Tra letteratura e storia: Elio Vittorini
La Storia e la Letteratura
Prima di procedere con un'analisi approfondita della relazione (altalenante) di Vittorini con i fatti storici (e politici) del suo tempo, è fondamentale notare come tutte le sue opere letterarie richiamino eventi storici visti, sentiti, patiti e affrontati dal nostro autore. Il XX secolo è il secolo delle guerre, dei morti, dei soldati, degli autoritarismi, della propaganda, della democrazia, della tecnologizzazione. A posteriori è incredibile ammettere che tutto ciò sia accaduto in soli cento anni. Vittorini, tra l'altro, ha la fortuna di poter attraversare gran parte di questo periodo, assorbendone e respingendone le varie istanze politiche. Egli inizia con il fascismo (e vedremo in quali modalità) nel Garofano rosso, passa alla crisi economica del 1929 in Erika e i suoi fratelli, procede con la guerra civile spagnola in Conversazione in Sicilia, per poi giungere all'esperienza partigiana in Uomini e No. Conclude la sua esperienza romanzesca trattando il tema della difficile ricostruzione del secondo dopoguerra ne Il Sempione strizza l'occhio a Fréjus e ne Le donne di Messina, terminando in Le città del mondo con una società che ormai corre così velocemente da apparire misteriosa. Il suo è un percorso particolare, al punto che un'analisi diacronica dei romanzi vittoriniani terminerebbe per descrivere il Novecento nella maniera più realistica e lirica possibile. Vittorini, dunque, conferma che la storia è e sarà sempre tema letterario; del resto, basta guardare all'esperienza di due giganti come Dante Alighieri e Ugo Foscolo per rendersene conto: il primo con la trasfigurazione in chiave cristiana del destino di persone realmente conosciute ed incontrate dall'autore nella Commedia, il secondo con il tema del ricordo legato ai defunti (reali) e storicamente esistiti nel carme Dei Sepolcri. Eppure, l'osservazione, l'analisi, l'interiorizzazione e la risposta alla storia (quattro punti nodali da tenere fortemente in considerazione) di quest'autore non sono confinate solo ai romanzi: le riviste, le interviste e le lettere solo altre fonti preziose, utili per tale indagine. Prima ci eravamo riferiti al concetto di diacronia, ma fare un mix di sincronia e diacronia risulta essenziale per poter meglio inquadrare i delicatissimi rapporti che Vittorini intratterrà con il fascismo e il comunismo dal punto di vista storico-politico. È chiaro quindi che attribuire alla letteratura la sola polarità realtà/irrealtà nel contesto dell'autore siracusano, appare riduttivo; infatti, è lui stesso a dire in un'intervista del 1965: «La letteratura è già poca cosa. A che può servire se non sa rivelarci, attraverso le sue stesse forme, di che specie di mondo siamo contemporanei?».20
Vittorini e il Partito Nazionale Fascista
Molto del "male" non è stato necessario che al suo persistere di "male"; e ad ogni modo la storia registra troppo lunghi periodi di "male", di inerzia, che non era necessario fossero tanto lunghi, e che tanto lunghi furono solo per difetto della nostra energia, putrefazione della nostra coscienza. Questo dunque è da riconoscere, il venir meno dell’energia umana e il cadere in putrefazione della coscienza, assai più che la necessità del "male". Le complesse alternative di rivoluzione e reazione non sono affatto sottoposte a una legge storica superiore e nulla si può accettare come necessario, come fatale, neanche nella fede che la fatalità volga infine a favore di un progresso dell'uomo.21
Iniziare a delineare la relazione Vittorini-fascismo con questo pamphlet polemico scritto dall'autore nell'agosto del 1937, quindi nel momento in cui la rottura con il regime si profilava nel suo orizzonte politico, è illuminante; ricorrono infatti due parole-chiave fondamentali per segnalare il suo cammino entro e fuori il fascismo: rivoluzione e reazione. Tra l'altro ritorniamo all'assunto secondo cui l'esperienza storica di Vittorini non è rappresentabile solamente tramite i romanzi. Il Movimento dei Fasci di combattimento, diventato ufficialmente al Congresso romano del 1921 Partito nazionale fascista (Pnf), ai suoi primordi trovò terreno fertile in chi, dopo i disastri portati dalla Grande Guerra, pretendeva un cambiamento della società, possibilmente ottenuto tramite una rivoluzione. Se a ciò si aggiunge che cronologicamente si trattava di un movimento politico che nasceva dopo l'affermazione del bolscevismo in Russia, ben si comprende come le istanze socialiste e in generale di sinistra fossero alla base del movimento delle camicie nere. Eppure, ciò non è sufficiente: è necessario tenere in considerazione che Mussolini, nel corso della Prima guerra mondiale, faceva parte del Partito socialista italiano (Psi) e che, aldilà della sua fuoriuscita per l'interventismo propugnato in vista della guerra, ebbe un'infarinatura socialista, di sinistra. Non a caso i primissimi anni del fascismo (fino a circa il '23-'24) e la volontà di creare un corporativismo tra lavoratori e imprenditori (quasi sul modello dei soviet russi) fanno oggi parlare gli storici (giustamente) di "fascismo di sinistra".22 Vittorini fino alla metà degli anni Trenta aderisce al regime, crede alle sue istanze politiche, le diffonde addirittura, ma con la consapevolezza che tutto è fatto per la società, appunto per la rivoluzione ottenuta tramite una reazione. Da ciò è evidente una similitudine: così come le opere letterarie vittoriniane talvolta, tra le righe, si anticipano (è il caso del tema degli «astratti furori» o del «reale due volte reale»), allo stesso modo lo schieramento politico di sinistra durante il fascismo pare anticipare, come si dirà in seguito, quanto lo connoterà nel secondo dopoguerra. Diacronicamente parlando, sono gli scritti di vari tipi entro la metà degli anni Trenta a evidenziare come l'autore non solo aderiva al regime, ma lo applaudiva, vedendo in esso una speranza per il martoriato regno italiano. Si parte, dunque, dal Vittorini fascista. Nel 1929 il trasferimento presso Firenze, polo culturale di prim'ordine, gli consentì di entrare in contatto con un ambiente stimolante per le sue inclinazioni intellettuali e politiche. Aveva già pubblicato il famosissimo articolo Scarico di coscienza su L'Italia letteraria e questo gli aveva permesso di essere subito notato nei vari circoli letterari fiorentini. Tra l'altro a posteriori è questo uno dei tanti scritti (come la riedizione del Garofano) che hanno creato accese dispute tra chi ha letto in essi un'assoluta fascistizzazione culturale e chi ha intravisto una volontà culturale indipendentista e svincolata; per quanto poi sia stato Vittorini stesso a confermare la seconda ipotesi nel '57 in Diario in pubblico, basta notare come sin dai primordi della sua carriera egli avesse un temperamento forte e determinato. Sono sufficienti le sue parole espresse nei confronti della cultura italiana di quel momento per palesare quanto detto:
Carducci e Pascoli non potevano averci insegnato nulla; tutte le loro risorse erano state vinte, assorbite dal dilettantismo e da D’Annunzio; e D’Annunzio stesso era finito miseramente in se stesso, ripetutosi, esauritosi spontaneamente... La letteratura che potremmo chiamare crociana si era giocata la posta. Prezzolini, la Voce, non insegnavano nulla. Nulla Papini, nulla Soffici. Essi non hanno fatto la carriera che ci voleva per essere i nostri maestri. Nemmeno da Verga un insegnamento, un indirizzo.23
Proprio in questo articolo, Vittorini, parlando della letteratura straniera con toni fortemente elogiativi, dimostrò le sue inclinazioni culturali, anticipando tra le righe il suo futuro itinerario entro il Pnf. In effetti, quando aggiunse alla lista delle sue molteplici occupazioni anche quella di traduttore, iniziò un lavoro attuato non con critica consapevolezza, bensì con la mano pesante di un traduttore che non dubitava nell'espungere parti di opere per lui superflue o addirittura avverse al regime. Si comprende perfettamente allora come in questi anni Vittorini fu pienamente fascista. È sufficiente menzionare la sua traduzione nei confronti di D. H. Lawrence, un lavoro connotato da forti critiche non sono nei confronti dell'autore («questo balbuziente scrittore»24 definito addirittura in una lettera), ma anche nei riguardi di alcune parti, antifasciste, che decise di cassare. Per quanto apparentemente ciò dimostri solo l'adesione politica vittoriniana, in realtà è il ritratto del clima culturale italiano di questi anni, in cui l'autarchia culturale propugnata dal nuovo Stato stava raggiungendo l'apice. Questo spiega il motivo per cui risultava legittimo adulterare delle opere letterarie non solo ad un traduttore (alle prime armi) come Vittorini, ma anche ad una casa editrice come Mondadori:
Naturalmente lasciamo a Lei di togliere o modificare quegli altri punti che, a Suo giudizio, potrebbero riuscire meno accetti al pubblico italiano.25
Per quanto nel 1946 lo stesso Mondadori ricontatterà il nostro autore per reintegrare le parti antifasciste espunte (riconfermando, al rovescio, il contesto degli anni Trenta), è questo il momento in cui Vittorini scrisse persino delle dediche per l'Italia mussoliniana. Quando, infatti, gli si chiese di partecipare alla stesura di una biografia elogiativa per Italo Balbo, quadrumviro della marcia su Roma e ras, Vittorini non solo accettò ma scrisse una serie di elogi sul regime (e sulla sua nascita in seguito agli eventi a Roma del 1922), talvolta riferiti al protagonista della medesima opera, denominata infine Vita di Pizzo di Ferro detto: Italo Balbo, dal soprannome attribuitogli:
La rossa alba del sedici d'ottobre trovava ancora riuniti a consiglio segreto la fidatissima Gerarchia del fascismo sotto l'occhio infallibile del Duce. Oh, raccolta favolosa, episodio di epopea cavalleresca, degno d'essere avvenuto sotto il riparo d'una tenda imperiale, al lume dei roghi e degli incendi!26
Vittorini riuscì a iniziare una collaborazione contemporaneamente con la rivista «Solaria» (che gli consentì la pubblicazione delle sue primissime opere) e con il settimanale fascista «Il Bargello», attività pregne di elementi per poter inquadrare il modo che egli aveva di schierarsi, politicamente parlando. «Il Bargello» era più orientato verso istanze politiche, ma erano disponibili anche alcune pagine dedicate alla cultura e alle questioni letterarie, pagine nelle quali Vittorini poté esprimere al meglio il suo tipo di fascismo, un fascismo di sinistra.
[…]
20 Estratto di un'intervista a Elio Vittorini del 1965, v. Raffaella Rodondi, Il presente vince sempre, Tre studi su Vittorini, Palermo, Sellerio, 1985, p. 11.
21 Elio Vittorini, Di Vandea in Vandea: I vespri siciliani, in La noia e l'offesa: Il fascismo e gli scrittori siciliani, a cura di Leonardo Sciascia, Palermo, Sellerio, 1975, pp. 55-70.
22 Per un approfondimento sul Pnf v. Alberto Mario Banti, L'età contemporanea, dalla Grande Guerra a oggi, Bari, Laterza, 2022, cap. IV, pp. 90-117.
23 Elio Vittorini, Scarico di coscienza, in «L'Italia letteraria», MCMXXIX, 13 ottobre 1929.
24 Lettera a Giacomo Antonini, Firenze, 20 luglio 1933, in Elio Vittorini: I libri, la città, il mondo: Lettere 1933-1943, a cura di Carlo Minoia, Torino, Einaudi, 1985, p. 11.
25 Lettera di Arnoldo Mondadori a Elio Vittorini, Milano, 27 marzo 1933, in Archivio della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, f. b. 199.
26 Curzio Malaparte e Enrico Falqui, Vita di Pizzo di Ferro detto: Italo Balbo, Roma, Libreria del Littorio, 1931, p. 60.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Tra letteratura e storia: Elio Vittorini
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Informazioni tesi
Autore: | Salvatore Schillirò |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2021-22 |
Università: | Università degli Studi di Catania |
Facoltà: | Lettere |
Corso: | Lettere |
Relatore: | Marina Paino |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 56 |
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