Dal collezionismo ai ''Tesori Restituiti''
Il Collezionismo nel XX e nel XXI secolo
Nel XX e nel XXI secolo il collezionismo privato stimola di frequente attività di scavo clandestino (e di conseguenza il traffico illecito di reperti archeologici e opere d’arte antica) intraprese da gente senza scrupoli e disposta a tutto pur di arricchirsi. Allo stato attuale delle cose, soltanto una minima parte dei collezionisti si rende conto che, attraverso l’acquisto di beni trafugati o comunque di dubbia provenienza, si favoriscono le pratiche di saccheggio dei siti archeologici. Essi badano piuttosto all’aspetto ―conservativo della loro attività di collezionisti, quasi dessero un contributo alla tutela del patrimonio culturale.
In realtà gli scavi clandestini, mirati al recupero del maggior numero possibile di opere d’arte ed oggetti destinati al mercato antiquario e condotti senza alcuna attenzione ai contesti dei manufatti, hanno come diretta conseguenza la distruzione e l’occultamento di un complesso di dati - innanzitutto quelli di provenienza - utili ad inquadrare i reperti.
Ogni sito archeologico rappresenta un unicum e, pertanto, uno scavo privo di documentazione comporta la distruzione irrimediabile di un contesto storico: lo scavo di un sito archeologico è di fatto un esperimento che non può essere ripetuto. Per questo motivo, per comprendere appieno le caratteristiche di un manufatto antico, occorre che il manufatto sia collegato al mondo che lo ha visto nascere, al suo contesto di appartenenza.
Scavi clandestini vengono principalmente effettuati in aree archeologiche caratterizzate da ricche sepolture che restituiscono corredi funerari costituiti da manufatti metallici e ceramici particolarmente richiesti dal mercato antiquario (ad esempio, i recipienti di bronzo, la ceramica figurata attica e italiota, la ceramica sovraddipinta, ecc.).
Di solito vengono asportati senza criterio anche gli elementi architettonici - capitelli, frontoni, porte - che diventano oggetto di commerci clandestini.
I cosiddetti tombaroli, ossia gli scavatori clandestini, sono soliti vendere i reperti a mediatori e trafficanti internazionali che a loro volta li cedono a mercanti d’archeologia, il più delle volte stranieri. Gli acquirenti finali sono invece i ricchi collezionisti privati e, spesso, i più importanti musei europei, americani e giapponesi. Frequente è addirittura la pratica di frantumare i reperti per evitare i controlli, e di ricomporli una volta raggiunto il luogo dello scambio o della vendita.
Di contro, alla schiera dei collezionisti privati che continuano ad alimentare il mercato clandestino, vi sono quelli che riconoscono e tentano di combattere la ―collaborazione esistente fra mercato dell’arte e scavi abusivi, acquistando solo oggetti la cui origine legale sia precisamente documentata. Ad un’altra categoria di collezionisti, ancora più coerenti, appartengono invece coloro che, per essere certi di non acquistare oggetti archeologici provenienti da scavi abusivi, hanno totalmente rinunciato al collezionismo.
Emblematica in tal senso, è la decisione presa da un collezionista americano che, all’interno del catalogo di una mostra di sue opere d’arte, scrive: ―La nostra collezione era per noi una fonte di gioia, di ispirazione e di conoscenza … Per molto tempo abbiamo ritenuto che il collezionismo fosse un’espressione del nostro impegno per la tutela e la protezione del nostro passato. Soltanto nel 1974 siamo venuti a conoscenza dell’appassionato impegno di alcuni archeologi professionisti, che mettevano le carte in tavola in merito all’importazione ed esportazione di beni culturali. Perciò ponemmo fine alla nostra attività di collezione, e da allora ci sentiamo fermamente vincolati ai principi della Convenzione UNESCO.
Il nostro Paese è considerato il più grande giacimento di beni archeologici classici a livello mondiale. Secondo l’Unione Europea tuttavia, la pratica degli scavi illegali, rappresenta un pericolo ancora presente, in quanto catalizza le attenzioni dei più agguerriti gruppi criminali internazionali, che trasferiscono le nostre ricchezze archeologiche all’estero, per soddisfare l’avidità dei collezionisti.
Per queste organizzazioni illecite, conosciute come archeomafie, il saccheggio dei beni archeologici rappresenta un’occasione irrinunciabile sia per riciclare denaro sporco, sia per utilizzare i beni trafugati come beni rifugio scambiabili sui mercati illegali internazionali con partite di droga o di armi, sia come mezzo di ricatto nei confronti dello Stato.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Dal collezionismo ai ''Tesori Restituiti''
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Informazioni tesi
Autore: | Chiara Carratta |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2007-08 |
Università: | Università del Salento |
Facoltà: | Conservazione dei Beni Culturali |
Corso: | Conservazione dei Beni Culturali |
Relatore: | Caterina Mannino |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 155 |
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