Fibra di carbonio: sviluppi, produzione e impiego
Tipologie e chimica delle resine
Le resine maggiormente impiegate sono le termoindurenti, commercializzate sotto forma di 2 sostanze separate e stabili nel tempo: il polimero e l’agente reticolante; mischiando le 2 parti in proporzioni opportune si avvia il processo di reticolazione che ne eleva il peso molecolare fino all’indurimento. Tale reazione è spesso condotta a pressione e temperatura controllata (temperatura di cura). Il processo è irreversibile, il materiale risulta insolubile e infusibile, permettendo l’utilizzo in un più ampio campo di temperature.
Le più comuni resine termoindurenti sono: fenoliche, poliestere, poliammidiche, epossidiche. [27], [36]
Le resine fenoliche hanno trovato le primordiali applicazioni in campo aeronautico. Sono basate su sostanze chiamate resoli, ottenute dalla reazione di fenolo (C6H5OH) e formaldeide (CH2O).
La temperatura massima di esercizio è di circa 200 °C, mostrano una buona resistenza a solventi e umidità ambientale ma una bassa resistenza all’ossidazione.
La reticolazione sviluppa acqua come prodotto secondario; deve essere allontanata prima dell’indurimento per evitare lo sviluppo di porosità nella massa, che inficerebbero la resistenza. La densità di reticolazione è elevata, pertanto il materiale risulta fragile. [23], [24], [26], [36]
Le resine poliestere hanno una temperatura massima di esercizio di circa 120 °C. Mostrano un ritiro volumetrico durante la reticolazione e un coefficiente di espansione termica elevata; uniti alla bassa resistenza all’umidità ambientale possono creare problemi dovuti allo sviluppo di sforzi interni, con conseguente distaccamento delle fibre.
Tuttavia, la reticolazione può essere condotta a temperatura ambiente. [23], [24], [26], [36]
Le resine poliammidiche hanno una temperatura di esercizio di 250-300 °C.
Per avviare la reticolazione necessitano di solventi che dovranno poi essere rimossi insieme all’acqua di condensazione prima del completo indurimento.
Sono caratterizzate da una densità di reticolazione ancora più elevata rispetto alle resine fenoliche, questo è il limite principale di utilizzo di questo materiale. [26], [36]
Le resine epossidiche hanno un costo più elevato rispetto alle altre tipologie, ma presentano migliori proprietà adesive e maggiore resistenza agli agenti esterni. Sono indicate per la realizzazione di componenti ad elevate prestazioni; infatti, per la realizzazione di compositi in fibra di carbonio si opta per questa soluzione.
Il reagente comunemente utilizzato è il diglicidiletere del bisfenolo A (DGEBA), prodotto per reazione di epicloridrina (C3H5ClO) con acidi del bisfenolo A (“BPA”, prodotti dalla reazione fenolo C6H5OH+acetone CH3-CO-CH3).
L’agente reticolante è un’ammina; legandosi ai gruppi epossidici del DGEBA permette l’aumento del peso molecolare fino all’indurimento. [21], [23], [24], [25], [26]
La reticolazione è esotermica e non genera prodotti secondari; può essere condotta a temperatura ambiente o ad elevata temperatura, a seconda delle proprietà finali desiderate: maggiore è la temperatura, maggiore è la densità delle catene polimeriche, che risultano meno mobili conferendo al materiale maggiore rigidità.
Hanno una temperatura di impiego massima di 180 °C circa. [23], [36]
Un’altra categoria è quella delle resine termoplastiche; permettono un riciclaggio del materiale in quando fusibili, ma anche una eventuale riparazione mediante saldatura; questo può rivelarsi anche un difetto: se si supera il limite massimo si verifica il rammollimento. [27], [36]
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Fibra di carbonio: sviluppi, produzione e impiego
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Informazioni tesi
Autore: | Stefano Scarabellotto |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2022-23 |
Università: | Università degli Studi di Trieste |
Facoltà: | Ingegneria |
Corso: | Ingegneria industriale |
Relatore: | Nicola Scuor |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 65 |
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