La filiera corta per un’economia sostenibile: pratiche virtuose in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030
Le principali caratteristiche dei modelli di filiera corta
Gli effetti negativi legati al sistema agroalimentare convenzionale hanno spinto i portatori d’interesse già a partire dagli anni Ottanta ad organizzare delle reti di distribuzione alimentare alternative (Brunori e Galli, 2017). Insoddisfatti sotto svariati punti di vista, i consumatori e i produttori hanno deciso di costruire nuove relazioni basate sulla fiducia e sull’equità che non prevedessero l’intermediazione di terzi, per ottenere produzioni alimentari più sane e un trattamento dignitoso degli attori alla base della catena produttiva (Sonnino e Marsden, 2006; Barbera et al., 2014).
Il rapporto diretto che si viene a creare in queste nuove esperienze ha lo scopo di escludere la grande distribuzione organizzata e le grandi multinazionali, che sono strettamente legate a tutte le problematiche moderne di cui abbiamo parlato prima. L’effetto generato è una sostanziale diminuzione degli attori coinvolti nella filiera produttiva, e quindi un passaggio da una “filiera lunga” o “globale” ad una “filiera corta” o “locale”.
Le principali motivazioni del passaggio a questi modelli alternativi non sono solo la ricerca di prodotti di maggiore qualità o l’attenzione verso le questioni ambientali e sociopolitiche, come la ripartizione equa dei profitti. Spesso un fattore trainante è anche il desiderio di preservare la cultura e la tradizione legata ad uno specifico territorio, acquistando prodotti alimentari creati nelle aree limitrofe (Marletto e Sillig, 2010)
Il concetto di filiera corta include al suo interno diversi modelli operativi e iniziative che spaziano dalla vendita diretta, alla co-gestione da parte di consumatori e produttori. Per comprendere meglio il fenomeno, le caratteristiche che generalmente definiscono tutte le esperienze sono:
⁃ la vicinanza fisica e culturale tra gli attori coinvolti,
⁃ il numero limitato di passaggi che intercorrono tra la produzione e la vendita,
⁃ l’uso di sistemi di produzione agro-ecologici.
Queste convivono all’interno di manifestazioni molto differenti tra di loro, poiché la loro conformazione è strettamente legata agli obiettivi ricercati da ogni singola esperienza. Innanzitutto, la limitazione dei passaggi intermedi può avere uno scopo prettamente economico, di riappropriazione del valore aggiunto da parte degli agricoltori che, oltre ad ottenere guadagni più dignitosi rispetto al lavoro svolto, sono anche capaci di offrire prezzi più convenienti alla vendita.
La vicinanza fisica avvantaggia il produttore che può conoscere direttamente i bisogni dei clienti, mentre il consumatore ottiene prodotti più freschi, di provenienza garantita e che rispettano specifici valori. In aggiunta, sia questo che il precedente obiettivo, generano una riduzione dei trasporti intermedi e quindi una riduzione degli inquinanti emessi nell’ambiente. Così come il rispetto di produzioni biologiche protegge dagli sprechi e dalla perdita di biodiversità (Marescotti e Belletti, 2013; Brunori, Rossi, Guidi, 2012; Barbera et al., 2014). Detto ciò, possiamo affermare che la filiera corta, in base all’accento che ogni particolare esperienza si attribuisce, ha la capacità di svolgere contemporaneamente funzioni di natura sociale, economica e ambientale.
Sebbene queste esperienze siano nate inizialmente come nette opposizioni ideologiche al sistema convenzionale, con il tempo questa interpretazione dicotomica è andata sfumando. Infatti, oggi il rapporto tra filiera lunga e filiera corta non è privo di ambiguità e coesistono una complessità di modelli ibridi che si inseriscono nello spazio tra esse (Hand e Martinez, 2010; Durham, King, Roheim, 2009). Questo può essere dovuto sia ad una diluizione dei valori fondanti, con la crescita di obiettivi di convenienza economica; ma anche al fatto che la filiera corta non può essere applicata in tutti i contesti di imprenditoria agricola, e non sempre riesce a competere efficacemente con la filiera lunga, in particolare nella distribuzione e nella compressione dei costi (Di Iacovo, Fonte, Galasso, 2014). In alcuni di questi casi la distribuzione organizzata decide di offrire degli spazi ai produttori locali, con lo scopo di guadagnarci in immagine, mostrandosi più “verde” e sensibile; ma più spesso decide di diversificare i propri canali commerciali, sfruttando l’immagine dei modelli alternativi senza necessariamente modificare le sue modalità di produzione, generando forme di concorrenza sleale, che impediscono alle vere esperienze di filiera corta di restare sul mercato (Marescotti e Belletti, 2013).
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La filiera corta per un’economia sostenibile: pratiche virtuose in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030
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Informazioni tesi
Autore: | Giuliana Morlino |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2022-23 |
Università: | Università degli Studi di Roma La Sapienza |
Facoltà: | Scienze Politiche, Sociologia, Comunicazione, Lettere e Filosofia |
Corso: | Cooperazione Internazionale e Sviluppo |
Relatore: | Mattia Rapa |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 69 |
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