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Alcune considerazioni sulle perversioni femminili

Parafilie comuni e perversioni “minori”

Le parafilie possono essere suddivise in base a due gruppi principali: quelle dell’atto e quelle dell’oggetto. Le prime sono caratterizzate da una deviazione sessuale finalizzata a sostituire il coito con una pratica di altro tipo, mentre nelle seconde, si verifica uno spostamento dell’oggetto oppure della meta (Simonelli et al., 2000; Dettore, 2001).
Dettore (op. cit.) afferma che per fare diagnosi di Esibizionismo è necessario che vi sia un eccitamento sessuale (nelle fantasie o negli atti) successivo al mostrare o all’esibire i propri genitali ad una persona estranea non consenziente. Secondo la Simonelli (2000) l’esibizionista nelle sue performance ha bisogno di un pubblico non consenziente, per poter proporre quell’idea di furto e provocazione determinanti nel procurargli piacere. In questi soggetti si riscontrerebbe un’inconscia indifferenza verso i bisogni ed i desideri dell’altro. Un tema centrale è sicuramente quello del potere di disgustare e, quindi, di provocare reazioni allarmate (ibidem). Un’ultima annotazione circa l’Esibizionismo è appannaggio della ritualità che metterebbe in atto il soggetto nella sua messinscena “sessuale”. Si ritiene, infatti, che difficilmente sarebbe accettabile il cambiamento delle azioni precedenti al momento culmine che conferisce “potere”. Tuttavia non è ancora chiaro perché questo copione pre-determinato debba rimanere immutabile (ibidem).
Il Voyeurismo viene definito in presenza di eccitamento sessuale derivante dall’osservare, avendo cura di non esser visti, persone che sono nude, che hanno rapporti sessuali o in momenti intimi. Il voyeur trae soddisfazione osservando scene erotiche e scarica l’eccitazione con la masturbazione, per essere entrato in contatto con il corpo di ignari “oggetti” sessuali e per essere penetrato furtivamente nella loro intimità (Simonelli, 2000). Di Fiorino e Coretti (2004), rifacendosi alla loro esperienza clinica, aggiungono come caratteristiche del Voyeur: sentimenti di inferiorità, difficoltà relazionali con l’altro sesso e scarsa esperienza sessuale rispetto ai pari età.
Il Frotteurismo (dal francese “frotter” = strofinare) è caratterizzato dalla presenza di eccitamento sessuale (nelle fantasie o negli atti) derivante dal toccare o dallo strofinarsi contro una persona non consenziente. Di Fiorino e Coretti (2004), facendo eco alla Fabrizi (2000), affermano che tale comportamento, il cui esordio è collocabile in adolescenza, intorno ai 15-20 anni, viene spesso attuato in luoghi molto affollati nell’intento di evitare l’arresto o l’identificazione. Nell’atto di sfregarsi alla vittima, il frotteur fantastica una relazione di intimità con quest’ultima, palesando la centralità dell’aspetto sensoriale tattile (calore del corpo, movimento) nella suo immaginario erotico. Per questa sua peculiarità, si ipotizza che il suo sviluppo sessuale si sia arrestato allo stadio infantile dell’erotismo corporeo. Il frotteur può essere definito un feticista della stoffa. La psicoanalisi, affrontando il tema dell’eziopatogenesi di questa parafilia, ipotizza che tali individui possano essere stati esposti alla scena primaria, ossia all’atto sessuale tra i propri genitori. Da tale esperienza deriverebbe la volontà di riproporre questa scena, divenendone protagonista attivo. Il ruolo passivo viene invece ricoperto dalla vittima delle proprie molestie e da tutti coloro che, loro malgrado, vi assistono (ibidem).
Il Feticismo (dal latino facticius = oggetto fasullo, ambivalente) coincide con un eccitamento sessuale derivante da cose inanimate che divengono oggetto di “venerazione”. Molto spesso i feticci sono calze, stivali, scarpe, ecc. toccati o odorati nell’atto della masturbazione; solitamente essi sono insostituibili. Secondo la Vizzari (2000), gli esordi del feticismo sono inquadrabili nell’adolescenza anche se è probabile che già nell’infanzia l’oggetto abbia esercitato un certo fascino. Secondo la teoria psicoanalitica l’oggetto sessuale normale si sostituirebbe con una altro in stretta relazione ad esso, ma inadeguato, se lo si considera meta ed espressione della propria sessualità. Freud (1905) ipotizzò che il feticcio fosse la rappresentazione del pene materno. Egli riteneva che questa strategia perversa fosse il frutto della scoperta e del rifiuto della mancanza del pene femminile. Il feticcio potrebbe essere l’ultimo oggetto che l’individuo ha osservato prima di questa scoperta dolorosa; esso diventerebbe, dunque, l’oggetto che permette un compromesso e una gestione dell’angoscia di castrazione (ibidem).

Questo brano è tratto dalla tesi:

Alcune considerazioni sulle perversioni femminili

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Informazioni tesi

  Autore: Michele Cappuccio
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Intervento Psicologico nello Sviluppo e nelle Istituzioni Socio-educative
  Relatore: Chiara Simonelli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 101

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