La riserva di giurisdizione ecclesiastica in materia matrimoniale

Uno dei problemi più significativi che porta con sé tale dibattito, è quello di definire pur ammettendo la possibilità di un concorso di giurisdizioni, quale sia, a questo punto, il diritto applicabile dal giudice dello Stato chiamato a giudicare la validità di un matrimonio, contratto secondo le norme concordatarie, è evidente che tali problematiche sono svolte principalmente dalla dottrina che propende per la tesi del superamento della riserva esclusiva di giurisdizione.

Le opzioni a disposizione sono evidentemente due, o si applica il diritto canonico, come un qualsiasi diritto straniero, o si ritiene che l'accertamento, svolto dal giudice dello Stato, debba essere svolto in conformità con il diritto civile. Chi propende per la prima soluzione equipara sostanzialmente, la figura del giudice canonico a quella di un giudice straniero, per cui ritiene perfettamente applicabile, come corollario di tale equiparazione, il diritto canonico.

Altri sostengono, che qualora si volesse adoperare il diritto canonico, si andrebbe incontro a due ostacoli, il prima di ordine pratico riguarda le difficoltà che il giudice civile incontrerebbe nell'utilizzare le norme canoniche, che sono permeate di valenza religiosa, derivanti dal carattere sacramentale del matrimonio, il secondo ostacolo riguarda la libertà religiosa garantita dall'art. 19 della Cost.

Infatti verrebbe violata tale libertà religiosa se un soggetto che avesse mutato il proprio credo avendo adito un tribunale statale, fosse giudicato, anche in tale sede, in base a norme che non riconosce più e d'altro canto tale situazione rappresenterebbe anche una vessazione nei confronti del coniuge che avrebbe mantenuto la propria fede.

Contro queste argomentazioni, tale dottrina ribatte affermando che le difficoltà del giudice italiano in sede di applicazione non sarebbero poi differenti da quelle che si avrebbero nell'applicazione del diritto straniero, più in generale.