Elementi ariosteschi nella trilogia araldica di Italo Calvino
I nostri antenati: tre allegorie dell’uomo contemporaneo
Calvino nel 1960 decide di riunire in una trilogia intitolata I nostri antenati i tre racconti Il visconte dimezzato, Il barone rampante e Il cavaliere inesistente, scritti nel corso degli anni Cinquanta. In questi testi domina pienamente la componente fantastica e numerosi sono i richiami all’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto.
Nella nota introduttiva all’edizione del 1960, Calvino descrive la trilogia come «un’esemplificazione dei tipi di mutilazione dell’uomo contemporaneo», un uomo «mutilato, incompleto, nemico a se stesso».
In questi tre brevi romanzi Calvino impiega «l’irreale per fare del realismo», adopera metafore fiabesche caricate di elementi ironici per dare vita a trame che saranno caratterizzate «dall’esasperato susseguirsi di coincidenze, dal ghirigoro geometrico complicato fino alla parodia, dall’attrito fra il verosimile e l’assurdo, tutto ciò ad appalesare la coscienza del riuso anacronistico di procedimenti convenzionali» di cui l’autore si serve per guardare il mondo e capire come l’uomo si rapporti alla propria realtà storica e sociale:
Ho pensato che questa “trilogia” potesse essere un contributo alla definizione di un albero genealogico dell’uomo contemporaneo. Per questo ho ripubblicato i tre libri in un unico volume: per guidare i lettori nella visita a una galleria di ritratti dove possono riconoscere qualcuno dei loro lineamenti, dei loro tic: delle loro ossessioni. […] Vorrei che potessero essere guardati come un albero genealogico degli antenati dell’uomo contemporaneo, in cui ogni volto cela qualche tratto delle persone che ci sono intorno, di voi, di me stesso.
Da tutto questo si può percepire un interesse di Calvino per l’uomo e per tutto ciò che lo riguarda: i suoi sentimenti, le sue esperienze e i suoi problemi; se si tiene conto di questo fattore, non risulta difficile individuare in tale atteggiamento calviniano l’interesse simile che già quattro secoli prima aveva spinto Ludovico Ariosto alla composizione del suo poema, con il quale voleva compiere un viaggio nella realtà concreta e nelle infinite declinazioni dei sentimenti umani ed analizzare tutti i possibili atteggiamenti degli uomini.
Il poema cavalleresco di Ariosto, infatti, è interamente incentrato sull’uomo, un uomo che vive in una realtà, quella della cavalleria cortese, ormai prossima al collasso, un uomo che Ariosto non vuole deridere con la satira ma solo descrivere tramite i mezzi che gli sono più cari e cioè il meraviglioso, l’ironia, e l’eroico:
Ariosto così pieno d’amore per la vita, così sensuale, così realista, così umano. […] Il suo rapporto verso la letteratura cavalleresca è complesso: egli poteva veder tutto soltanto attraverso la deformazione ironica, eppure mai rendeva meschine le virtù fondamentali che la cavalleria aveva espresse, mai abbassava la nozione di uomo che aveva animato quelle vicende, anche se a lui non restava che tradurle in gioco ritmico e colorato.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Elementi ariosteschi nella trilogia araldica di Italo Calvino
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Informazioni tesi
Autore: | Alfio Maria Edoardo Di Paola |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2007-08 |
Università: | Università degli Studi di Catania |
Facoltà: | Lettere |
Corso: | Lettere |
Relatore: | Giuseppe Savoca |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 67 |
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