Le perquisizioni nel procedimento e nel processo

La ricerca di una persona evasa è un altro dei presupposti che, insieme alla flagranza di reato, legittimano la perquisizione eseguita dalla polizia giudiziaria. Per una descrizione appropriata dello stato di evasione, si fa riferimento all’art. 385 del codice penale, per sintetizzare lo stato di chi si sottrae ad un arresto o ad una detenzione legalmente effettuati.
Si tratta quindi di persona che sta scontando una pena detentiva o una misura cautelare, nonché di persona fermata dalla polizia giudiziaria. Nel caso in cui, quindi, si ritiene che il soggetto possa trovarsi in un determinato luogo, la polizia giudiziaria può procedere a perquisirlo (art. 352 comma 1 c.p.p.).
All’evasione è riconducibile la situazione di chi si trovi in stato di latitanza, come espressamente sancisce l’art. 296 c.p.p. al comma 5: ne consegue che anche per costui valgono le considerazioni sopra esposte in merito alla perquisizione eseguita dalla polizia giudiziaria.
All’opposto, la legittimazione che si ricava dallo stato di evasione di una persona, non trova applicazione per le indagini di polizia giudiziaria svolte nel procedimento davanti al giudice di pace, dal momento che davanti a quest’organo non trovano applicazione le pene detentive, ma solo le pene pecuniarie e, nei casi più gravi le sanzioni della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità; l’evasione non è reato di competenza del giudice di pace.
Nei casi di particolare necessità e urgenza, è stabilito che gli atti previsti dall’art. 352 c.p.p. possano essere eseguiti anche dagli agenti di polizia giudiziaria (art. 113 norme att. c.p.p.).