I poteri probatori del giudice
Imparzialità dell’organo giudicante e poteri probatori
Nell’ambito delle dinamiche probatorie giudiziali acquista nuove sfumature il concetto di imparzialità con riguardo proprio al possibile esercizio di poteri istruttori d’ufficio.
L’esigenza di assicurare l’imparzialità del giudice deriva dalla necessità di garantire che imparziale sia la decisione emessa, trattandosi di un atto che rappresenta l’epilogo di un apprendimento attuatosi, anche, attraverso il procedimento probatorio.
Ad un giudice imparziale, mediatore tra legge e fatto, spetta soltanto di decidere sulla base di prove ricercate dall’accusa e dalla difesa.
La decisione del giudice si basa sul contraddittorio tra soggetti spinti da interessi contrapposti.
Il giudice, dunque, assume una posizione di terzietà nell’ambito del concreto conflitto d’interessi che si dibatte nel giudizio, operando in modo imparziale.
Emerge, così, la figura del giudice come “risolutore dei conflitti”, che sottintende una diversa filosofia della ricostruzione del fatto e che finisce per saldarsi in modo coerente con la nuova concezione dialettica della prova – punto nodale del processo – che gravita sulla nozione di confronto di tesi contrapposte, e sul dialogo tra le parti in posizione paritetica.
La completezza dell’accertamento deve guidare l’impiego dei poteri d’ufficio del giudice in vista di una decisione cognitivamente imparziale, nella quale, cioè, il sapere argini il potere, evitando ogni degenerazione che tentasse di decidere senza conoscere.
Ricercare un grado d’apprendimento maggiore rispetto a quello fornito dalle parti, non vuol dire cercare di conoscere la verità in modo autonomo.
Quello del giudice, come più volte detto, non può e non deve essere un potere di natura investigativa.
Inoltre, non deve perdere il carattere della sussidiarietà rispetto alle produzioni probatorie di parte, posizionandosi, tutt’al più, in termini d’integrazione .
L’intervento del giudice sulla prova viene contemplato come fonte sussidiaria di soccorso per rimediare alle lacunosità processuali.
Risiede proprio nella rimediabilità il confine che separa l’impiego corretto e doveroso delle prerogative giudiziali sulla prova dalla relativa degenerazione, cioè dal vedere negli strumenti di un intervento d’ufficio la via che conduce a legittimare personali visioni ricostruttive.
L’imparzialità del giudice, ricavata soprattutto da una pratica effettiva della parità tra le parti come risultato del contraddittorio, sarebbe un traguardo non raggiungibile se non vi fosse una ripartizione dei ruoli processuali.
L’accertamento giudiziale richiede, infatti, una separazione tra funzioni d’accusa e di decisione, tra la potestà di ottenere giustizia del P.m. e quella di renderla del giudice.
L’eventuale riconoscimento di un poter d’ufficio sulla prova non potrà essere utilizzato in modo strumentale per alterare il petitum, integrandolo con propri enunciati fattuali o elidendo ipotesi ricostruttive avanzate dalle parti.
Questo brano è tratto dalla tesi:
I poteri probatori del giudice
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Informazioni tesi
Autore: | Rosa Angelone |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2008-09 |
Università: | Università degli Studi di Palermo |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Giuseppe Di Chiara |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 214 |
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