto che i primi sforzi nella lotta alla droga hanno iniziato a dare i primi risultati positivi, specialmente per quanto riguarda l’aumento dei criminali arrestati nei due paesi. Questo dato era un inizio positivo per continuare efficacemente la politica di contrasto al potere dei gruppi criminali messicani.[...]
La politica di contrasto allo strapotere dei narcos è diventata di primaria importanza per i governi messicano e americano per ripristinare una cultura della legalità e dell’onestà nella società. Nei prossimi mesi e nei prossimi anni vedremo se le misure adottate da Messico e Stati Uniti, per combattere il fenomeno dello spaccio di droga, daranno i risultati sperati.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Geopolitica del crimine organizzato messicano
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Informazioni tesi
Autore: | Federico Marzano |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2008-09 |
Università: | Università degli Studi Roma Tre |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze politiche e delle relazioni internazionali |
Relatore: | Eric Robert Terzuolo |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 46 |
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